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Autore: Rota    24/12/2021    1 recensioni
Un altoparlante annunciò qualcosa sopra la sua testa, proprio nell’esatto momento in cui il suo cellulare riprese a squillare. Lo cercò con la mano coperta dal guanto, nella tasca del cappotto elegante. Rispose in inglese, ancora abituato all’America. «Hello?»
Riconobbe subito chi fosse dall’altra parte della cornetta, anche senza presentazioni. Quella risata soffice, così calma, avrebbe fatto vibrare il suo cuore persino all’inferno. «Bentornato in Giappone, Wataru.»
«Oh, mio adorato Eichi! Mi riempie di gioia ricevere una tua telefonata!»
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eichi Tenshouin, Wataru Hibiki
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Anche senza alzare lo sguardo ai cartelli, svoltò con sicurezza verso sinistra: aveva percorso quei corridoi così tante volte che sapeva esattamente quale portava al bagno, quale ai ristoranti, quale alla sala d’aspetto e quale al gate e ritiro bagagli. L’aeroporto di Tokyo non aveva davvero più misteri per Wataru Hibiki.
Si avvicinò ai carrelli di metallo per prendendone uno. Camminava lento tra i passeggeri di tutte le nazionalità, tra sprazzi di conversazioni in mille lingue diverse.
Un vagoncino elettrico gli passò accanto, trasportando verso gate lontani alcuni passeggeri anziani – cappelli di paglia in testa e un luccichio arguto negli occhi, come se già fossero su una qualche isola tropicale a godersi un cocktail vacanziero.
Seguì il profilo della grande parete a vetro che dava verso la pista d’atterraggio, illuminata del sole di un pomeriggio inoltrato, quasi sonnacchioso. Nuvole di pioggia puntellavano l’orizzonte, senza mai avvicinarsi troppo.
Un altoparlante annunciò qualcosa sopra la sua testa, proprio nell’esatto momento in cui il suo cellulare riprese a squillare. Lo cercò con la mano coperta dal guanto, nella tasca del cappotto elegante. Rispose in inglese, ancora abituato all’America. «Hello?»
Riconobbe subito chi fosse dall’altra parte della cornetta, anche senza presentazioni. Quella risata soffice, così calma, avrebbe fatto vibrare il suo cuore persino all’inferno. «Bentornato in Giappone, Wataru.»
«Oh, mio adorato Eichi! Mi riempie di gioia ricevere una tua telefonata!»
«Spero di essere stato il primo a chiamarti.»
«Assolutamente! Non ho interagito con nessuno prima di te!»
L’uomo fece uno sospiro soddisfatto, che risuonò per tutto l’orecchio.
L’area del ritiro bagagli si aprì alla fine del corridoio, e Wataru si dovette fermare prima di incontrare la piccola folla accalcatasi. «Aspetta, recupero gli auricolari-»
Altra tasca della giacca, trovò più nodi che filo, ma riuscì a inserire il jack nella cavità laterale del suo cellulare, così da avere entrambe le mani libere. Eichi lo stava soltanto aspettando. «Spero che in viaggio sia andato tutto bene.»
«Oh, sì. Avevano dei deliziosi stuzzichini al formaggio! Perfetti da accompagnare un calice di buon vino!»
«Sei già ubriaco, Wataru?»
«Certo che no! Mi sono trattenuto per stasera!»
Si sistemò gli occhiali da sole sul naso, mentre si faceva strada tra una coppia di signore. Il passante mobile cominciò a girare in pochi secondi, sotto il cartello luminoso che indicava l’arrivo dei bagagli del suo aereo. Sentì un leggero stridio iniziale, il parlottio concitato di un paio di turisti che avrebbero passato il Natale nel suo splendido Paese.
Scosse la testa, facendo dondolare i capelli chiari sopra le spalle. Eichi era ancora con lui.
«Mi dispiace non essere venuto a prenderti, ma sai-»
«Eri impegnato! Lo so! Non è un problema, non dovrei perdermi in città! Arriverò sano e salvo a destinazione!»
«Sicuro, ti ho mandato un taxi privato. Lo trovi all’uscita Est dell’aeroporto.»
