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Autore: MollyTheMole    24/12/2021    0 recensioni
Il Natale è una festa per ipocriti, o almeno così sentenzia un uomo a cui piace pensare di essere il Grinch. Anche al più acerrimo nemico del Natale, però, fa piacere sentirsi scaldare il cuore. Una giornata in solitudine è destinata a volgere al meglio con un piccolo miracolo che farà scoprire a quell'uomo che, a differenza del Grinch, di verde ha solo gli occhi. In particolare, quando è coinvolta un'agente bionda con una scatola di Gingerbread.
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jodie Starling, Shuichi Akai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gingerbread

 

Io odio il Natale.

La reputava la festa più insulsa ed ipocrita sulla faccia del pianeta. 

Crocicchi di persone infreddolite agli angoli delle strade sono solite cantare canzoncine che parlano di felicità, amore, gioia e pace per tutti. 

E da quando c’erano gioia e pace per tutti?

Sono più le persone che si detestano che quelle che si amano, almeno di regola. Nel suo lavoro ne aveva viste di tutti i colori. A Natale, però, solo perché è Natale, la gente finge di essere sempre più buona, si scambia regali che nessuno userà mai - magari fabbricati da qualche bambino schiavo chiuso in uno scantinato in un paese del terzo mondo, alla faccia della pace e della gioia per tutti - o li ricicla, tanto nessuno scoprirà mai che ha regalato il paio di calzini orrendi che la prozia di chissà quale grado aveva regalato il Natale precedente.

E poi, che altro c’è da fare a Natale?

Assolutamente nulla. 

Non c’è un negozio aperto, a parte il cinema dove imperversano film che in novantanove casi su cento parlano di Natale. Fuori di solito c’è il deserto, perché tutti o quasi tutti se ne stanno seduti a tavola a rimpinzarsi di cibo con parenti di cui - è bene sottolinearlo - fino al giorno prima non sopportavano nemmeno la vista. 

Sbuffò, accomodandosi meglio nella poltrona dello studio.

Shuichi era un introverso, per cui era assolutamente normale che la sua testa andasse dritta dritta al nocciolo del problema.

I parenti.

Il Natale a Londra era un signor Natale, tutto sommato. Negli anni aveva costruito dei bei ricordi. Non erano mai stati una grande famiglia. Di solito a tavola per Natale c’erano stati lui e suo fratello, suo padre e sua madre, i nonni inglesi, finché erano vissuti. Nessun altro. Il tempo passato a Londra era sempre stato di qualità. Concerti di Natale al Royal Albert Hall, le luci di Harrods, a volte la neve. I tè aromatizzati, i biscotti di pan di zenzero e sì, anche le carole di Natale. 

Il pianoforte con suo padre. Shukichi che faceva chiasso per aprire i regali per primo. Sua madre che brontolava perché il gatto aveva buttato giù l’albero di Natale o perché le talpe avevano mangiato i ciclamini in giardino. I nonni che gli regalavano il cioccolato fondente perché sua madre si ostinava a comprare solo cioccolato al latte con la scusa che piaceva a tutti. 

Adesso sedeva su una poltrona nello studio di una casa vuota.

Una bella differenza.

Aveva sperato nella compagnia dei Kudo, ma era stato presto chiaro che no, non avrebbe goduto della loro presenza. 

Yukiko gli aveva dato di gomito e gli aveva strizzato l’occhio, complice.

- Vado a cena con la nuora!- 

Ed era più che evidente che la nuora in questione fosse Ran Mouri, con suo padre e il piccolo Conan - cioè Shinichi - così con la presenza del genero la famiglia felice sarebbe stata di nuovo riunita, anche se inconsapevolmente.

Le cose sono due: o quella ragazza è tonta come uno stoccafisso, o fa finta di non vedere e lo sta facendo bene

O forse Shinichi è davvero bravo a fingere con lei.

Considerato il lavoro incredibile che aveva fatto con il suo travestimento, quest’ultima ipotesi era altamente probabile.

Sospirò, guardandosi intorno e pretendendo di ignorare il problema.

Io detesto il Natale.

E’ una festa per ipocriti.

Quindi, a che serve festeggiare una festa insulsa?

Quello che era certo era che poteva godersi una giornata in santa pace e in completo relax. Niente FBI tra i piedi. Niente turni di guardia rintanato dietro le tende a sorvegliare Shiho Miyano. Niente marmocchi che scorrazzano per casa. 

