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Autore: Vallyrock87    21/12/2021    8 recensioni
Sesshomaru è un ragazzo algido e scostante, che odia il Natale e i momenti di gioia delle persone intorno a lui. Fino a che non avrà la visita di quattro spiriti che cambieranno drasticamente il suo modo di vedere le cose. E chissà, forse una persona potrebbe diventare estremamente importante per lui.
Genere: Angst, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: inu taisho, Inuyasha, izayoi, Sesshoumaru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Strofa Prima

Lo spettro di Naraku

Un pensiero era baluginato nella sua mente quel giorno, dopo tanti anni dalla sua scomparsa; Naraku, il suo socio in affari era tornato alla sua memoria, e insieme a lui anche il ricordo di come se ne fosse andato in completa solitudine senza alcuna persona al suo fianco che lo piangesse. Nemmeno Sesshomaru, che era l’unica persona, ( oltre agli addetti alla sua cremazione), a essersi presentata al suo funerale, aveva versato alcuna lacrima. Non che la cosa non fosse normale per lui, tuttavia, almeno in quel momento ci si sarebbe potuti aspettare una minima reazione, ma il suo orgoglio non glielo avrebbe mai permesso.

Il ragazzo era morto dopo una lenta agonia a causa di una grave  malattia che lo aveva colpito, e anche quando si trovava agonizzante in un letto d’ospedale, nessuno era andato a trovarlo, nemmeno lo stesso Sesshomaru, che era troppo impegnato, per lasciare anche per un solo momento il suo lavoro. Così se ne era andato senza un minimo di affetto attorno a lui, era come se non fosse mai esistito, come se nessuno sapesse di lui o ciò che era stato. A volte anche lo stesso Sesshomaru si domandava che cosa, in realtà, fosse davvero stato Naraku. Ed era una domanda a cui ancora non sapeva rispondere.

Eppure, quel nome dall’insegna non lo aveva mai tolto, e anche dopo parecchi anni si leggeva ancora accanto a quello del suo socio: Sesshomaru e Naraku. Era per questo che la ditta era nota; per loro due. Di tanto in tanto, succedeva che qualcuno desse il nome a Sesshomaru; ora il suo, ora quello di Naraku e lui rispondeva a entrambi, ma in fondo non gli era mai importato più di tanto, aveva sempre considerato sia lui che il suo socio come una cosa sola.

Sesshomaru era sempre stato un ragazzo gelido, scostante; alto, dai capelli biondo argento, occhi azzurri, talmente chiari da somigliare alla punta di un iceberg, ma soprattutto era di una bellezza rara in quella piccola parte di mondo, e se non fosse per la sua natura umana, lo si sarebbe potuto scambiare per un demone. Ma la sua freddezza contrastava totalmente con la sua bellezza. Tuttavia, il gelido inverno per lui, non era che una lieve brezza, la quale non riusciva a scalfirlo. Non sentiva il freddo pungente sul viso, anzi, era lui stesso a farlo provare agli altri, nemmeno la più calda delle estati riusciva a riscaldarlo. Ogni persona che incontrava sulla sua strada, si scansava al suo passaggio, talvolta era egli stesso a fare paura a qualche ragazzino che aveva la sfortuna di incontrare sul suo cammino. Persino i cani dei ciechi cambiavano direzione non appena lo vedevano.

Ma lui ne gioiva di tutto questo, come se la paura delle persone fosse la sua fonte di sostentamento, e lo rendesse più forte. Ad ogni suo passo, urlava alla gente di lasciargli libero il passaggio, e questa si scansava timorosa, lasciandogli la via libera.

Un giorno in cui se ne stava rintanato nel suo ufficio, nella giornata della Vigilia di Natale, in una delle giornate più gelide di quell’inverno, in cui le persone fuori dal suo studio rabbrividivano per il freddo e cercavano di scaldarsi in qualche modo. L’orologio sulla sua scrivania segnava appena le tre, e nonostante l’orario pomeridiano, sembrava fosse piena notte. Gli edifici tutto intorno erano illuminati dalle fioche luci delle candele. Vi era una fitta nebbia che sembrava quasi entrare in ogni casa, facendole sembrare degli enormi fantasmi.

La porta del suo ufficio era aperta per dare modo a Sesshomaru di osservare ogni mossa del suo segretario, il quale seduto più in là, attendeva che il suo datore di lavoro finisse di visionare alcune pratiche, in modo da poterle poi catalogare. Il camino acceso nell’ufficio di Sesshomaru  mandava un fuocherello talmente misero che l’ambiente non riusciva a riscaldarsi come avrebbe dovuto. Ogni tanto il suo segretario entrava per poter ravvivare un po’ la fiamma, ma lui lo rimandava al suo posto, minacciandolo di fargli perdere il posto se avesse anche solo osato mettere qualche ciocco in più per aumentare il calore. Così Inuyasha; un ragazzo dagli occhi chiari e che aveva anch’egli i capelli biondo argento, che in quanto a bellezza, nulla aveva da invidiare al suo datore di lavoro, si era avvolto in una pesante giacca rossa, coprendosi con una sciarpa il collo e stringendosi il più che poteva nelle spalle, non riuscendo però a frenare il battito dei suoi denti.

 
- Buon Natale figliolo, che sia sereno anche per te! – La voce gioviale di un uomo di qualche decennio più grande del proprietario dello studio, irruppe nel silenzio di quella gelida stanza. La voce apparteneva al padre di Sesshomaru; Toga. Era entrato talmente silenziosamente che il ragazzo non lo aveva nemmeno sentito.

- Tsk, sciocchezze. -  Rispose il ragazzo al genitore, tanto da far inarcare un  sopracciglio a Toga.

