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Autore: Neamh Moonstar    19/12/2021    2 recensioni
Dio non muore, non sbaglia e non abbandona.
Dio non crea il caos tra gli angeli in cielo, né lascia quelli sulla Terra soli tra le lacrime e il sangue.
Dio non parla e non risponde.
Giusto?
(Considerabile come un seguito di: "Quell'angolo di infinito" ma leggibile separatamente).
Genere: Angst, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Dio, Gabriele, Morte
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dilogia sotto le stelle'
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“Non so se Dio è morto. Forse Dio talvolta è assente e Satana fa il supplente.”


- Davide Morelli

**

Da quando il mondo non era finito, tutto era cambiato.

Il cibo gli sembrava più buono, il vino gli riscaldava le guance come una coperta in inverno e le conversazioni... Oh, le loro conversazioni erano così divertenti, così libere, così leggere. Finivano sempre tra le risate, le mani sulle spalle e le camminate a braccetto. 

Le loro parole uscivano senza freni, senza paura e si disgregavano nell'aria senza rimpianti. Le barriere erano crollate, così come i divieti e le limitazioni.

Avevano mille milioni di progetti e il mondo a disposizione. Crowley gli diceva sempre di avere in mente un'idea riguardante l'edificio vuoto da chissà quanto che stava davanti alla libreria. Non entrò nei dettagli, solo era ovvio che sarebbe rimasto miracolosamente invenduto per chissà quanto ancora.

Aziraphale non lo stuzzicò per saperne di più, per quanto volesse. Era già entusiasta al pensiero che il suddetto edificio altro non fosse che ad un'attraversata di strada da lui. Così vicino che poteva vederlo dalla vetrata, così vicino da poterci arrivare in due passi, così meravigliosamente, semplicemente vicino.

Vicino come le loro spalle per tutto tempo quella sera, durante tutto il tragitto verso casa. Vicini come loro stessi erano diventati negli ultimi due anni.

Solo due, nulla di più. Per due creature immortali non erano che uno sbattere di palpebre o uno schiocco di dita. Certo, ormai stavano per diventare tre: dicembre era alle porte; ma erano comunque davvero pochi. Pochi ma semplicemente perfetti, meravigliosi, intimi ed utopici: un sogno che non aveva il diritto di finire.


Arrivati alla libreria, le loro braccia si slacciarono. Aziraphale andò ad aprire sorridendo ed alzando gli occhi al cielo all'enessima affermazione di Crowley su quanto Gabriel sembrasse un perfetto scemo nelle sue finte, plastiche e ipocrite espressioni da perfettino. Ormai prendere in giro i loro ex-capi era diventata una valvola di sfogo; la conversazione che prendeva piede quando tutte le altre avevano fatto il loro tempo.

    «Sicuro di non voler entrare a bere qualcosa prima di andare?» Chiese l'angelo a metà tra l'uscio e l'entrata.

Da quando non erano più costretti a stare lontani, la separazione era diventata complicata. Ormai era una semplice convenzione: lo facevano perché quando incontri qualcuno sai già che ad un certo punto dovrai lasciarlo andare; far sì che ognuno si riprenda i propri spazi.


    Il demone sorrise e fece un gesto noncurante con la mano: «Nah, sto bene,» disse indietreggiando verso la Bentley, mani nelle tasche. Era il ritratto della nonchalance.

Parcheggiava sempre lì davanti, laddove chiunque si sarebbe beccato una multa. Chiunque tranne lui, ovviamente.

    «Domani alla stessa ora?» Chiese, mettendosi al volante.


    L'altro annuì: «Domani alla stessa ora.»

Si salutarono e Aziraphale aspettò come sempre che si fosse allontanato per chiudere la porta e tornare alla tranquillità che rimarcava la sua solitudine. Non che avesse preso abitudini diverse, anzi, erano le stesse: stessi libri, stesso tè, stessa musica. Il modo in cui le faceva era cambiato, invece: si era fatto più leggero di una piuma nell'aria, abbandonando i gesti guardinghi e lasciando spazio alla semplice naturalezza.



