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Autore: _Trixie_    25/12/2021    4 recensioni
OS natalizia, ovviamente SQ, concentrato di fluff.
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E mentre il ragazzo la superava, per andare a salutare i nonni, il piccolo Neal e zia Zelena in soggiorno, lo sguardo di Regina si posò su Emma, ferma all’ingresso, orgogliosa in un costume da Babbo Natale che le stava decisamente largo e che nemmeno la finta pancia di gommapiuma riusciva a riempire. A completare l’opera, lo sceriffo indossava anche una lunga, bianca barba finta e un cappellino rosso con il pon-pon bianco sulla punta.
Suo malgrado, Regina sorrise. «Era davvero necessario?»
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Mary Margaret Blanchard/Biancaneve, Regina Mills, Zelena
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note: Lettrici avvisate, mezze salvate, qui si tratta di fluff senza vergogna, quindi se siete alla ricerca di una continuità con la serie ve lo dico già, questo non è il posto giusto ahahaha Interessi amorosi canon di Emma e Regina? Non pervenuti. Ultime stagioni? Nemmeno. Però c’è Zelena, perché non è Natale senza Zelena. Siamo in un What If dopo Neverland non meglio specificato, in cui Henry ha intorno i 17 anni e vanno tutti d’accordo. Questo Natale va così, mi dispiace ahahah
Buona lettura, ci vediamo in fondo con altre noiose note,
T. <3
 
 
 
 
Di baci sotto il vischio e segreti più o meno mantenuti
 
 
 
 
I feel like runnin' wild (runnin' wild)
As anxious as a little child
To greet you 'neath the mistletoe
Kiss you once and then some more
And wish you a Merry Christmas baby
 
 
 
 
 
«Mi dispiace, mamma, ho fatto del mio meglio, ma…» disse Henry, dopo aver baciato le guance di Regina.
«Lo so, tesoro, lo so» rispose il sindaco, con un sospiro pesante, accarezzando il volto di quello che rimaneva pur sempre il suo bambino, anche se ormai era cresciuto tanto dal superarla abbondantemente in altezza. Ma a Regina non importava, Henry sarebbe sempre rimasto il suo piccolo principe. E mentre il ragazzo la superava, per andare a salutare i nonni, il piccolo Neal e zia Zelena in soggiorno, lo sguardo di Regina si posò su Emma, ferma all’ingresso, orgogliosa in un costume da Babbo Natale che le stava decisamente largo e che nemmeno la finta pancia di gommapiuma riusciva a riempire. A completare l’opera, lo sceriffo indossava anche una lunga, bianca barba finta e un cappellino rosso con il pon-pon bianco sulla punta.
Suo malgrado, Regina sorrise. «Era davvero necessario?»
«Hai bocciato la mia idea di far indossare a tutti maglioni natalizi. Qualcuno doveva pur portare un po’ di spirito del Natale a questa cena» ribatté Emma. «E poi, nessuno si arrabbia con qualcuno vestito da Babbo Natale, non davvero».
«Io potrei arrabbiarmi benissimo con te. Anche in questo momento. In questo preciso istante» rispose Regina, incrociando le braccia al petto mentre Emma le si avvicinava. La gommapiuma della finta pancia di Emma si scontrò con l’addome del sindaco, facendola indietreggiare di qualche centimetro. Emma sogghignò.
«Non è vero. Non potresti mai arrabbiarti con me».
«Vuoi tentare la sorte, Emma?»
«Nah. Tutto sommato, credo di aver avuto già fin troppo culo nella vita».
«Le parole, signorina Swan» la rimproverò Regina, pur sorridendo.
«Le parole, signorina Swan» le fece il verso Emma.
«Sei ridicola. E insopportabile».
Emma si strinse nelle spalle. «Eppure, vuoi stare con me. Come la mettiamo, adesso?»