 
Il padre di Sesshomaru era un uomo solare e allegro, tutto il contrario del figlio, eppure, avevano lo stesso colore degli occhi, anche se quelli di Toga erano un po’ più grandi di quelli del figlio, e splendevano come le stelle del firmamento. Ma a Sesshomaru tutta quella gioia e quel calore dava quasi il voltastomaco, tanto che per un attimo, un conato sembrava essergli salito dalle viscere.

- Dunque, è questo ciò che ti ho insegnato!? Ad odiare il Natale? Come puoi non gioire di questa festa? – Chiese il genitore, che quasi si sentì male all’udire quelle parole provenire dalle labbra del sangue del suo sangue.

- È una festa inutile, non vedo che motivo ci sia per gioire di tutto questo. E voi padre siete l’ultimo per cui ne dovrebbe gioire dato che non avete nemmeno uno straccio di moglie, visto che ognuna di quelle che avete conosciuto, vi hanno abbandonato, infine. – Toga fece un passo indietro e guardò il figlio quasi divertito, di certo era vero ciò che gli stava dicendo, ma non era un motivo valido per cui non si potesse festeggiare in quel santo giorno. Tuttavia, suo figlio non poteva sapere che  forse una donna presenziava di nuovo nel suo cuore, ed era più che sicuro che questa volta non sarebbe stato scartato come le volte precedenti.

- Senti da quale pulpito arriva la predica, nemmeno tu, se non sbaglio figliolo, non hai mai avuto qualcuno al tuo fianco. Tuttavia, non hai comunque nessun motivo per essere sempre così negativo e scostante, tutti hanno diritto di festeggiare il Natale, persino tu. – Sesshomaru che sembrò essere toccato da quelle parole, e non sapendo più cosa rispondere al genitore si limitò soltanto a ripetere: Sciocchezze. – Andiamo figliolo non essere sempre di così mal umore. – Ripeté Toga.

- Come potrei non esserlo con tutte queste persone intorno a me, così allegre e spensierate che anche se non hanno un briciolo di ricchezza, gioiscono per festeggiare questa insulsa festa. Che sia dunque dannato il Natale e tutti coloro per cui ne gioiscono. Ogni anno ci si ritrova ad essere sempre meno ricchi e meno giovani, non vedo proprio che cosa ci sia da gioire tanto. Dalla mia bocca non usciranno mai parole così disgustose come l’augurio per un Felice Natale. No. Non lo sentirete mai uscire da me. –

- Figliolo! – Lo rimproverò quasi il genitore.

- Padre.- Lo rimbeccò il figlio, pronunciando quella parola come se ne provasse disgusto. – sarà meglio che vi teniate questo disgustoso Natale, mentre io mi terrò il mio. – Nuovamente il sopracciglio del genitore saettò verso l’alto, quasi stava perdendo la pazienza con quel suo figlio fin troppo insensibile nel curarsi di sé stesso e forse anche degli altri.

- Il tuo Natale!? Come può essere anche il tuo se non hai alcuna intenzione di festeggiarlo, anzi provi addirittura disgusto per questo; dunque, come puoi pretendere che sia anche il tuo? – Un ruggito uscì dalla gola dell’uomo che quasi sembrava sconsolato dalla reazione del figlio.

- Significa soltanto che questo è il Natale  che piace a me, nient’altro. Dunque, lasciatemi in pace e godetevi il vostro Natale, evidentemente voi ne avete sempre tratto un gran profitto da questa festa a differenza mia. –

-Figliolo, tu ignori il vero significato del Natale; è un giorno in cui tutti si vogliono bene, si fa la carità a chi è più povero e si perdona e ci si diverte insieme alla famiglia. È il giorno in cui si pensa a chi ha meno di noi, non c’entra nulla il denaro o esserne felici per questo, conta lo stare assieme almeno una volta l’anno. E forse in questo giorno si può pensare anche a chi non c’è più, ma non per questo si deve essere per forza tristi, le persone scomparse e a noi care di certo non ne sarebbero felici. Io dico dunque,  che ci sia gioia almeno a Natale, questo è più che certo e nessuno dovrebbe restare solo in questo giorno. – Per un fugace attimo, e per la seconda volta in quel giorno il suo pensiero tornò al suo socio, che proprio quel giorno, qualche anno prima, aveva esalato il suo ultimo respiro, e un senso di malinconia lo pervase all’improvviso.

 
Un rumore di mani che si incontravano, attirò l’attenzione dei due uomini, il segretario, quasi inconsciamente aveva applaudito al discorso che aveva concluso l’uomo che era entrato da qualche minuto; ma quando si accorse di essersi lasciato andare a troppo entusiasmo, si rimise a sedere alla sua scrivania a fare finta di guardare le carte davanti a sé. E rabbrividì quando sentì un ringhio di disapprovazione, provenire dall’ufficio del suo datore di lavoro.
 
- Inuyasha, vuoi che io ti licenzi?  Allora, sarà meglio che tenga a bada il tuo entusiasmo, se non vorrai passare il peggiore dei Natali. – Un sorriso maligno si dipinse sul suo viso, ma allo stesso tempo, una stilettata al cuore gli arrivò come un fulmine al solo pensiero di non rivedere più quel ragazzo, e per un attimo sentì vacillare il suo autocontrollo, forse non era vero che nulla poteva riscaldarlo, in fondo in fondo qualcosa c’era, solo che ancora non lo voleva ammettere neanche a sé stesso.

