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Autore: MaikoxMilo    26/12/2021    2 recensioni
Le voci di tenebra azzurra, cheta ma terribile, si stanno allungando sempre di più sul nostro mondo. Sono latrati di sofferenza che, rantolando, vanno sparendo sempre di più, sono singulti di dolore che affogano nel silenzio di una frattura spazio-temporale, sono pianti inermi di bambini che non sono mai nati. Tutto porta ad un unico filo conduttore, tutto è manovrato da un solo, unico, burattinaio che agisce in virtù di uno scopo più alto, imprescindibile. La Dimensione Terra, la dimensione delle possibilità, unica ancora a resistere nel Multiverso algoritmico, sta per venire risucchiata da un'altra estensione, vicina ma lontana, gemella ma distante: il luogo natio del Mago medesimo, Ipsias. L'altra. L'infinitamente ineffabile.
Ciò che è successo lassù, quale correlazione ha con la Dimensione Terra? Potrà la Melodia della Neve, la melodia di tutte le cose, opporvisi?
Nuove esperienze e battaglie attendono i Cavalieri d'Oro del XXI secolo, sempre accompagnati da Marta, Michela, Francesca e Sonia, ormai entrate di diritto tra le schiere dei custodi del tempio.
In un mondo che va eclissandosi... sarà possibile una nuova luce?
Naturalmente si tratta del seguito di Sentimenti che attraversano il tempo, del quale è necessaria la lettura!
Genere: Angst, Avventura, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Cygnus Hyoga, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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Capitolo 13: Una giornata quasi ordinaria

 

 

5 dicembre 2011, mattina

 

 

Mi giro pigramente nel letto, infastidita dal sole che, fiacco, è venuto a bussare alle mie palpebre. Mi rannicchio ulteriormente sotto le coperte, sbadigliando, concentrandomi sul calore che percepisco. Sorrido di riflesso tra me e me. E ora chi ha più voglia di alzarsi, con questo bel tepore che mi avvolge, l’inverno che sta sopraggiungendo fuori, e l’undicesima casa che, a causa del suo custode, è comunque più fredda delle altre?! In questa stagione mi viene solo voglia di cadere in letargo… e dire che governo anche io il ghiaccio!

Stanotte c’è stato un bel temporale con conseguente grandinata. Io l’ho udito appena, perché riesco a rilassarmi totalmente al fianco di mio fratello, a percepire quel suo profumo che lo contraddistingue, fresco e un poco selvatico, ma Camus, in seguito ad un tuono, si è svegliato di soprassalto, accendendo poi la luce dell’abat-jour. Fuori il vento ululava e i vetri delle finestre lampeggiavano quando il suo sguardo, ancora un poco stordito dalle nebbie del sonno, si è posato su di me. Ho avvertito il suo sorriso, stavo troppo bene per muovermi, ma ero comunque abbastanza sveglia per percepirlo. Mi ha accarezzato più volte i capelli con le dita di velluto che si ritrova, poi si è alzato per andare dalla finestra a contemplare brevemente le goccioline di pioggia e i chicchi picchiettare sul vetro -gli piacciono tanto, come la neve!- solo dopo qualche minuto è tornato.. Non si è curato di mettersi le calze nello spostamento, ho così potuto avvertire i suoi piedi nudi fare nuovamente il giro del letto, le molle del medesimo cigolare un poco, prima di provare la sensazione tattile delle sue dita che indugiavano nuovamente su di me. Si è quindi seduto al mio fianco per poi sdraiarsi, tirando le lenzuola per coprire me prima ancora che sé stesso.

Abbiamo dormito vicini per tutta la notte. Ho mollato gli ormeggi per cedere del tutto e, ben presto, sono caduta in un sonno profondo. Fuori il diluvio appena percettibile, dentro la consapevolezza di essere al sicuro, con lui, al caldo.

Stamattina si è svegliato presto, non dovrei meravigliarmi. Il sole non era ancora uscito, si è alzato dal letto, sistemandomi meglio le coperte addosso, ha compiuto un nuovo giro del letto per poi fermarsi dietro di me, perché io ero rannicchiata sul fianco destro, quello che da la schiena alla porta. Di nuovo la sua mano tra i miei capelli, le sue dita mi hanno solleticato affettuosamente mentre, ancora una volta, si è perso a parlarmi a bassa voce alle mie orecchie. Mi ha chiesto scusa per il suo comportamento di ieri, anche se lo aveva già fatto, ringraziandomi per la pazienza di continuare a rimanere al suo fianco, nonostante sia di carattere così difficile, nonché ricalcando la promessa di fare foto insieme e portarmi in Siberia.

Amo la sua voce, amo quell’accento di dolcezza che lui usa in maniera speciale con me, quella patina di francese che lascia trapelare persino nel parlarmi in italiano, quindi me la sono gustata tutta, fingendo di dormire. Io HO scelto di stare qui, non potrei chiedere di meglio. Non mi ha ovviamente parlato del suo malessere, di come si sia sentito lui ad essere profanato per l’ennesima volta, ma va bene così, un po’ mi demoralizza ma gli voglio dare tutto il tempo che gli serve per esprimere ciò che ha passato. E poi io ho Milo come spia, sono sempre informata sul suo stato di salute, muhaha!

Ora è giù in cucina, ogni tanto il suono degli sportelli che si chiudono giungono alle mie orecchie. Suoni di casa. Francesca e Michela saranno già belle che sveglie, sento il loro vociare allegro, stavolta sono io a latitare, ma vorrei godermi pienamente questo momento in cui mi sento protetta, come quando ero più piccola e la domenica mi svegliavo a casa dei nonni in campagna.

Mi prendo ancora qualche minuto di raccoglimento prima di balzare fuori dal letto, stiracchiarmi, e correre giù con ancora il pigiama indosso. Esattamente come mi aspettavo, Francesca e Michela stanno allegramente mangiando, anche se, a ben guardare dall’orologio, sono già le 10. Mio fratello non deve averle volute svegliare, strano, perché pensavo volesse già recuperare il tempo perduto negli allenamenti, invece eccolo bello tranquillo lì a sorseggiare caffè, mentre le mie amiche stanno consumando un bel cappuccino con le fette biscottate e le macine.

“Buongiorno!” saluto tutti, facendo il mio ingresso in cucina.

“Mmm… ciaaaaaaaaoooo!!!” mi trillano loro, ancora intente a masticare, mentre Camus, vedendomi arrivare, si raddrizza, regalandomi un sorriso.

“Buongiorno a te, Marta!”

Arrossisco un poco, ricordandomi della bella serata di ieri e della felicità che ne è derivata, anche lui sembra sereno e rilassato, oserei dire quasi contento, come raramente lascia trasparire.

“Hai il caffè, il tè, il cappuccino, una spremuta, le fette biscottate, i cereali...” mi anticipa, alzandosi per mettere nel lavandino i bicchieri sporchi.

“Camus, non ne vengo dall’Africa, eh, ti posso assicurare che mangiavo con Myrto!” gli faccio notare, divertita, prendendo posto vicino a Francesca.

Anche se cerco di non darci peso, non riesco a non far cadere l’occhio sul posto vuoto di Hyoga, ne sento la mancanza, sebbene sia quasi sempre silente, d’altronde era una presenza fissa.

“… e le gocciole!” mi indica ancora Camus, capendo i miei pensieri, voltandosi poi dall’altra parte per non dimostrare la scintilla di dolore che lo ha attraversato.

“Oggi tutti i record delle ronfate li hai fatti tu, mia cara Marta! - esclama Michela, forzatamente allegra, nonostante la mancanza del suo fidanzato – Nemmeno io ho mai varcato simili traguardi!”

“Perdonate, ero stanca! - mi scuso, prendendo di riflesso l’ampolla con la spremuta e intrufolandomi con l’altra mano nel sacchetto di biscotti Gocciole, i mie preferiti – Ma recupererò nell’allenamento!” mi affretto a dire, determinata.

“Oggi niente addestramento” mi dice Francesca, tutta sorridente.

La sua frase mi sorprende non poco, lasciandomi sbalordita con uno dei biscotti ancora in mano in attesa di essere addentati.

“Niente… allenamento?!” ripeto, quasi a non crederci. E’ Camus stesso a delucidarmi.

“No, oggi festeggiamo, in ritardo, il compleanno di Francesca. Ho prenotato in un ristorante di Atene che fa delizie di pesce e prodotti tipici, spero vi possa piacere”

A questo punto, mi ritrovo a guardare mio fratello con tanto di bocca spalancata, occhi che parlano da soli, e perplessità crescente. Una cosa normale dovrebbe essere, a ben pensarci, oggi è domenica, si fanno queste cose, ma io… ohibò mi sono completamente disabituata all’ordinaria esistenza! Osservo le mie amiche, convinta che presto mi faranno presente che è tutto uno scherzo e che ci attendono 8 ore di addestramento come al solito, e invece mi continuano a fissare sempre più divertite.

“Sul… serio?”

“Certo, peste, non sei forse tu, giusto ieri, ad avermi detto che volevi ritagliare un po’ di tempo per noi? Di far in modo… di costruire dei ricordi?” mi chiede retoricamente mio fratello, con una naturalezza disarmante.

Non so se mi sconvolga di più il binomi Camus/festa o quello Camus-ristorante-pranzo, ma dalla sua espressione percepisco che fa sul serio per davvero.

“O-oh… o-ok, b-bene!”

“E su con il morale, Marta!!! - mi da una pacca spacca scapole Michela, tutta raggiante – Non rammento più l’ultima volta che abbiamo mangiato fuori!”

“S-sì, vero… - biascico, sempre più allibita, prima di concentrarmi sulla mia amica più grande – Non preferivi passarlo con Deathy?” le chiedo poi, titubante.

“Già... fatto!” mi occhieggia lei, furba, pur non scendendo in altri particolari.

“Capito...” annuisco, laconica, tornando a fissare, spersa, la spremuta e il biscotto che sta sempre aspettando di essere mangiato.

La mia reazione deve far preoccupare mio fratello, perché, compiendo il giro del tavolo, si approccia a me, posandomi una mano sulla spalla.

“Non… volevi? Sei ancora stanca per il viaggio, Marta?”

“N-no, non è quello...”

“E allora cosa c’è?”

“E-erk, niente, Cam… - il mio tono esce tremante, mentre sento gli occhi farsi lucidi, cerco di non darglielo a vedere ma lui acciuffa il mio sguardo – E’ che non ero più abituata a cose del genere...”

“Lo capisco, sono stati mesi frenetici, sconvolgenti per molte cose, non ricorderai quasi più della normalità, eppure, proprio per questo, io v-vorrei...”

Vorrei farvi sentire bene, per un unico giorno, che non doveste pensare sempre alle lotte, a rischiare la vita, a preoccuparvi per me, come invece fate troppo spesso. Desidererei tante cose, tornare a farvi vivere un’esistenza normale, come è giusto che sia per la vostra età, ma l’unica cosa che posso fare, che rimane nelle mie capacità, è quella di darvi una parentesi di respiro.

Camus non riesce ad andare oltre, al solito le parole lo tradiscono, minando la sua capacità di esprimersi, ma mi è talmente vicino che sento i suoi pensieri, le sue emozioni come se fossero le mie. Sorrido, rassicurata.

“Lo so, ho capito, Camus e… grazie!”

Lui annuisce, fa per aggiungere qualcosa, ma nello stesso momento qualcuno bussa alla porta dell’ingresso, obbligando noi ad alzarci. Avverto mio fratello sussultare, probabilmente nel timore che sia una qualche interferenza come già successo. Borbottando, si dirige ad accogliere (o mandare a spazzare) il nuovo arrivato con una punta di nervosismo.

“Se sei un qualche tipo di interferenza, noi...” da il preavviso, quasi ringhiando, da dietro la porta giunge una risata accentuata.

“Nessuna interferenza, Cam, sono io!” si palesa una voce melliflua, ben riconoscibile.

Si alzano anche Francesca, Michela, incuriosite, il povero biscotto l’ho abbandonato lì, vicino al tovagliolo, qualcosa mi dice che non lo mangerò. Nello stesso momento la porta viene aperta rivelando il Cavaliere dei Pesci.

“Aphrodite! - esclama mio fratello, sinceramente sorpreso dalla sua visita – Cosa ti porta qui?”

“Lui, a dire la verità! - risponde lesto Pisces, spostandosi di lato e rivelando così Stefano, il che immobilizza me completamente – Ha bisogno di parlare con una certa persona...”

La ‘certa persona’, alias me, si irrigidisce ancora di più. Non ero affatto preparata a rivedermela con lui. In questi giorni di punizione ho semplicemente messo da parte il problema, rimuovendolo per concentrarmi su altro. Ed eccolo qui il problema! Mi fissa con imbarazzo, guardando altrove, dappertutto, verso il soffitto, per terra, non sapendo bene come prendermi. Io non sono da meno, vorrei semplicemente scappare, fuggire.

Camus studia la sua reazione e poi la mia, valuta il mio disagio, comprendendolo a fondo.

“Capisco… però potevi dare un minimo di preavviso, Stefano, noi staremmo per uscire tra non molto!” dice, rivolgendosi direttamente a lui.

Il suo tono di voce lo fa sussultare nitidamente. Alza lo sguardo quasi boccheggiando, come se avesse appena subito un rimprovero da un genitore, del resto ai suoi occhi mio fratello deve apparire assai autoritario e severo. Malgrado questo, riesce a riprendersi quasi subito con una fermezza che mi sorprende.

“E’… è un chiarimento tra me e Marta, se anche lei lo desidera, se vuole rifiutare non c’è alcun problema, me ne andrò e...”

“No, va bene! - esclamo tutto quasi a corto di fiato, una mano sopra il cuore – Anche io volevo parlare, ma… fuori, all’esterno!”

Lui mi sorride timidamente, annuendo e mormorando un “grazie”, io mi sforzo di guardarlo negli occhi. Perché ora mi sembra tutto così difficile?!

“Per te va bene, Camus?” chiede Aphrodite, ben sapendo quanto sia protettivo nei miei confronti.

“La scelta è la sua, io non ho ragioni per oppormi. - sottolinea, pratico, mentre butta un occhio su Francesca e Michela che si sono fatte tutte attente e percettive – Che non vi venga in mente di origliare, voi due, bertucce!” le taccia scherzosamente, indicando, con gesto sinuoso della mano, di fare dietro-front e andarsi a preparare per il pranzo.

“Ma, Maestro, noi non origliamo mai!” tenta di opporsi Michela, quasi offesa.

“Ah no? Devo aver preso un abbaglio allora!”

“No cioè, a noi capita di trovarci nel posto sbagliato al momento sbagliato, succede!”

“Succede sempre a voi però, con una certa frequenza, aggiungerei!” sottolinea mio fratello, inarcando un sopracciglio.

“E perché… perché siamo...”

“Michy, vai a prepararti, su, e anche tu, Fra, voi siete delle pesti, tutto qui, in questa casa non esiste più la privacy da quando siete piombate voi nelle nostre vite!” taglia il discorso Camus, sospingendole verso le rispettive camere. Ma il suo tono è caldo e gli occhi luminosi.

Anche io torno brevemente nella mia stanza per vestirmi. Indosso le prime cose che mi vengono in mente senza badarci troppo, tanta è l’emozione, poi esco con un pizzico di urgenza. Non andiamo comunque lontani, non c’è tempo per farlo dovendo noi andare a pranzo fuori. Arriviamo giusto nella parte posteriore dell’undicesimo tempio lontano da sguardi indiscreti.

Anche senza dialogare, noto subito che si muove in maniera molto più disinvolta rispetto a come lo avevo lasciato, del resto è passato più di un mese da quando lo abbiamo ripescato in Valbrevenna e, nella battaglia avvenuta settimane fa, ha avuto un peso determinante, riuscendo finalmente a conquistarsi la fiducia di quasi tutti i Cavalieri d’Oro. Francesca mi ha raccontato molto bene le loro peripezie qui al Santuario, le sue reazioni e tutti i misteri che si porta dietro. In fondo ha ragione, non è più rimasto granché del ragazzo che avevo lasciato due anni fa, è quasi un uomo, ormai, e ne ha passate tante, troppe, però… voglio credere che sia sempre lui, il mio amico d’infanzia.