Non riuscì a non ridere ad alta voce, catalizzando su di sé notevole attenzione – qualcuno parve riconoscerlo, forse dal tono spumeggiante della risata, forse dalla pelliccia del colletto della giacca, forse anche perché non stava facendo poi molto per nascondersi.
Wataru Hibiki, star di una lunga serie di film appena usciti a Hollywood, re-telling in chiave futuristica e fantascientifica di Romeo e Giulietta.
Vide arrivare la prima delle sue valigie, di un rosa abbagliante, e allungò il braccio per acchiapparla. Conteneva tutti i regali che non era riuscito a spedire dall’altra parte del mondo, più la scorta di bollicine che si era comprato quando era andato a trovare Shu in Francia.
«Non vedo l’ora che sia stasera, per poterti vedere dal vivo.»
«Anche io non vedo l’ora. Dobbiamo festeggiare come si deve. Ma intanto, devi riposare e anche lavarti. Voglio vederti in splendida forma.»
«Vedere te mi renderà in splendida forma, Eichi!»
«Certo, il tuo spirito è sempre lo stesso. Ma ricorda che hai fatto i quarant’anni l’anno scorso e-»
«Non c’è bisogno di essere così cattivi nei miei confronti! Ricordare cose tanto spiacevoli, all’improvviso!»
Una pausa, per la terza valigia. Eichi sospirò ancora – era invecchiato anche lui, d‘altronde, e impiegava molto di più a riprendere la calma quando parlava con lui. «Promettimi che ti riposi, per queste poche ore. Ci divertiremo assieme, te lo prometto.»
Eppure, nonostante il tempo passato e le distanze che li avevano separati a lungo, Eichi rimaneva sempre Eichi. Wataru lo sapeva, non sarebbe mai riuscito a dire di no a una richiesta del suo adorato imperatore. «Farò del mio meglio per non venire meno alle tue aspettative!»
Eichi sogghignò, l’immagine del suo sorriso gli diede una forza indescrivibile.
Prese il carrello per il manico e cominciò a spingere verso l’uscita. Al blocco, mostrò documenti d’identità e il proprio passaporto, il visto speciale per vip di prima classe.
«Ora devo andare. È passato Keito per la terza volta a ricordarmi che abbiamo una riunione.»
«Prima o poi ti libererai di quel guastafeste.»
«Purtroppo quella giornata non è oggi.» Sorrise ancora, Wataru ne era certo. «A stasera, Wataru.»
Rimase ad ascoltare il silenzio negli auricolari, per qualche secondo. Gli occhiali da sole lo ripararono dalla luce forse un po’ troppo forte di un cartello, che indicava la direzione dell’uscita. In quel momento, non c’era altro da ascoltare che gli annunci degli autoparlanti, voli che partivano e che atterravano, lo sciopero del personale indetto per il weekend successivo.
Oltre le porte scorrevoli, vide una folla di persone appostate con cartelli di ogni scritta – e riconobbe anche il suo autista, vestito di bianco con un cappello a visiera dura. Sospirò, avanzando lento.
 
 
Wataru guardò la propria città dai vetri oscurati dell’automobile, che zoppicava immersa nel traffico di file di veicoli di colori grigi e accesi assieme, autobus e taxi. C’era una sensazione molle, in lui, che gli abbassava le difese interne e gli portava una tranquillità interiore che neppure dopo anni e anni in America riusciva a provare: era la sensazione d’essere tornato a casa, e di potersi rilassare davvero.
Si appisolò contro il sedile, piegando la testa di lato e appoggiando meglio la spalla e il fianco destri contro il cuscino morbido. Gli occhiali da sole giacevano inermi a pochi centimetri dalla sua coscia, accanto al bagaglio a mano che gli aveva appesantito il braccio per tutto il viaggio in aereo.
L’autista aveva messo una musica leggera, un liscio lento che accompagnava il profumo di interni nuovi o lavati da poco. Wataru sospettava che Eichi lo avesse istruito bene a tal proposito, non aspettandosi altro che una lunga serie di istruzioni ben eseguite: sempre il meglio, per il suo adorato Wataru.
Già, il suo adorato Wataru.
L’uomo fissò un punto imprecisato della portiera del veicolo, lasciando che i suoi pensieri fluissero liberamente. Si era distratto per ore e ore con le repliche di film demenziali dei suoi colleghi attori, e se avesse visto ancora un solo fotogramma o lo schermo del cellulare, probabilmente avrebbe vomitato quegli stuzzichini che tanto gli erano piaciuti.