Per una volta Yukiko non ci avrebbe provato spudoratamente con lui, cercando di stuzzicare l’attenzione di un marito un po’ troppo distaccato e forse provando a rendergli pan per focaccia per tutte le volte che aveva dovuto sopportare l’invadenza delle fan del celebre scrittore.

Per una volta non avrebbe dovuto sostenere lo sguardo di sufficienza di uno scocciassimo Yusaku, che pareva pensare costantemente che sì, Shuichi era tanto buono e tanto caro, ma da quando c’era lui in casa si sentiva minato nel suo ruolo di capofamiglia e quindi no, non ti metto alla porta perché tutto sommato mi stai simpatico, ma il giorno che te ne andrai, non prendertela se stapperò lo spumante.

Una giornata tutta per lui.

Almeno fino a che non avrebbe ricevuto la chiamata di Shinichi dal ristorante, perché ci si poteva mettere la mano sul fuoco che qualcuno a quel pranzo sarebbe morto.

Si stiracchiò sulla poltrona e sbadigliò. 

Pensò che la bottiglia di bourbon al piano di sotto stesse solo aspettando lui, e si alzò per dirigersi in cucina. 

Ciabattò giù per l’ampia scalinata, annusando l’aria per identificare la scia di profumo che Yukiko di solito si lasciava sempre dietro. Un misto di vaniglia e qualcos’altro di estremamente dolce che adesso lo faceva sorridere.

La prima volta che aveva sentito quel profumo, però, aveva resistito cinque minuti. Con la scusa di andare in bagno, si era fiondato ad aprire la finestra prima che finisse con il tossire davanti a lei.

Pensò che Yukiko fosse una brava donna. 

Il ghiaccio nel bicchiere scricchiolò a contatto con il calore dell’ambiente.

Era una brava donna perché ne sopportava di tutti i colori e nonostante tutto non perdeva mai il sorriso. Aveva perso una cara amica, scoprendo che in verità era un mostro. Aveva quasi perso suo figlio, che rischiava di non tornare più quello che era stato un tempo. Uno sconosciuto le aveva invaso casa e si era ritrovata in un gioco più grande di lei.

Per non contare della miriade di agenti dell’FBI che avevano preso la residenza nel salotto di casa sua da un pezzo a quella parte. 

Yukiko brillava di luce propria quando entrava nella stanza.

Sapeva che un’attrice provetta come lei avrebbe potuto ingannare chiunque. Chissà quanti sorrisi falsi aveva fatto dall’inizio di quella storia.

Pensò che lui, in questo senso, era stato meno ipocrita.

Quand’è stata l’ultima volta che hai riso?

Non che la cosa gli fosse poi di grande conforto.

Si portò il bicchiere alle labbra e sorseggiò il liquido ambrato.

Lanciò uno sguardo fuori dalla finestra, ma il dottor Agasa e Shiho stavano apparentemente riposando.

Constatato dunque che non c’era niente di nuovo sotto il sole, decise di tornare nello studio.

Uno dei più grandi difetti di Shuichi era, naturalmente, l’introversione. La sua carenza di comunicazione con l’esterno lo portava a limitare i contatti con la gente. Le persone che reputava a lui vicine, si potevano contare sulle dita di una mano. Tuttavia, con il passare del tempo, aveva sviluppato un grande numero di amicizie immaginarie. Era stato il capitano Nemo, Robinson Crusoe, Jonathan Harker a caccia di Dracula, persino il signor Darcy, e si era preso una cotta infantile per Jo March. 

Questo conseguiva, naturalmente, ad un quantitativo incalcolabile di ore passate perso nelle righe dei suoi migliori amici, i libri, seduto sul ramo di un solido albero nel giardino della sua casa a Londra.

Quando c’era ancora suo padre a venirlo a prendere prima che mamma gliele suonasse di santa ragione.

In quel momento, però, si trovò a rimpiangere la sua tendenza all’asocialità e dovette rinunciare al conforto che sapevano dargli i libri.

Li ho già letti tutti.

Persino la saga del Barone di Yusaku era durata poco più di due settimane, macinata come caffè nero bollente nei suoi primi giorni di permanenza a villa Kudo mentre era assalito dal tedio.