Stevin mi precede fino agli scalini che portano alla Casa di Aphrodite, mi chiede se voglio sedermi, acconsento, lui invece rimane piedi, ancora titubante, mantenendo le distanze da me. E’ giusto così, siamo poco più che conoscenti, ormai. Comprendo bene che non parlerà lui per primo, dovrò farlo io, quindi rabbocco aria, partendo dal primo argomento che mi viene in mente.

“E così… nonno Mario non è tuo nonno biologico, eh?”

“Te lo ha detto… Francesca?” si è irrigidito, ma non contro di me, deve essere più una difesa del suo organismo, un qualcosa che non ha ancora accettato pienamente.

“Sì… mi ha detto che stai cercando i tuoi genitori che credevi morti”

“E’ così...”

“Quando eravamo insieme in Valbrevenna, anni fa, non li… percepivi, giusto?”

“No...”

“Quindi è una cosa recente, dalla prigionia...” arrivo alla deduzione, sospirando, torturandomi le mani.

“Dalla prigionia, sì...”

E’ il mio turno di non sapere continuare. Perdo tempo a vedere una fila di formiche testa rossa camminare sullo scalino a poca distanza da me. Sono molto piccole, abbastanza per eludere il cosmo della dea ed essersi costruite un rifugio in un anfratto roccioso poco lontano. Stefano mi guarda con attenzione, come a soppesare ogni mia più piccola azione e cercare di capire quanto io sia cambiata in questi due anni, perché effettivamente questo, il seguire ogni animale, era una cosa che facevo anche tempo fa. Mi chiedo per l’ennesima volta chi io abbia davanti, se mai potrò recuperare parte di quel rapporto di fiducia che mi era tanto caro e che è andato in frantumi quel dannato giorno in cui c’è stata la maledetta alluvione.

“Stevin, io...”

“No, sono io a doverti delle scuse, Marta!”

La sua espressione accelera notevolmente il mio cuore già in tumulto. Lo fisso sbalordita, mentre lui, ancora un poco tentennante ma più sicuro, decide di provare a sorreggere il mio sguardo.

“I-io… - si massaggia la testa, dolorante – N-non so bene ancora cosa mi sia successo, non so se i miei pensieri fossero frutto di Nero Priest, oppure...”

“Ste, non ha importanza, davvero… - scrollo la testa, alzandomi di riflesso in piedi, sorridendo un poco amaramente – Ciò che hai passato avrebbe annientato chiunque e… tu… l’importante è che tu sia tornato”

“Marta...”

“Però voglio che tu sappia… - la mia espressione si fa un poco più dura – che quel giorno in cui buona parte di Cerviasca franò, io… io ci ho provato a venire da te!”

“...”

“Mi avevi scritto che tuo nonno era morto quella notte, che avevi bisogno di… di avermi vicina… ed io, pur partendo da Genova, invece di andare a scuola ho cercato di raggiungerti, in tutti i modi, devi credermi!” insisto, trepidante, perché mi preme fargli sapere che, almeno, ho tentato, con tutte le mie forze, anche oltre.

“Cosa… te lo impedì? - mi chiede lui, con una leggera patina di freddezza, come se ancora stentasse a crederci totalmente – I-io, sai, non ero in me, disperato, solo... all’alba erano venuti a prelevare mio nonno, mi hanno detto che sarebbe arrivato presto qualcun altro a prendermi e che mi avrebbero affidato, perché ero ancora minorenne, ma io sono scappato, non sopportavo più tutto quello, e… e poi tutta quella pioggia… ti ho chiamato, non pensando ai rischi, avevo bisogno che ci fossi e, egoisticamente, ti ho messo in pericolo, Marta, perché le precipitazioni non finivano, anzi si infittivano, ma io riuscivo solo a pensare che senza di te mi sarei lasciato andare, volevo che ci fossi, che mi impedissi di finire in frantumi. Perdonami...”

Sembra faccia davvero fatica a ricordare, deve spremersi per raccapezzarsi ed io vedo bene, dolorosamente, il suo sforzo.

“Non ha importanza, io volevo raggiungerti comunque, ci ho provato, dico davvero!”

“E allora cosa… cosa è accaduto per non farti arrivare?!”

“Hai presente il bivio per Carsi, il paese davanti al tuo dove alloggiavano i miei nonni?”

“Sì...”

“S-sono arrivata lì, sul fondovalle, appena prima di salire, e poi...”

“E poi?”

“Il torrente era ingrossato, tanto… ricordo solo tutto quel fango, la sensazione di essere zuppa, le vibrazioni sotto i miei piedi che aumentavano, un rombo sordo, un lampo blu, e poi… il nulla!” biascico, sofferente.

“La strada… è crollata sotto i tuoi piedi?!” mi chiede lui, impallidendo, non aspettandosi certo un risvolto simile.

“Quando mi sono svegliata… ero ricoverata nell’ospedale dove lavora ancora mia mamma. Avevo la febbre alta, straparlavo, ricordavo a sprazzi quanto successo, e… lei mi ha detto… che Cerviasca era franata e di te… che non ti avevano più trovato – esito, quasi mi sfugge un singhiozzo, mi mordo le labbra prepotentemente per impedirgli di uscire – Non ti hanno MAI più trovato, Stevin, dopo mesi abbandonarono le ricerche. Tutti ti abbiamo dato per… m-morto”

Mi nascondo parzialmente il viso con le mani, il petto in affanno; allo stesso tempo lui tace, si avvicina timidamente a me, prova a posarmi una mano sull’avambraccio, sebbene sia tremendamente imbarazzato. Solo dopo pochi minuti riesce a palesare esternamente la sua voce.

“Pensi che… che qualcuno volesse metterci contro? Che sia stato… il nemico contro cui state combattendo ad interferire?” mi chiede, assai meno incredulo rispetto a prima ad avvalorare questa ipotesi che sembrerebbe assurda.

“I-io non… non lo so!”

Fei Oz effettivamente ci rema contro da quando ero in fasce, mi credeva morta dopo aver affrontato Camus quel giorno di tanti anni fa, non dovrebbe quindi…

Sussulto, vengo investita da una fulminazione istantanea. Qualcosa dalle tenebre dei miei ricordi riaffiora, il ghigno sul suo viso solcato dall’odio quando, dopo quel fulmine assordante che quasi sembrava spaccarmi i timpani, ho alzato il volto verso il cartello raffigurante le indicazioni su Carsi, la visibilità ridotta per la pioggia fitta fitta, ma… secca, nitida, adesso stampata nelle memorie del mio cervello, quella sua mantella nera con il disegno di un pipistrello rovesciato che svolazzava a causa del vento imperioso, la sua mano destra che si alzava e dalla quale veniva caricata una sfera di energia, e poi… e poi?!

“Mio… dio!” impallidisco di netto, quasi boccheggiando, incespico nei piedi, rischiando di cadere, ma inaspettatamente Stefano mi prende per un braccio, mi tira verso di sé per sorreggermi.

Mi ritrovo quindi automaticamente abbracciata a lui, è il nostro primo, vero, contatto dopo tanto, tantissimo, tempo. I miei occhi si fanno lucidi, mi manca quasi l’aria.

“Marta, che succede? Sei sbiancata!”

“Ho ricordato qualcosa, un frammento, un flash, e...”

“E…?”

“N-no, lascia perdere ora, non riesco a comprendere se sia vero o frutto dello stress psicologico di quest’ultimo periodo. Non riesco a ricordare altro per il momento, farlo mi… dei, sembra che la mia testa sia sul punto di esplodere!” biascico, sofferente.

“Ma allora...”

Non lo lascio finire, semplicemente lo stringo forte a me, cercando di ammansire il dolore. Tremo per una emozione nuova: la speranza di ricostruire il rapporto!

“Mi sei… mancato tanto in questi anni, Stevin!” biascico, appoggiando il mio mento sulla sua spalla e aumentando la stretta nella paura che mi possa fuggire via.

L’ho creduto morto per tutto questo tempo, e invece… invece ora è qui, vivo, non farò più gli stessi errori del passato!

Lui in un primo momento non reagisce, rimase fermo immobile, impietrito, per ragioni che riesco a capire solo in parte, poi finalmente si scioglie, contraccambia l’abbraccio: “Anche tu… credevo mi avessi abbandonato ed io… non potevo crederlo!”

“Non avrei mai, MAI voluto abbandonarti! Mi dispiace… mi dispiace così tanto!!!”

Lui annuisce, senza dire niente. Rimaniamo così per un po’, cullati dal silenzio reciproco. Probabilmente è ancora arrabbiato con me, tutti gli avvenimenti di questo mese gli sembreranno pazzeschi, ne avrebbe tutte le ragioni, ma ha creato per me una breccia, una nuova via di accesso per farmi passare, a suo ritmo, senza fretta. Non percepisco più quell’odio smisurato passare nei suoi occhi di quell’azzurro chiarissimo, particolare, come lago di ghiacciaio, ne riesco nuovamente a scrutare la luce intrinseca. Ricominceremo da capo, ora ne ho la piena conferma.

Dopo una serie di minuti, mi stacco da lui, rimanendo comunque a breve distanza, a guardarlo, perché davvero le sue iridi mi ricordano qualcosa in più adesso, ma non riesco a definire che cosa; lui mi sorride, un poco più sereno, la sua mano stringe il mio polso ed io ne sono rassicurata.

“Dal principio, va bene?” chiedo, arrossendo un poco.

“In che… senso?”

“Ad essere… amici! - pronuncio la frase in tono bassissimo, quasi avessi paura di un rifiuto – Magari con una bella esplorazione!”

“Oh…” anche lui sembra più sereno adesso.

“Qui non è la Valbrevenna ma c’è tanto da esplorare!”

“Dubito avremo tempo per farlo!” soffia lui, scrollando la testa, le guance rosse.

“Mmm, e chissà, siamo vicini di tempio, magari una scappatella… - la butto lì, divertita – Non dobbiamo più fuggire ai controlli di tuo nonno Mario e mio nonno Dante, c’è Camus in compenso e… ti garantisco, fa per tre!”

“Credo di essermene accorto, sai?!”

“Che è tremendo?!” ridacchio, compiaciuta.

“Che è tremendo e che ha preso da tuo nonno Dante come autorevolezza, anche se, con te, nasconde la stessa dolcezza di tua nonna Ines.”

Abbasso lo sguardo, mentre i loro visi, un poco evanescenti e annebbiati, fanno capolino nella mia mente. Lentamente passano gli anni, le loro voci, prima forti e chiare nelle mie orecchie, si stanno disperdendo. Una fitta dolente mi investe. Il tempo sa essere crudele. La perdita si sente ancora, ma loro sono sempre più lontani...

“Meglio quindi avercelo come amico che nemico, di gran lunga!” continua Stevin, pratico, facendo spallucce.

Ridiamo genuinamente e di gusto, dopo un tempo che mi è parso secoli, finalmente sollevati nell’animo. Qualcosa, nel percorso che è la vita, l’ho perduto per sempre, irrimediabilmente, ma il destino mi ha fatto rincontrare Stevin, stavolta saprò tenergli la mano, lo giuro. Non lo perderò più!

“Mi sto abituando al clima austero di qui, sai? – mi racconta ad un certo punto lui, con naturalezza, desiderando raccontarmi le sue impressioni – Ho conosciuto bene Hyoga, Mu, Aldebaran e ovviamente Aphrodite, anche se lui è un po’ strano!”

“Lui… ha i tuoi stessi gusti! - gli faccio l’occhiolino, lasciando che mi intenda, cosa che avviene, perché diventa istantaneamente viola – Magari...”

“No, no, no… DECISAMENTE no!” si affretta a ripiegare, sbracciandosi.

Altra risata corposa tra noi due, vorrei continuare a parlare con lui ininterrottamente come facevano sotto il tiglio della cappella di Cerviasca. Mi sfiora un pensiero, faccio improvvisamente seria nel guardarlo.

“Fra mi ha riferito che durante la battaglia contro Clio sei rimasto ferito anche tu. Sei stato comunque in grado di formare un sigillo, spezzare quello della dea, e liberare così l’energia vitale delle persone del Santuario...”

“S-sì, anche se non so… non so come ho fatto! - ammette lui, cupo – Una voce mi ha detto di farlo e...”

“Sei stato eroico ed eccezionale!”

“N-non avrei potuto esserlo se lei non fosse intervenuta... – impasta un poco con la bocca, a disagio – Sai, lei...”

Per un solo istante, i suoi occhi si illuminano nuovamente, sembra lì per dirmi qualcosa di molto importante, ma si trattiene, scrollando la testa come a dirsi che è impossibile. Chissà comunque chi lo ha raggiunto in quegli attimi… ciò è la dimostrazione che anche Stevin ha una sfera extra-sensoriale piuttosto sviluppata, non dovrei meravigliarmi visto che possiede un cosmo.

“Lo scopriremo, insieme chi è stato e… troveremo i tuoi genitori, abbiamo una valida pista!”

“Da-davvero?!”

“Ehm, sì ecco… - mi rendo conto che lui non sa che Francesca mi ha raccontato le cose nel migliore dei dettagli, e che quindi so anche del suo problema al sangue – Mi hanno riferito che hai, ecco… forse non hai piacere che lo sia venuta a sapere per via di terzi...” sbuffo, accorgendomi del suo cambio di sguardo.

“Ti riferisci alla piastrinopenia? Avrei voluto dirtelo io stesso, ma… comprendo che il Santuario abbia dovuto necessariamente dare la notizia...” commenta, non particolarmente allietato di risultare debole.

“QUESTA E’ UNA COSA FANTASTICA, STEVIN, NON TE NE RENDI CONTO?!?”

“E-eh?!”

“Acc… - impreco, accorgendomi di aver fatto un’altra cappellata. Ormai sta diventando routine - Mi riferivo al fatto che è una malattia autoimmune trasmissibile da madre a figlio!”

“E… e questo cosa?”

“Significa… che tua madre soffre dello stesso problema!” salto su, sempre più agitata. Lui mi osserva ancora, basito, quasi boccheggia per la sorpresa.

“Non è una cosa che hanno tutti! Possiamo...”

“Come? - lo sento ridacchiare, picchiettandomi l’indice sulla fronte come facevano da piccoli – Andiamo in giro per il mondo a chiedere un campione di sangue a tutti finché non ne troviamo uno che combaci con il mio?!”

“Sì, se è necessario!!!” insisto, serissima.

“Ma daaaaaai, che idee strampalate che ti vengono in mente!!!”

“E’ importante per te, lo è anche per me!” continuo, imperterrita, gonfiando le gote.

“Ti ringrazio… - lui mi da le spalle, guardando un punto fisso sugli scalini più alti, prima di scrutarmi di profilo e regalarmi un sorriso dolce, di quelli suoi, che riescono a riscaldare l’anima – Alla fine sei sempre tu, eh? In questo, nel volermi aiutare sempre e comunque, non sei cambiata affatto!”

“I-io...”

“Però è una cosa che posso fare solo io, capisci? - prosegue poi, allineando le labbra in una breve pausa dal dialogo, l’espressione dolente – Riesco a distinguere i loro odori, le loro voci… non so come siano fatti, ma so che, se me li trovassi davanti, riuscirei comunque, in qualche modo, a riconoscerli. Anche se...”

“Anche se?”

“Non capisco una cosa, anzi due… non me la so spiegare. Mi sono detto che sbagliavo, che non poteva essere possibile, eppure...”

Esita, lo vedo fremere nello stringere le mani a pugno, nuovamente distante, impenetrabile. Mi avvicino un poco, interdetta, sufficientemente per scrutargli il profilo un poco malinconico e quei tre buffi nei che ha sulla guancia sinistra. Nello stesso momento una ventata più forte delle altre gli scombina i capelli, i ciuffi più in alto si sollevano a formare un insolito cespuglietto che io ben conosco. Sobbalzo, convinta di aver visto male.

“Deg...”

“Marta, noi siamo pronti!”

La voce di mio fratello, appena uscito dal Tempio dell’Acquario per vedere a che punto sono, mi fa ripiombare nella realtà. Mi volto in direzione della fonte sonora, notando che si sta avvicinando a noi. Mi scrollo come un cagnolino fradicio, dandomi una sberletta sul volto nel dirmi di tornare con i piedi ben piantati terra, perché non è possibile vederLO ovunque. Mi manca ogni giorno di più, ma… devo proseguire, andare avanti, la mia scelta l’ho fatta, non posso tornare indietro.

“CAMUS!” trillo felice, correndogli incontro con enfasi, mentre Stefano, ripresosi a sua volta, si gira verso di lui.