Tornare a casa voleva dire tranquillità, ma voleva dire anche Eichi – ed Eichi non era solo qualcosa di piacevole.
Certamente, lui aveva le sue colpe. Perché dopo i baci e le carezze, le parole dolci e piene di trasporto, non aveva mai fatto seguire altro. Neppure Eichi, ma Eichi era quello tra i due a rischiare sempre di più, e a dover essere quindi necessariamente il più prudente.
Eichi lo guardava con gli occhi di una persona disposta a tutto, pur di stare con lui. Forse, nella sua ottica, rimanergli semplicemente accanto era ciò a cui poteva ambire, e la sola ipotesi irritava talmente tanto Wataru da non voler più pensare a null’altro. Eichi era anche quello, d’altronde, il pensiero costante che l’amore fosse una questione di merito, e che lui di quel merito non ne avesse neanche un poco.
Wataru provava sentimenti complessi, per quella relazione. Avrebbe voluto baciarlo per sempre e abbracciarlo per sempre, aveva così paura di fargli del male che tutte le volte, a sentire il suo sapore, il cuore gli si contorceva in una morsa dolorosa.
Si domandava, chi avrebbe vissuto con accanto qualcuno che non stava mai fermo.
Si domandava, chi avrebbe vissuto con accanto qualcuno che faceva mille cose assieme, in mille posti diversi.
Si domandava, come poteva Eichi amare proprio Wataru Hibiki, anche se aveva gettato la maschera ormai anni prima e quello che aveva scoperto era un patetico, misero essere vivente capace solo di imitare l’umanità degli altri. Se di merito parlava Eichi, forse neanche Wataru ne aveva poi molto.
Il problema principale in tutto quello era che, nonostante queste enormi paranoie, non sapeva rinunciare ai suoi baci.
Il mal di testa divenne insopportabile, si dovette sporgere in avanti verso la parete divisoria dell’autista. «Mi scusi, c’è dell’acqua o del tè?»
«Prego, signore. Favorisca, è stato già tutto pagato!»
Scattò la serratura del piccolo frigo, incastrato nel sedile davanti al suo. Wataru prese la prima bibita fresca che trovò, colorata di un azzurro quasi celeste, l’aprì e ne tracannò metà in un solo sorso.
Cercò di riprendersi, perché doveva essere pronto per quella sera, quando avrebbe rivisto Eichi e gli sarebbe stato accanto per così tante ore.
Guardò di nuovo fuori dal finestrino, cercando aiuto nei palazzi di Tokyo, brillanti di luci sfavillanti. Forse, non sarebbe stato così terribile.
 
 
La porta d’ingresso della suite venne aperta ancora prima che suonasse il campanello: doveva averlo visto dalle telecamere poste sopra il portone, o aveva solo indovinato la tempistica con una precisione allarmante. Nonostante tutto, Eichi lo accolse con un sorriso gentile e uno sguardo morbidissimo. «Wataru, finalmente sei qui.»
Lui rispose con un sorriso altrettanto cordiale, alzando il sacchetto che aveva portato come dono – con tanto di fiocco azzurro e un bigliettino personalizzato. «Sono riuscito a svegliarmi dal riposino in tempo per arrivare qui! A illuminare la tua serata con la mia presenza!»
Ridacchiò e lo lasciò entrare. «Sei il mio eroe personale.»
Odore di muschio. La luce della suite faceva brillare gli eleganti mobili di legno e il lungo divano di pelle, e tutti i quadri appesi alle pareti.
Eichi gli tolse dalle dita il sacchetto e gli circondò la vita con un braccio – un bacio a fior di labbra, con la porta chiusa a sigillare il loro piccolo segreto. «Il pc è già acceso. Accomodati pure sul divano, arrivo con i calici.»
Stava per andarsene verso l’angolo cucina, per recuperare un cavatappi, ma Wataru lo trattenne per il polso, scoprendosi così tanto affamato. Alzò le man al suo viso e gli accarezzò il collo, la nuca, con dita tremanti; il suo bacio fu appena appena più lungo, e lo costrinse a socchiudere gli occhi.