Così, con il suo fedele bicchiere in mano, decise di accendere il televisore.

Disastro totale.

 

Tutto il mondo sta festeggiando il Natale. In Italia le vendite di panettoni e pandori hanno superato di quattordici punti percentuali le vendite dell’anno scorso, garantendo floride entrate nelle casse delle pasticcerie provate dalla crisi…

 

Cambiò canale. 

 

Anche quest’anno All I Want For Christmas Is You di Mariah Carey si è rivelata la hit più ascoltata durante le festività natalizie…

 

Si passò una mano sugli occhi.

Ti prego, risparmiami.

 

Caldo e freddo non facevano effetto sulla persona di Scrooge…

 

No, decisamente no. 

Il fondo, però, fu toccato da uno dei tanti notiziari.

 

L’anno che verrà si dimostra già pieno di fortuna! Con una settimana di anticipo sui tempi, il polpo Mindy, dal suo acquario a Melbourne, ha già indicato con i tentacoli il cartello recante la buona sorte per l’anno prossimo venturo!

 

E con il polpo Mindy, spense la televisione.

Fece dondolare il suo bicchiere, osservando le onde dorate che si infrangevano sulla superficie trasparente.

Bevve un altro sorso ed afferrò il telefono.

Nessuna chiamata persa.

Bene. Forse, per una volta, quella povera ragazza, Mouri, riuscirà a passare una giornata con il suo fidanzato rimpicciolito senza cadaveri.

Scorse la rubrica e premette il tasto di chiamata accanto al numero del dottor Agasa.

Il cellulare squillò a vuoto.

Premette il tasto una seconda volta e qualcuno rispose.

- Pronto, Subaru-san?-

- Buonasera dottore. Buon Natale.-

- Ah, grazie, grazie!-

In sottofondo, c’era una canzoncina infantile che probabilmente proveniva da qualche stucchevole film alla televisione.

Perdiana, da quando sei diventato il Grinch?

- Va tutto bene?-

- Oh, sì, ci stiamo riposando. Per questa volta mi lascia mangiare i dolci!-

Shuichi sogghignò al pensiero della vita grama che doveva condurre quel poveruomo, tenuto a stecchetto dalla più marziale delle ricercatrici.

- Bene, bene. Sono contento. Avete bisogno di niente?-

Provò ad ignorare la vocina dentro la sua testa che gli stava ricordando che chiedere qualcosa del genere significava cercare contatto umano.

- No, anzi, oggi è meglio se passa così, con calma e solitudine. Sai - e qua il dottore abbassò la voce.- Il Natale senza Akemi è sempre un problema per lei.-

Eh.

Rimpianse immediatamente di aver fatto quella telefonata e non la prolungò oltre. Salutò con cortesia, ripetè gli auguri con la consapevolezza che non avrebbero fatto nulla per far star bene Shiho e riagganciò, sempre più convinto che il Natale fosse una festa per ipocriti.

Fece per bere un altro goccio di bourbon, ma si accorse che il bicchiere era vuoto.

Sospirò, mentre scendeva le scale diretto in cucina.

Pensò che un po’ di streaming sul divano sarebbe stata una bella alternativa, anche se, come per i libri, le serie tv e i film online gli avevano già dato fin troppo conforto, con il rischio di aver finito il campionario di prodotti decenti e di trovarsi la bacheca invasa da film di Natale che voleva evitare come la peste.

Si versò un altro bicchiere e si accomodò sul divano, col computer aperto sulle gambe e la piattaforma di streaming aperta.

Come volevasi dimostrare, il primo trailer sullo schermo fu Una renna per Babbo Natale.

Sentì il forte bisogno di sbattere la testa contro il muro.

Chiuse con stizza la pagina, cercò la radio e ne selezionò una.

Aveva voglia di qualcosa di anglosassone, che avesse un’atmosfera un po’ cupa come il cielo plumbeo di Londra, insomma, l’aria tipica del soul inglese.

Piazzò il portatile sul tavolo e si sdraiò sul divano, i piedi sul bracciolo e la testa su un cuscino, il bicchiere di bourbon mezzo pieno mentre le note musicali si diffondevano nella stanza.

 

This is how the story went,

I met someone by accident,

who blew me away, blew me away,

And it was in the darkest of my days 

when you took my sorrow and you took my pain

and buried them away, buried them away

 

Fissò il soffitto e bevve un altro sorso di bourbon.