“Ehi, pian..! - mio fratello si affretta nella mia direzione, vedendomi inciampare nei mie stessi piedi, ma riesco fortunatamente a rimanere in piedi e mi ritrovo ben presto ad abbracciarlo, felice come non mai e desiderosa di dimostrarglielo – Uff, tra un po’ caschi per terra, stai un po’ attenta, cerbiatta!” mi rimprovera bonariamente, trattenendomi per le spalle per darmi equilibrio, perché sono totalmente sbilanciata da un lato, il suo, e devo sembrare quasi ubriaca.

“Siamo riusciti a parlare… SIAMO RIUSCITI A PARLARE!!! Sono così felice, Cam, volevo… volevo che lo sapessi!” gli spiego, euforica, quasi saltando sul posto.

“Lo so, lo vedo, lo percepisco… - mi sorride lui, con dolcezza, sollevandomi delicatamente i ciuffi che mi ricadono sulla fronte per poi rimanere un po’ lì, la mano tra i miei capelli – Hai, avete, finito di...?”

“E-ecco, non proprio, ma...”

“...ma ci sarà tempo dopo, non preoccuparti, Marta! - finisce per me Stefano, guardandoci con mestizia, imprimendo su di me (e su Camus) un’espressione che non riesco a codificare – Oggi hai un pranzo con le altre, vero? Divertiti!”

“Stevin, cosa… cosa succede? Perché hai gli occhi lucidi?”

“Ah, ho gli occhi lucidi? - chiede lui, passandosi poi le dita appena sotto le palpebre – Deve essere stata la folata di vento!”

Che succede? Perché ora sembra nuovamente così distante? Quel suo sguardo così triste, quella sua piega delle labbra, quel suo tono, misto di tenerezza e sofferenza nel vedere i gesti di affetto tra me e Camus. Sembra quasi che non riesca a darsi una risposta, ma… per cosa?

“Stevin… - tossicchia mio fratello, facendosi di colpo serio ma non rigido – Il Tempio di Pisces è a poca distanza dal mio. Se vuoi…”

“Sì?”

“...Se vuoi venire a trovare Marta, parlarle, o discorrere anche con le altre, puoi venire quando vuoi, non sei affatto un disturbo. Solo… coprirti un poco di più, la mia Casa è sicuramente più fredda di quella di Aphrodite!”

Non ci posso credere! Il mondo gira tutto strano oggi, mio fratello che invita qualcuno nel suo tempio che considera un nido di intimità per sé stesso e i propri affetti. Sono sinceramente sconvolta!

Anche Stefano, a giudicare dall’aprirsi a vuoto delle labbra e dalla sua pupilla, che traballa, appare sbigottito come non mai.

“Dico davvero… - aggiunge ancora Camus in tono fintamente burbero per celare l’imbarazzo crescente – Sei suo amico, ci tiene molto a te!”

Stefano torna a sorriderci come meglio un po’, gli occhi un poco più luminosi, la sua muscolatura si rilassa notevolmente.

“Grazie… Camus! Verrò molto volentieri allora!”

 

 

* * *

 

 

5 dicembre 2011, tardo pomeriggio

 

 

E’ davvero tutto così strano, ohibò, non ci ero più abituata!

Le luminarie che si stanno accendendo proprio ora, complice il farsi della sera e il calare del sole, mi frastornano, così come il pranzo in uno dei ristoranti più rinomati di Atene, il trovarsi su una strada affollata in mezzo agli altri e molte altre cose che prima erano ordinarie.

Le macchine passano veloci accanto a me, sto passeggiando sul marciapiede insieme agli altri, alle persone che amo, alla mia famiglia. Il mio sguardo naviga per aria, soffermandosi talvolta su una illuminazione piuttosto che un’altra. Dietro di me è un vociare acceso, stanno decidendo quali festoni mettere nella Casa dell’Acquario, perché mio fratello -mio fratello, sì!!!- ci ha detto liberamente di scegliere quali addobbi comprare. Questa consapevolezza, il fatto che proprio lui sia così festaiolo, mi frastorna ancora di più.

Stiamo preparando un Natale così come lo abbiamo sempre festeggiato nelle nostre case, in Italia, anche perché qui in Grecia, per quel poco che so, ci sono tutt’altre usanze. E l’idea è stata di Camus, che se ne è uscito così, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Sogno o son desta?!

“Ti dico che dovremmo puntare sul rosso e il dorato, vanno di moda quest’anno!” salta su Michela, alzando il tono di voce. Deve prediligere quei colori.

“Ma cosa c’entrano all’Undicesima Casa? Cioè il dorato sì, va bene, ma cerchiamo di agghindare il tempio con colori che abbiano un minimo di senso allora!” osserva pratica Francesca, serafica, discorde sulle preferenze.

“Ok, allora vada per il dorato e… ALLORA IL BLU!!! - ha l’intuizione fantastica Michela, iperattiva come suo solito – Come la ridente chioma di Camus!”

“La ridente..?! - Francesca sbuffa, cercando di recuperare il discorso centrale – Blu e dorato stanno bene, ok, però...”

“Però niente, Fra, sono semplicemente perfetti! Tu che ne pensi, Maestro?”

“Michy, anche fosse rosso, a me va bene comunque, l’importante è che piaccia a voi! – le dice mio fratello, un poco imbarazzato nell’essere stato chiamato in causa – Ve l’ho detto, potete scegliere ciò che preferite...” sorride poi, rilassando la muscolatura.

“No, no, no… blu è più bello; blu con… ehi, Fra, a Genova c’erano delle cosine da appendere a forma di fiocco di neve, giusto? Forse potremmo trovarle anche qui!”

“Oh, questa sì che è un’ottima idea, però dobbiamo comprare anche l’albero, no? Quello...”

“Quello deve essere assolutamente bianco come la neve!”

“Sì, bianco! - anche Francesca pare illuminarsi – Concordo!”

“Però finto!”

“Finto” acconsente la nostra amica più grande.

“Pieno di decorazioni, palline, illuminazioni e ghirlande, anzi pienissimo, da traboccare!” la più piccola fra noi imita l’ampiezza con le braccia, regalandoci un largo sorriso.

“Mi dispiace però dovervi dire che qui in Grecia non c’è l’usanza dell’albero di Natale come in Italia, anche se, ai giorni nostri, è ormai largamente diffuso!” fa notare comunque Camus, con pazienza.

“Oh, no, e allora come facciamo?! Come fate senza albero?! Che tristezza...”

Per Michela tale rivelazione equivale ad un fulmine a ciel sereno, anche per me. Del resto, ho sempre amato addobbarlo l’8 di dicembre, giorno in cui, tradizionalmente, io, la mamma e i nonni ci riunivamo proprio per questa ragione nella casa su a Carsi. La riempivamo tutta, dal piano terra al solaio, dalla staccionata al tetto, e i risultati erano sempre meravigliosi.

Facevo in tutto tre alberi e relative decorazioni in tre giorni diversi: si partiva con Carsi, per l’appunto, durante l’Immacolata, per proseguire con Genova, l’appartamento che mi ospitava nel periodo autunnale/invernale, tranne i festivi, per poi concludere con la casa di Stevin e suo nonno Mario il primo sabato disponibile dopo l’8. Per me dicembre è sempre stato motivo di grande gioia ma, da contrappeso, quando queste luci hanno cominciato a spegnersi intorno a me, tutto è andato dolorosamente scemando, lasciando un vuoto che, anche se ormai riempito, ogni tanto brucia ancora, senza estinguersi mai del tutto.

“In genere qui vengono addobbati velieri in legno di varie dimensioni, infatti la comunione tra città e mare è molto più forte di qualsiasi altro vincolo e pone le sue radici in un passato antico. Tuttavia, come vi ho accennato poc’anzi, anche l’albero si sta diffondendo, quindi penso che troveremo ciò che cercate. Bianco avete detto?” prosegue ancora Camus, rimuginando sul da farsi.

“Sìììììììììììììììììììììì!!!” trilla Michela, talmente forte da coprire persino il leggero segno di assenso di Francesca.

Stanno andando avanti così da un po’, già da quando eravamo al ristorante, a dirla tutta, e ora pare abbiano trovato finalmente un punto d’incontro. Io non ho partecipato alla discussione, troppo frastornata per farlo, avvolta dai soliti miei pensieri il più delle volte malinconici. Mi dispiace che dia l’impressione di non divertirmi, di essere sempre corrucciata, quando invece già solo questa mezza giornata quasi normale mi ha risollevato il morale per almeno un mese di difficoltà.

E’ stato tutto così bello e perfetto, a partire dal pranzo in stile greco -mi sono candidamente innamorata della cucina greca!- tutto buonissimo e ben servito, ma mi rendo conto di essermi completamente disabituata a questo genere di cose, che pure facevo, e avevo piacere a fare, solo un anno fa. Un anno, già...

La verità è che sono passati solo 365 giorni dalla me di allora, ma è come se ci fosse stata la creazione di un nuovo universo in mezzo, e la formazione di un’altra me stessa totalmente diversa, effettivamente così è, perché adesso non sono più solo io, c’è anche Seraphina con me.

E così sono qui, presente ma non partecipe, sorridente senza tuttavia obiettare o acconsentire se, per l’Undicesima Casa, sia meglio l’oro o l’argento o lo sbirulò. Sono qui, le persone che amo parlano, allegre, dei loro propositi, le sento vicine e sono contenta, ma continuo ad essere perennemente tesa, come se questo piccolo angolo di felicità potesse venirmi strappato crudelmente.

Ed io che festività facevo a Bluegrad? L’ho mai festeggiato il Natale? Vero che era una società matriarcale di impronta sciamanica estremamente povera, ma, proprio per questo, dicembre era forse l’occasione per stare insieme e scambiarsi piccole cose fatte a mano con il poco materiale reperibile. Questo lo so, me lo ricordo, eppure… sono solo frammenti, nulla di nitido, perché non ho libero accesso a proprio tutte le memorie di Seraphina, ancora adesso che è passato del tempo dalla nostra unione. Mi chiedo perché…

Rammento di una notte lontana... era la Vigilia del Natale Ortodosso, stavo giocando con Dègel e Unity in mezzo alla neve. Il loro viso infantile giunge ai miei ricordi come sfumato; il mio, un poco più maturo del loro anche se ancora fanciullesco, tirato dal freddo fino a fare quasi male. Io e mio fratello non ci eravamo vestiti sufficientemente pesanti, volevamo imitare il nostro amico in comune, ma lui poteva permetterselo grazie agli allenamenti con Krest, noi no. Si risolse che entrambi prendemmo la febbre, fummo costretti a rimanere tra le mura del palazzo per più di dieci giorni. Io contrassi una bronchite che mi indebolì notevolmente i polmoni già alla tenera età di 12 anni. Quello svago, quel divertimento, quell’essere me stessa, mi condusse poi, di fatto, alla morte una decina di anni dopo.

Troppo debole per sopravvivere ad un mondo bellissimo e crudele allo stesso tempo.

Bellissimo…

Ma crudele!

Come una mano che si protrae per racchiudere tra le sue dita un fiore che però è troppo fragile...

 

-Nobile Seraphina!

-Uff, anche in questi casi usi l’onorifico, Dé-gel, anf?

Lo avevo sentito entrare timidamente nella stanza dopo aver chiesto il permesso a mio padre nella paura che il suo arrivo potesse nuocermi e farmi stancare.

Lui non sapeva, no, non ancora, che io lo avevo percepito fin dal corridoio, che riconoscevo i suoi passi, prima ancora della voce, e che, infine, pur sveglia, stavo fingendo di dormire nella speranza che si potesse avvicinare. Lo aveva fatto, infine, prendendo posto al mio fianco e rimboccandomi le coperte con fare fin troppo protettivo per avere solo 9 anni. Solo allora avevo riaperto gli occhi, solo dopo essermelo immaginato in tutti i suoi particolari.

-Perdonatemi… vi ho fatto ammalare!

Si era scusato, l’espressione abbattuta, mentre i ciuffi dei capelli a forma di cespuglietto, folti ma ancora corti, si erano smossi appena. Avevo buttato fuori aria, gonfiando le gote, offesa, lui si era allarmato.

-Che succede, avete gli orecchioni?!

Si era agitato nel vedermi così rossa in viso, con quell’espressione tale che sembravo sul punto di esplodere da un momento all’altro.

-T-tu…

-E-eh?!

-Se mi dai del tu, anf, guarisco prima…

Non avevo mai sopportato il voi, mi faceva sentire troppo… distante… slegata dal mondo, da lui, dalla vita… ne ero invece parte indissolubile, di lui, della vita, del mondo.

- N-non posso, voi… sarete la futura principessa di questo regno e…

Mi ero voltata, offesa ancora di più. Con quella storia delle referenza sarebbe andato avanti anni, persino quando, ormai giovani adulti, saremmo stati una stessa carne, così insiti uno nell’altro da essere quasi un solo respiro e una sola voce. Lui dentro di me, io in lui.

I fumi della febbre mi stavano intorpidendo i sensi, avevo costante bisogno di dormire ma non volevo lasciare Dégel.

-Riposate, ora…

-N-no, tu te ne andrai, se io cedo al sonno!

Avevo obiettato, testarda, rifiutando quell’invito, cercando di farmi forza per rimanere cosciente.

-Non me me ne andrò, starò qui, ma… riposate, ne avete bisogno!

-Hai detto che… sarò una principessa?

- Sì

-La tua?

Avevo tentato, titubante. Il pensare di esserlo mi rassicurava. Il mio sguardo sfuggì il suo. Era stato un azzardo e lo sapevo, ma avevo bisogno di conferme.

-E-ecco… sì!

-Se sarò la tua principessa, allora, anf, significa che posso darti anche delle direttive?

Stavo continuando a guardare altrove, le guance più paonazze di prima, più calde, il cuore in tumulto, il mio… così indissolubilmente legato al suo, alla vita, al mondo.

-Certamente, Madamigella!

Si era fatto sull’attenti, come se dalla mia richiesta dipendesse la mia vita. Un po’ era davvero così. Mi ero quindi rivoltata, osservando il soffitto sopra di me, rischiarato debolmente dai candelabri. Infine il coraggio era venuto, estrassi la mano sinistra da sotto, esitando però ancora un attimo a metà strada, tremendamente vergognosa. Ancora non riuscivo a capirne il motivo, mi sarebbe stato chiaro, lampante, solo con la crescita.

-Se non puoi darmi del tu… mi terrestri almeno la mano, anf? Così, forse, guarisco comunque p-prima, anf!

Mi era uscito un tono incerto. Ero stanca, tenere sollevato il braccio anche se di poco mi sfiancava terribilmente, fui sul punto di cedere e abbandonare il braccio sopra le lenzuola, ma lui strinse delicatamente le mie dita con entrambe le sue mani, racchiudendola tra le sue.

-Sono qui, al vostro fianco, lo sarò per sempre!

-Per sempre… è tanto tempo, Dègel!

Gli avevo fatto notare, con un pizzico di paura frammisto alla speranza. Per sempre… che bellissima parola, anche se così difficile da attuare!

-Non abbastanza per dividerci… è qualcosa che rimane incastonato nell’anima, capite? La mia e la vostra… ci riusciremo!

-Sei davvero… un piccolo sogno sfuggevole, proprio per questo, forse, potrai davvero sfiorare l’eterno!

Gli avevo sorriso, grata, guardandolo intensamente. Lui aveva ricambiato silente il mio sguardo, stringendomi più forte la mano per poi accompagnarmi lentamente verso le tenebre, calme, del sonno ristoratore, le mie dita calorosamente racchiuse tra le sue.

Era una promessa troppo ardimentosa e ingenua per essere mantenuta da due bambini che cominciavano giusto in quel momento ad approcciarsi alla vita, era evidente, ma in quell’istante tanto bastava per farmi sentire felice di essere nata, tra le infinite possibilità, proprio in quel mondo meraviglioso che aveva dato i natali anche a Dégel e a mio fratello Unity; un mondo che, tuttavia, per il solo fatto di essere venuti all’esistenza, ci avrebbe, prima o poi, uccisi.

 

“MARTA!”

Mi sento afferrare per un braccio ed essere strattonata, con un pizzico d’urgenza, indietro. Devo divaricare le gambe per non cadere, prima di vedermi sfrecciare una macchina a grande velocità a neanche mezzo metro di distanza. Sbatto un poco le palpebre, accorgendomi che non ho rispettato un rosso e stavo, bel bella, attraversando sulle strisce come se nulla fosse.