- Su, su figliolo, non ti arrabbiare. Ad ogni modo, ero venuto fin qui per invitarti a cena domani sera, vorrei presentarti una persona. Per tornare al discorso iniziale, una donna nella mia vita forse esiste, e questa volta sarà quella giusta me lo sento. – Sesshomaru fece una smorfia di disgusto al solo sentire pronunciare quelle parole, e poi una cena a casa di suo padre di certo non poteva andargli a genio.

- Preferirei morire piuttosto che incontrare una vostra nuova fiamma, soprattutto durante la cena di Natale. – La smorfia sul viso del giovane non mutò di una virgola, e il padre continuò a sostenere il suo sguardo senza far trasparire la minima emozione.

- Oh, ma perché figliolo, perché ti rifiuti di stare almeno in mia compagnia il giorno di Natale? Andiamo!- Esclamò spazientito il genitore.

- Io invece mi domando perché continuiate a innamorarvi, ogni occasione sembra essere buona, e questa scusa del; è quella giusta non attacca più con me. – Il disprezzo di suo figlio nei suoi confronto gli faceva decisamente male, era come se una stalattite lo trafiggesse al cuore.

- Ti assicuro che questa volta è la donna che fa per me, e ne sono innamorato, e tu invece quando ti deciderai a trovare qualcuno che ti ami, oppure esiste già ma non lo vuoi dire al tuo vecchio? – Gli chiese più per provocarlo e vedere la sua reazione, visto che ai suoi occhi non era sfuggito la piccola smorfia di disapprovazione, non appena aveva accennato al licenziamento del ragazzo che lavorava per lui.

- Queste sono solo sciocchezze che affliggono i più deboli, ma non Sesshomaru, non mi innamorerò mai di nessuno, per nessuna ragione al mondo. – Disse cercando di sembrare il più indifferente possibile, ma nulla poteva sfuggire agli occhi del genitore il quale, aveva capito che forse quella sua corazza di ghiaccio sarebbe ceduta se solo avesse lasciato entrare quel ragazzo nel suo cuore.

- Ebbene, visto che sei fermo nelle tue decisioni a questo punto non mi sembra di avere più niente da fare qui. Ma ricorda queste mie parole, perché un giorno potranno ritornarti utili; avere qualcuno da proteggere potrebbe diventare l’obbiettivo più importante da raggiungere, anche più degli affari a cui pensi così ossessivamente. – Concluse dirigendosi verso la porta, lasciando il ragazzo sbigottito e toccato da quelle parole, che non si preoccupò nemmeno di mascherare quello strano stato d’animo in cui l’aveva lasciato, dato che l’altro era voltato di schiena e non avrebbe potuto vederlo.

- Buona serata padre. –

 
Suo padre se ne andò senza aggiungere altro. Ormai si era rassegnato agli atteggiamenti del figlio. Si soffermò soltanto qualche attimo per augurare un buon Natale a quel ragazzetto che gli faceva da segretario e che, nonostante fosse infreddolito, emanava molto più calore di Sesshomaru stesso. Il padre poi  sparì dalla sua vista, e quasi sperò che sarebbe potuto scomparire per sempre, anche se  nel profondo non credeva di poterlo pensare sul serio.
 
- Tsk, anche il mio segretario pensa a questa stupida ricorrenza come il Natale, nonostante la misera paga che gli do, nonostante abbia una madre a casa che lo aspetta. – Si lasciò andare stancamente sulla poltrona, ancora più disgustato dalle persone che lo circondavano.

Nel frattempo, il diretto interessato, aveva fatto entrare altre due persone. Due uomini per la precisione, che dall’aspetto sembravano essere due gentiluomini. Questi si levarono cappello e cappotti e si inchinarono rispettosamente davanti a Sesshomaru. Il ragazzo notò che avevano in mano alcuni fogli e per un attimo li scrutò curioso, pensando che potessero essere uomini d’affari come lui.
 
- Naraku e Sesshomaru, immagino, con chi abbiamo l’onore di parlare? – Disse uno dei due uomini, controllando su una specie di lista che aveva tra le mani.

- Il Signor Naraku è morto molti anni fa. – Rispose Sesshomaru sempre con la sua maschera di indifferenza in volto. – Morì proprio in questa notte, che sia dannato il Natale. – Quasi sputò le ultime parole.

- Oh, ci dispiace! Le nostre più sentite condoglianze. – Disse quello porgendogli un suo documento per farsi riconoscere. – Ma non dubitiamo comunque che voi siate riuscito a mandare avanti la vostra attività egregiamente mio signore. – A Sesshomaru quasi sembro che quello se lo volesse ingraziare a tutti i costi, anche se potevano essere uomini d’affari, non avrebbero dovuto osare tanto. E l’atteggiamento cordiale di quell’uomo lo irritava oltremodo.

- La preghiamo dunque, di scusarci per esserci presentati qui in questo giorno, ma vorremmo raccogliere una piccola offerta per i più bisognosi. Con questo freddo e la povertà, molti muoiono di fame. – Il ragazzo strinse con rabbia i braccioli della sua poltrona fino a  farsi venire le nocche bianche. Trovava un affronto una simile sfrontatezza da parte di quegli conosciuti, e soprattutto trovava irritante essersi sbagliato sul loro conto.

- Non ci sono rifugi per queste persone, bisognose come dite voi?- L’uomo lo guardò quasi incredulo non capendo la domanda.

- Certo ma non tutti vi possono accedere. – A quel punto Sesshomaru sentì l’irritazione impossessarsi del suo intero essere.

- Oh bene, mi conforta saperlo. – Disse infine quasi come se volesse prenderlo in giro.

-Tuttavia, anche le strutture hanno bisogno di essere mantenute, e noi tutti facciamo del nostro meglio per fare in modo che ciò accada. Quale somma volete dunque donare. –

- Niente. – Quello lo osservò incredulo, non capendo se quel ragazzo davanti a lui non volesse donare nulla o se volesse restare anonimo, come era solita intenzione nella maggior parte dei benefattori.