Stai bevendo troppo e a stomaco vuoto.

Ignorò la voce nella sua testa e continuò a fissare il soffitto. 

Dovette ammettere a se stesso l’amara verità. Lui non odiava il Natale. Detestava non poterlo avere. Detestava non avere i biscotti di pan di zenzero, il gatto appeso all’albero mentre distrugge tutte le decorazioni, mamma che brontola per le talpe in giardino e suo padre al pianoforte che gli chiede di suonare un quattro mani con lui.

Qualcosa che aveva avuto per l’ultima volta ben diciassette anni prima, e poi era stata la fine, un lento stillicidio fino a quel momento, in cui si trovava sdraiato da solo sul divano di una casa non sua, a bere bourbon mentre contava i granelli del soffitto il giorno di Natale.

C’erano stati degli sprazzi di felicità, oh sì. Il Natale con Akemi, per esempio, era stato bellissimo. L’aveva incontrata quasi per caso, una pedina come tante che avevano incrociato la sua strada verso la giustizia, salvo poi divenire una delle poche a ritagliarsi un posticino nel suo cuore.

 

I wish I could lay down beside you when the day is done

and wake up to your face against the morning sun,

but like everything I’ve ever known, you’ll disappear one day

so I’ll spend my whole life hiding my heart away

 

E poi, lei era famiglia. Parenti stretti. Aveva sentito verso di lei e verso Shiho lo stesso dovere di protezione che sentiva nei confronti di sua madre, suo fratello e sua sorella.

Erano solo due ragazze indifese in un mondo meschino ed ipocrita.

Frugò il telefono alla ricerca di qualcosa da fare. Non aprì nemmeno le news, andò direttamente alla rubrica e selezionò il numero del fratello.

Il telefono squillò.

- Moshi?- 

- Shukichi, sono io.-

- Ehilà, come va? Buon Natale!-

- Sì, anche a te. Che fai di bello?-

- Sono da Yumi.-

Ah.

- Non ti disturbo oltre, allora. Divertiti.-

- Ho provato a chiamare mamma, ma non risponde. Che devo fare? Mi sta facendo preoccupare.-

Se le cose stanno come penso io, hai ragione di preoccuparti.

Sono sicuro che mi prenderà un colpo, quando la vedrò.

- Niente. Chiama Masumi, vedrai che è lì con lei.-

- Sicuramente. Anche perché voglio presentarle Yumi. Non posso sposarla se prima non gliela presento.- 

Mi sembra logico.

- Ma non avevi detto che l’avresti sposata dopo aver vinto…-

- Tutti i titoli, sì, lo avevo detto, ma mi sa che Yumi non ha più tanta voglia di… Dai, sono al telefono… No, è la mia famiglia, ti ho già detto che te la presento. Devo staccare, mi dispiace.-

Shuichi sorrise. Finalmente suo fratello aveva trovato qualcuno capace di tenere testa a lui e alle sue marachelle. 

Si scambiarono gli auguri di buon Natale e questa volta si sentì meno ipocrita. 

Con suo fratello, in effetti, il mondo sembrava sempre meno ipocrita. 

Lui manteneva sempre le promesse. Aveva detto che sarebbe diventato come il suo amico Kohji Haneda e lo aveva fatto. Un giorno si era presentato da lui e gli aveva detto che non avrebbe dovuto prendersela, se lui avesse usato il nome Haneda. Lo faceva per il suo amico e per proteggere tutti.

Voglio una vita normale, e voglio giocare a Shogi.

Così un giorno l’aveva salutato alla stazione con la consapevolezza che avrebbe sentito parlare di suo fratello e che non l’avrebbe mai perso, indipendentemente dal nome che avrebbe usato. 

 

Dropped you off at the train station,

put a kiss on top of your head,

watched you wave, and watched you wave,

then I went home to my skyscraper

and neon lights and waiting papers

that I call home,

I call that home.

I wish I could lay down beside you when the day is done…

 

Posò il telefono sul tavolo e bevve un altro po’ di bourbon mentre il sole calava con l’avanzare del pomeriggio.

Sospirò. Presto anche quella giornata odiosa sarebbe finita.