“Camus...” lo chiamo, come ridestata, rendendomi conto che è il suo braccio a trattenermi contro di sé. Nello stesso momento Francesca e Michela mi osservano impietrite, devo averle spaventate notevolmente...

“Marta, sei al sicuro qui con noi… - mi prova a tranquillizzare lui, probabilmente avvertendo il mio malessere e il mio senso di smarrimento – Però presta attenzione all’ambiente circostante! Non dico di avere i nervi a fior di pelle come sul campo di battaglia, ma quantomeno stai attenta a dove vai!” mi rimprovera bonariamente poco dopo, lasciando la presa su di me nel rilassare sensibilmente la muscolatura.

“Scu-scusami...” mormoro, scrollando la testa e massaggiandomi le tempie.

“Se non ti piacciono i colori che abbiamo scelto… - prova a fare dell’ironia Michela, ora un poco più sollevata – Piuttosto diccelo e li cambiamo, non suicidarti, altrimenti che facciamo?!”

E scoppia a ridere, dandomi una pacca sulla spalla. Annuisco, tentando di sorriderle, sebbene sia ancora intontita. Al solito sono troppo di , assorbita dai retaggi della mia mente. sto perdendo un momento intimo tra noi, che non si ripeterà più… no, devo rimanere concentrata, Camus ha organizzato questa giornata per noi, per permetterci, tra una battaglia e l’altra, di costruire comunque dei bei ricordi, non posso vanificare i suoi sforzi smarrendomi nel passato, è stato il suo primo insegnamento!

Finalmente dopo altri cinque minuti di passeggiata tra le viuzze illuminate e abbellite, troviamo un primo negozio ben fornito all’angolo di una strada un poco meno trafficata. Ha anche gli alberi, oltre che le luci! Francesca e Michela ci si fiondano dentro come se non ci fosse un domani, sparendo dalla mia vista poco dopo. Io faccio per seguirle, ma Camus mi ferma un attimo, indicandomi di seguirlo verso la vetrina di un altro negozietto più piccolo ma pieno di tante cosucce più particolari e accattivanti. Sembra quasi una bottega, ne rimango incantata ad osservare il trionfo di luci che si percepisce al suo interno. Deve essere specifico delle luminarie, mi chiedo come sapesse della sua esistenza.

“Conosco il proprietario… - mi illustra Camus, posandomi una mano sulla spalla nell’indovinare la domanda non pronunciata– vuoi vedere che cosa offre?”

Faccio sì con la testa, con enfasi, per fargli capire quanto mi ispiri tutto quello, entriamo, la campanella suona, portando un signore di mezza età, fino a poco prima intento a giocare con il cellulare, ad alzare lo sguardo che istantaneamente si illumina.

“Oh, Camus, da quanto tempo che non entri qui, da quando...”

“Da quando abbiamo organizzato il decimo compleanno di Milo, sì, Bemus!” lo saluta cordialmente lui, con un mezzo sorriso.

Da così tanto?! Accipicchia!

“E’ più facile trovarti al Santuario quando faccio il mio secondo lavoro, sì, non sei mai stato troppo festaiolo, Cavaliere di Aquarius! – lo punzecchia in un tono leggermente provocatorio anche se sempre cortese – Quindi cosa ti porta qui stasera?”

Oh, quindi anche quest’uomo è a cavallo tra il quotidiano e la vita al Santuario, non lo avrei mai immaginato. Lo osservo, un poco trepidante, prima di essere letteralmente carpita -ora le vedo bene!- dalle luminarie dietro di lui. Il negozio è più profondo di quanto sembri dall’esterno, c’è un piccolo corridoio che porta ad una sala stracolma di illuminazioni, spalanco istintivamente la bocca meravigliata: sono finita nell’Eden!

“Lei… - mi indica brevemente Camus, tornando poi a concentrarsi sul commerciante – Le piacciono molto le illuminazioni, e tu ne hai di particolari, belle e colorate, puoi mostrarcele?”

Lo fisso stupita, sorprendendomi nel constatare che lui sappia anche questo di me, anche se effettivamente è da quando è calato il sole che mi perdo, con tanto di espressione trasognata, in tutte le luminarie che hanno appeso ad Atene, sia quelle pubbliche che private. Era quindi facilmente intuibile.

“E lei… chi è per te, Camus?” vuole sapere il negoziante di nome Bemus, una leggera smorfia simile ad un sorriso nello scrutarmi con educazione.

“E’ mia sorella minore”

“Ohoho, ma non mi dire, mi ricordo ancora di quando eri un nanetto di un metro e qualcosa con quei folti capelli insolitamente blu… e così il piccolo Cam ha una sorella, ben minore, aggiungerei! - si concede di dirmi, scoccandomi l’occhiolino - Quanto avete di differenza, signorina? 10 anni?!”

Eccone un altro che mi prende per ragazzina quando in verità sto andando per la Maggiore Età… ormai dovrei averci fatto il callo.

“Veramente… - e lo esprimo con il più bel sorriso di circostanza che mi riesce – sto andando verso i 18 anni, ne abbiamo solo cinque di differenza!” sottolineo, velatamente seccata.

“Oh, ma non mi dire! - il negoziante sembra esserci rimasto di sasso, ma si riprende subito – te ne davo almeno quattro in meno!”

“Ci sono abituata...”

“Vero, sì? Ma ciò volge a tuo favore, Signorina, vedrai che quando sarai grande lo apprezzerai di più – mi sorride, tornando poi a concentrarsi su mio fratello – Mi dicevi che avete bisogno di illuminazioni un po’ particolari, giusto? Per interni o esterni?”

“Entrambe” risponde pratico Camus, sempre con quella compostezza che gli è propria.

“Benissimo. Venite con me!”

Bemus ci fa strada lungo il breve corridoio, guidandoci poi verso l’ampia stanza che ho distinto appena entrata nel negozio. E’ il mio turno di rimanerci di sasso, mentre i miei occhi saettano da una parte all’altra, frenetici, e le pupille si dilatano a dimostrazione di quanto mi piaccia tutto ciò che vedo. Luci, luci ovunque!!!

“Avevate delle idee specifiche?” ci chiede ancora professionalmente. Tuttavia il suono della sua voce mi appare distante perché la mia attenzione è tutta per l’ambiente intorno.

“Tu hai delle preferenze, Marta?”

Eh? Odo appena la voce di mio fratello rivolgersi a me. Mi verrebbe da chiedergli se fosse possibile prenderla tutte con noi, ma non riesco ad esprimermi. I molteplici fasci di luce hanno catturato il mio sguardo, che naviga da una parte all’altra della saletta senza mai fermarsi. Ci sono quelle peduncolate, bianco accese, quelle multicolori a bottoncino che passano da colori freddi a caldi, quelle a chicco che brillano più intensamente, neanche fossero da discoteca; e ancora a fiocchi di neve, o a cuori rossi, a corolla o arzigogolate, chi più ne ha più ne metta.

“Ooooooh, le piacciono veramente tanto, eh?” avverto il commento di Bemus e la sua risata contenuta. E’ rimasto al fianco di mio fratello e si gusta la scena insieme a lui, perché io sono partita per la tangenziale, sembro Alice nel Paese delle Meraviglie, quasi inciampo nell’alzare la testa, un capogiro mi scuote, ma non ci do peso: è tutto semplicemente troppo bello!

“Sì, le adora e… - Camus esita un attimo, prima di continuare ad esprimersi – Il Santuario è un luogo molto austero, sterile sotto molto punti di vista. Lei… ne ha passate tante in questi mesi, davvero troppe, e anche le altre mie allieve che mi hanno affidato quest’anno. Vorrei che si sentissero a proprio agio almeno a Natale, che stessero bene, mi… capisci?”

“Perfettamente, Camus!”

Ci passerei ore qua dentro, ma Michela e Francesca sono andate nell’altro negozio, sicuramente avranno già preso un nutrito numero di addobbi, devo decidermi anche io. E tuttavia quali, tra queste luminarie?

La mia attenzione viene infine catturata da una tipologia di luci a cascata, bellissime, adatte alle tende che abbiamo alla Casa dell’Acquario. Potrebbero fare una bellissima figura per ogni stanza, appaiono anche discretamente rilassanti, perché davvero imitano l’effetto dell’acqua e non danno fastidio alla vista.

“Ti piacciono queste?” mi chiede mio fratello, avvicinandosi finalmente a me, prendendone in mano una per studiarsela e pensare dove metterle.

“Uh, sì, ti pare… troppo?”

“Affatto, Marta! - mi passa una mano tra i capelli per tranquillizzarmi – Volevi attaccarle alle tende in modo da fare una cascata di luci?” mi chiede conferma.

“S-sì, p-però...”

“Sono piacevoli a vedersi...”

“Lo pensi anche tu?!” i miei occhi brillano di entusiasmo.

“Sì...”

Sto per ragionare con lui su quante convenga prenderne e dove posizionarle, perché di certo una per ogni camera è veramente troppo, ma la sua decisione immediata mi meraviglia.

“Bemus, ho 7 vani, se escludiamo i due bagni e la biblioteca: 5 camere, la cucina e il soggiorno; vorrei quindi tante luminarie quante sono le stanze, se fosse possibile e, se ce le hai disponibili, ognuna con una sfumatura di colore diversa, però tendente al chiaro senza sforare nell’acceso, devono conciliare il sonno, non l’insonnia!”

“COS… MA DEVI APRIRE UN MUTUO, CAM!!!” gli faccio notare, sbalordita, chiedendomi da dove li peschi tutti quei soldi per poi passare a domandarmi, più ampiamente, come in generale vivano tutti i Cavalieri, visto che nessuno di loro lavora stabilmente.

“Oh, non sarà poi la fine del mondo!” mi sorride di rimando lui, quasi ammiccando con lo sguardo.

Anche Bemus è visibilmente scioccato dalla dichiarazione, rimane per una serie di secondi a fissarlo, certo di avere delle smentite, perché, insomma, Camus lo conoscono tutti, non è affatto un tipo festaiolo… e tuttavia mio fratello, placido, contraccambia lo sguardo con cordialità, aspettando una risposta.

“Non stai scherzando...”

“No”

“P-per sette non credo di averne, ma per cinque, di colori diversi, credo di riuscire ad arrivarci - si arrende alla fine il negoziante, prima di sbattere le palpebre e buttare fuori aria – Sei cambiato parecchio, eh?” nota poi, prendendo la scala per tirare fuori le varie scatole.

“Le circostanze...”

“Un giorno me lo racconterai, se vorrai… - lo ferma Bemus, capendo, forse dal leggero tremore della sua voce, che mio fratello deve essere reduce da non facili esperienze – Quindi dicevamo... una, due, tre, quattro… perbacco, credevo di arrivare almeno a cinque, e invece...”

“Va bene anche così, Bemus, grazie! - acconsente Camus, prima di tornare su di me – E per l’esterno avevi qualche idea, Marta?”

“A-anche per fuori?! - ripeto, allibita, certa anche io di aver capito male. Al suo cenno di assenso, mi ricompongo un minimo – Uh, mmh, quelle!” gli indico le luminarie sopra la sua testa a forma di fiocchi di neve iridescenti.

“Dovevo immaginarmelo!” sorride lui, gli occhi luminosi, che riflettono la luce, come i miei.

“E’ perché così, anche in assenza di neve, sembrerà di avere il tetto dell’undicesimo tempio scintillante di argento!” affermo, sorridendogli radiosa, esigendo un’altra carezza tra i capelli che lui non esita a darmi.

“La neve… vorresti un Natale nevoso, piccola mia?”

“Uhm, mmh, sì, è successo un po’ di volte a Genova che nevicasse la notte della Vigilia. E’… è magico! - dico, sorridendo tra me e me nel ripensare a Dégel e Unity che si tiravano le palle di neve vicendevolmente per poi finire col viso tutto rosso per il dolore, perché in Siberia la Polvere di Diamanti che si adagia al suolo sa essere dura come la roccia, bisogna riscaldarla un po’ nei palmi per poterne usufruire per giocare – Ma a volte capita invece che ci sia altra pressione, che da noi si traduce con la tristissima maccaja!” sbuffo, ricordandomi di inverni talmente uggiosi da far tristezza.

“Capisco... non si può mai dire, magari quest’anno nevicherà anche qui ad Atene!” mi fa intuire le sue intenzioni Camus, sempre con quell’espressione un poco assorta che lo contraddistingue.

Rimango in disparte ad osservare il susseguirsi delle loro azioni, non perdendomi un movimento. Bemus ha preso tutto l’occorrente e ora, con l’aiuto di mio fratello, ripone tutto nelle scatole, dirigendosi poi dal bancone. Li seguo a ruota sopraggiungendo nell’esatto momento in cui Camus tira fuori il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans. Rimango letteralmente sbalordita, quasi folgorata, quando constato che esso conserva delle vistose banconote in euro, vere.

Come ho fatto a non pensarci per tutto questo tempo? Eppure non è un problema di poco conto, perché giustamente anche i Cavalieri d’Oro dovranno mangiare, comprare gli abiti, gli accessori per le case che sono costretti a presiedere, eppure, in tutti questi mesi, mai una volta mi ha sfiorato tale problematicità, proprio come se io stessa mi fossi slegata dalla realtà del mondo di tutti i giorni.

Salutiamo e usciamo, ringraziando per la pazienza. E’ ormai completamente buio quando, carichi come due muli, ci rechiamo davanti al negozio che ha risucchiato Francesca e Michela senza ancora sputarle fuori. E dire che già io pensavo di essermi trattenuta per più del necessario nella bottega di Bemus, ma loro mi superando di gran lunga!

Sorrido di riflesso tra me e me. Devono essersi perse nella scelta degli addobbi, non c’è altra spiegazione. Inspiro ed espiro l’aria fresca dell’esterno, l’atmosfera natalizia così festaiola che sembra quasi far vibrare l’atmosfera intorno a noi. Sono così felice al solo pensiero che tra poco è natale e che lo passerò per la prima volta con mio fratello.

Vi è un’arietta frizzante per trovarci ad Atene, mi ricorda un po’ Genova, ben più fredda di qui. Forse, se continuerà a persistere questa temperatura, non ci sarà nemmeno bisogno del nostro intervento per far nevicare, se così fosse... Una ventata gelida mi smuove la sciarpa, facendomela cadere un po’ sulla spalla, per poi insinuarsi sotto il giaccone e trasmettermi un brivido. Vorrei dire di non avere bisogno di questi indumenti, ma, ahimé, temo non sia così. La strada è ancora lunga...

“Aspetta… - mi dice Camus, posando i sacchetti per poi riavvolgermela intorno al collo – Ti prendi gli spifferi...”

“Gli spifferi… - ridacchio, felice delle sue attenzioni – Non fa così freddo, dai, qui non soffia costantemente la tramontana di Genova!”

“No, hai ragione, ma non si è mai troppo prudenti, ricordati che solo a fine settembre ti sei presa una brutta bronchite...”

“Ma perché ero in Siberia e...”

“Proprio per questa ragione sei ancora suscettibile agli sbalzi termici!”

Non sono mica così debole, uff, quando si convincerà di questo?! Però… mi rende anche felice che sia così protettivo nei miei confronti! Riesce così agevolmente a farmi percepire la sua vicinanza con brevi, semplici, gesti, nonostante si imbarazzi un po’, come ora, che ha discostato lo sguardo e si è messo a guardare fisso da un’altra parte.

“Cam, posso farti una domanda?”

“Dimmi.”

“I soldi, ehm, da dove li attingete, se non…?”

“...lavoriamo?” conclude per me, capendo il succo del mio quesito

Annuisco, facendomi attenta in attesa della sua spiegazione che non tarda ad arrivare.

“Dalla Fondazione Kido...”

“Dalla Fondazione…? Atena?”

“Sì...”

Si è fatto un poco teso nel parlare di lei, che io oltretutto non ho mai neanche visto. Ne è un suo devoto, ha donato la sua vita a lei, alla giustizia che lei imbraccia come archetipo, ma non ho mai avuto impressione che pendesse dalle sue labbra, come invece fanno visibilmente Aiolos e Saga. Mi piacerebbe sapere perché…

“Atena… è di famiglia ricca?” chiedo conferma ad un sentore che già avevo, mentre la mia mente riporta a galla l’idea di Sasha, di come era fatta, così estremamente naturale e delicata.