- Volete restare nell’anonimato? – Chiese allora l’uomo.

- Vorrei non essere disturbato, mentre sto svolgendo i miei affari, e voi mi state disturbando fin troppo; quindi, è meglio se mi lasciate in pace. Non voglio sborsare soldi per gente che non è nemmeno in grado di trovarsi un buon lavoro, come vedete ho il mio studio e il mio segretario da pagare e questo mi basta. – Pronunciò l’ultima frase indicando Inuyasha al di là della porta, quasi con disgusto.

- Ma signore, è la Vigilia di Natale… - Nemmeno ebbe il tempo di terminare la frase che Sesshomaru era scattato in piedi, facendo scivolare la poltrona dietro di sé e  battendo i palmi aperti sul piano della scrivania, provocando un suono che fece sobbalzare i due uomini.

- Non sono affari miei. – Ruggì con uno sguardo assassino in volto. – E se ci tenete alla vita e meglio per voi se ve ne andate. –

 
I due uomini impauriti ripresero i loro cappelli e i loro cappotti e lasciarono lo studio in gran fretta, come se avessero il diavolo alle calcagna, senza nemmeno salutarlo, dando un fugace sguardo di compassione verso il segretario, che gli sorrise di rimando.

Intanto fuori il buio era diventato ancora più fitto tanto che la nebbia non lasciava intravedere nulla a un palmo dal proprio naso. In quel momento, i lampioni si illuminarono di una luce traballante. In lontananza si sentivano scoccare le ore dalla torre dell’orologio, non poco distante da li. Alcuni barboni della via, avevano acceso un fuoco per riuscire a scaldarsi, e alcuni ragazzetti vestiti di stracci si erano aggregati a loro per riscaldarsi.  Alla porta di ogni casa vi era una ghirlanda di pino adornata da bacche rosse, ogni negozio nei dintorni era illuminato da una luce fioca che si poteva comunque intravedere attraverso la nebbia. Ancora di più in quel momento, le persone si stringevano nei loro caldi cappotti, cercando di riuscire in qualche modo a scaldarsi. Ognuno andava per negozi  preparandosi al grande giorno che sarebbe arrivato. Nonostante il freddo fosse ancora più pungente di qualche ora prima.

Improvvisamente, sotto la finestra dello studio, alcune persone si erano radunate per intonare un canto di Natale, credendo di allietare l’animo delle persone al loro interno. Ma Sesshomaru decisamente contrariato emise un sonoro grugnito non appena quelle persone intonarono la prima strofa, e le mandò via spaventandole a morte, di sicuro non si sarebbero più ripresentate sotto la sua finestra.

Giunse finalmente il momento di chiudere e di andare a casa. Sesshomaru non avrebbe mai voluto abbandonare il suo lavoro, e dunque, a malincuore, si alzò dalla sua scrivania e andò verso il suo segretario, che aveva già compreso che era ora di chiudere e si era alzato a sua volta.

 
- Immagino che domani non vorrai venire al lavoro? – Il ragazzo lo guardò deglutendo a vuoto, e arrossendo un poco, cosa che gli succedeva spesso quando il più grande gli era vicino. Ma poi cedendo all’imbarazzo, aveva abbassato la testa.

- Mi dispiace Sesshomaru, ma… ecco domani è Natale e mia madre… - Sesshomaru lo zittì con un segno della mano.

- Non mi riguardano i tuoi affari, tuttavia, nonostante non mi piaccia pagarti un giorno in cui batti la fiacca, te lo concederò ugualmente, anche se sarei tentato di ridurti la paga. Però vorrei che mi promettessi almeno che dopodomani sarai qui ancora prima del mio arrivo, sono stato chiaro!? – Inuyasha deglutì di nuovo e sollevò la testa  per guardarlo negli occhi.

- Te lo prometto, mi troverai qui ancora prima che arrivi il giorno. – Detto ciò, si dileguò per dirigersi verso casa da sua madre, non si preoccupò nemmeno di augurargli un Felice Natale, sapeva che se lo avesse fatto avrebbe compromesso il suo posto di lavoro e la sua paga anche se misera.

 
Prima di tornare da sua madre però si fermò a giocare con alcuni ragazzini che incontrò sulla sua strada, onorando così la Vigilia di Natale, poi si  diresse dritto verso casa. Ma non poteva pensare che qualcuno lo stesse aspettando, qualcuno di molto losco.
 

***

Sesshomaru rimasto solo, si intrattenne ancora nel suo studio a lavorare su alcuni incartamenti, cambiando così idea all’ultimo momento, per lui ogni ora poteva essere buona per lavorare, e quando avvertì la stanchezza prendere possesso delle sue membra si avviò verso casa, per mangiare un boccone e mettersi a letto. Il paesino in cui abitava, si trovava appena fuori Tokyo, ma la sua dimora, si trovava ai margini delle poche case di quel paesello. Era un casolare talmente grande che nemmeno lui era a conoscenza di quante stanze ci fossero. Detestava talmente tanto avere gente intorno, che non aveva nemmeno preso in considerazione di dare alcune stanze in affitto. Quello stesso casolare, era appartenuto un tempo al suo vecchio socio, e lui ne aveva preso la proprietà alla sua morte, era stato una specie di lascito da parte di Naraku. Quella sera la nebbia era talmente fitta ed era talmente buio che Sesshomaru quasi non riusciva a vedere nemmeno la porta di casa.