Forse avrebbe guardato un film di Natale, una di quelle stucchevoli commedie dove tutto finiva sempre bene, con colpi di scena e botte di fortuna improbabili, famiglie sfasciate che magicamente si riunivano sotto l’albero e che avrebbero vissuto una vita felicissima fino alla fine dei loro giorni come se niente fosse mai successo.

Sì, magari.

Oppure avrebbe guardato Una renna per Babbo Natale. Almeno, era pacifico che si trattava di fantasia e nessun regista pretendeva di vendere ghiaccio agli Eschimesi spacciando per dogma assoluto ed intangibile l’esistenza di un uomo rubicondo dalla risata baritonale affiancato da elfi e renne volanti col naso rosso.

La luce continuava a calare e Shuichi pensò che presto un altro Natale sarebbe passato. Lui, il Grinch del pianeta Akai dove dimora un solo abitante - lui stesso - sarebbe tornato alla sua vita di sempre, alla sua caccia che non lasciava spazio a nient’altro se non al desiderio di giustizia e alla sete di vendetta.

E, magari, ad un quattro mani con suo padre, qualora lo avesse trovato vivo.

Se l’era ripetuto per una vita.

Le cose andranno meglio quando tutto questo sarà finito.

Ma quando, però, sarebbe finito?

Il campanello suonò.

Intorpidito dal bourbon e perso nei suoi pensieri, quasi non se ne accorse. Si sollevò di soprassalto sul divano, terrorizzato all’idea che qualcuno potesse vederlo senza maschera sul volto.

Posò il bicchiere e mosse qualche passo verso la porta.

Il campanello trillò di nuovo.

Non poteva essere Camel. Sapeva che era tornato in Canada per salutare i suoi parenti.

Lo stesso valeva per James, che sicuramente era con Jodie a festeggiare in qualche ristorante.

Il campanello trillò una terza volta e qualcuno brontolò da dietro la superficie di ferro blindato.

- Oh, insomma, perché non risponde?-

Poi a vibrare fu il suo telefono abbandonato sul tavolo poco lontano.

Shuichi tornò indietro, prese il telefono e controllò il numero.

Aggrottò le sopracciglia, perplesso.

Jodie.

Le aveva dato il suo numero privato. Non il cellulare con cui contattava i colleghi, bensì quello che usava per la sua famiglia. Era un numero che l’Organizzazione non avrebbe mai potuto trovare. Nascosto per bene nella rubrica della sua collega, spacciato per il contatto di un lontano parente, era garanzia che a chiamare fosse proprio Jodie Starling, la bella bionda con cui condivideva la sete di giustizia. 

Rispose, senza sapere che pesci prendere.

- Sì?-

- Alla buonora! Ti sei addormentato sul divano, per caso?-

Evitò la domanda, sentendosi preso in castagna.

Lei sa che sono a casa da solo.

- Qualcosa non va?-

- Sì, che se resto ancora un po’ qua fuori mi spuntano le ragnatele. Apri?-

Shuichi aprì la porta e se la ritrovò davanti in tutta la sua spumeggiante allegria, il sorriso a trentadue denti stampato sul volto e una scatola impacchettata tra le mani.

- Merry Christmas to you, the one and the only, the Grinch!- 

Shuichi alzò un sopracciglio e la fece entrare.

- Simpaticona.-

 

Woke up feeling heavy hearted,

I’m going back to where I started,

the morning rain, the morning rain,

and though I wish that you were here

on the same old road that brought me here,

it’s calling me home, it’s calling me home

 

Jodie si guardò attorno e parve prestare attenzione alle sfumature del soul inglese proveniente dal portatile sul tavolo.

- Però, che aria natalizia.- commentò, togliendosi le scarpe ed appioppandogli il pacchetto in mano.

Shuichi non si fece abbindolare.

- Non eri con James?-

Questa volta la ragazza parve cadere dalle nubi.

- No, perché? E’ da sua sorella in Arkansas.-

Oh. 

C’era qualcosa di inimitabile nel comportamento di Jodie. Vermouth era un’attrice straordinaria e sapeva farne un’eccellente imitazione, eppure non era lei. Jodie era Jodie e basta. Aveva un modo di camminare, di esprimersi, di portare anche il più insulso capo di abbigliamento con una sensualità dirompente che nessuno sapeva imitare.

Quella piccola voglia bianca dietro l’orecchio, per esempio, Vermouth non la conosceva ancora e forse non se ne sarebbe mai accorta, perché Jodie era proprio così, una scoperta continua.