Fu senza fiato, ma recuperò velocemente le prime parole disponibili. «Se hai anche qualcosa da mettere sotto i denti…»
«Certo, arrivo subito.»
Lo guardò sparire dietro un angolo, trattenne a stento un sospiro.
Ma alzò lo sguardo, dipingendo un sorriso sulle proprie labbra. Si tolse la giacca lunga, liberando i capelli dal cappuccio, e quindi si avvicinò al divano del salottino. L’orario indicato dall’orologio analogico segnava che ancora mancavano circa dieci minuti alla loro chiamata, il tempo necessario per un brindisi preliminare e qualche antipasto.
La serata dell’anniversario dei Fine non poteva che essere spettacolare, come sempre. Anche senza tutti i palloncini e tutti i coriandoli che di solito usava, aveva comunque in programma una piccola sorpresa per i suoi ex colleghi. Aveva diretto e registrato un piccolo programma che doveva essere trasmesso su canali internazionali, quindi sarebbe bastato accendere la televisione a una data ora e godersi lo spettacolo. Tutto calcolato nei minimi dettagli.
Sentì il rumore di passi in avvicinamento, e scorse Eichi che spingeva un piccolo carrello. Sotto, un secchio di ghiaccio con le due bottiglie che aveva portato lui; sopra, due taglieri di salumi provenienti dall’Europa, più polpettine di patate e una barca di sushi di prima qualità.
Gli brillavano gli occhi. «Tu mi vizi sempre, Eichi.»
«I soldi servono a questo, dopotutto.»
Prese la bottiglia di champagne e uno dei due calici, porgendoglielo appena fu riempito. Ma lo trattenne dall’approfittarsene, con un piccolo ammonimento. «Non osare bere prima della chiamata, Wataru.»
«Ma, Eichi-»
«Stasera dobbiamo bere tutti assieme.» Si sedette accanto a lui, con un ancheggiamento che lo fece sembrare un modello per qualche istante. E sgranò gli occhi, puntandogli l’indice contro. «Solo dieci minuti!»
Non avrebbe mai potuto dire di no a quello sguardo, Eichi lo sapeva benissimo e se ne approfittava.
Il padrone di casa però si fece perdonare presto. Adagiò uno dei taglieri sopra il tavolino, prese una forchettina e alzò una fetta di prosciutto verso di lui, per imboccarlo; Wataru non si fece proprio aspettare.
I dieci minuti divennero venti secondi perché sullo schermo del computer già comparve un avviso di videochiamata, a cui Eichi rispose immediatamente. Apparì il faccino tondo e felicissimo di Tori Himemiya, che indossava un cappellino di Natale rosso e bianco – e aveva sullo sfondo una giornata splendente e le pareti di una capanna tropicale che sprizzava gioia e festa e felicità da ogni poro. «Tenshouin-san! Hibiki-san! Buone feste a tutti! Come state? Mi siete mancati!»
La sua allegria era contagiosa. Wataru prese il computer e lo appoggiò sopra le proprie gambe, in modo da guardarlo più vicino, come se in qualche modo quello potesse annullare la distanza del mezzo pianeta che li separava.
Ma, invero, in qualche modo funzionò. «Tori-kun! Che piacere vederti! Sei ancora così in forma? Che patto hai fatto col diavolo? Invidio la tua pelle perfetta!»
L’altro sogghignò, felice dei complimenti. «Diventare testimonial di case di prodotti di bellezza ha anche questi vantaggi! Un mare di creme per la pelle e le rughe!»
«A proposito di mare, vedo che siete di nuovo ai tropici!»
«Sì, Yuzuru ha organizzato un set in una delle spiagge d’Europa per la prossima estate. Crema solare per pelli sensibili e tutto il resto, una cosa abbastanza noiosa.»
Una voce più grave si frappose tra di loro. «Non parlerei così ad alta voce, signorino. I nostri clienti potrebbero sentirla-» Yuzuru Fushimi si fece spazio accanto al giovane, reclamando il suo posto a contatto con il suo fianco. Con l’età, era diventato sempre più esigente e più esplicito – Wataru lo invidiava un poco. Il segretario guardò Tori, che gli fece una piccola boccaccia, e poi si rivolse allo schermo del computer. «Hibiki-san, è un piacere rivederla. È andato tutto bene il viaggio?»