Mentre era intento a inserire le chiavi nella serratura, provocando un tintinnio che echeggiava nella nebbia, il suo sguardo si soffermò per qualche istante sul picchiotto massiccio della porta, che ritraeva la testa di un cane, simbolo della sua antica famiglia, lo aveva fatto aggiungere nel momento in cui, in quella dimora ci era andato a vivere. Fino a quel giorno, non aveva mai pensato un solo momento a Naraku e alla sua tragica morte, mai prima di quella mattina. Ma nel momento in cui la chiave entrò nella toppa, il picchiotto, sotto il suo sguardo, sembrò trasformarsi e da un momento all’altro il cane davanti a sé scomparve per fare posto al viso di Naraku.

I cui occhi rossi come sangue sembravano brillare in quella notte buia e nebbiosa, come anche il resto di quella testa apparsa dal nulla. I suoi capelli, mossi e corvini, come lui li ricordava, fluttuavano nell’aria, contro ogni tipo di forza di gravità. Sesshomaru storse la bocca in un gesto di disgusto e forse per la prima volta nella sua vita; terrore, verso quella cosa che gli si era parata davanti: un volto livido e occhi sbarrati e immobili che lo stavano osservando. Un senso di disagio per un attimo pervase la sua anima.

Rimase ad osservare quel picchiotto fermo e immobile, con la chiave ancora inserita nella toppa, nel silenzio nebbioso di quella notte di Natale. Riuscì a riprendersi nel momento in cui quella inquietante visione sparì dalla sua vista così come era venuta. Dovette sbattere un paio di volte le palpebre,  prima che quel viso livido sparisse dalla sua mente, girò poi la chiave ed entrò in casa, accendendo la candela che si trovava all’ingresso.

Sentì il sangue raggelarsi nella vene, più di ciò che già era, e il suo cuore sembrò volergli uscire dal petto senza alcuna minima intenzione di quietarsi. Sbattè la porta, talmente forte da fargli fare un rumore simile a quello di un tuono, che risuonò in tutta la casa, in ogni camera di quell’imponente immobile desolato. Dopo qualche istante, afferrò la candela, salendo le scale per dirigersi al piano superiore.

Le scale, come anche tutta la casa erano lugubri e tetre, avrebbero potuto mettere paura a chiunque, ma non a Sesshomaru che a quel casolare ormai ci aveva fatto l’abitudine, e che non credeva di certo a sciocchezze come a quella che esistessero i fantasmi. Eppure, nemmeno la candela che egli teneva in mano riusciva a rendere quel posto più accogliente.

Sesshomaru continuò a salire le scale, infischiandosene di quella oscurità, che in fondo costava poco, e a lui piaceva, ma prima di chiudere dietro di sé la porta del salotto in cui si trovava anche la sua camera, e dove vi era un caminetto acceso ed una ciotola di ramen che lo attendeva sul tavolino, andò a controllare una a una ogni singola stanza, per sincerarsi che tutto fosse al suo posto. Trovò tutto come sempre, ogni cosa era dove era sempre stata, nemmeno un granello di polvere era fuori posto.

Quando fu sicuro che non ci fosse nessun altro, oltre a lui, chiuse la porta dando una doppia mandata alla serratura. Si spogliò dei suoi abiti, indossando un kimono da notte, posizionandosi poi davanti al fuoco e prendendo la ciotola con il ramen e le bacchette, gustandolo nel silenzio di quella enorme dimora.

Il fuoco che sprigionava il caminetto era talmente flebile che dovette avvicinarsi un po’ di più per riuscire a riscaldarsi un pochino. Mentre mangiava, si perse con lo sguardo tra quelle fiamme, ripensando a ciò che aveva visto pochi minuti prima; il viso di Naraku ormai morto da tempo, chiedendosi per quale motivo, proprio in quel momento gli riaffiorava alla memoria il suo socio, era una cosa che proprio non riusciva a spiegare.

Quando ormai fu sicuro di essersi scaldato a sufficienza, tornò a sedere, nel frattempo aveva finito anche il ramen, posò la ciotola sul tavolino e subito dopo si lasciò andare sulla sedia e chinò la testa indietro poggiandola sulla spalliera della poltrona. Ad un tratto, un campanello che serviva per comunicare con qualche altra camera, iniziò a dondolare leggermente emettendo un flebile suono, piano piano però iniziò a suonare sempre più forte, tanto che, anche tutti gli altri campanelli della casa risposero al primo con insistenza. Quello strano fenomeno, durò un minuto o forse anche meno, ma a Sesshomaru era sembrato fosse durato per un’ora. I campanelli smisero di suonare improvvisamente, come se non si fossero mai mossi. Successivamente, i campanelli vennero sostituiti da un insolito rumore di ferraglia che sembrò provenire dal seminterrato. In quel momento a Sesshomaru balenò nella mente, il ricordo di una diceria che aveva sentito tra gli abitanti del paese: nelle case molto vecchie come era la sua, e possibile, se si tendono bene le orecchie, sentire alcuni spiriti che trascinano catene.

 
- Tsk, sciocchezze. – Disse a quel punto Sesshomaru, scacciando quelle strane dicerie dalla sua mente. – E dovrei credere a questa follia, sentita da gente altrettanto sciocca!? –

Tuttavia, avvertì un brivido freddo percorrergli la schiena, nel momento in cui la porta che aveva chiuso a doppia mandata si spalancò, e lo spettro fece il suo ingresso subito dopo. La fiamma del caminetto a quel punto diede un guizzo, come lo scodinzolare di un cane al ritorno del padrone, fu come se dicesse: So chi è, quello è senza ombra di dubbio Naraku.