“La sua incarnazione, Saori Kido, lo è: una delle famiglie più ricche del Giappone!”

Hai capito, questa… furbetta la nostra dea, ha scelto proprio una bella famiglia per…

“Atena è greca, è nata qui, e portata via da Aiolos quando era ancora in fasce per salvarla da Saga malvagio, ricordi?”

Mi mordo istantaneamente le labbra dandomi della malelingue. Quando mi faccio dei pregiudizi non è facile estirparmeli dal cervello; questa Atena, nella fattispecie, non mi sta simpatica, per cui già partivo per la tangenziale, quando invece dovrei ben sapere che lei è stata portata via dal Santuario e solo successivamente adottata da Mitsumasa Kido. Non ha scelto quindi lei di nascere in una famiglia ricca, sono state le circostanze

“Kido… come Hyoga”

“...”

“Il nonno adottivo di Atena è… il padre di Hyoga, vero? Il Cigno ne parla a stento, deve detestarlo parecchio, non mi meraviglia visto che… EHI!”

Camus si è ammutolito, irrigidendosi nel sentire il nome del suo allievo. Non ho il tempo per esprimere le mie scuse che lo vedo prendere e andarsene, allontanandosi da me per avvicinarsi all’entrata del grosso negozio che ha sedotto le mie amiche. Mi affretto ad arrancargli dietro.

“Cam, scusami, io...” inizio, mortificata, prima di sbattere contro la sua schiena perché si è fermato all’improvviso.

Si gira quindi verso di me, contrae un poco le sopracciglia nel vedere la mia espressione avvilita, prima di tentare di rassicurarmi: “Marta, non c’è bisogno di chiedermi scusa, è solo...”

“ECCOCIIIIIII!!!”

Ritornano Francesca e Michela, paiono loro due alberi di Natale da quanto sono addobbate, tra palline, colombe, ghirlande, luci, festoni e chi più ne ha più ne metta. Ridacchio compiaciuta.

“Non vi siete trattenute...” faccio notare, con un leggero sbuffo divertito.

“Ebbene, neanche voi!” ribatte Francesca, occhieggiandomi.

“Queste sono illuminazioni e decorazioni per la casa… una per ogni camera”

“E queste per l’albero” mi mostra i colori blu e dorati Francesca, mettendosene uno al collo come se fosse una sciarpa.

“Ma non c’era l’albero bianco...” sbuffa Michela, triste e corrucciata.

Guardiamo tutte e tre di riflesso Camus come se ci aspettassimo il verdetto dell’oracolo.

“Nell’agorà, la piazza principale, e storica, di Atene, si tiene sempre un mercatino di Natale con i banchetti e i più svariati oggetti. Potremo dare un’occhiata là” ci propone lui con un cenno.

Annuiamo in sincrono, seguendolo trepidanti mentre lui ci fa strada. Si è fatta ormai sera, la luce del sole ha già ceduto, perché le tenebre sono ancora troppo fitte… mi ritrovo a pensare che fortunatamente ciò avrà presto una fine, essendo noi prossimi a ‘Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia’, come amava ripetere mia nonna ad oltranza. In effetti, la festa pagana di quello che poi i Cristiani hanno chiamato Natale, l’ho sempre sentita molto vicina, essendo una festività legata al Sol Invictus: l’oscurità comincerà piano piano a retrocedere, le giornate torneranno ad allungarsi, perché la vita è sempre, sempre, più forte della morte. Devo solo resistere.

Per il momento comunque, le luminarie, questo brivido che sento a causa del fresco e, nondimeno, la nuvoletta che esce dalla mia bocca quando respiro, mi riscuote almeno un minimo dal torpore, portandomi a godere pienamente di quest’attimo che mi è stato concesso.

Arriviamo finalmente al mercatino nominatoci da Camus… è davvero immenso e grande, circolare, pieni di banchetti e botteghini con i più svariati oggetti e cosucce particolari, dalle pietre, alle ghirlande, ai ciondoli, anelli, scaldacollo, coperte, spezie, marmellate, barattoli di miele esposti in bella mostra allo scopo di catturare la curiosità dell’acquirente. E’ di sicuro incantevole e caratteristico, anche se non come quelli che mi è capitato di vedere in Valle d’Aosta o in Trentino, a Merano e Bolzano, lì c’era proprio tutta un’altra atmosfera, oltre a fare più freddo e spesso nevicare, il che, da solo, rende tutto più eccitante e, ancora una volta, magico.

Numerosi banchetti vendono imbarcazioni luminose che attirano la nostra curiosità. Come ci è stato raccontato, la devozione degli ateniesi verso il mare non è mai del tutto scemata, del resto non è forse vero che Atena e Poseidone avevano gareggiato per diventare la principale divinità della città? All’epoca vinse la dea della saggezza, ma la polis è comunque rimasta intrinsecamente legata alla distesa marina prospiciente.

Alla fine, con il benestare di Camus, decidiamo di prendere anche una piccola imbarcazione tutta luminosa, probabilmente la metteremo all’ingresso del soggiorno in modo da poter essere vista da tutti coloro che ci verranno a trovare.

Dopo un giro intorno, carpite da tutte le forme, i colori, e gli oggetti, finalmente arriviamo ad una bancarella che vende Alberi di Natale e… c’è anche quello bianco ed è bello alto!!!

Tutte contente di aver finalmente trovato il nostro obiettivo, lo compriamo subito, cercando di arrangiarci a barcamenarci in due a portarlo, ma siamo mezze inchiappettate, nonché cariche, e allora deve intervenire Camus che, con naturalezza, se lo posa sulla spalla destra, come se neanche pesasse.

A questo punto, il tour potrebbe pure concludersi, abbiamo preso tutto, ma le mie amiche insistono per girovagare nel mercatino ancora per un po’, totalmente euforiche, ed io mi unisco a loro, mentre mio fratello va a sistemarsi su una panchina, l’albero e le borse con lui. Ci aspetterà lì, dice.

Faccio quindi un giro con loro, ricordando i bei vecchi tempi, lasciandoci incuriosire dalla merce in esposizione. Io vengo attratta dalle pietre, una più bella dell’altra, ma, con mia somma soddisfazione, vedo che non hanno la Charoite. Deve essere davvero un minerale raro, non facilmente reperibile o comunque non disponibile proprio ovunque, ciò mi rende ancora più felice di averglielo regalato a mio fratello. Anche Michela e Francesca sono attratta dall’esposizione, ma poi l’occhio della più piccola tra noi viene attirata da dei peluche di un altro banchetto e parte in quarta, in corsa. Tra gli animali raffigurati vi è un cigno candido, un Trudi. La vedo andare letteralmente in visibilio, euforica più del solito: è il regalo perfetto per Hyoga!

“Un peluche? - chiede però Francesca, non troppo convinta – Ha affrontato nemici insidiosissimi e tu gli vuoi regalare un pupazzo del genere?!”

“Perché non lo dovrebbe apprezzare? - si lagna Michela, punta sul vivo – Solo perché è un Cavaliere non può amare la dolcezza?! Io vado!”

“Non credo abbia mai avuto un peluche in vita sua...” tento io, inarcando un sopracciglio. Dubito che in Siberia avessero di simili giochi, sarebbe quindi il primo e, ok che ha quasi 17 anni, ormai, il ragazzo, ma forse potrebbe apprezzare.

“Appunto, non ha senso farglielo adesso!” esclama Francesca, pratica.

“Io invece penso proprio di sì, vado!” ribadisce Michela, con una smorfia.

Ed effettivamente va, convinta, a chiedere il prezzo non aspettando nemmeno la risposta dell’amica.

“Tu regalerai qualcosa a Deathy?” chiedo a Francesca, interessandomi della sua relazione con Cancer.

“Non saprei… sai che non mi piace fare i regali obbligati per le festività”

“Ti capisco, ma lui è italiano come noi, quindi conosce bene il Natale… - abbozzo un sorriso, prima di farmi venire il dubbio – Credo, penso… ehm!”

“Non penso proprio abbia passato dei bei Natali prima di giungere al Santuario, sai? E dopo ancora meno, temo...” mi dice, rabbuiandosi.

Effettivamente non credo che qualcuno dei Dorati Custodi sia mai riuscito ad essere spensierato come solo un bambino potrebbe essere. Strappati dalle proprie famiglie, costretti ad allenarsi e sforzarsi di crescere… e tutto per una dea, Atena, che ha bisogno di uomini per assecondare la sua idea di giustizia.

Anche il mio volto si è fatto cupo, adesso. Mi sto rendendo conto di non riuscire minimamente ad abbattere i miei pregiudizi, l’influenza di Mantus non fa di certo bene, ma io stessa sto sviluppando una sorta di astio -che probabilmente già avevo nella mia precedente vita, anche se ben celato!- verso la dea che si sono ritrovati a servire. Non capisco, continuo a non capire tutta questa devozione, a me sembra una setta come quasi tutte le religioni e nient’altro.

“Comunque... proprio per questo spero di passare con lui la vigilia, di fare qualcosa di speciale per… distrarlo, ecco!” si confida lei, arrossendo un poco nel manifestare il suo coinvolgimento emotivo.

“Quindi.. il 24 sera saremo orfani di te!” le sorrido, dandole una gomitata amichevole tra le costole.

“E-ecco, io… credo di si!” bofonchia, guardando adorabilmente altrove.

Finalmente Michela torna con un nuovo pacco e il muso del cigno Trudi che sbuca dal sacchetto. Da distante non sembrava, ma… è bello grosso e morbidoso!

“Ho preso due cosine anche per voi, le ho già fatte impacchettare” ci dice, con un largo sorriso.

“Oh, Michy, non dovevi...” biascico, imbarazzata. Io sono sempre stata una frana nel fare i regali.

“Oh, è un piacere… però non li aprirete tassativamente fino al 25, chiaro?” si raccomanda, squadrandoci con serietà.

“Chia-chiarissimo!” esclamiamo in due, scoppiando poi a ridere tutte insieme.

Questo momento tra noi che sfiora la normalità, questo apparire (quasi) come delle ragazze normali… ci voleva proprio, come una boccata di ossigeno!

Dopo un nuovo giro, veniamo attratte da un bancone che fa roba calda, dalle cioccolate, ai tè speziati, ad altro. Ci rechiamo istintivamente lì, desiderando qualcosa per scaldarci. Io opto subito per una cioccolata calda, ma poi mi ricordo che Camus è ancora seduto sulla panchina, in attesa, e che forse anche lui vorrebbe qualcosa per scaldarsi lo stomaco. Raccomandandomi quindi di prendere già ciò che vorrebbero loro, torno indietro, raggiungendo nuovamente mio fratello.

Lo ritrovo nella stessa posizione di prima, l’albero e i sacchetti al suo fianco. Sta con gli occhi chiusi, le gambe un poco aperte e le braccia sull’appoggio dietro, come se si stesse concentrando sui suoni intorno e sui profumi, più che su ciò che potrebbe vedere. Sorrido intenerita tra me e me, avvicinandomi a lui. Rispetto agli indumenti che indossano gli altri, tra giacconi e cappotti, lui si è messo solo una leggera felpa nera sopra la maglia, più per cercare di passare il più inosservato possibile -perché, insomma, vedere uno smanicato ad inizio dicembre non è poi cosa da tutti i giorni!- che non per necessità vera e propria. Del resto, non percepisce minimamente il freddo, se fosse per lui, se non fosse così imbarazzato dal suo corpo, potrebbe persino girare con i soli pantaloni che tanto non prenderebbe neanche il raffreddore!

“Michela, Francesca ed io abbiamo trovato un banchetto che vende roba calda, hai bisogno di qualcosa?”

Lui apre elegantemente gli occhi a seguito della mia domanda, per un istante le sue iridi e il suo volto vengono completamente rischiarate dalla luminaria sopra le nostre teste.

“Vin brulé… se ne hanno!”

Andiamoci di alcolici, eh, fratello, ma che bravo!

“D’accordo, te lo porto subito” gli dico, facendo per allontanarmi.

“Aspetta, ti devo dare i soldi...” mi ferma, compiendo il gesto di prendere il portafoglio che tuttavia viene bloccato tempestivamente da me.

“Oh, non morirò, e non morirai tu, se, per una volta, sarà tua sorella ad offrirtelo!”

“Con quali soldi?”

“Con quelli con cui ero partita quest’estate per venire in Grecia e mai spesi! – gli spiego, con naturalezza, mostrando una faccia buffa – Arrivo subito, Cam!”

Vado, compio la mia missione, predo per me una cioccolata calda e per lui quanto ha chiesto, prima di dire a Francesca e Michela di fare con calma per poi tornare da lui. Rispetto a prima, ha piegato un poco la la schiena in avanti e ha i gomiti poggiati sulle cosce, gli occhi aperti, anche se oscurati da un qualcosa che non riesco bene a capire. Sembra pensieroso… cioè, più del solito, ecco!

“Rieccomi!”

“Grazie...” mi sorride, prendendo quanto gli porgo per poi raddrizzarsi e rimanere diversi secondi ad annusare il profumo intenso, di cannella e chiodi di garofano, del Vin Brulé, un po’ troppo forte per i miei gusti ma non per i suoi. Mi sistemo al suo fianco, prendendo a soffiare sulla mia cioccolata calda. Rimaniamo diverso tempo così, in silenzio, io ad osservare, abbagliata, le luci, lui a continuare a sorseggiare il suo bell’intruglio.

“Scusami… se tendo a non parlati spesso di Atena” mi dice ad un certo punto, meravigliandomi non poco.

Oh, di tutte le cose di cui potrebbe trattare ora si è fissato con questa, la meno importante… che tipo strano!

“Figurati… non è comunque uno degli argomenti che più mi interessa, anche perché ho più o meno capito che non… come dire, non scorre buon sangue, o meglio, non ne parli di certo con la stessa devozione di Aiolos e Saga, per citarne due!”

“No, infatti… - mi conferma lui, facendosi ancora più serio – Ho sempre avuto troppi dubbi in vita mia per essere un suo… adepto… ma le devo obbedienza, sono Cavaliere d’Oro, quindi tra i suoi fedelissimi...”

“Ed è necessariamente un male, questo? Avere dei dubbi?”

“Sì, se devi agire come un soldato...”

“Sei troppo intelligente per seguire una direttiva senza porti le domande, Cam...”

“Può darsi, ma tu non devi seguire la mia via, piccola mia, quella di uno spergiuro!”

Mi acciglio davanti a quella frase che ha assunto connotati un poco gravi, così come il suo sguardo limpido, che si staglia nel mio, portandomi a capire che la questione è della massima esigenza.

“Temo sia troppo tardi, Cam...” gli sorrido, facendo per alzarmi e raggiungere le mie amiche, ma lui mi prende per il polso.

“No, Marta, sono serio! Non seguire la mia via, non...”

“Sei tu il mio mito, Cam, non… Atena… - faccio presente, un poco nervosa, mentre qualcosa di oscuro e informe si muove dentro di me – Come potete pensare che io e le altre, arrivate dopo nel vostro mondo a sé, cresciute su altre fondamenta e principi, possiamo anche solo seguire una dea che non abbiamo mai visto e che vi ha rovinato l’infanzia?!”

“MARTA! - il suo tono è salito notevolmente, la piega delle sue sopracciglia si è arcuata notevolmente – E’ grave ciò che stai dicendo, ed è ancora più preoccupante quando lo esprimi al Nobile Shion. Stai rischiando troppo e… e per cos...”

“Per te! Perché non mi frega di salvare il mondo o combattere per una dea greca, io voglio proteggere te, le persone che amo, non combattere per ideali di una che… - fremo, non sapendo se dirla tutta fino in fondo – che neanche muove il suo divino culo per salvare i suoi Cavalieri, facendoli anzi combattere in sua vece!”

“MART..! - Camus sembra piuttosto agitato, questa è una di quelle volte che non lo capisco, non comprendo la sua reazione così spropositata per una inezia simile – Tu non sai bene le cose, come sono andate, non puoi giudicare, e...”

“Mi basta vedere con questi miei occhi le sciocche leggi a cui siete sottoposti! Il non legarsi ad altri vincoli, le maschere per le Sacerdotesse, le gerarchie... Sasha, nel passato, si è manifestata, era piccina ma grintosa, questa Saori invece… dov’è?! Dov’era quando tu hai rischiato di morire per le ferite al torace?! Dov’era quando il Santuario, settimane fa, è stato attaccato?!”