Il mondo di Jodie era affascinante proprio per quello.

La stessa Jodie che adesso stava gettando le scarpe in un angolo in stile molto americano, che se lo avesse fatto di fronte ai Kudo probabilmente l’avrebbero cacciata di casa.

- Io adoro il Giappone.- gli disse, facendosi largo a piedi nudi sul parquet.- Ma a volte ho bisogno di ricordarmi che sono americana.- 

La seguì in salotto e la guardò accomodarsi sul divano, gettandosi a sedere come un sacco di patate e dondolando i piedini avvolti dalle calze. 

Abbozzò un sorriso.

- Che cosa ci fai qua?-

- Festeggio il Natale?-

- Con me?-

La ragazza fece spallucce.

- Ti ho portato il tuo regalo. Non ho niente di meglio da fare. James è in America, Camel in Canada, Natsuko è dalla sua famiglia, come è giusto che sia. Dove vuoi che vada? Se però tu hai qualcosa di meglio da fare, tolgo il disturbo. Tanto il regalo te l’ho portato.-

Shuichi osservò il pacchetto come se lo vedesse per la prima volta.

- Non avresti dovuto.-

Jodie gli sorrise da sopra lo schienale del divano.

- Che fai, non lo apri?-

Decise che per una volta avrebbe anche potuto smetterla di fare l’eremita sul suo pianeta isolato e permetterle di entrare nel suo mondo, così si sedette accanto a lei e scartò il regalo.

Lo scartò come fanno i bambini frettolosi, stracciando la carta. 

Jodie, che aveva sempre avuto occhio per i dettagli, notò il fatto e appuntò nella sua mente  che anche il più algido degli uomini a volte ha bisogno di un po’ di calore umano e di tornare bambino ogni tanto.

Non seppe interpretare la sua faccia quando realizzò in che cosa consistesse il suo regalo.

Reggeva tra le mani una scatola verde con le decorazioni bianche, simpatici festoni con i fiocchi e una scritta rossa in mezzo al coperchio.

Gingerbread.

- Pan di zenzero?-

- Che c’è, non ti piace?-

Aprì la scatola e un buon profumo che sapeva tanto di casa e di bei ricordi pervase l’aria. 

Afferrò un omino di pan di zenzero e se lo infilò in bocca, assaporando quel gusto speziato che non sentiva più da troppo tempo.

Se tu non esistessi, andresti inventata.

Mise la scatola in mezzo a loro e lasciò che anche Jodie ne prendesse uno.

La guardò mentre lanciava un’occhiata di sbieco alla bottiglia aperta sul tavolo.

- Dici che sono buoni, inzuppati nel bourbon?-

- Non ne ho idea.-

- Quanto ne hai già bevuto?-

E una parte di lui si vergognò tanto, perché lei lo aveva ritenuto capace di ubriacarsi il giorno di Natale, da solo in casa con l’unica compagnia di una bottiglia di bourbon.

- Solo un bicchiere, poco più.-

Gli parve soddisfatta e questo lo fece sentire meglio.

Sì, perché di tutte le persone che avrebbe voluto incontrare per Natale, Jodie era forse quella con cui si sentiva più a proprio agio. Lei era un’anima sola, persa come lui e forse anche più, che una famiglia non ce l’aveva proprio e che andava avanti per la sua profonda voglia di fare giustizia al torto più grande che un essere umano avesse potuto infliggerle.

Forse, per una volta, la sorte aveva voluto riservare un miracolo di Natale anche per lui, dandogli un momento piccolo, ma perfetto, dove era seduto con un essere affine, sul divano, a mangiare omini di pan di zenzero con della buona musica in uno dei giorni più noiosi dell’anno.

Un raggio di luce nel mare dell’ipocrisia. Anche della sua.

- Quindi, adesso che si fa?-

- Cioè?-

- Cioè, non vorrai mica passare tutto il pomeriggio a guardarti le scarpe, bere bourbon e mangiare pan di zenzero. Che cosa vuoi fare?-

Shuichi fece spallucce.

- Non saprei. Sei sicura che non hai niente di meglio da fare?-

Jodie alzò un sopracciglio e per un momento gli parve ferita.

