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Autore: The_Red_Goliath    28/12/2021    4 recensioni
Questo è il racconto di come Thrip'ad, goliath della tribù Kuntana, si sia messo in viaggio, in cerca del suo destino e forse di qualcosa di più.
La seguente storia è ambientata nei Forgotten Realms di una campagna di D&D 3.5. Thrip'ad fa parte di un gruppo di altri avventurieri di cui potrete leggere le storie seguendo i racconti pubblicati anche da NPC_Stories e Dira nei capitoli della storia "Lathander take the Wheel".
P.S. In alcuni punti ci sarà una libera interpretazione del gol'kah (il linguaggio goliath) e della loro cultura nomade. I personaggi goliath parlando nella loro lingua madre useranno termini talvolta forbiti, ma ciò accade perché non sono degli stupidi barbari di montagna, come comunemente si ritiene. O almeno non lo sono a parere dell'autore XD
Genere: Azione, Commedia, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Monti Orsraun, 1357 C. V. circa
 
La catena montuosa degli Orsraun è vastissima, ramificata e indubbiamente complessa. È forse uno dei complessi montuosi più vasti di tutto il Faerun, con vette che superano i duemila metri di quota, gole e crepacci che arrivano fin quasi nell’Underdark, vasti pianori, grotte, valli nascoste e torrenti che spuntano dai fianchi dei monti per poi inabissarsi quasi subito e sparire nelle profondità.
Le rocce sono presenti in grande varietà di tipi, forme e colori, tanto che forse i monti Orsraun celano più tesori in minerali preziosi di qualsiasi tana di drago mai esistita.
Spettacolari paesaggi si alternano a luoghi dove nessun umano dotato di un minimo di senno si avventurerebbe, nemmeno col miglior equipaggiamento magico disponibile nei mercati della Costa della Spada.
Eppure un sacco di specie di umanoidi, di giganti e altre creature più o meno mostruose vivono in questa regione.
Perché vivere su quei monti è difficile. E solo il peggio sopravvive. O il meglio.
Decisamente non i deboli.
 
Così ebbe a scoprire una gelida mattina autunnale, un povero bambino, allontanatosi troppo dai sentieri battuti dalla sua tribù, e ritrovatosi intrappolato in una piccola e stretta vallata, circondato da una dozzina di crudeli goblin.
Tra le grigie rocce che costellavano la vallata, aveva provato invano a trovare un riparo e un nascondiglio. Ma gli spietati inseguitori erano ormai sulle sue tracce, e nel giro di poche ore gli furono attorno.
La pelle verdastra come il muschio delle rocce, le zanne grondanti bava appiccicosa, e gli occhietti piccoli e crudeli, suscitavano nel piccolo un senso di fastidio. Quasi di ribrezzo.
 
«Mi sapresti spiegare perché ci abbiamo messo un’intera mezz’ora prima di vederlo dal costone di nord ovest Skiafez?»
«Non saprei Gerath, eppure è solo un ragazzino umano.»
«Mi sembra un bel po’ deforme per essere un ragazzino umano… guarda la testa e le mani quanto sono grosse!»
«Sarà tipo un mezzo sangue. Lo sai che le femmine umane vengono stuprate da qualsiasi cosa.»

Un coro di risate stridule si alzò dal gruppetto di mostriciattoli, che intanto andava a chiudere le vie di fuga alla sventurata vittima, avvicinandosi al contempo, non più di soppiatto, ma ormai ben visibile.
Pareva strisciassero quasi più che camminare, emettendo solo un vago fruscio sull’erba secca della valle.
A pochi metri dal bersaglio estrassero le piccole asce di bronzo, i pugnali d’osso e le lance di selce dalle punte aguzze e taglienti,  cominciando a schernirlo.

«Sento il tuo lercio odore! Ti sei pisciato addosso ragazzo?»
«Ti scuoierò così lentamente che mi supplicherai di ucciderti. Ma non accadrà così presto…»
«Ho voglia di aprirti la pancia e mangiare le tue viscere ben calde!»
«Vedrai come ci divertiremo a giocare a palla con la tua testona, piccolo mostro!»