“Atena si sta prendendo cura del Cavaliere di Pegaso rimasto ferito gravemente nella battaglia contro Hades. Inoltre ha una missione della massima segretezza...”

Me l’ha detto anche Kanon, questo, ma ho comunque la sensazione che il fratello di Saga ne sappia molto di più… beh, al momento non mi importa!

“Ah, ma non mi dire, si sta prendendo cura della sua pedina preferita, fregandosene di voi? Wow, che esempio di dea!” commento, sarcastica, inarcando un sopracciglio.

“Marta, nessuno ti sta chiedendo di diventare Sacerdotessa Guerriero, non è il futuro che voglio per te, ma… ma cerca almeno di tenere un profilo basso, quando siamo al Santuario, di non esprimere a viva voce questo tuo pensiero ai quattro venti, tanto meno a Shion! Sei troppo sprezzante e avventata, rischi di metterti nei guai, così facendo, e già tuo fratello non è un pozzo di esempio di fedeltà...”

“Perché, Cam? Hai fatto tutto quello che potevi… per lei!”

“Ero dalla parte sbagliata del Santuario, ricordi? E ho sempre avuto dei dubbi sul conto del Grande Sacerdote, è vero, ma ciò non mi ha impedito di combattere contro i Cavalieri di Bronzo, anche se avevo ormai compreso che Atena fosse dalla loro parte...”

“E’ per Hyoga che lo hai fatto… per lui, per farlo crescere!”

“Sì, hai ragione… - acconsente, tornando a piegarsi un poco in avanti, contrito – Ho sempre messo il mio dovere di maestro davanti a quello di Cavaliere...” mi rivela, un poco tremante.

Mi calmo davanti a questa rivelazione, che in verità conosco benissimo, ma è la prima volta che lo ammette candidamente qui davanti a me.

“Lo so, fratellino...”

“E’ un qualcosa che un Cavaliere, a maggior ragione se facente parte della Dorata Cerchia, non può permettersi: la dea prima di tutto, non… gli allievi!” riprende, tremando un poco. La tazza un po’ meno fumante tra le sue mani.

“Cam, ti si raffredderà… - gli faccio notare, sorridendo, indicandogliela, lui se la porta alla bocca, buttandola giù in un altro sorso – E’ ciò che ti rende speciale!” continuo poi, riprendendo posto al suo fianco e tornando a sorseggiare la cioccolata calda.

Lui mi osserva stupito, regalandomi una delle espressioni più dolcemente sorprese che io abbia mai potuto scorgere in lui.

“E’ ciò che ti rende speciale, questo… - sottolineo, tornando a guardare le luci sopra la mia testa. Sono così belle, rimarrei tutta la sera a contemplarle mentre chiacchiero con lui – Questa devozione che tu hai, non solo per i tuoi allievi ma per tutte le persone che ami!”

“Marta...”

“Non sei un Saga, che vive di assoluti per la dea, per la giustizia… non potendoselo neanche permettere, dato quello che ha fatto! - commento, ridendo tra me e me e riconoscendomi davvero terribile in certi frangenti – Ma sei un uomo che darebbe la vita per chi ama, per gli allievi, che considera come figli, per gli amici, che considera fratelli… anche se tendi a nascondere questo tuo lato così sensibile” lo punzecchio, dandogli una gomitata scherzosa.

“...”

Ma guardalo come si imbarazza, guarda altrove ed è arrossito, scommetto che ha anche la gola secca e, se non continuerò io, non riuscirà più a spiaccicare parola.

“Per questo voglio prendere esempio da te, vorrei essere come te, Cam...”

“Non sono un buon Cavaliere d’Oro, Marta...”

“Ma un uomo eccezionale sì!”

“No, neanche quello...” scrolla il capo, sorridendo amaramente, accartocciando il bicchiere per poi buttarlo nel cestino di fianco.

“Pigna secca! - gli punto il dito contro che va a finire sul suo naso, quasi facendolo sussultare dato il gesto un poco brusco – E testone sopra ogni dire!”

Ovviamente non risponde, continua a guardare altrove, come sempre quando si sente a disagio. Sospiro, posando a mia volta il bicchierino al mio fianco per poi lasciarmi andare dolcemente contro la sua spalla, sulla quale mi appoggio, totalmente in pace con me stessa. Rimaniamo per diversi secondi così, i suoi occhi navigano verso le luminarie sopra le nostre teste, la sua mente, lo so, persa in cento, forse mille, congetture.

“Promettimi almeno che sarai più prudente, da adesso in avanti, che non sfiderai le gerarchie del Santuario...” mi dice ad un certo punto, sospirando.

“Ti farebbe stare più tranquillo, questo?”

“Moltissimo...”

“Allora ci proverò, Cam...”

“E anche... che tenterai almeno di ammorbidire i preconcetti che ti sei fatta su Atena...”

“Devo per forza?!”

“Non è saggio giudicare qualcuno che neanche si conosce...”

...ma che indirettamente ha fatto male a te, fratellino, e che ti fa sentire inadeguato, per me è una ragione più che sufficiente! Prendo un profondo respiro.

“Eeeeek, un poco più difficile questo, ma ne possiamo parlare… forse...”

“E’ importante, Marta, io… - esita, non sapendo se continuare o meno – E’ vero, preferirei buttarmi nel fuoco per te, o per Michela, o Francesca, piuttosto che la dea che dovrei servire ma… ma sono Cavaliere d’Oro, vedi, ho dei doveri e… vorrei che provassi a capire, piccola mia, come io mi senta...”

Riapro gli occhi, osservando i passanti trafelati e carichi di sacchetti che si avvicendano davanti a noi, tutti con i loro sogni, ideali e progetti in testa. Io non so ancora dove sbattere la testa, cosa diventare, ma, di sicuro, so cosa NON essere e CHI voglio proteggere. E, per fare questo, devo necessariamente diventare più forte.

“Va bene, sì, ma solo… solo se comincerai a stimarti un po’ di più, Camus!”

“Marta...”

“Non sei un fedelissimo della dea, ok, e quindi? Ciò ti rende meno degli altri? Sei morto per ciò che credevi, per far progredire Hyoga, sei resuscitato come Specter per consegnarle l’armatura di Atena e, al Muro del Lamento, hai dato tutto te stesso per un futuro migliore… sei un uomo, e un Cavaliere, straordinario, non hai nulla di meno di Shaka, o Aiolos, ricordalo sempre!”

“...”

E’ sempre più imbarazzato, lo posso ben percepire, ridacchio sotto i baffi, stringendogli il polso per rassicurarlo.

“E, cosa più importante, io non ti scambierei come fratello maggiore con nessuno, NESSUNO!” gli assicuro, totalmente rilassata.

Lo avverto tremare appena davanti alla mia manifestazione genuina, poi lentamente mi cinge il fianco, portandomi ancora più vicino a lui in un mezzo abbraccio. Io mi crogiolo, tornando ad accarezzargli il polso e il bracciale di pietre che gli ho regalato e che tiene indosso.

“Ed è questa, per me, la cosa in assoluto più bella, Marta...” si confida, stringendomi anche con l’altro braccio, mentre con la mano mi accarezza un poco vicino all’orecchio come solo lui sa fare.

Sei eccezionale sopra ogni dire… quanta strada devo ancora compiere per essere come te?

“Camus...”

E’ il mio turno di tremare, mentre gli occhi sfuggono altrove e la gola mi si fa secca. Lui percepisce il leggero malessere che mi ha volto, lo vedo sporgersi verso di me, ma io sono più veloce di lui ad esprimere il quesito che mi attanaglia.

“Sono… almeno un po’ simile a te, Cam?” gli chiedo, girandomi forzatamente verso di lui nello scrutare il suo viso parzialmente illuminato.

“Marta, che cosa stai..?”

“Ehi, pulcini abbracciosi, qui abbiamo finito!” esprime vivacemente Michela, sopraggiungendo come fulmine a ciel sereno.

Neanche starlo a dire, noi due ci stacchiamo subito, alzandoci tempestivamente in piedi per fingere disinvoltura prima di guardarla in faccia e abbozzare un sorriso.

Lo sguardo di Camus naviga sui sacchetti che tiene la mia amica, soffermandosi un poco di più sul musetto del cigno Trudi che trapela fuori con il suo becco arancione e il lungo collo. Lo osserva ma non dice niente, preferendo non indagare in una faccenda che non lo riguarda.

“Avete comprato tutto quello che serve?”

“Sì, oserei dire che abbiamo perfino esagerato un pochetto” afferma Francesca, grattandosi la testa.

“Quindi fine della giornata quasi ordinaria?” chiedo, un poco triste nel dover rientrare in un mondo che di ordinario non ha proprio nulla. Le mie amiche fanno sì con la testa, un poco rabbuiate anche loro.

Già, sono davvero soltanto attimi di rilassamento, se paragonati alla tensione che alberga in noi giorno e notte, per non parlare della situazione al Santuario…

Camus ci osserva per un po’, poi da una mezza pacca sulle spalle a me e Francesca, le più vicine a lui.

“Lo rifaremo, se vorrete...” dice, voltandosi per prendere l’albero e tutte le luminarie.

“Da-Davvero?!” trilliamo felici, gli occhi luminosi.

“Appena possibile!” ci assicura lui, con un sorriso, iniziando a camminare avanti a noi.

La promessa di costruire ricordi insieme, già… il pensare che avremo altre giornate così, da vivere insieme, rende un po’ meno pesante questo senso di oppressione che alberga nel mio cuore.

 

 

* * *

 

 

“...quindi ha cominciato a farsi la cura per i capelli, capite?! Mi ha spiegato cosa è successo durante l’attacco al Santuario. Dovreste vederlo ogni sera quanto sta allo specchio a passarsi gli oli essenziali per rinforzarli, è adorabile!” esclama Sonia, ridacchiando con enfasi, imitando il gesto di passarseli sui suoi lunghi ciuffi castani.

“E povero Milo, c’ha proprio il trauma allora, aha!” ride gioviale Michela, dondolando sul divano dopo aver posato il piatto di carta con le briciole della torta di cioccolato preparata da mio fratello.

“Beh ma posso capirlo! - lo difende Francesca, partecipe della sua situazione – Io l’ho visto come è invecchiato… male, ehm... e lui lo rammenta bene, contrariamente a coloro che sono involuti che, fortunatamente, non hanno alcun ricordo di quel che è successo. Ci credo che adesso si sia fissato!”

“A parer mio… - riprende la parola Sonia, con un sorriso furbetto – Sta un po’ esagerando, se continua così diventerà pelato per tutti i prodotti di dubbia provenienza che sta...”

“Cos’è, una riunione a chi riesce a prendermi per il culo maggiormente?! Tanto la vinci sempre tu, Sonietta!” salta su proprio lo Scorpione, appena tornato dal bagno.

“Io sono stata zitta, ascoltavo e basta!” mi affretto a riparare, alzando le mani come ad indicare la mia innocenza.

Stasera abbiamo invitato Milo e Sonia a cena sempre per il compleanno di Francesca. Mio fratello ha voluto cucinare nuovamente, ma lo abbiamo obbligato ad assumerci come assistenti e lui, preso totalmente in contropiede, si è ritrovato costretto ad acconsentire. Solo che dopo la cena è uscito fuori dal suo tempio e non è più rientrato, mi chiedo cosa sia andato a fare.

I piatti erano tutti buonissimi naturalmente, compresa la torta a doppio strato di nutella. Una bomba calorica mica da ridere, ma squisita. Io però ho ancora un certo languorino, vado quindi ad ispezionare il frigo in cerca di qualche frutto.

“Comunque… - riprende il discorso Michela, facendosi seria e pensierosa come accade di rado – i nemici, la cerchia del Mago, sono davvero terribili. Questa volta ce la siamo cavata, ma la prossima...” la vedo rabbrividire, non riesce a concludere la frase.

“Per questo dobbiamo diventare molto, molto, più forti!” qualcosa balugina negli occhi di Francesca, che si siede a sua volta sul divano, posando la mano sul bracciolo. Fortunatamente si è ripresa bene dalle ferite, del resto è una divinità, ma ho come la sensazione che la battaglia che ha avuto contro colei che viene chiamata Clio, una Musa decaduta, le abbia incrinato qualcosa dentro, anche se, al suo solito, come il suo maestro, cerca di nasconderlo.

“Voi siete state più che eccezionali in quella battaglia... – le rassicura Milo, in tono pacato, mentre Sonia ed io ci scambiamo un’occhiata corrucciata – Siamo molto fieri di voi e, sì, è vero, tutti noi, non solo voi, dobbiamo urgentemente diventare molto più forti di così, ma, per il momento… TORTA!”

“MA MILO!!!” lo riprende Sonia, occhieggiandolo lungamente, non aspettandosi un tale risvolto.

“Che c’è?! Voglio la mia torta!”

“MA SE TE NE SEI MANGIATO GIA’ DUE PEZZI!!!”

“Non c’è due senza tre!”

Risate generali che sollevano il morale di tutte noi. E’ sorprendente davvero l’intuizione dello Scorpione, così come il suo buon cuore. Si è accorto che la serata stava prendendo una piega infausta, si è subito reso conto delle nostre paure verso il futuro che ci attende, e quindi ha spazzato via le insicurezze, portando noi a concentrarci sul presente, su questo breve, intenso, momento di felicità tra noi.

Sorrido tra me e me, tornando ad ispezionare il frigo pieno di alimenti. Nel cassetto in fondo a sinistra noto che c’è un contenitore di litchi, frutto esotico non propriamente di qui, nonché uno dei miei preferiti perché assai succoso e molto dolce. Mi viene immediatamente voglia di addentarli e mangiarne una manciata, cosa che non esito a fare, afferrandone cinque per poi prendere un piattino, un coltello e iniziare ad aprirli.

Nel frattempo Milo si sta gustando la terza fetta di torta con ingordigia, non so come faccia a mangiare porcate senza star male o ingrassare di un grammo, deve avere la flora batterica in armamento da battaglia, non c’è altra spiegazione.

E’ tutto così tranquillo stasera, vorrei che fosse così sempre. Vorrei non avere continuamente questa paura viscerale di morire il giorno dopo o di perdere le persone che amo. E’ così difficile questa vita, se poi penso che per loro, per i Cavalieri, non c’è mai stata alternativa a questo…

Dopo le battute di Milo è tornato il buonumore, parliamo del più e del meno, come in una normale serata tra normalissimi amici. Solo Michela è un po’ estraniata, tace per la maggioranza del tempo, cosa assolutamente non da lei, si strofina le due mani tra le cosce, come se fosse nervosa. Solo dopo una decina di minuti trova il coraggio per aprire il dibattito su una questione che le preme molto.

“Mi chiedo… sono passate più di due settimane, come starà Hyoga? Non si è… più fatto vivo!”

Effettivamente del Cigno si è persa ogni più piccola traccia, deve aver azzerato il suo cosmo per celarsi, per non farsi raggiungere, ma da quanto mi hanno riferito si starà certamente rimettendo in sesto dopo le ferite subite in battaglia, sì, deve essere così.

“Michy… - la voce di Milo è tornata nuovamente gentile nel percepire il profondo rammarico della mia amica – Hyoga è un testardo che si convince di cose non vere. Parola mia, quando fa così lo prenderei e lo appenderei al lampadario, ma… sa quello che fa, è avveduto, credimi. Avrà semplicemente pensato che, per il momento, è meglio mantenere le distanze per…”

“Per..?” lo proviamo a incentivare, notando che esita.

“IN VERITA’ NON LO SO, CAZZO… E’ UN COGLIONE COME IL SUO MAESTRO!” sbotta, nervoso, facendoci pigliare un colpo.

Milo si massaggia le tempie, fa un’espressione ambigua tra l’esasperato e… l’ancor più esasperato, ma sufficiente per procurare uno sbuffo divertito a Michela, prima di riprendere il discorso e farsi ancora più serio.

“Non so cosa gli frulli per la testa a quel ragazzo… Camus ha bisogno di lui, lo ha ampiamente dimostrato. Nel dormiveglia cui lo hanno costretto i primi giorni dopo la battaglia contro Utopo, lo invocava disperatamente nel sonno… - ci racconta, sospirando, e a me viene una fitta al cuore nel sentirlo - Da quando poi è riuscito a rimettersi in piedi, non c’è sera che non passi una buona mezz’ora fuori, cercando di rintracciarlo, accarezzare il suo cosmo con il proprio, non riuscendoci, per poi tornare dentro dopo vari tentativi con la faccia da cane bastonato. E quello là non risponde, non sembra neanche capirlo, non so se è scemo o… ma è suo allievo, ha preso tutto da lui, anche questo! DUE IDIOTI SONO, l’ho sempre detto io, mi fanno una tale rabbia!!!”