Il sindaco lanciò un veloce sguardo alle sue spalle, assicurandosi che nessuno fosse nei paraggi per poterle vedere, prima di prendere la barba di Emma e tirarla verso il basso, così da poterle dare un veloce bacio sulla bocca. Sentì le labbra dello sceriffo stirarsi in un sorriso contro le sue ma, per quanto Regina volesse indugiare, qualcuno avrebbe potuto sorprenderle da un momento all’altro, perciò allontanò il proprio viso da quello di Emma, lasciando andare, al tempo stesso, la barba, il cui elastico colpì il mento dello sceriffo.
«Ahi! Era davvero necessario, Regina?!»
Il bacio?, avrebbero voluto chiedere il sindaco, perché quello sì, era davvero necessario. Era preoccupata, Regina. Lo nascondeva certo e lo nascondeva soprattutto e specialmente ad Emma perché, anche se il sindaco sapeva benissimo che lo sceriffo stava nascondendo a sua volta il proprio nervosismo, era Emma quella che aveva più da perdere, quella sera. Avevano deciso, finalmente, di dire al resto della famiglia che… Beh, che stavano insieme. E che avevano tutte le intenzioni di continuare così.
La cosa era iniziata qualche mese prima, quando Emma si era fermata a cena al numero 108 di Mifflin Street e aveva convinto Regina a vedere uno stupido film di supereroi di cui il sindaco non ricordava nemmeno il titolo, figurarsi la trama. Quella sera, Henry era andato al cinema con i suoi amici e Regina certo non era un’idiota. Era più che consapevole che lo sceriffo era lì per distrarla dal fatto che il loro bambino sarebbe rientrato mezz’ora dopo l’orario di rientro che aveva stabilito il sindaco, così come erano d’accordo Emma e suo figlio. Non era la prima volta che quei due pensavano di fargliela sotto al naso così, come se niente fosse, e sapeva bene che non sarebbe stata l’ultima. Ma, in ogni caso, a Regina non importava. Di Henry si poteva fidare e così anche dei suoi amici, senza contare che a Storybrooke tutti sapevano che era meglio non infastidire Henry Mills, non con le madri che si ritrovava. E il sindaco sapeva anche che, in fondo, pur in modo diverso, anche Emma era protettiva nei confronti di Henry tanto quanto lo era lei e che aveva di certo chiesto a Ruby di scriverle un messaggio una volta che suo figlio fosse arrivato al Granny’s, per mangiare un gelato dopo il film.
Perciò, con le finestre del salotto aperte per far entrare la fresca brezza primaverile di quegli ultimi giorni di maggio, Regina si era seduta accanto a Emma sul divano, porgendole la ciotola di pop-corn al caramello che aveva appena preparato. E le loro mani si era sfiorate. E Regina non avrebbe saputo spiegare cosa accadde, era come se un interruttore fosse scattato da qualche parte, e all’improvviso stava baciando Emma e Emma stava baciando lei e non si preoccuparono minimamente del film che scorreva in tv, né dei pop-corn che caddero a terra o del fatto che il sole era ormai tramontato senza che loro se ne accorgessero. Ritornarono alla realtà solo quando sentirono la porta d’ingresso aprirsi e Henry augurare loro la buonanotte prima di correre al piano superiore nella speranza che Regina non si fosse accorta dell’orario. La ramanzina sarebbe arrivata comunque, ma il mattino seguente.
Perché, in quel momento, Regina non riusciva a pensare ad altro che ad Emma e alle sue labbra morbide e alle sue mani calde. L’accompagnò alla porta - e non riuscirono a trattenersi dallo scambiarsi ancora qualche bacio leggero. Si promisero anche, sussurrando, che il giorno dopo avrebbero parlato e si rassicurarono che andava tutto bene, che non c’erano errori o sbagli o fraintendimenti di mezzo.
E ogni volta che ripensava a quella sera, Regina non poteva fare altro che sorridere.
 