«Assolutamente sì-»
Eichi gli prese il computer dalle mani, stanco di aspettare. «Va tutto bene anche a me, grazie dell’interessamento.»
Yuzuru sorrise. «Come al solito, siete assieme. È bello vedere che certe cose non cambiano mai neanche per voi. Tutti questi anni, e riuscite comunque a comportarvi come una coppietta.»
Tori gli diede una piccola gomitata al fianco, alzando persino le sopracciglia e facendo un plateale cenno del capo nella loro direzione. Ma Yuzuru non smosse il sorriso perfetto sulle proprie labbra, facendo salire la tensione nell’aria.
La cosa non era insolita – Yuzuru aveva quell’hobby particolare di lanciare frecciatine passivo aggressive fin dai tempi del liceo, quindi di per sé non era una vera e propria novità. Wataru però sentì il corpo di Eichi irrigidirsi, vicino a sé, e questo lo mise in allarme.
Per fortuna, Tori sollevò il proprio bicchierone di tequila aromatizzata, con una cannuccia e un ombrellino rosa acceso, così che Wataru potesse riversare tutto il proprio incredibile entusiasmo su di lui.
 

Wataru aveva bevuto solo mezza bottiglia di champagne e qualche calice di vino bianco, tuttavia quando riaprì gli occhi sentì la testa pulsare dolorosamente.
Si ritrovò disteso di traverso sul divano, con una coperta addosso. Un odore di dolce e di candele bruciate gli colpì il naso, volse lo sguardo al tavolino e vide, nella penombra della stanza, i resti di un party che si ricordava a stento. In compenso, l’espressione di Eichi se la ricordava benissimo.
Sospirò, affondando la testa nei cuscini morbidi e spargendo i propri lunghi capelli ovunque.
Avrebbe potuto ignorare quel malessere, come aveva sempre fatto – con la differenza che almeno di solito il senso di colpa arrivava dopo una lunga sessione di baci con Eichi, non dopo una sbronza vergognosa per qualche bollicina.
Guardò la porta della camera da letto di Eichi, schiusa con una sola strisciolina di buio tetro a separarla dallo stipite. Sentì una sensazione di dolcezza e rassicurazione invadergli il petto, come se la premura di Eichi fosse stata tale da provocargli una profonda commozione.
Se si sforzava, forse, avrebbe sentito il suo lento respirare. Ma la notte era fin troppo silenziosa, e il buio interrotto dalle luci lampeggianti dell’allarme di sicurezza, posto vicino alla porta d’ingresso della suite.
Si mise a sedere a fatica, sospirando come un vecchio. Pose la copertina di lato e si alzò, piedi nudi sulle piastrelle fresche del pavimento liscissimo, pulitissimo. Era ancora un po’ brillo, andò a sbattere contro lo spigolo di un mobiletto basso prima di riuscire a raggiungere la propria meta.
Era ancora più buio; Wataru indovinò per caso dove fosse il letto, seguendo memorie di diversi anni prima – e incontrando un tappeto e altre cose indefinite sul proprio cammino. Scivolò sul materasso fino a trovare il corpo caldo di Eichi. Lo avvolse come poté con un abbraccio e sentì il suo respiro farsi appena più pesante, lui rotolare su se stesso per averlo di fronte al viso, anche se non ne scorgeva le fattezze. Avrebbe indovinato anche il sorriso, se solo gliene avesse dato il tempo. «Eichi, dobbiamo parlare.»
Lui sospirò, affranto. «No, non dobbiamo. Possiamo, se vuoi, ma certo non dobbiamo.»
«Lo vorrei, in effetti.»
«Allora questo è già un altro discorso, Wataru. Dimmi, di cosa vuoi parlare?»
Era difficile, anche se per Eichi non lo sembrava affatto. Forse erano stanchi entrambi, dopotutto, di tutto quell’aspettare. Provò a metterla un poco sul ridere. «Abbiamo fatto preoccupare persino Fushimi-kun e Himemiya-kun.»
L’altro sogghignò, facendo vibrare tutte le coperte attorno al suo fragile petto. «Loro sono sempre preoccupati per noi, è la loro forma di amore.»
«La tua qual è?»
«La tua, Wataru?»