“Milo… Hyoga lo ha salvato, Camus è vivo grazie a lui!”

“Eeeeh, lo so questo, Michy, sarebbe una ragione in più per tornare, visto quello che hanno passato...”

“Ma si sente in colpa e indegno. Prima di andarsene ha detto qualcosa che… che mi ha spaventata!”

“Cosa?” si intrufola Sonia, di colpo attenta.

“Che l’avrebbe fatta finire lui questa storia e… di prenderci cura di Camus al suo posto. Ha inoltre aggiunto che non poteva tornare perché ci avrebbe messo in pericolo...”

Un brivido scorre sulla schiena di tutti i presenti, lo percepisco bene dalla piega degli sguardi. Ingoio a vuoto.

“Non è che...”

“MA FIGURIAMOCI!”

L’abbozzo di frase di Francesca viene tranciato di netto da Milo che, quasi ringhiando per l’impotenza, stringe una mano a pugno, prima di guardare altrove.

“Non è un dissennato, come dicevo prima, ha sale in zucca e sa quello che fa. A meno che...”

...A meno che non si tratta dei suoi affetti, e allora lì sragiona, come il maestro, e Camus è il suo pilastro centrale!

Riesco a comprendere bene quello che sottace Milo, forse lo intuiamo tutti ma lo rigettiamo con tutte le nostre forze. Non può essersene andato da solo, ferito, a vedersela con Fei Oz, no, non può averlo fatto!

“E’ andato a curarsi alla Fondazione Kido, questo lo so per certo perché Shun, il Cavaliere di Andromeda, ha avuto premura di chiamarci per avvertici. - ci spiega Milo, passeggiando nervosamente per la cucina – E’ ferito gravemente ma lo stavano curando, non avete di che temere”

Anche questo è vero, del resto è stata la prima cosa che mi ha spiegato mio fratello quando ho chiesto di lui, ma il punto è un altro, ed è una questione che nessuno di noi ha il coraggio di tirare fuori, e cioè che fino a qualche giorno fa il suo cosmo si percepiva ancora, anche se timidamente, invece adesso…

Lasciamo volutamente il discorso in sospeso, ognuno perso nei propri pensieri. Io butto il guscio dei litchi nel cestino dell’organico, dirigendomi poi, cogitabonda, verso la finestra. Cerco di scorgere mio fratello fuori, ma deve essere dall’altro lato perché non lo vedo. Lo percepisco molto triste e abbattuto… di nuovo vorrei raggiungerlo, consolarlo, ma non capisco se sia il caso. E’ così difficile muoversi tra i sentimenti…

“Secondo me lo è, il caso, intendo!”

La voce di Milo mi fa prendere un sobbalzo. Mi volto, ritrovandomelo vicino con un leggero sorriso stampato in faccia. Non parlo ma lui capisce tutto dalla mia espressione perplessa.

“Ti stavi chiedendo se fosse il caso di raggiungere tuo fratello per vedere come sta, giusto? Secondo me lo è...”

“I-io sì… ma non so se lui avrebbe piacere, è… difficile da raggiungere quando è così!” bofonchio, osservando il mio riflesso sul vetro.

“Lo so, hai ragione… ma, vedi, sei l’unica persona con la quale, penso, accetterebbe di condividere un simile fardello...”

“Milo...

“Ne sono più che sicuro!”

“Non sarebbe meglio… se ci andassi tu, il suo migliore amico?”

“Se vado io appendo anche lui al muro, ribadendogli che, se gli manca tanto il suo Hyoga, che vada personalmente a riprenderlo, invece che stare qui e limitarsi a cercarlo con il suo cosmo… quindi no, non sono la migliore scelta in questo caso, penso tu sia molto più avveduta di me, sai come raggiungerlo, ovunque lui cerchi di nascondersi”

Sorrido, mormorando un grazie per poi azionarmi, accomiatandomi dall’allegro cicaleccio delle mie amiche, che hanno preso a parlare di tutt’altro per risollevarsi il morale, per dirigermi in corridoio.

Esco, lasciando volutamente la giacchetta all’interno per cercare di avvezzarmi al freddo, subito vengo investita da un vento impetuoso e rigido proveniente da Nord ma cerco comunque di resistere. Le temperature si sono notevolmente abbassate in questo dicembre, chissà se ci farà davvero visita la dama bianca prima di Natale, sarebbe bellissimo trascorrere questa festività tutti insieme sotto il vischio mentre fuori nevica. Sorrido tra me e me al pensare a quanti addobbi abbiamo comprato oggi, ne riempiremo l’undicesima tempio e non ne vedo l’ora!

Svolto alla destra di una colonna dorica, percorro in linea retta il sagrato che sta appena fuori dalla Casa dell’Acquario e finalmente lo vedo, nel retro, sta guardando la volta celeste sopra di lui, una mano stretta a pugno e l’altra lungo il fianco. Non vedo il suo volto e la sua stessa espressione mi è oscura, ma riesco bene ad immaginarla, così come le sue emozioni. E capisco, una volta di più, cosa -chi- sta cercando, nel tentativo di abbracciare con il proprio cosmo quello del suo allievo, che lui sente così distante. E’ ancora in pena per lui, e preoccupato da morire per le sue condizioni, anche se, al solito, cerca di nasconderlo a noi.

“Perché… non rispondi, Hyoga? Non riesci ancora a… perdonarmi? Mi manchi così tanto, piccolo… sei almeno al sicuro? Ti stai… rimettendo?” si domanda, tremando consistentemente.

“Camus...”

Lui sente la mia voce, sussulta appena, non aspettandoselo, prima di girarsi e osservarmi. La piega delle sue labbra non è lieta, gli occhi, al di là dell’oscurità che ci circonda, sono comunque rabbuiati.

“Marta… - mi chiama, arrochito, tentando di sorridermi, prima di avvicinarsi a me – Perdonatemi, vi ho fatto preoccupare? In effetti è da un po’ che sono qui fuori, non… non me ne ero accorto!”

Mi approccio a mia volta a lui, fermandomi davanti a poca distanza, acciuffo il suo sguardo, prima di parlare: “Stai tranquillo, Cam, sai bene quando forte sia il tuo Hyoga, si starà sicuramente rimettendo, solo per questo non risponde al tuo richiamo!”

Lo vedo mettersi un poco sulla difensiva, forse non aspettandosi una mia osservazione così diretta e che carpisca la sua essenza più profonda, ma poco dopo se la scrolla via, regalandomi un sorriso affettuoso e una carezza tra i capelli.

“S-sì, lo so, piccola… è molto forte e caparbio il mio… il mio ragazzo”

Mi crogiolo ne suo tocco, prima di farmi seria, desiderando continuare il discorso: “Ma sei comunque in pena per lui...”

“Moltissimo… - ammette, rauco, tornando poi a darmi la schiena e fissare il cielo – E’ rimasto gravemente ferito durante lo scontro contro Utopo e… e non è più tornato a casa, non… non si lascia nemmeno sfiorare dal mio cosmo”

“Però è comunque sotto cura in Giappone! L’importante è che si ristabilisca completamente!”

“...”

Capisco che gli deve pesare il fatto che non sia qui, che non abbia scelto di curarsi qui, al tempio che spetta anche a lui. Se poi ci aggiungiamo il discorso che mi ha fatto oggi Camus, su Atena, sui suoi dubbi e sul suo rapporto difficile con la dea, è come sparare sulla Croce Rossa.

E tuttavia non si sfoga, questo testone, rimane chiuso sulle sue, non si esprime neppure, le parole gliele devo cavare io. Che pazienza, davvero!

“Cam, c’è dell’altro, oltre a quello che mi hai detto oggi su Atena?”

“Cosa ci dovrebbe essere?”

“Non è solo preoccupazione, la tua, vi è anche… fastidio!”

“...”

Continua a fissare il vuoto, dandomi le spalle, mi affianco a lui, esitando un attimo, indecisa se continuare o meno, ma la sua espressione non sembra ostile, solo triste e un po’ rassegnata. Mi faccio forza e insisto.

“Forse lo vorresti qui, con te, non… là!”

“Perché dovrebbe farsi curare là, quando la sua casa è qui? - mi risponde alla domanda con un’altra domanda – I-io... se escludiamo i primi giorni in cui mi hanno dovuto monitorare, avrei… avrei potuto aiutarlo, curarlo, o, se non io, Shion e gli altri compagni Cavalieri d’Oro, che bisogno c’era di… di allontanarsi ancora?!”

“E’ perché si sente tutt’ora inadeguato” gli ripeto, sospirando.

“Mi ha… salvato la vita, Marta, se non fosse intervenuto, Michela ed io… - trema nel pronunciare la frase, stringe forte il pugno destro, il suo corpo vibra, per un solo istante provo la paura intensa che crolli a terra, ma riesce a trattenersi, allontanandosi un poco da me – scusami per tediarti con questi discorsi!”

“Non mi tedi, fratellino, solo che… vorrei poter fare di più, per voi!”

“Mi ascolti, mi sostieni… è già tantissimo, Marta, e...”

Percepisco vorrebbe continuare, si è voltato nuovamente verso di me, mi guarda, la sua mano sinistra si è istintivamente posata sul ventre, se lo massaggia. So che vorrebbe parlarmi di quello che ha passato, di come si sia sentito, di quanto dolore abbia patito ancora una volta, ma è frenato, ed è la sua stessa natura a farlo trattenere così. Non riesce a sciogliersi, non vuole apparire fragile al mio cospetto e, d’altro canto, neanche io sono stata totalmente cristallina con lui, non riferendogli che io, in fondo, so già cosa abbia passato, come si sia sentito, perché l’ho patito sul mio stesso corpo.

Di nuovo una situazione di stallo, l’ennesima. Non sembra potersi risolvere questa volta. Fortuna vuole che una sferzata gelida di vento mi investa in pieno, facendomi rabbrividire. Sono costretta a trattenermi il peplo con le mani per evitare che svolazzi troppo, ritrovandomi a tremare come una foglia. Di nuovo. Proprio adesso. Non ci voleva!

“Un po’ troppo audace, forse, uscire senza felpa ad inizio dicembre, non trovi?” mi chiede lui, sereno, avvicinandosi a me.

“S-sto b-benissimo, sono u-una g-guerriera dei g-g-ghiacci!” cerco di darmi un tono, arrossendo di netto per aver manifestato una simile debolezza davanti a lui.

Lo sento ridacchiare tiepidamente, portando il mio sguardo ad alzarsi nella sua direzione. Lo vedo disfarsi della sua felpa e, prima di poter obiettare, me la mette sulle spalle, indicandomi di tenermela indosso. Così faccio anche se ci ballo dentro. Di nuovo mi sento un microbo a suo confronto e, di nuovo, provo una sensazione agrodolce al riguardo. Cioè… non arrivo neanche alle maniche, che vergogna!

“Lo sei, sì, ma non strafare, i risultati si ottengono a piccoli passi” mi consiglia, prima di portarmi contro di sé con un braccio e massaggiarmi le spalle per riscaldarmi.

Mi ritrovo così contro di lui, il suo corpo caldo, ancora più caldo del normale, soprattutto nella zona addominale. Mi appoggio a fatica alla sua spalla, appurando ancora una volta di quanto sia molto più alto e possente di me, di quanto mi sovrasti, non solo in altezza, ma anche come capacità muscolare. D’accordo, lui è un maschio, io sono una femmina, ma siamo comunque fratelli, dovrei essere a mia volta una spilungona, e invece non arrivo neanche ad 1 metro e 70, semplicemente scompaio a suo confronto. Mi sento quasi una bambina, non mi piace… ma mi piace… non lo so nemmeno io, uffi. E’ così agrodolce questa sensazione! Vorrei essere alla sua altezza, forte e atletica, capace di proteggerlo e aiutarlo, eppure sono io a sentirmi protetta quando mia abbraccia. Sono io a sentirmi rassicurata, sempre e comunque, soprattutto dopo i fatti del 1741 che lo hanno fatto aprire così tanto nei miei confronti.

“Volevo… dimostrarti i miei passi avanti, Cam, farti vedere che… che resisto a simili temperature, ma...”

“E per dimostrarlo vuoi rischiare di prenderti un malanno? Lasciami dire che sei un po’ una tordella, visto che ti piacciono le similitudini con i volatili”

Gonfio le gote, sentendomi indignata, mi stacco leggermente da lui, per fargli capire che non sono affatto contenta del paragone: “Non sono una… questa è cattiva, Cam!”

“Allora una torda bottaccia!” rincara la dose lui, sempre ridacchiando, finalmente sereno.

“Che male c’è, a voler essere come te?! A cercare di diventare forte, per te?!” mi oppongo, offesa, mentre il mio cervello parte per la tangenziale nel cercare nome di uccelli da usare come insulto, ma Camus mi sorprende ancora una volta, mi stringe più forte a sé, scrollando leggermente il capo.

Ciò prosciuga tutta la mia voglia di battibeccare.

“Nulla… non c’è nulla di male, Marta!” mi sussurra, rilassandosi tra le mie braccia, quasi appoggiandosi a me, la testa leggermente reclinata contro la mia.

“Fratellino...”

Allora anche tu ti sostieni a me, anche se sono così piccola e insignificante, a tuo confronto… anche se non riesco nemmeno a reggere una temperatura di 2 gradi celsius senza dovermi coprire con una felpa. Ti sorreggi a me, e quando sei così mi appari forte e fragile come nessun altro.

Gli massaggio a mia volta la schiena, rilassandomi completamente al suo abbraccio, lui fa altrettanto, lo sento respirare con più regolarità. Vorrei che si sentisse tranquillo, con me, vorrei aiutarlo ad esprimere ciò che sente, come quella volta in Siberia, quando mi ha aperto il suo cuore e si è lasciato andare completamente.

“Camus?”

“Mmmh?”

“Il tuo Hyoga tornerà più forte di prima, riuscirete a chiarirvi, voi due, non hai di che temere!”

“Lo spero… tanto… Marta!”

“E… va bene così, per me… - esito, titubante, in vistosa difficoltà a trovare le parole – Va bene così se… se non te la senti di raccontarmi della tua battaglia contro Utopo”

Sussulta, come temevo, inizia a tremare con forza, spaventato, ciò mi spinge ad aumentare la stretta su di lui per fargli capire che ci sono e ci sarò sempre, anche se non se la sente di dirmelo.

“Va bene così – ribadisco, gli occhi lucidi – Vorrei solo… che stessi bene. Sai, ora che mi stai abbracciando in questo modo lo percepisco molto di più il calore innaturale del tuo addome, deve essere una sensazione terribile!”

“Marta… - Camus si raddrizza per osservarmi un poco accigliato. E’ impallidito di molto – QUANTO hai subito sulla tua pelle di quello che mi…. mi ha fatto?”

E’ sospettoso… come pensavo non se l’è bevuta, anche se ho cercato di essere convincente, e adesso mi osserva quasi con rabbia mista a preoccupazione. Devo essere più avveduta da ora in poi, e non commettere più passi falsi.

“Può darsi… - mi affretto a ripiegare, gli occhi tristi – Che qualcuno mi abbia accennato qualcosa senza che per forza abbia percepito il tuo dolore!” mi piace ancora meno spostare l’ago della bilancia su questo ‘qualcuno’, ma non ho altro modo per uscirne da qui senza rivelargli che, sì, io ho percepito praticamente tutto del suo dolore, almeno da quando è tornato in questa dimensione, ed è stato tremendo.

Vedo uno strano luccichio passargli negli occhi, sbuffa sonoramente, dando a me occasione di fare due passi indietro, perché lo avverto estenuato e, quando ciò accade, la sua reazione non può che essere forte.

“Se Milo imparasse a farsi i cazzi suoi, di tanto in tanto, ne gioveremmo tutti!” commenta, dandomi le spalle per celarsi. E’ arrabbiato, ma non fuggirò!

“Non è solo lui, Cam, sono tutti preoccupati per te non meno che per Hyoga!” esclamo, alzando un poco il tono.

“Non devono… sto bene, ora!”