 
*
 
 
Il fatto era che, per quanto guardinghe e attente Emma e Regina potessero essere, ci sono cose che non si possono nascondere, soprattutto quando ci sono bambini di mezzo.
E comunque il piccolo Neal non l’aveva fatto apposta.
Emma gli aveva promesso di portarlo a fare un giro sulla macchina dello sceriffo – e di fargli accendere i lampeggianti, e così un pomeriggio di inizio giugno, dopo la scuola, la mamma lo aveva lo aveva portato alla stazione di polizia e lui era corso avanti attraverso i corridoi, fino all’ufficio di Emma, nonostante le raccomandazioni di Snow di stare vicino a lei. Si era avvicinato piano, in silenzio, cercando di fare il meno rumore possibile nonostante la voglia irrefrenabile di sogghignare, perché voleva provare a far spaventare sua sorella.
Quando era arrivato vicino all’ufficio, però, attraverso i vetri che separavano la scrivania di Emma dalle altre, aveva visto Emma sistemare i capelli di zia Regina dietro l’orecchio e poi darle un bacio sulle labbra, proprio come quelli che si scambiavano la mamma e il papà. Si era coperto la bocca con le mani, per non mettersi a ridere. Erano proprio strani, gli adulti, a fare quelle cose lì. A lui facevano schifo, i baci, anche quelli sulla guancia, soprattutto se era tutti umidicci. Bleah.
Stava per sbucare fuori, all’improvviso, per far spaventare non solo Emma, ma anche zia Regina, quando all’improvvisò sua madre lo raggiunse. Snow si fermò, immobile, accanto a lui, gli occhi fissi su Emma e Regina che stavano facendo ancora quella cosa schifosissima e che a Neal iniziava a dare la nausea.
E Snow pensò solo che doveva andarsene. Doveva. Via da lì. Al più presto possibile. Sua figlia e Regina non doveva assolutamente vederla, per nessuna ragione al mondo. Fece segno a suo figlio di fare silenzio e, piano piano, si allontanarono dall’ufficio di Emma dalla stessa strada da cui erano venuti. Fuori dalla stazione di polizia rassicurò Neal che lo avrebbe portato da Emma tra qualche minuto, che si era dimenticata di una cosa importantissima e che per questo doveva chiamare il papà immediatamente. Snow sapeva che David stava dormendo, avendo coperto il turno di notte della stazione, e non avrebbe voluto svegliarlo, ma Snow sapeva anche di aver bisogno di dire a qualcuno quello che aveva visto o avrebbe rischiato di urlarlo al primo malcapitato che avesse incrociato per strada.
«Mamma, ho caldo. Possiamo tornare dentro?» si lamentò Neal.
«Solo un secondo, tesoro» fece Snow. «Andiamo. Rispondi» bisbigliò poi rivolta al cellulare che teneva all’orecchio.
«Mam-»
«David! Oh, grazie al cielo! Non sai cosa è successo! Non indovinerai mai, David!» squittì Snow, cercando di tenere la voce più bassa possibile. «Sì, sì, sto bene. Stiamo tutti bene. Anche Neal. Tesoro, il papà ti saluta».
«Ciao, papà!» urlò Neal, per assicurarsi che il suo papà lo sentisse.
«No, no. David, ascoltami. Ma mi devi promettere di non dirlo a nessuno, d’accordo? Deve rimanere tra noi. Si tratta di Emma» disse infine Snow. «E Regina».
Nela guardò sua madre, incuriosito. Se aveva fatto promettere a suo papà di non dirlo a nessuno, allora anche lui doveva tenere il segreto? Probabilmente sì. Anche se Neal non era sicuro di quale fosse il segreto in questione. Che Emma e la zia Regina si baciavano? A lui non sembrava un granché, come segreto. Non solo perché a lui i baci facevano proprio schifo, ma anche perché non gli sembrava poi così strano. Insomma, Emma e Regina non vivevano insieme, d’accordo, ma avevano un figlio insieme, come la mamma e il papà, e battibeccavano sempre, come la mamma e il papà. A lui sembrava più che logico, quindi, che si baciassero – bleah – proprio come la mamma e il papà – ancora più bleah. Ma valli a capire, gli adulti.