Strinse la tazza bollente tra le mani, rendendosi conto di quanto il calore fosse piacevole e inebriante. Effettivamente faceva freddo ora che l'inverno imminente aveva iniziato ad appropiarsi del clima.

Normalmente Aziraphale non sentiva il freddo, ovviamente: quella era la semplice prova provata del fatto che si stava rilassando troppo, lasciando crollare anche le sue ultime difese. Ovvió al problema con una scrollata di spalle e un plaid, aprendo un libro. Era di quelli che aveva lasciato Adam ed era davvero interessante per essere uscito fuori dalla mente di un ragazzino. Va bene, un ragazzino che era stato l'anticristo, ma pur sempre un ragazzino.

Era a metà di un capitolo particolarmente intrigante quando una breve vibrazione lo distrasse. Gli ci volle un attimo per capire cosa fosse, sbarrare gli occhi e andare a frugare nella tasca della giacca. Lì, sepolto e abbandonato, c'era un cellulare dai riflessi bluastri; uno di quegli affari ai quali normalmente non si sarebbe nemmeno avvicinato. Era facile capire chi glielo avesse regalato per scherzo, finendo poi per farglielo usare davvero.



Il messaggio del demone apparí sullo schermo, portando Aziraphale a chiedersi cos'avessero le semplici chiamate che non andasse.

    "Tornato ora. Che leggi?"

Rimettendosi al suo posto davanti alla scrivania, l'angelo iniziò a ticchettare con il polpastrello sullo schermo in un modo che avrebbe fatto sbattere una mano in faccia a chiunque. Se solo a Crowley non fosse piaciuto tanto conversare in quel modo...

    "I libri di Adam" rispose. "Tu non vai a dormire?"

Lasciò lo schermo accesso e riprese a leggere fino alla vibrazione seguente.

    "Non mi va" aveva risposto l'altro. "Mi cerco un film."

Arrivarono altri messaggi che facevano riferimento a qualche horror dalla trama particolarmente interessante e al fatto che era da un po' che non andavano al cinema.

Aziraphale arrivò a fine paragrafo prima di volgere l'attenzione all'incessante vibrare delle notifiche. Fece per prendere il cellulare ma questi gli cadde dalle mani come una saponetta, cadendo sul pavimento con un tonfo.


Aggrottando le sopracciglia, l'angelo si guardò le mani e le riscoprì tremanti, fredde come due blocchi di ghiaccio. 

In un primo momento non seppe che pensare. Raccolse il dispositivo - miracolosamente intatto - e si alzò, pensando di aumentare un po' la temperatura dell'ambiente circostante. Il solo rimettersi in piedi, però, gli causó un terribile senso di ansia: un'ipotetica adrenalina che gli trapassò l'anima come una stilettata all'addome. 

Si voltò istintivamente in più direzioni per capire di cosa si trattasse. Intrusi? Ladri? Umani troppo curiosi? O il peggiore dei suoi incubi: angeli o demoni tornati per vendicarsi?

Nulla di tutto ciò. La musica classica aleggiava nell'aria, come sempre. La polvere si posava tranquilla sulle copertine, come sempre. La luce calda avvolgeva l'ambiente, come sempre.

Tutto era assolutamente perfetto, come sempre.

O quasi.



Qualcosa non andava. Era come un pezzo di puzzle mancante in una composizione altrimenti perfetta; un cielo notturno dal quale era sparita una stella o uno scaffale dal quale era stato tolto un grosso tomo.

Qualcosa non c'era: qualcosa di estremamente importante era sparito, creando uno strappo nel tessuto stesso dell'esistenza.



Il senso di vuoto iniziò a gravare sopra la sua testa e, poco dopo, dentro di lui. Lo avrebbe paragonato alle vertigini: quelle che si provano salendo sulla cima di un monte e mettendosi in punta di piedi a fissare il basso, stando molto attenti a non perdere l'equilibrio. 

Aziraphale si sentiva esattamente così: fermo sull'orlo di un baratro, ad un passo dal vuoto. Dovette aggrapparsi allo schienale della poltrona, subito preso da quella specie di giostra interiore. 