Nemmeno ora che lo aveva davanti agli occhi, riusciva a credere che quella figura fosse Naraku. Eppure, portava lo stesso kimono viola e blu che era solito indossare quando si trovava nell’intimo della sua dimora. I lunghi capelli corvini erano legati come sempre, in una coda di cavallo fermata da un nastro bianco, gli occhi che riproducevano la visione di poco prima sul picchiotto, erano rosso cremisi come il sangue che scorre nelle vene dei vivi. Lo sguardo di ghiaccio del ragazzo cadde sulla catena che lo stringeva alla cintola, che si avvinghiava allo spettro come se fosse una coda. A una estremità, si trascinava uno scrigno di ferro che sembrava essere molto pesante, attaccato alla stessa catena vi erano una moltitudine di lucchetti, che insieme ad essa facevano un gran rumore. Il corpo di Naraku era trasparente, tanto che Sesshomaru vi poteva vedere attraverso.

In quel momento, posando lo sguardo sul volto di quello spettro, poté notare che una fasciatura gli circondava il capo per poi annodarsi  sotto il mento. Un particolare a cui non vi aveva badato ad un primo sguardo. Di tutta quella strana situazione era totalmente incredulo, nonostante la stesse vivendo sotto i suoi occhi.

 
- Che significato ha tutto questo? – Chiese con la fronte corrugata, nel suo solito tono freddo e scostante di sempre. – Che cosa vuoi da me Naraku? – Dopo aver sentito quelle parole lo  spettro emise una risata malefica che a Sesshomaru sembro risuonare per tutta la casa.

- Oh, mio caro Sesshomaru, io da te voglio molto. – Finalmente riuscì a sentire la voce dello spettro, per la prima volta da quando era entrato in quella stanza, e constatò che fosse proprio quella del suo socio.

- Chi sei tu, come hai osato entrare nella mia casa senza nemmeno chiedere il permesso? – Un'altra risata uscì dalla bocca dello spirito, ancora più inquietante della prima.

- Dovresti domandarmi chi sono stato, e poi; non ho bisogno dell’autorizzazione di nessuno per entrare nelle case. – La risposta fece irritare non poco Sesshomaru che strinse i pugni snudando i denti, ma riprendendo un certo contegno subito dopo, cercando di non fare vedere il suo scontento allo spirito.

- Allora dimmi, chi sei stato? – Si accorse di aver alzato la voce nel momento in cui le parole gli erano uscite di bocca. – Mi sembra che tu sia un tantino arrogante per essere soltanto un ombra. –

- In vita fui il tuo socio, Naraku Kagewaki. – Gli rispose lo spettro, non facendo caso all’ultima frase pronunciata.

- Potresti sederti? – Domandò Sesshomaru a quel punto dubbioso, ma allo stesso tempo trovando irritante dover guardare quello spettro che volteggiava nell’aria.

- Certo che posso. –

 
Sesshomaru aveva fatto quella domanda per vedere con i suoi occhi se uno spettro così pallido, fosse in grado di accomodarsi su un divano. Ma lo spirito gli si sedette di fronte, sulla poltrona che si trovava dall’altra parte del caminetto, come se fosse un gesto naturale. Per alcuni istanti, Naraku guardò il mortale davanti a lui per scorgere alcuni segni sul suo volto.
 
- Tu non credi che io sia davvero qui? –

- No – Rispose seccamente Sesshomaru, lo spettro rise di nuovo.

- Quale altra prova vuoi? -  A quel punto Sesshomaru non fu sicuro di ciò che volesse che lo spirito gli mostrasse, così rispose sinceramente.

- Non lo so –

- Per quale motivo dubiti dei tuoi sensi? –

- È semplice, perché potrei stare facendo un incubo in questo momento, e perché tu potresti essere il motivo di una qualche indigestione, e in ogni caso questo momento potrebbe essere soltanto frutto della mia immaginazione. –

 
A Sesshomaru, in quei pochi attimi in compagnia dello spettro, gli era sembrato di aver parlato anche più del solito, al di là dei suoi standard. Ma in quel momento stava cercando di dominare quello spiacevole senso di terrore che gli attanagliava le viscere, causato dalla voce e dalla risata dello spettro che gli faceva provare dei brividi fin dentro le ossa.

Aveva creduto che stare lì a fissare quelle pupille rosse come il sangue e non aprire bocca, non sarebbe stata comunque una buona idea. Inoltre, vi era una strana atmosfera che avvolgeva lo spettro, rendendola quasi simile all’inferno. Quei capelli corvino che gli volteggiavano intorno, lo rendevano ancora più spaventoso agli occhi del ragazzo.

 
- Tsk. – Esordì a quel punto Sesshomaru, cercando di sottrarsi per qualche attimo allo sguardo dello spettro. – Gli spiriti non esistono, e nemmeno tu, che sei qui davanti a me, esisti. –
 
A quel punto, lo spettro sembrò irritarsi, dando uno strattone alla catena che emise un tetro fracasso. Il terrore negli occhi di Sesshomaru crebbe nel momento in cui Naraku si tolse la benda che gli avvolgeva il viso, lasciando cadere la mascella sul suo petto.

In quell’istante, Sesshomaru sgranò gli occhi e cadde a terra, portandosi le mani per coprirsi il volto.