«No, no, David!» stava dicendo intanto sua madre, al telefono. «Non possiamo dire assolutamente null- Certo che siamo felici per loro, ma non- Ma no, David, ti dico di no! Ce lo diranno loro quando vorranno, non- Oh, David, non lo so se hanno intenzione di sposarsi! Non so nemmeno da quanto va avanti questa storia».
«Mammaaaaaaa! Ho sete!»
«Un secondo soltanto, Neal» fece Snow, sorridendogli dolcemente. «No, non credo da così tanto. Un mese, secondo me, non di più. Di certo Emma è più sbadata del solito, ultimamente».
«Mamma, mi scappa la pipì!».
«Neal, aspet-»
«Snow. Neal» li salutò Regina, uscendo in quel momento dalla stazione di polizia.
«Zia Regina!» urlò il bambino, correndo da Regina e abbracciandola all’altezza della vita, con tutto l’impeto dei suoi cinque anni. Il sindaco ricambiò l’abbraccio e si abbassò per baciarlo tra i capelli e Neal pensò che i baci di zia Regina, in realtà, non gli facevano poi così schifo. Non erano mai umidi e poi lei profumava sempre di mele. Forse a Emma piacevano per lo stesso motivo.
«Scusa, David. Ti chiamo dopo. Devo andare» fece Snow, concludendo bruscamente la telefonata con il marito. «Regina» aggiunse poi, salutando il sindaco con un sorriso, che Regina ricambiò.
Il loro rapporto, da Neverland, era migliorato sensibilmente. Non si scambiavano confidenze e pettegolezzi condividendo tè e pasticcini, d’accordo, ma riuscivano ad essere più che civili l’una con l’altra, persino cortesi, e, data l’amicizia che legava Emma e Regina – e che probabilmente ora non era più solo amicizia, pensò Snow, trattenendosi a stento dal sogghignare, proprio come aveva fatto Neal poco prima – finivano con il trascorrere molto tempo insieme. E poi Henry ci teneva molto non solo a festeggiare le ricorrenze tutti insieme, ma anche al pranzo di famiglia a cadenza settimanale, ogni domenica. E la famiglia, ovviamente, comprendeva entrambe le sue madri. Per non parlare di quanto Neal si fosse affezionato al sindaco, corrotto senza alcun dubbio dalla bravura di Regina nel preparare i dolci.
«Oggi Emma mi porta sulla macchina dello sceriffo e mi fa provare le sirene e i lampeggianti» annunciò Neal orgoglioso, attirando l’attenzione di Regina.
«Ma davvero?»
«Sì e poi-» iniziò Neal, ma non poté finire la frase perché sua madre abbracciò zia Regina, all’improvviso.
Il sindaco si irrigidì, tanto sorpresa da Snow da non avere idea di come reagire e, quando infine si rese conto di quello che stava succedendo, la donna l’aveva lasciata andare.
«Scusami. Oggi sono solo… molto emotiva» disse Snow, con gli occhi lucidi.
«Lo vedo» fece Regina. «Ti senti bene? Vuoi che chiami Emma, posso-»
«Oh, no, no. Sto bene. Sto benissimo. Sono molto felice, anzi».
«Sicura? Vuoi che passi a prenderti David, posso-»
«No, no, Regina, davvero. Va tutto bene».
«D’accordo» concesse il sindaco, esitante.
«Mamma, ho sete, mi scappa la pipì e voglio andare sulla macchina di Emma!» disse Neal, prendendo Snow per mano e trascinandola verso l’ingresso della stazione di polizia. «Possiamo andare, ora?»
«Certo, tesoro, andiamo, sì» fece Snow.
«Ciao, zia Regina! Ci vediamo domenica!»
«Certo» confermò Regina, alzando una mano per salutarlo. E nel frattempo pensava, Regina, tra sé e sé, che lei ed Emma dovevano stare più attente, perché l’avevano scampata per un soffio, quel giorno, e non potevano certo rischiare che qualcuno sapesse di loro, se loro non erano ancora pronte a dirlo. No. Dovevano stabilire delle regole, sì. E rispettarle.
 