Eichi non si lasciava sorprendere: gli fu chiaro che si fosse preparato, e a lungo, a quell’incontro. Quindi, l’unico che ne aveva paura era soltanto lui. Provò a baciarlo, per rassicurarsi, e per qualche secondo Eichi lo accontentò; poi si ritirò sotto le coperte. «Non uscirò da qui fino a domani mattina.»
«Questo è sleale!»
«Anche tu, con tutti i tuoi baci.»
«Ma a te piacciono, i miei baci!»
«Certo, proprio per questo non ti permetterò di usarli contro di me.»
Rotolò ancora su se stesso e fece uscire solo lo scalpo dalle coperte, come un piccolo bruco. «Non credi che siamo troppo vecchi per giocare ancora a questo modo? Non ho le forze che avevo a vent’anni, e a vent’anni già ne avevo davvero poche…» Lo sentì strofinare il viso contro il cuscino. «Se vuoi solo le coccole, va bene Wataru. Ti darò quello, basta che tu resti sul letto con me. Sai che non potrei mai cacciarti, averti vicino è... vitale per me. Ti prego solo di dirmelo chiaramente.»
Lo strinse, attento a non premere troppo contro il petto. Immerse però il viso tra i suoi capelli, respirando profondamente il suo profumo soave. Ecco, quella era una cosa che l’America non aveva, e neanche il successo e la fama e forse i suoi sogni divenuti realtà, valevano quel profumo: non avrebbe mai smesso di desiderarlo.
Forse sarebbe bastato spegnere il mondo fuori e dentro la sua testa, per qualche secondo, per farglielo capire.
Baciò il profilo del suo orecchio, godendosi il suo sussulto di sorpresa. Accompagnò quel gesto con una carezza salita al viso, una dolcezza che non si era mai permesso. «Voglio questo, e tutto il resto.»
Eichi non gli lasciò scampo. «Con il resto, cosa intendi?»
«Che voglio chiamarti amore davanti a tutti-»
«Ma quello lo fai già, Wataru.»
Indurì la voce. «Voglio che tu sia realmente mio, e voglio essere davvero tuo.»
Eichi si girò verso di lui ancora. Alzò la coperta e finalmente lo accolse contro il suo corpo – si strinsero subito, come fosse stato sempre necessario. Dopo il primo bacio morbido, Eichi sentì l’urgenza di avvertirlo. «Lo sai che non ti lascerò più andare, vero? Non importa quanto tenterai di scapparmi, ricorderò sempre queste parole e ti imporrò di rispettare questa promessa.»
Sorrise nel buio, rendendosi conto di essere commosso. Mai parole dette con così tanta convinzione avevano toccato il suo cuore e l’avevano fatto vibrare: Eichi era davvero tutto ciò che gli serviva, nella vita. «Non vorrei mai altrimenti.»
Raccolse le sue lacrime con altri baci, ammorbidì le sue labbra con dolcezza e cullò ogni sentimento storto, fino a raddrizzarlo. Le sue dita tra i capelli lunghi erano la carezza più gentile di tutte.
«Dovrai sopportare tutti i miei trucchi di magia.»
«Già lo faccio, Wataru. Sparisci per mesi interi dalla mia vista, direi che sono abituato alla tua magia.»
«Ma invero rimango sempre nel tuo cuore…»
Ci pensò un attimo, prima di rispondergli. «Risposta passabile.»
Ridacchiò, e anche lui fece lo stesso. Avrebbe voluto dire qualcos’altro, ma la verità è che non aveva molte parole da pronunciare: tutto ciò che aveva di vero, era già stato detto.
Una volta, gli aveva donato la propria maschera e il proprio cuore, e la vita aveva reso tutto così difficile. Wataru sapeva che Eichi lo amava, così come sapeva che Eichi era consapevole di essere ricambiato, ma i sentimenti alle volte non bastavano affatto. Avrebbe dovuto dimostrargli ogni singolo giorno che c’era, per loro, e che avrebbe finalmente lottato per lui con tutte le proprie forze – stranamente, la cosa non lo spaventò affatto.
Posò un bacio lungo sulla sua bocca, che Eichi ricambiò più che volentieri.
Per quella notte, avrebbero fatti entrambi sonni tranquilli, finalmente.
 
   
 
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