- No, ma se non vuoi che resti, io…-

- Non ho detto questo.-

E si ritrovò per un secondo a pensare che forse avrebbe dovuto chiedere a Yukiko le chiavi della soffitta per andare a cercare qualcosa, come la tombola o il Monopoly, insomma una di quelle torture di società che a cose normali avrebbe rifuggito come la peste, ma che avrebbe subìto volentieri se a infliggergliela fosse stata Jodie.

- Non so dove mettere le mani. Questa non è casa mia, e sinceramente non saprei dove cercare, e forse non ho nemmeno il permesso. Non passiamo le serate a giocare a carte. A parte i libri, il portatile e la televisione, non ho molto altro.- 

Jodie annuì, apparentemente convinta, e si guardò attorno alla ricerca di qualcosa da fare.

Poi, i suoi occhi si illuminarono.

- Oh, guarda! Cool kid ha la PlayStation!-

Un brivido freddo percorse la schiena di Shuichi al pensiero che Jodie lo avrebbe costretto a giocare ai videogiochi.

Di nuovo.

Diamine, era un’umiliazione. Ci avevano giocato qualche volta, in serate in cui di dormire non ne avevano voluto sapere, quando stavano ancora insieme, e la ragazza lo aveva sempre, irrimediabilmente stracciato.

La guardò mentre apriva il piccolo sportello di vetro e frugava tra i videogiochi alla ricerca di qualcosa in cui lui non avrebbe sfigurato troppo

Poi, l’occhio le cadde su un oggetto.

- E questo?-

Shuichi fece spallucce mentre la guardava accarezzare i bordi di un piccolo pacchetto quadrato.

- Buon Natale, suppongo.- 

Perché un poco ci aveva sperato. 

I miracoli di Natale succedono solo nei film. A lui, i miracoli non succedevano mai.

Ma.

Se per caso, per una volta, il destino si fosse deciso a mandargliela buona, se per caso non gli avesse permesso di passare il Natale da solo, se per grazia divina qualcuno avesse bussato alla sua porta per una visita inaspettata, ecco, la persona che avrebbe voluto sarebbe stata proprio lei.

E Jodie, di questo era certo, non si sarebbe mai palesata a mani vuote.

E lui avrebbe fatto la figura del fesso, se non avesse avuto nulla di pronto da darle.

E come darglielo, poi? Di persona? Aprire la giacca ed estrarre il pacchettino, così, come se fare un regalo a lei non significasse proprio niente?

No, lei sarebbe andata a cercarlo, spontaneamente o su suo suggerimento, proprio nel posto dove era sicuro che lo avrebbe trovato.

Lo scaffale dei videogiochi.

La guardò sorridergli da orecchio a orecchio mentre armeggiava con il ciondolo nella scatolina di metallo, e pensò che per proteggere quegli occhi brillanti avrebbe continuato a fingere ancora un po’ di essere un antipaticissimo Grinch isolato dal resto del mondo, un alieno che non voleva lasciar entrare nessuno sul suo pianeta. 

Forse, Jodie su quel pianeta ci abitava già da un po’.

- Pronto ad essere sconfitto?- gli disse, passandogli il joystick.

Shuichi sospirò stoicamente.

- Sono pronto.-

 

I wish I could lay down beside you when the day is done

and wake up to your face against the morning sun

but like everything I’ve ever known, you’ll disappear one day

so I’ll spend my whole life hiding my heart away.

 

I can spend my whole life hiding my heart away.

 

 

NOTE DELL’AUTORE: Merry Christmas to you all!

Un grazie sentitissimo a Mariah Carey e Charles Dickens, citati direttamente in questa piccola songfic. Un grazie ancora a Michael Buble, senza il quale non è Natale, e ad Elio e le Storie Tese con il loro Natale allo Zenzero: sono inesauribili fonti di ispirazione. I miei ringraziamenti a Jules Verne, Daniel Defoe, Bram Stoker, Jane Austen e Louisa May Alcott. In poche parole, gli autori che sono in fila sulla libreria davanti a me, mentre scrivo questa cosuccia alle due di notte. 

Hiding my heart è un brano di Adele, uno dei miei preferiti. L’ho usato volentieri per dare una gioia a questi due, che sotto sotto se la meritano e che il maestro Gosho tarda a dare in prima persona.

Grazie a voi che leggete le mie storie, con i miei migliori auguri di un sereno Natale e un felice anno nuovo.

 

Molly. 

 

  
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