 
*
 
 
«Chiudi gli occhi» disse Emma, bisbigliando nell’orecchio del sindaco. Si era avvicinata alle spalle di Regina, in piedi davanti ai fornelli a controllare che il sugo cuocesse alla perfezione. Lo sceriffo non poteva vederla in viso, ma di certo il sindaco doveva aver appena rivolto gli occhi al cielo, fingendosi esasperata.
«Emma, non-»
«Dai, solo un attimo» insistette Emma. Si era tolta la finta barba poco prima, infastidita dai peli sintetici che continuavano a infilarsi in bocca, e aveva dovuto abbandonare la pancia di gommapiuma quando Neal, che stava giocando a gettarvisi addosso a tutta forza, per poco non l’aveva fatta cadere addosso all’albero di Regina. E Emma non aveva alcuna intenzione di provare la propria teoria sul fatto che nessuno può arrabbiarsi con una persona vestita da Babbo Natale. Non con Regina, almeno. I suoi genitori… Insomma, Emma provava a non pensarci. D’accordo, Regina era stata accolta in famiglia e tutti sembravano andare d’accordo – il che non era mai un buon segno, a parere di Emma, perché aveva imparato che quando le cose vanno bene, è solo perché qualcosa sta per rovinarle irrimediabilmente – ma annunciare a tutti che lei e Regina stavano insieme…
E poi Henry… Lei e Regina era d’accordo sul fatto che, probabilmente, il ragazzino sarebbe stato entusiasta della cosa, certo, ma Henry poneva un altro problema: e se poi non avesse funzionato? Henry ne avrebbe sofferto.
Però…
Emma aveva paura persino a formularli, certi pensieri. Perché le speranze possono essere infrante solo se uno se le crea prima, e così anche le certezze, e perciò Emma aveva imparato a non sperare. E a non credere. Ma poi Henry era entrato nella sua vita. E aveva scoperto la verità sulla sua famiglia. E… E si era innamorata di Regina, perciò ora Emma talvolta sperava. E credeva. E quando era notte e tutti dormivano e lei era sola ed era sicura che non ci fosse nessuno nei paraggi, Emma talvolta pensava… Sì, Emma talvolta pensava che forse Regina… Che Regina forse era il suo Vero Amore. Anzi, ne era proprio certa: Regina era il Vero Amore di Emma e non poteva essere altrimenti.
Era così e basta.
Certo, rimaneva aperta l’altra questione: Regina era il Vero Amore di Emma, ma Emma era il Vero Amore di Regina? Lo sceriffo non aveva avuto il coraggio di chiedere a nessuno, non a sua madre e nemmeno ad Henry, come funzionasse esattamente quella storia del Vero Amore. Era sempre corrisposto? Oppure no? E tutti trovavano, prima o poi, il Vero Amore? E c’era un solo Vero Amore per ciascuno? Oppure se ne potevano avere più di uno? Ad esempio, Emma sapeva di Daniel. Forse Daniel era stato il Vero Amore di Regina e ora Regina aveva un’altra opportunità, con Emma? Oppure Emma era solo un rimpiazzo? Una seconda scelta di cui Regina avrebbe dovuto accontentarsi?
Emma non lo sapeva, non lo sapeva davvero. L’unica cosa di cui era certa era l’amore che provava per Regina e questo le bastava, perché nessuna possibile risposta a tutte le sue domande avrebbe mai potuto cambiare, in nessun caso, quello che sentiva per Regina.
Funzionava così, il Vero Amore, bastava a sé stesso.
E comunque, Emma non si concedeva mai di indugiare troppo in quei pensieri.
«Chiusi. Ora posso riaprirli?» concesse infine Regina.
«No. Adesso girati verso di me».
«Non voglio».
«Fallo per lo spirito del Natale».
«Ancora con questo Spirito del Natale. Lo sai, vero, che lo Spirito del Natale è un vecchio burbero che vive ai confini della Foresta Nera e beve vino in continuazione e per questo è sempre ubriaco? Si chiama Spirito del Natale per una ragione» disse Regina, accontentando Emma e voltandosi.
«Scherzi?» fece Emma. «Quinti non c’entra nulla con la predisposizione alla felicità e all’affetto tipica del periodo natalizio?»
«No. Più con la malinconia dei Natale passati, di quando si era bambini ed era più facile credere nellabontà del mondo».
«Ma così è triste».
«Già. Ora posso aprire gli occhi?»
«Uh, giusto. No. Aspetta» disse Emma, dimenticandosi di tutta quella storia sullo Spirito del Natale non appena il suo sguardo cadde sulle labbra di Regina. Regina aveva delle belle labbra.
Emma si schiarì la voce e alzò un braccio sopra di loro. In mano stringeva un rametto di vischio e, a stento, si trattenne dal sogghignare – proprio come avevano fatto sua mamma e il suo fratellino tanti mesi prima, anche se lei non ne aveva la minima idea.
«D’accordo. Adesso puoi aprire gli occhi» annunciò infine Emma.
«Ma cos- Emma!» esclamò Regina, arrossendo. «Dobbiamo smetterla. Tutta la nostra famiglia è di là».
Lo sceriffo si strinse nelle spalle. «Tanto prima della fine della giornata lo verranno a sapere comunque. E poi porta sfiga non baciarsi sotto il vischio».
«Le parole, Emma».
«E poi porta sfortuna non baciarsi sotto il vischio. Contenta?»
Regina si strinse nelle spalle. «Moderatamente» concesse, prima di afferrare Emma per il colletto della giacca da Babbo Natale e baciarla. Con la mano libera, Emma strinse il fianco del sindaco e continuò a baciarla, senza dirle di quanto le aveva scaldato il cuore poco prima, nel dire che la famiglia che le aspettava di là, ignara – secondo loro – di quello che stava accadendo in cucina, era la loro famiglia e loro soltanto.
 