Il bambino tuttavia non fu scosso da alcun tremore. Anzi, vistosi ormai circondato, salì in equilibrio su di un masso e cominciò a rispondere a tono ai suoi aggressori, che tuttavia non parvero dar segno di comprenderlo.
Tuttavia si arrestarono dall’avanzare, vedendolo ora perfettamente eretto nel suo metro e mezzo di altezza.

«Non mi sembra affatto un umano Skiafez… Guardagli la faccia! E poi… È … Azzurro???»
«Ti ha dato di volta la merda che hai nella testa Gerath? Come sarebbe a dire “azzurro”?»
«Oh che Maglubyet ti strafulmini… GUARDA!»
«Che io sia cacato da un troll… Si è azzurro… Come quelle rocce che si trovano più a nord… Come cazzo è possibile?»

C’è da dire, stimati lettori, che i goblinoidi, come tutte le creature che vivono per la maggior parte del tempo al buio, di notte, in qualche grotta se non nel sottosuolo, pur vedendoci benissimo in condizioni di perfetta oscurità, proprio a cagione di ciò, hanno una capacità di discernere i colori leggermente inferiore rispetto a quella di altri umanoidi. Li distinguono, li riconoscono, ma ci mettono sempre un po’di più.
Ma torniamo ai nostri aggressori goblin e alla loro piccola vittima.
Il piccolo, non conscio del fatto che i suoi aggressori si stessero rendendo conto per la prima volta, dopo ore di inseguimento, di aver a che fare con una creatura mai vista prima, si stava producendo in tutta la sua gamma di coloriti insulti nella sua lingua natia. Ed esauriti questi, passò a quelli che conosceva nella lingua dei nani (avendole sentite spesso ripetere dal fratello maggiore e talvolta anche dal padre).

«Skiafez… quel coso parla nanico!»
«E sai quanto me ne fotte a me.»
«No, per dire… Cosa è quella cosa color roccia, piuttosto grossa, che parla nanico, ma che insulta come un moccioso, con parole come “pezzi di cacca” e “caccole di troll”?»
«Ahhh… Non saprei… Un nano ritardato?»
«Oppure?»
«LA SO IO! LA SO IO! UN CUCCIOLO DI GOLIATH … OPPORCACCIA LA MAMMA DI SKIAFEZ!»
«HEI! ... Ah no aspetta, è anche tua madre Kiavek. … Hai detto un cooosa ???»
«Bhè, cacasotto, e allora? Se anche è uno di quei cosi pieni di muscoli… È SOLO UN LURIDO POPPANTE!»
«Non direi… È già alto più di noi… Quasi quanto un umano o un elfo…»
«E ALLORA??? Pidocchi di culo di vermeiena… Adesso vi faccio vedere io, Yalken, come si ammazzano i bambini troppo cresciuti.»

Fu così che il goblin Yalken, scalato il macigno da cui il marmocchio li stava insultando, gli saltò addosso, mirando al fianco con la sua lancia.
Un rumore di carne lacerata, un lamento soffocato, e il piccolo si accasciò in ginocchio sul masso. Ancora cosciente sebbene ferito, sanguinante, ma ora visibilmente spaventato.
Il suo aggressore si lasciò andare ad una risata sguaiata e gutturale, seguito a ruota dagli altri compagni che, avendo sentito odore di sangue, avevano ripreso ad avvicinarsi.
Yalken fece per estrarre la lancia dal bambino, ormai tremante, pronto a dargli il colpo di grazia. Ma si accorse con un certo stupore, che questa era rimasta incastrata nelle carni.

«Lercio aborto! Rendimi la lancia! Avanti!»
Appoggiando un piede sul fianco del ragazzo, e facendo leva col corpo, Yalken cercava di estrarre l’arma da questi, ottenendo come unico risultato, di farlo urlare in modo disperato e straziante.
«SE CREPI URLANDO È MEGLIO! MA RIDAMMI LA MIA FOTTUTA LANCIA! ALTRIMENTI LA SPEZZO E TI INFILO L’ALTRA METÀ NEL CU …»
Yalken non riuscì a finire la frase.