 
- Perché? – Domandò nella disperazione più totale. – Perché sei venuto qui per tormentarmi in questo modo? –

- Stolto – Rispose lo spettro – Ora ci credi? O continui con il tuo diniego? –

- Sì, sì, ora ci credo. – Balbettò a quel punto Sesshomaru, che nemmeno ricordava l’ultima volta in cui gli era successo. – Ma non capisco perché tu debba venire a tormentare proprio me, quando potresti scegliere chiunque altro.-

- Sono qui per portare la tua anima in salvo. – Rispose a quel punto lo spettro. – In vita ho pensato soltanto agli affari e a fare soldi, senza curarmi degli altri o a trovarmi una compagna di cui innamorarmi, oppure viaggiare per scoprire il mondo. Per questo ora sono condannato a vagare senza una meta precisa, osservando da lontano ciò che in vita avrei potuto avere. –

 
Dopo aver pronunciato quelle parole, le catene stridettero nuovamente, Sesshomaru poté vedere lo spettro torcersi le mani.
 
- Perché quelle catene? – Chiese Sesshomaru.

- Questa catena l’ho costruita con le mie stesse mani, quando ancora ero vivo.- Rispose Naraku – L’ho costruita io anello per anello, e me la avvolsi alla vita sempre per colpa mia e sempre per colpa mia la sto portando. Ti ricorda qualcuno per caso tutto questo? –

 
Sesshomaru a quel punto si ritrovò a tremare come mai in vita sua.
 
- Oppure vorresti sapere quanto possa essere pesante la tua?- Proseguì  lo spettro. – Era lunga quanto la mia, nell’anno in cui me ne sono andato, ma tu hai continuato a  vivere e ora ha un certo valore. Siamo noi gli artefici del nostro destino e non esiste alcuna divinità da incolpare per questo, soltanto noi stessi. –
 
Sesshomaru si guardò intorno, come a vedere se ci fosse una catena intorno alla sua vita e che proseguisse attorno a lui. Ma non riuscì a vedere nulla.
 
- Naraku. – Disse a quel punto supplichevole. – Dimmi qualcos’altro, che mi possa consolare in qualche modo. –

- Non avrai niente di tutto questo da parte mia. – Rispose lo spettro – Non ti posso dare nessuna spiegazione, niente di tutto ciò che cerchi lo avrai da me. Io non mi posso riposare o indugiare oltre. Il mio spirito non ha mai varcato la soglia del nostro studio, perché da vivo non sono mai uscito da quelle quattro mura. Ormai sono destinato a viaggiare senza alcuna meta.-

 
Sesshomaru, come era solito fare, si mise le mani nelle tasche del kimono senza riuscire ad alzare lo sguardo per guardare quegli occhi, continuando a rimanere in ginocchio.

- Ce ne hai messo del tempo, mio caro Naraku. – Gli fece notare a quel punto Sesshomaru.

- Che vorresti dire con questo? – Chiese lo spettro, non capendo la domanda che gli aveva appena posto il ragazzo.

- Che sei morto da parecchio tempo e sei sempre in viaggio. – Gli occhi dello spettro sembrarono illuminarsi ancora di più, anche se Sesshomaru disse tra sé che forse era stata soltanto una sua illusione.

- Io sono costretto a viaggiare, sempre, non posso avere né riposo, né pace. E non credere che ciò mi faccia piacere; questa è una tortura continua. -

- Chissà con quale velocità viaggerai? – Una ennesima risata uscì dalla gola dello spettro.

- Viaggio seguendo il vento, le correnti che mi portano lontano. –

- Chissà quanti paesi avrai visto in tutti questi anni! – Esclamò a quel punto il ragazzo.

 
Ma quelle parole non sembrarono essere gradite dallo spettro che emise un altro stridio delle sue infernali catene, rompendo il silenzio della notte, tanto che se Sesshomaru avesse avuto dei vicini, si sarebbero svegliati tutti, spaventati da quell’innaturale rumore.
 
- Credi che forse per me sia un divertimento? Che provi piacere a viaggiare in questo modo? Questa è soltanto la mia condanna, di cui non sono riuscito a godere quando ero in vita. Ho avuto le mie occasioni, ma non sono riuscito a coglierle quando mi si sono presentate, ed è questo ciò che ero. –

- Ma tu, Naraku, sei sempre stato un eccellente uomo d’affari.- Mormorò a quel punto, iniziando a capire a cosa sarebbe andato in contro se avesse continuato a vivere in quel modo. Naraku intanto emise un'altra risata inquietante che quasi poteva scuotere la terra.

- Certo, affari. – Lo spettro tornò a torcersi le mani. – I miei affari, sarebbero dovuti essere i miei simili. Il benessere comune, la carità, la sopportazione, la benevolenza, l’amore verso gli altri e forse nel trovare anche qualcuno con cui condividere la mia vita. I miei affari erano soltanto una goccia d’acqua, nell’immenso oceano. –

 
Naraku sollevò il braccio, che improvvisamente sembrò fin troppo lungo, e tornò a sbattere a terra la catena, che nuovamente fece un gran fracasso.
 
- Ogni anno, in questa stagione. – Continuò lo spettro. – Soffro più di ogni altro giorno. Mi chiedo ora che sono solo l’ombra di ciò che ero, perché passavo in mezzo alle persone senza curarmi di loro, schivando i momenti di gioia, i bisognosi che chiedevano aiuto, e tante altre cose di cui non mi sono mai curato. Chissà per quale motivo gli dèi hanno voluto che la mia vita proseguisse in questo modo senza indicarmi dove in realtà stessi sbagliando. Ma forse non sono loro da incolpare, soltanto io ho le colpe di tutto questo –
 
Sesshomaru si sentì ancora più scosso dalle parole dello spettro e iniziò a tremare come una foglia, sentendo l’aria venirgli meno in quel preciso momento.
 
- Ora ascoltami! – Gli comandò a quel punto Naraku. – Il mio tempo a disposizione sta per terminare. –

- Ti ascolto. – Rispose intimorito Sesshomaru. – Ma ti prego  di essere clemente nei miei confronti. –

- Come in questo momento tu riesci a vedermi, per molto tempo, dopo la mia morte sono stato al tuo fianco senza che tu te ne accorgessi. –

 
Quell’idea per il ragazzo, non era per niente piacevole, e sentì un brivido lungo la schiena. Si portò una mano alla fronte per asciugarsi il sudore.
 