 
*
 
 
Zelena, notoriamente, non si faceva mai i fatti suoi. Non è che se le andasse a cercare. Non del tutto, almeno. Era solo una persona molto attenta, costantemente all’erte, sempre consapevole di quello che accadeva intorno a lei. E così, le capitava di ficcare il naso in questioni che non la riguardavano e di venire a sapere cose che non avrebbe mai dovuto sapere. Però, le capitava anche di ficcare il naso in questioni che, almeno un po’, la riguardavano e che prima o poi, comunque, sarebbe venuta a sapere.
Come la tresca tra sua sorella e lo sceriffo Swan.
Tresca, forse, non era la parola corretta. Prima di tutto, che lo sceriffo Swan morisse dietro al sindaco Mills da anni lo sapevano tutti. E che il sindaco Mills avesse una cotta, una grande cotta, per lo sceriffo Swan lo sapevano tutti allo stesso modo perché Emma Swan poteva permettersi molto, nei confronti del sindaco Mills, e rimanere in vita per raccontarlo. Come quella volta che aveva tormentato Regina per settimane, blaterando cose senza senso che non avevano né capo né coda, solo perché voleva una nuova sedia superergonomica, cinque rotelle, seduta reclinabile, poggiatesta e poggiapiedi estraibile, acquistabile in ben sette colori differenti. Zelena, che da quando era stata convinta a redimersi e condurre una vita noiosa e prevedibile, all’interno dei limiti della legalità, lavorava come segretaria di Regina, aveva sentito quella tiritera così tante volte da averla imparata a memoria.
Comunque, era stato sempre grazie al suo lavoro che Zelena aveva scoperto di Emma e Regina. I suoi sospetti erano iniziati un afoso pomeriggio di metà luglio, quando, invece di controllare che certe carte fossero compilate correttamente, come Regina le aveva chiesto di fare, Zelena aveva iniziato a notare quanto frequenti fossero diventate, nelle ultime settimane, le visite dello sceriffo. E come, curiosamente, fossero tutte programmate per la fine della giornata lavorativa, all’ultimo momento disponibile, anche quando il sindaco avrebbe potuto anticiparle al primo pomeriggio, e, soprattutto, in quegli stessi giorni in cui, casualmente, Regina le permetteva di andare a casa prima. Zelena era sconcertata. Si fosse trattato di chiunque altro, non avrebbe esitato a credere che andassero a letto insieme. Ma sua sorella e lo sceriffo Swan? Si morivano dietro, questo era palese, ma che avessero concretizzato il tutto? D’accordo, la cosa non era al di fuori dal reame delle possibilità estreme, ma era di certo altamente improbabile. Avrebbe voluto dire non solo che una delle due aveva preso l’iniziativa, ma anche che l’altra non aveva ceduto al panico. E quello, credere che si fossero comportate e che continuassero a comportarsi come persone adulte, emotivamente mature e sentimentalmente responsabili, era… assurdo. E qui stava la seconda ragione per cui tresca non era un termine del tutto adatto, per quello che c’era tra Emma e Regina, qualsiasi cosa fosse: Zelena era sicura che, in ogni caso, non era nulla di fugace o esclusivamente fisico, no, al contrario.
Perciò quando quella sera Regina le disse che poteva andare a casa, Zelena non ebbe nemmeno bisogno di controllare il calendario di sua sorella per sapere che di lì a poco avrebbe visto lo sceriffo. Zelena fece finta di nulla, salutò sua sorella e si allontanò dalla propria scrivania fuori dall’ufficio di Regina solo per rifugiarsi nel bagno poco distante.
Passarono cinque minuti, dieci al massimo, prima di sentire la porta dell’ufficio di Regina aprirsi e chiudersi, ma Zelena attese ancora qualche minuto. Sicuramente stavano complottando qualcosa. Ma cosa? Zelena si sfilò i tacchi e li tenne in mano, prima di uscire dal bagno e avvicinarsi silenziosamente alla porta dell’ufficio di Regina. Progettavano di aprire i confini di Storybrooke? Di riportare tutti nella Foresta Incantata? Di aprire un passaggio tra i mondi? Zelena non aveva idea, ma aveva tutte le intenzioni di scoprirlo. Piano, accostò l’orecchio alla porta. E per poco non scoppiò a ridere, non appena udì il gemito soffocato di sua sorella attraverso il vetro. Dovette portarsi le mani alla bocca e, nel farlo, le scarpe le caddero a terra. Rimase immobile, in attesa, ma a giudicare dagli ansiti di Regina nessuna delle due doveva essersi accorta di nulla. Così, Zelena raccolse le proprie scarpe e uscì dal municipio il più velocemente possibile, senza nemmeno preoccuparsi di essere discreta. Quelle due non si impegnavano affatto, in termini di discrezione, perché avrebbe dovuto farlo lei? E poi voleva andarsene in fretta perché aveva sentito fin troppo e quella lì dentro era pur sempre la sua sorellina, dannazione. D’accordo, non avevano un passato roseo o un legame particolarmente stretto, ma era sua sorella e- bleah. Solo Regina sarebbe potuta riuscire nel rovinarle qualcosa di tanto piacevole come il sesso. Zelena sentì l’impellente bisogno di uscire quella sera, farsi un giro al White Rabbit magari, e dimenticare quello che aveva sentito poco prima. Bleah.
Camminando verso casa, ancora scalza, Zelena pensò alle infinite domande che avrebbe voluto fare a sua sorella. Da quanto andava avanti? E come era iniziata? E chi aveva fatto la prima mossa? E chi lo sapeva? E lo avevano detto ad Henry? E-
E poi Zelena pensò anche che a lei, Regina, non aveva detto nulla e Zelena si rattristò un poco. Certo, lo sapeva che la fiducia non si conquista, ma si costruisce, piano piano, giorno per giorno, e che probabilmente Regina non si fidava di lei, non come si sarebbe dovuta fidare una sorella. E, d’altronde, la cosa era reciproca. Tuttavia, faceva comunque un po’ male la consapevolezza di essere esclusa da una parte sicuramente importante della vita di sua sorella.
Perciò, Zelena decise di non chiedere nulla, a Regina, e di tenere quello che aveva scoperto per sé. Era la cosa giusta da fare, no? E chissà, forse un giorno, quando Regina si fosse sentita pronta, sarebbe stata lei a dirle di Emma.
 