Qualcosa, spesso quanto un giovane ramo di abete, ma assai più appuntito e veloce, gli passò da parte a parte il cranio.
Appena pochi istanti dopo, gli altri scellerati aggressori videro qualcosa delle dimensioni di un orso, ma che sembrava fatto di sassi e muscoli, caricare le loro retrovie e cominciare a far schizzare pezzi di cranio a destra e a manca, sventolando qualcosa che sarebbe dovuta essere una mazza, ma sembrava più la gamba strappata a un qualche mostro.
Si diedero ad una fuga scomposta e urlante, ma ciò non li protesse da altre frecce grosse come rami che calavano dall’alto, né da un lupo nero, grosso quanto un piccolo leone, che piombò loro addosso dalla parte opposta rispetto all’energumeno clavato.
 
Alcuni istanti dopo, il bambino si riebbe. Era per terra, circondato dal pelo di un animale che conosceva assai bene. Qualcuno gli stava massaggiando la ferita sul fianco, con una specie di pasta di erbe viscida e molto puzzolente.

«Mamma dai piantala! Che schifo! Questa roba mi ammazza prima dei goblin!»
«Thrip’ad della tribù Kuntana, stai zitto e fammi fare il mio lavoro. O devo dire a Gauran di tenerti fermo coi denti?»
«No, no. Va bene mamma. Sto fermo… Papà è arrabbiato?»
«No. Sono solo seccato.»
«Ciao pa’…»
«Per te sono Litorb, sciocco. Hai già nove anni e ancora non sai ritrovare da solo i segni per arrivare all’accampamento? Tuo fratello Ghrug’le alla tua età già poteva avventurarsi fino alla città dei nani da solo! E i tuoi cugini Daf’ork e Dhel’iv Erù sono già ottimi cacciatori di tassi. E tu ti fai fregare da … da dei goblin… Io non capisco… A COSA STAVI PENSANDO???»
«Cercavo Uluntaya Kukanath …»
«ANCORA QUELLA STORIA??? BASTA! NON ESISTE ALCUNA CAPRA LEGGENDARIA! SE CONTINUI A DARE RETTA ALLE STORIE DI QUEL VECCHIO PAZZO…»
«Quel vecchio pazzo sarebbe mio nonno, Litorb… Il bisnonno del ragazzo… Se hai qualcosa contro la mia famiglia …»
La madre del piccolo goliath si alzò in tutti i suoi due metri e tredici e prese l’arco che aveva poggiato in terra.
«No no… ci mancherebbe… Mandhalà lo sai che stimo tuo nonno in quanto Anziano, druido e …»
«Fa silenzio. E aiutami a sollevare nostro figlio.»
«Si sub… Ma non è ferito?»
«Sì… ma il goblin lo ha preso su una zona di emersione.»
«Una zona di … Vuoi dire che sta già per avere i suoi primi litodermi? A nove anni???»
«Già… Peculiare. Ma succede. Nella mia famiglia spesso. Mio padre li ebbe che era persino più giovane di Thrip»
«Ah… Bhe…Ragazzo hai sentito? A quanto pare hai un vantaggio su tuo fratello e i tuoi cugini. Contento?»

Thrip’ad, giovane goliath di soli nove anni, nonostante la sua stazza facesse pensare più a quella di un giovane adulto di altre specie, ronfava della grossa. La giornata era stata densa di emozioni.
Durante il ritorno al villaggio, comodamente appoggiato sulla schiena della lupa da caccia di sua madre, sognò varie cose. Non tutte con un senso, non tutte realistiche. Quando si svegliò, era calato il sole e le stelle brillavano nitide come non mai nella fredda notte autunnale.