Il cellulare vibrò di nuovo ma lo ignorò. Strinse gli occhi senza sapere che fare, intanto che alle vertigini si aggiunse un terribile senso di nausea. Sembrava che qualcuno avesse schioccato le dita, facendo sparire la pace e mettendoci al suo posto le montagne russe che l'intero essere dell'angelo si era involontariamente trovato a guidare.

Discese e giravolte si susseguivano l'una dietro l'altra, riducendolo ad una foglia al vento. D'un tratto fu come se la gravità avesse deciso di rianimarsi per spingerlo verso il basso e Aziraphale si ritrovò con palmi e ginocchia a terra, tremante come un cucciolo esposto alle intemperie.

Il plaid gli scivolò di dosso, facendo diventare il freddo più pungente e insopportabile e a nulla valsero i suoi sforzi di riavvolgersi nella morbida lana.

Pensò di chiedere aiuto ma la voce gli si bloccò in gola. Voleva riprendere il cellulare e fare una chiamata al volo ma non riusciva più neanche a muoversi.

Tutto si fece chiaro quando il gelo venne brutalmente spezzato da un terribile senso di bruciore alle scapole. Fu come se due mani fatte di fuoco gli avessero aperto la schiena in due per afferrare le sue ali e tirargliele fuori con un colpo secco, stritolandole e strappandone le piume.


Solo allora riuscì a gridare.

**

Il messaggio era rimasto lì: visualizzato senza una risposta. Accadeva spesso, in realtà: significava solo che la lettura in questione si era rivelata più importante di qualsiasi suo desiderio di vedere un film assieme.

Crowley sospirò: adesso era quasi curioso di sapere cosa ci fosse di così incredibile in un libro creato dal nulla da un undicenne.


Si rimise pigramente a guardare l'horror che aveva scelto. Avrebbe volentieri fatto due chiacchiere con il regista per quanto riguardava la scena dell'esorcismo: quella che stava guardando era un'esagerazione bella e buona; gli venne quasi da ridere.

Nel bel mezzo della scena clou gli venne automatico dare uno sguardo alla chat per scoprirla invariata.


Dovresti chiamarlo.


E distrarlo dalle sue letture? Stuzzicare un leone nel bel mezzo del pranzo avrebbe causato meno problemi. Anzi, Aziraphale aveva solo bisogno di rendersi conto della sua distrazione - il che poteva anche richiedere delle ore - per poi catapultarsi a rispondere con un: "Perdonami, caro. Hai detto cinema? Ma certo, quando vuoi".


E allora perché si sentiva così?


Perché le sue dita si erano messe a giocherellare nervosamente con il bavero della sua camicia sbottonata? Perché i suoi occhi non facevano altro che passare da uno schermo all'altro? Perché non riusciva a rimanere concentrato su una scena che fosse una? 


Devi tornare lì.


E perché non riusciva a far zittire i suoi pensieri? O meglio: non che mettere un freno alla sua mente fosse facile, ma in quel momento non sembrava esserci verso.


Con uno sbuffo, Crowley mise in pausa, prese il cellulare e fece partire la chiamata. Al secondo "bip" scattò a sedere come una molla lasciata in tensione troppo a lungo: quando si trattava di lui, Aziraphale non lasciava mai squillare - a meno che non avesse dimenticato di nuovo il cellulare in qualche tasca, e quello non era il caso. 

Ne fece partire un'altra e la preoccupazione si trasformò in panico. Volò fuori dall'appartamento senza neanche spegnere la televisione e in mezzo secondo era già in macchina.


Sbrigati.

E si stava sbrigando, accidenti, si stava sbrigando! 

Fortunatamente a quell'ora della notte le strade erano pressoché deserte ad eccezione di qualche avventore di pub. Anche se fossero state piene, comunque, a Crowley non avrebbe fatto nessuna differenza: se lui doveva andare dall'angelo, tutti gli altri potevano tranquillamente arrangiarsi e trovare un'altra strada.


Strinse il volante così forte da far sbiancare le nocche, la tensione ormai alle stelle. Non sapeva cosa fosse successo così di colpo, ma non gli piaceva: non gli piaceva per niente.


Corri.


E stava correndo, dannazione, stava correndo!

Non aveva mai corso tanto in tutta la sua esistenza.





   
 
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