 
*
 
 
Emma si alzò in piedi e si schiarì la voce, ma nessuno le diede retta. E come biasimarli? Stavano mangiando la torta al triplo cioccolato di Regina. In circostanze normali nemmeno Emma sarebbe stata consapevole del mondo intorno a lei, con quella torta tra le mani. Un’apocalisse in corso, ad esempio, sarebbe passata del tutto inosservata. Ma quelle, per lei, non erano circostanze normali, no. Perciò si era tenuta la sua fetta di torta per dopo il suo discorso. Come consolazione o per celebrare, Emma non ne aveva assolutamente idea.
Regina si alzò a sua volta e le prese la mano. Si schiarì la voce, proprio come Emma pochi istanti prima, ma, a differenza di quanto era accaduto con lo sceriffo, tra i commensali cadde il silenzio, all’istante. Emma non sapeva se esserne più impressionata o eccitata e, nel dubbio, decise che non doveva scegliere per forza e sì sentì tanto impressionata quanto eccitata.
«Grazie dell’attenzione» disse Regina, stringendo la mano dello sceriffo. «Io e Emma abbiamo qualcosa da dirvi. Emma?»
Emma annuì. Fece scorrere lo sguardo su tutti i presenti, ad uno ad uno. Neal sembrava del tutto disinteressato e continuava a lanciare sguardi di desiderio alla sua fetta di torta al triplo cioccolato, senza però avere il coraggio di riprendere in mano la forchetta e continuare a mangiarla. Il silenzio degli adulti era indicativo del fatto che stava succedendo qualcosa di importante, anche se lui non aveva idea di cosa, esattamente. Sperava solo di poter finire il suo dolce al più presto. Accanto al piccolo Neal, Zelena sembrò a Emma infinitamente divertita e lo sceriffo si appuntò di chiedere a Regina, più tardi, se avesse già accennato qualcosa a sua sorella a riguardo, se magari si fosse confidata con lei. Non che ci fosse qualcosa di male, solo… Zelena le guardava come se sapesse cosa stavano per annunciare. Peggio. Come se sapesse che andavano a letto insieme e questo mise Emma tanto a disagio che il suo sguardo lasciò immediatamente Zelena e si spostò sui suoi genitori. David aveva un braccio intorno alle spalle di Snow, che teneva le mani strette al petto. Sul volto di entrambi Emma lesse un orgoglio infinito rivolto a lei, a lei soltanto e, per un istante, Emma pensò che non ce l’avrebbe fatta. E se non lo avessero accettato? E se l’avessero rifiutata? Se le avessero chiesto di scegliere tra loro e Regina? Emma si sentì mancare la terra sotto i piedi e le gambe deboli, come se stesse per svenire.
Ma poi sentì la stretta della mano di Regina nella sua, sicura e confortante – non l’avrebbe lasciata cadere, mai, e, se fosse scivolata, Regina l’avrebbe seguita senza esitazioni, di questo Emma non aveva dubbi. E poi c’era Henry, che guardava le sue mamme con gli occhi pieni di speranza e fiducia. E Emma ritrovò il suo equilibrio, si sentì rincuorata, e fu certa, all’improvviso, che sarebbe andato tutto bene.
In quell’istante – e se non fu lo Spirito, allora certo doveva essere la Magia del Natale, Emma credette.
Emma credette in tutto quanto. Credette alle favole e a Storybrooke come mai aveva creduto prima di allora. Credette che il Vero Amore esiste e che tutti prima o poi lo incontrano nella propria vita, bisogna solo stare attenti a giocarsi bene le proprie carte. E credette che le cose sarebbero andate bene, anche se il suo passato le aveva insegnato diversamente, perché ora aveva Regina e Henry e una famiglia tutta sua. Tutta loro.
Così, Emma prese un sospiro profondo.
 
 
*
 
 
Henry teneva sempre un bicchiere d’acqua in camera, un’abitudine che aveva fin da bambino. Si svegliava spesso assetato di notte e così aveva imparato a tenere dell’acqua a portata di mano proprio sul comodino. Appena raggiunta la sua camera dopo essere tornato dalla serata trascorsa fuori con gli amici – non avevano fatto nulla di che, dopo il cinema erano andati a prendere il gelato, spinti dall’estate che bussava alle porte in quel sabato sera di fine maggio – si era accorto immediatamente di aver finito l’acqua sul comodino, e aveva deciso di afferrare il bicchiere e scendere subito in cucina per riempirlo. Sua mamma probabilmente era già andata a dormire, quindi era abbastanza sicuro di poter evitare la ramanzina riguardo la mezz’ora di apparente ritardo almeno fino alla mattina seguente.
Quando arrivò in fondo alle scale, però, Henry per poco non fece cadere il bicchiere e dovette coprirsi la bocca con la mano libera per non mettersi a sghignazzare. Accucciandosi sugli ultimi gradini della scala, sbirciando attraverso le aste di legno che sorreggevano il corrimano, Henry vide le sue madri baciarsi.
All’euforia iniziale, però, ben presto seguì il disgusto.
Bleah. Le sue madri si stavano baciando. Bleah! Adesso capiva cosa provasse Emma ogni volta che vedeva i nonni baciarsi. O, peggio, li sorprendeva a fare i tacos. Che schifo. Orribile. Disgustoso. Henry chiuse gli occhi e scosse la testa, provando a cancellare l’immagine dalle proprie retine, ma quella sembrava essersi impressa nei suoi occhi a fuoco.
Nauseante.
E tuttavia, Henry non riusciva a smettere di sorridere. Non aveva idea di cosa, esattamente, stesse guardando e, in tutta onestà, non voleva nemmeno saperlo fino in fondo. Gli bastava vedere il sorriso sul volto di Emma e le spalle rilassate di Regina per sapere che era qualcosa di grande e di bello e di aver sempre avuto ragione, fin dall’inizio, fin da quando aveva portato Emma a Storybrooke, a casa. Da Regina.
In fondo Henry era il degno nipote di sua nonna, no? E lui lo riconosceva subito, il Vero Amore, quando lo vedeva.
 