A me non sembra proprio stia bene, devo fingere ancora una volta di crederci?! La sua pancia è bollente, solo ieri ho visto che la ferita spurga ancora e lui mi racconta la solita cantilena che è tutto apposto. Stringo a mia volta i pugni, cercando di calmarmi. Milo mi ha affidato ancora una volta il suo migliore amico, perché dice che io sono in grado di raggiungerlo anche in simili circostanze, non posso deluderlo.

“E’ normale preoccuparci per te, non trovi? In questi mesi il legame fra tutti noi si è molto rafforzato. Viviamo sotto lo stesso tetto, rischiamo la vita insieme e, tra cadute e crisi, abbiamo imparato a conoscerci... - tento di spiegargli, ben sapendo di avere a che fare con un cocciuto – Ormai siamo indispensabili gli uni per gli altri!”

“Marta...” si è un poco girato verso di me, mi studia di profilo, io non posso fare a meno di abbassare lo sguardo.

Anche io gli sto mentendo, di fatto. E’ difficile dire queste belle paroline quando gli sto volutamente celando che percepisco tutto di lui, per non parlare che prendo lezioni da Mantus -se lo venisse a sapere ammazzerebbe me e lui!- e che ho visto Isaac in quella specie di breccia. Di tutti questi segreti l’unico che sto serbando in me, per il suo reale bene, è quello dell’allievo perduto per paura che ci possa soffrire di più, cosa posso dire delle altre due cose? No, sono davvero un verme, ma… devo!

“Dopo i fatti accaduti nel 1741, Milo ed io ci siamo fatti una promessa: non saresti mai più rimasto da solo!”

“...”

“Cam, sai... la tua pancia in questi giorni è molto più calda del normale, è possibile accorgersene anche se ti sto a pochi centimetri di distanza, ma quando mi abbracci, la sento proprio bruciare contro di me… come fai a sopportarlo?”

“Riesco a compensare in parte con il mio gelo ora… prima era peggio!”

“Ed io ti sto dicendo che mi va bene se non te la senti di parlarne, lo capisco, ma non ti meravigliare se siamo tutti un po’ preoccupati per te. Siamo… una famiglia!” dico quest’ultima frase rialzando lo sguardo per stagliarlo nei suoi occhi blu che vedo rischiarati appena.

Esita per qualche attimo, prima di avanzare verso di me e riavvicinarsi anche se un poco più titubante: “So che vi preoccupate per me e… siamo una famiglia, sì, è che non vorrei mai mostrarmi così… così...”

“Debole?”

“Debole, sì...”

“Non lo sei, Cam, quando ti convincerai di questo?!”

“Ma quello che mi ha fatto Utopo e F-Fei Oz p-prima di l...” non riesce ad andare avanti, strizza sofferente le palpebre, spingendo me a prendergli la mano nella paura che precipiti nella voragine.

“Va bene se non te la senti di dirmelo, te l’ho già detto, vorrei solo… che stessi finalmente bene!” lo rassicuro, con un sospiro, mentre il mio sguardo si sofferma dolente sul suo addome.

“Sono un uomo, Marta, non...”

“...Non ti dovrebbero accadere queste cose, secondo la tua logica?”

Di nuovo annuisce, continua a serrare gli occhi davanti a me e a tremare, in piena crisi post-traumatica per tutto quello che ha vissuto in quest’ultimo anno. Comprendo una volta di più che gli fa solo male tirare fuori questo discorso con me.

“Cam, ho detto che va bene, se non ne parli, stai tranquillo...” gli dico, modulando la voce, posando la fronte contro il suo petto. Lui, d’istinto, mi agguanta, tenendomi contro di sé ancora una volta.

“Non è per mancanza di fiducia che non riesco a parlartene, piccola mia...”

“So anche questo, Cam...”

“Sei il mio rifugio… ma questa via buia in cui io mi sono trovato contro la mia volontà… non permetterò che ghermisca anche te, né nessuno di voi!”

Gli vorrei dire che per noi è lo stesso, che non è solo lui a desiderare di proteggerci, e che, in qualche modo, lo strapperemo da quegli esseri, da quelle ombre che non lo fanno dormire la notte e che gli hanno fatto così tanto male, ma capisco che non è questo il momento per trattare l’argomento concernente Tiamat e il potere che ne è derivato della Creazione, perché...

“Cam, hai bisogno di stare un po’ da solo adesso, vero?” gli chiedo, comprensiva.

“E-ecco, io… credo di sì. Non volermene, ma...”

“Va bene! - gli sorrido con naturalezza, staccandomi da lui prima di osservarlo con affetto – Ma non stare tantissimo, se puoi, non hai più una felpa e la torta rischia di volatilizzarsi nel nulla con Milo nei paraggi!” gli faccio l’occhiolino, indicandogli l’indumento.

“Quante fette ha già mangiato?!”

“Tre… ma da quando me ne sono andata non escludo abbia ceduto alla quarta"

“L’ho fatta per il compleanno di Francesca, non per il suo!” afferma, ridacchiando comunque tra sé e sé.

“Per questo mi sono raccomandata di non fare tardissimo!” ammicco, strofinandomi la guancia.

“Certo, cinque minuti e sono da voi, promesso!”

Annuisco con forza, faccio per andarmene ma poi mi ricordo che gli devo dire ancora una cosa, gli tocco il polso, quello che tiene il bracciale che gli ho regalato.

“Devi dirmi ancora qualcosa?” mi chiede, indovinando la richiesta dietro il mio sguardo.

“Sì… volevo ringraziarti per avermi parlato dei tuoi dubbi su Atena oggi pomeriggio, per avermi raccontato parte del tuo vissuto e… per esserti confidato con me!”

“Piccola...” i suoi occhi sono percorsi da una luce accattivante ora.

“E’ molto importante per me, il tuo passato, quello che… siamo stati costretti a vivere lontani, mi sembra quasi di… di non averti mai… perduto, ecco… per cui grazie davvero!” affermo ancora, un poco rattristata, ricordandomi invece di come Dègel ed io siamo invece cresciuti insieme, per poi perderci comunque, per i nostri doveri, ma…

Mi pizzicano gli occhi, mentre una fitta al petto mi percuote, ma la carezza che mi regala mio fratello tra i capelli riesce da sola, ancora una volta, a raddrizzare tutto e scacciare via la malinconia.

“Vale anche per me, questo… se vorrai raccontarmi qualcosa di te, e...”

“Camus?” lo chiamo, allarmata, notando che anche i suoi occhi sono molto lucidi, l’espressione quasi spezzata e… distante.

“Va tutto bene, vai pure… tra poco arrivo anche io!” mi dice, dandomi la schiena e allontanandosi di qualche passo, preda di un qualcosa che non riesco bene a comprendere.

 

 

* * *

 

 

 

6 dicembre 2011, notte

 

 

Prima, ho sentito qualcos’altro incrinarsi dentro Camus, anche se non riesco bene a capire che cosa fosse… non era la sola preoccupazione per Hyoga, né gli incubi che spietatamente rivive ogni notte. Aveva tutt’altra origine, questo l’ho percepito, ma non sono riuscita ad andare oltre, come se qualcuno interferisse nel processo tra me e lui. Che sia stata Tiamat, ormai risvegliata? E, se sì, perché? E’ tutto il dormiveglia che penso a questo, inframezzato da immagini diverse, desideri e sogni, ma non riesco comunque a trovare una risposta certa così svuotata come mi sento adesso.

Nello stato di assopimento in cui sono, preda di una stanchezza sempre più infida e del tutto inspiegabile, stante la giornata di svago, odo appena il cigolare della porta di camera mia, seguito da alcuni passi in avvicinamento.

Pasteggio con la bocca, sprofondando ancora di più nel cuscino nel tentativo di recuperare il filo conduttore dei miei pensieri. Poco dopo, qualcuno si siede al bordo del letto, sento le molle tintinnare per la pressione, per poi piegarsi verso di me e posarmi le labbra sulla fronte. Un profumo di pulito e freschezza mi inebria le radici, non avrei bisogno di aprire gli occhi per capire di chi si tratti, ma lo faccio comunque, ricordandomi che, prima di cadere addormentata, ho lasciato la lampada accesa.

“Fratellino...”

“Scusami, non volevo svegliarti, pensavo stessi già dormendo profondamente” mi dice lui con dolcezza, nello stesso momento in cui io, con non poca difficoltà, riapro gli occhi.

La debole luce della stanza lo rischiara, indossa la solita canottiera con cui dorme, ma non sembra stropicciata come quando si alza dal letto, quindi è rimasto sveglio. Gli sorrido, ricambiata.

“Sognavo, Cam...”

E pensavo… ma questo non te lo posso dire.

“Qualcosa di bello?”

“Moltissimo… - annuisco, mentre cerco di estrarre il braccio da sotto le coperte, non riuscendoci, come se mi mancassero le forze, ma sono troppo rintronata per soffermarmici – E-era una giornata q-quasi ordinaria, tra me e te, come quella appena trascorsa” provo a spiegargli, sempre costringendomi a guardarlo, sebbene mi cali la palpebra.

Lui fa un cenno con la testa, sereno a sua volta, poi, capendo il mio desiderio, mi estrae lui stesso il braccio, posizionandolo sopra le coperte, mentre, con dolcezza, mi tiene la mano, un po’ come faceva Dégel a suo tempo.

“E’ stato molto bello, oggi...” dice, gli occhi luminosi, mentre continua a tracciare il suo percorso sul mio braccio. Ha un tocco quasi magico, dolce e delicato al tempo stesso, mi sento cullata.

“A-anche per me, Cam, v-vorrei… vorrei trascorrere altre giornata così con te, con le ragazze, con tutti voi… s-sembrava tutto un sogno, sembravamo quasi delle persone normali!”

“Marta...”

“Mi manca… il tempo che ci è stato strappato, quello che avremo potuto fare, come due fratelli normali, mi manca tantissimo!” insisto, con urgenza, agitata nel sentirmi quasi svenire.

“Lo so, piccola… credimi, ma il tempo è spietato e non si può tornare indietro...”

“Ma si può fare qualcosa adesso, vero?” ultimo la frase per lui, sforzandomi di rimanere vigile.

“Quello sì, assolutamente!”

“E lo… rifaremo, Cam? Trascorreremo altre giornate… ordinarie?”

“Certo, te l’ho promesso giusto ieri che avremo comunque occasione di formare i nostri ricordi insieme!” mi tranquillizza, continuando sempre a massaggiarmi il braccio.

“C-ci conto, eh!”

In verità vorrei dire di più, molto di più, mi fa star bene parlare con lui, percepirlo, sentire le sue dita di velluto sulla mia pelle. Mi fa sentire… protetta, m-ma… ma…

Cosa è che stavo pensando nitidamente?! Perché la percezione sul mio corpo è sempre più… labile? Mi sento la bocca sempre più impastata, quasi atrofizzata, le palpebre non riescono a rimanere aperte, le avverto troppo pesanti, anche i suoni mi giungono ovattati.

Al pensiero di star cedendo così, l’unica parte ancora vigile del mio cervello, da come un imput, accelerando di riflesso il mio respiro. Fortunatamente è di nuovo la mano di Camus, ora posata sulla mia testa e intenta ad accarezzarmela, a calmarmi: mio fratello è qui, sono con lui, non può succedermi niente, non devo provare questa paura insensata.

“Stai tranquilla… puoi permetterti di cedere alla stanchezza, anche se so che non ti piace, ci sono io con te!” mi rassicura infatti, in una particolare sfumatura dolce che mi ricorda ancora una volta Dégel.

“Ca-mus, r-rimarrai un po’ qui?”

“Sì finché non prenderai sonno, e anche un po’ oltre!” mi rassicura, scostandomi alcuni ciuffi dalla fronte

Mollo quindi gli ormeggi, lasciandomi andare, guidata dal suo odore fresco e un poco selvatico, anche se sta diventando sempre meno forte, sempre più… sfumato… così come il suo contatto che, pur percependolo vicino, lo avverto sempre meno.

E tuttavia mi sento tranquilla e fiduciosa, forse non dovrei, perché è lampante che mi stia succedendo qualcosa, ma… cosa?

“Marta...”

Faccio sempre più fatica ad ascoltarlo, ma percepisco il suo cosmo, la sua vicinanza. Sto bene!

“D-dimmi, C-Cam...”

“Qualunque cosa succeda domani… - inizia, un poco titubante, consegnandomi una sensazione di straniamento. Domani. Cosa deve succedere?! - So per certo che tu e le altre reagirete nel migliore dei modi. Mi riempite il cuore di orgoglio ogni giorno di più. Siete la mia famiglia, il mio sostegno, la mia forza… so che saprete cavarvela, in qualsiasi circostanza, lo credo fermamente!” mi sussurra, emozionato, sistemandomi meglio il volto sul cuscino.

“P-perché...”

“Siate forti e agite in sinergia… ognuna di voi è in grado di compensare le carenze delle altre, esattamente come facevate in Valbrevenna anche con Stevin contro il gruppo di bulletti del paese di Mareta...”

...Perché… come sai questo, fratellino? Perché me lo stai dicendo adesso, come se cercassi di avvisarmi da… da che cosa?!

“Ora addormentati, ma bichette, andrà tutto bene!”

Sì, ho davvero tanto sonno, Cam, scusami se crollo così, non mi stuferei mai di parlarti, ma… ma sono così tanto stanca che...

Non riesco più a percepire nient’altro intorno a me, solo un immenso calore che mi fa scivolare ancora di più verso l’oblio dei sensi.

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Secondo i miei fantasmagorici progetti, avrei dovuto arrivare a Natale molto più avanti di così, con le storie, ma complice anche il nuovo lavoro a tempo pieno, mi ritrovo oggi, 26 dicembre 2021, a riuscire a pubblicare solo questo. Spero comunque di trovare il tempo per continuare a scrivere, anche perché ultimamente mi sono un po’ frenata.

Questo è il secondo dei due capitoli di transizione, con il prossimo entreremo nuovamente nel clou, ma, prima del prossimo, dovrei aggiornare le “Petit Cygne” e “I 5 Pilastri di Marduk”, per cui temo dovrete attendere un po’.

Su per giù, non ho molto da dire su questo paragrafo che spero non risulti troppo noioso (un po’ di stacco ci voleva, spero di aver reso abbastanza bene la pseudo quotidianità!), è, appunto, una giornata ordinaria a tema natalizio in cui sono venuti fuori argomenti che comunque mi premevano alquanto, come il rapporto tra Camus e Atena, il chiarimento tra Stevin e Marta e il timore per Hyoga, rimasto isolato da tutto e tutti… pare…

Ho voluto inoltre aggiungere un ricordo di Seraphina (capiterà soventemente) visto che ormai le due ragazze sono un tutt’uno e quindi i pensieri di una si confondono con l’altra e viceversa. Nel manga è lampante che Seraphina sia più grande di Dègel, e tuttavia secondo me non hanno che 3-4 anni di differenza, nonostante nel flashback che compare ad Atlantide, lei sembri quasi del tutto formata -del resto le donne maturano molto prima!- e i due pargoli (Dégel e Unity) sembrino ancora piuttosto piccini. Alla fine ho optato per stabilire la differenza a soli 3 anni, anche perché nel gaiden di Dégel in cui si rivedono entrambi, viene limpidamente detto che il Cavaliere di Aquarius ha 17 anni, quindi lei, presumo, dovrebbe essere sui 20 -e poco dopo, almeno nel piano della mia storia, ci sarà anche la loro prima volta, ihi!-

Bemus, in greco, significa “buon commerciante”, questa è la ragione della scelta del nome.

Che dite, Camus così festaiolo stona un po’ con il personaggio originale?! Ma dopo tutto quello che ha vissuto (ricordiamoci che soffre di sindrome post-traumatica!) secondo me ci sta un cambiamento simile. E’ sicuramente molto più aperto dell’originale, per fare un raffronto vi basta vedere come lo rendo ne “Le petit cygne”, ma mi piace molto come stia crescendo anche lui, non solo le ragazze. :)

Ah, dimenticavo, se alcune cose non le capite subito, come per esempio, nell’ultimo pezzo, il fatto che Camus riporti alla memoria di Marta un suo ricordo strettamente intimo, che lui non dovrebbe conoscere, rammentate che “I 5 pilastri di Marduk” hanno ancora molto da svelare, quindi non preoccupatevi, tutto sarà chiarito con i tempi giusti.

A presto, mi auguro! :)

  
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