- Fu una parte della mia condanna. – Continuò Naraku. – Ma se sono qui stasera, è per avvertirti, che per te c’è ancora speranza di sfuggire al destino che mi ha portato ad avere queste catene che ora mi avvolgono. E sono io che ti offro questa opportunità di speranza. –

- Sei sempre stato un buon amico per me Naraku. – Disse a quel punto Sesshomaru. – E per questo ti ringrazio. –

- Ma fai attenzione a ciò che ti dico Sesshomaru. – Aggiunse lo spettro. – Ti faranno visita tre spettri. –

 
Improvvisamente Sesshomaru si fece pallido, quasi da fare invidia allo spettro davanti a lui.
 
- Ed è questa la soluzione che mi stai offrendo Naraku? – Gli chiese accorgendosi improvvisamente che la sua voce si era abbassata di qualche tono.

- Non c’è altra via, migliore di questa. –

- Se davvero non c’è altra soluzione, ne farei volentieri a meno. – Disse Sesshomaru cercando di nascondere quella sensazione di disagio, che cresceva dentro di lui.

- Se rifiuterai la loro visita. – Lo ammonì lo spettro. – Non potrai evitare in alcun modo il sentiero che ho percorso io. Aspettati la visita del primo spettro per domani, allo scoccare della prima ora. –

- Non… non potrei avere la visita di tutti e tre in una volta sola? Così da farla finita con tutta questa storia? –

- Il secondo arriverà la notte successiva. E il terzo arriverà l’ultima notte, quando sarà scoccata la dodicesima ora. Per quanto riguarda me, non mi vedrai più, ma ricordati ciò di cui abbiamo parlato in questa notte. –

 
Quando ebbe finito, lo spettro raccolse la sua fasciatura dal tavolino su cui l’aveva appoggiata e se la avvolse come era prima. Sesshomaru se ne accorse dallo scricchiolio dei denti, nel momento in cui le mascelle si urtarono. Il ragazzo si trovò inaspettatamente in piedi, di fronte a quella apparizione soprannaturale, con la catena al braccio.

Lo spettro si scostò camminando  all’indietro. A ogni passo la finestra si apriva piano piano, fino a che non fu completamente aperta, nel momento in cui lo spettro la raggiunse, a quel punto Naraku sollevò una mano, avvertendolo di fermarsi. Ma Sesshomaru si fermò più per il terrore che per quell’ordine; aveva sentito dei rumori confusi provenire dall’esterno. Naraku stette un po’ ad ascoltare e poi sparì nella notte.

Sesshomaru per curiosità corse alla finestra, e poté scorgere diversi spettri che erravano di qua e di là senza una meta precisa, ognuno di loro, come Naraku trascinavano una catena, ce ne erano anche alcuni che erano incatenati insieme. Ma due figure più delle altre attirarono l’attenzione del ragazzo; erano una bambina dai capelli bianchi come la neve, e una donna dai capelli scuri come la notte. Anche lei, come Naraku aveva gli occhi rossi come il sangue.

Ricordava molto bene i loro nomi: Kanna e Kagura. E ricordava molto bene la loro fine, erano state uccise brutalmente, il nome del loro aggressore era sempre rimasto un mistero, si era sempre pensato a qualche malintenzionato. Ma anche Kagura come lui e Naraku non aveva mai pensato al bene degli altri o aveva mai dato l’elemosina a qualcuno e per questo ora era lì con la sorella, costretta a vagare per l’eternità. Sesshomaru pensò di aver provato qualcosa un tempo per quella donna, forse in età adolescenziale, ma essendo troppo preso dai suoi affari, non si era mai fatto avanti.

Ad un certo punto, gli spettri svanirono nel nulla, ma Sesshomaru non sapeva dire se fosse perché la nebbia si era fatta più fitta o perché forse stava impazzendo. Ma la notte, in quel momento, tornò a essere silenziosa come sarebbe dovuta essere.

Sesshomaru chiuse la finestra, poi si voltò per controllare la porta, ma era chiusa, proprio come l’aveva lasciata lui quando vi era entrato, ogni cosa era tornata ad essere al suo posto. Come se fosse un gesto naturale, dalle sue labbra gli sfuggì una sola parola: Sciocchezze! Ma se ne pentì subito dopo; ripensando allo spettro che quella notte gli aveva fatto visita, a quel viso e a quegli occhi che facevano paura. Improvvisamente, si sentì stanco, forse a causa di tutte le fatiche di quel giorno e dalla paura che aveva provato nel momento in cui aveva visto quello spettro entrare in casa sua. Così come era vestito, si  infilò sotto le coperte e si addormentò all’istante.
 
 

 
 
 
 
Angolo Autrice
Quasi non avrei scritto nulla per Natale, ma poi mi è venuto in mente di rappresentare nel mondo di Inuyasha, il cantico di Dickens, romanzandola un po' con la mia OTP preferita, Inuyasha per Sesshomaru, la storia avrà cinque capitoli, come la originale ovviamente, ma cambierò un po' la storia.
Sono un pochino in crisi dato che ho scritto alcune cose e per le quali non riesco ad andare avanti, quindi spero che questo possa darmi una mano a sbloccarmi, come sempre spero che vi sia piaciuto questo primo capitolo =)
Alla prossima =)

Ps.: In questa storia sono tutti esseri umani, a parte gli spiriti, ma penso che questo sia chiaro ;)
   
 
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