 
*
 
 
«Io e Regina stiamo insieme. Nel senso di… insieme insieme. Non che lavoriamo insieme, proprio. Come coppia. Insieme tipo-»
«Emma» la interruppe Regina. «Credo tu sia stata chiara. Esplicativa».
«Mi assicuro solo non ci siano fraintendimenti» rispose Emma.
E prima che il silenzio diventasse insopportabile, Snow finalmente si alzò da tavola e corse ad abbracciare Emma.
«Spero siate tanto felici, tesoro».
«Davvero?» domandò Emma, incredula.
«Ma certo!» fece Snow, mentre David le raggiungeva. Abbracciò figlia e moglie, prima di dare un bacio tra i biondi capelli di Emma, così simili ai suoi.
E Emma non riuscì a dire nulla. Si limitò ad asciugare discretamente una piccola lacrima che le era corsa lungo il viso e a sorridere a Regina, la cui attenzione era però tutta fissa su Henry. Il loro bambino sorrise a sua volta, con un’espressione tanto simile a quella di Regina che Emma ebbe l’ennesima conferma del fatto che la genetica era senza ombra di dubbio una barzelletta. Mendeleev e i suoi piselli. Pff. Faceva ridere già così.
«Vi voglio bene» mimò Henry con le labbra.
«Anche noi» rispose Regina, nello stesso modo. Poi, Regina desiderò di scomparire. Distratta da suo figlio, non si accorse che Snow e David avevano lasciato Emma e che avevano deciso di abbracciare lei.
«Siamo tanto felici per voi» disse Snow.
Regina annuì. E decise di ricambiare l’abbraccio, anche se solo per pochi secondi, prima di schiarirsi la gola e liberarsi velocemente dei genitori di Emma. Incrociò poi lo sguardo di Zelena, che le fece l’occhiolino, e tanto bastò a rassicurare Regina sulla posizione di sua sorella riguardo alla sua relazione.
«Dunque, qualcuno vuole altra torta?» domandò allora il sindaco.
«Io!» esclamarono all’unisono Emma e il piccolo Neal che, una volta che sua madre si era alzata, aveva giudicato opportuno riprendere a mangiare la sua fetta. E poi lui lo sapeva già, di Emma e zia Regina. E anche la mamma e il papà. Del perché fingessero di non saperlo, lui non aveva idea, ma finché aveva la sua torta al triplo cioccolato, non aveva importanza. E poi poteva anche essere che i suoi genitori se ne fossero dimenticati sul serio. Gli adulti erano così, si scordavano sempre un sacco di cose.
«Tu nemmeno hai mangiato la prima, Emma» fece Regina, mentre Snow e David riprendevano il loro posto.
«Ma lo sai che non ne ho mai abbastanza» disse lo sceriffo stringendosi nelle spalle.
«Quante volte hai sentito questa frase a letto, sorellina?»
«Zelena!» urlò Regina.
«Zia! Che schifo! Dai!» fece Henry, esasperato, mentre David faceva aria a Snow con un tovagliolo. «Respira, tesoro. Non è nulla».
Neal, nel frattempo, si guardava intorno confuso, incredulo e visibilmente risentito. «Puoi mangiare la torta a letto? La mamma non mi lascia mangiare nulla a letto!»
Emma per poco non si strozzò con il boccone di torta che aveva in gola e alle labbra le salirono molte e diverse battute sul genere di cose che poteva mangiare a letto, ma un calcio di Regina sotto il tavolo la fece desistere dall’esibire la sua sagacia.
Quando l’attenzione di ciascuno tornò alla propria fetta di torta, lo sceriffo prese la mano del sindaco sotto il tavolo e la strinse. «Hai visto? Nessuno può arrabbiarsi con qualcuno vestito da Babbo Natale».
«Comunque insopportabile. E ridicola. Buon Natale, Emma».
«Buon Natale, Regina».
E quando si scambiarono un leggero bacio sulle labbra, dal tavolo si levò un coro di bleah misto a risolini e sghignazzi.
Ed era proprio un Buon Natale, senza ombra di dubbio.
 
 
 
 
 
 
And all these things and more, baby
Whoa, that's what Chrismas means to me, my love
 
 
 
 
 
NdA
Come al solito qualche nota perché non sia mai che io non abbia nulla da aggiungere in coda.
 
Dunque, prima di tutto, i versi che aprono e chiudono la storia sono tratti da What Christmas means to me (Stevie Wonder).
Poi, qualche riferimento. “[…] Era come se un interruttore fosse scattato da qualche parte […]” riprende il “you know, one day you look at the person and you see something more than you did the night before. Like a switch has been flicked somewhere. And the person who was just a friend is... suddenly the only person you can ever imagine yourself with” di Scully nella 06x08 (The Rain King) degli X-Files. E anche “la cosa non era al di fuori dal reame delle possibilità estreme, ma era di certo altamente improbabile” è ripresa da un episodio degli X-Files (01x05, The Jersey Devil) in cui Mulder chiede “highly unlikely, but not outside the realm of extreme possibility?”.
 
Infine, spero che questa piccola OS che è un concentrato di fluff senza precedenti vi sia piaciuta. Purtroppo, gli impegni hanno reso un po’ difficile il Calendario dell’Avvento per questo dicembre e, devo essere sincera, mi è mancato non poco, però non sono riuscita a rinunciare a una storia, anche se piccina, per il giorno di Natale.
 
Chiudendo, vi auguro di trascorrere questi giorni di festa il più felicemente possibile e che siano pieni di fluff, anche senza una logica, perché credo che a questo punto ce lo meritiamo un po’ tutti. E, nel dubbio, vestitevi da Babbo Natale, che va sempre bene * si mette in testa il cappellino rosso e bianco *
 
Grazie per aver letto.
A presto,
T. <3
   
 
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