«Padr…Litorb?»
«Dimmi Thrip’ad.»
«Siamo all’accampamento?»
«Manca poco, ma sì. Se alzi la testa puoi vedere le luci delle torce e dei fuochi di allarme. Tua madre è andata avanti ad avvisare che ti abbiamo ritrovato.»
Il giovane goliath stette ancora un po’ in silenzio, mentre la lupa nel portarlo stava attenta ad avanzare lentamente per non farlo cadere. Aveva giocato così spesso col piccolo che lo considerava come un suo cucciolo.
Dopo un po’ Thrip’ad ruppe nuovamente il silenzio della marcia notturna:
«…  Tu e la mamma… Quando vi siete uniti… È vero che siete andati in giro per il mondo?»
«Le tue solite assurdità. Abbiamo esplorato tutte le montagne, questo è vero. Ma il mondo… Il mondo è infinito.»
«L’anziano druido dice che esiste dell’acqua salata che è più vasta delle nostre montagne …»
«… Non saprei … Forse … Dice tante cose quel vecchio.»
«Tu e la mamma siete mai scesi su un fiume con una di quelle cose… Quelle cose fatte coi tronchi messi assieme…»
«Intendi una zattera?»
«Sì!»
«No, mai. Siamo goliath. Perché dovremmo rischiare di annegare su uno di quei cosi?»
«P … Litorb … Ho sognato che io stavo su una di quelle. E mi divertivo tanto … C’era anche altra gente … Loro non si divertivano. Ma io …»
«PIANTALA!»
«Scusa.»
«I sogni sono solo sogni Thrip’ad! E non si vive di sogni sulle montagne. A meno che tu non voglia fare il druido.»

Una nota di preoccupazione si inserì nel tono di Litorb, ma il figlio non ebbe ad avvedersene. Dopo attimi che nella mente del maturo goliath parvero secoli, Litorb fece una domanda al figlio che aveva rimandato da tempo, perché temeva la risposta che avrebbe potuto ricevere, più che incontrare un gigante delle nuvole cui aveva ucciso per sbaglio il gatto.

«Thrip’ad, quando sarai riconosciuto come goliath adulto dal capo della tribù… Vuoi forse fare il druido come l’Anziano?»
«No Litorb. Certo l’Anziano sa un sacco di cose. Ma a me piace fare a botte con gli animali, mica stare lì a sentire tutte le fesserie che dicono, come fa lui. Non hai idea di quanto siano stupidi i conigli. Per non parlare dei discorsi deliranti degli scoiattoli …»
Litorb levò gli occhi al cielo esasperato. Il figlio aveva ricominciato a parlare di cose astruse.
«Non capirò mai perché perdi tempo a parlare così tanto di cose così sciocche.»
«Perché io voglio vedere il mondo, padre. E per farlo dovrò viaggiare e parlare con un sacco di gente. Di un sacco di cose, anche di idiozie di cui non me ne frega niente. Che mi piaccia o no.»
Litorb “il Caccia Ogre”, barbaro della tribù Kuntana, smise di camminare. Aspettò che la lupa della moglie gli passasse accanto, in modo da poter guardare il figlio, steso sulla schiena dell’animale, dritto negli occhi.
Restarono così a fissarsi per alcuni minuti.
Gli occhi del ragazzo erano limpidi e blu, saldi nel reggere lo sguardo paterno e riflettevano le stelle. In lui leggeva paura, apprensione, ma anche una determinazione granitica. Gli ricordò lo sguardo di Mandhalà, quando anni prima gli disse che lo avrebbe partorito lì, nella grotta in cui si erano rifugiati, nonostante i troll li stessero cercando. E comunque le cose erano andate bene alla fine, no?
Litorb riprese la marcia in silenzio. Thrip’ad non aveva letto né rabbia né delusione nello sguardo del padre. Quanto più uno strano misto di apprensione e … orgoglio?
Tornati che furono nella tenda di famiglia, e adagiato Thrip’ad sul suo giaciglio, per permettergli di riposare e recuperare dalle ferite, Litorb e Mandhalà si ritrovarono davanti al falò centrale.

«Domani prendo i ragazzi e Gauran e saliamo sui picchi di nord est. Alleneremo Thrip a saltare i crepacci.»
«Non è presto? Almeno il tempo di guarire…»
«No. Deve accelerare nel suo apprendimento. Anzi, tra qualche anno dirò a Ghrug’le di portarlo con sé, dai nani di Ironfang Deep, perché gli insegnino a usare anche qualche arma più complessa di una mazza o di un giavellotto.»
«Come mai? Solo perché svilupperà i litordermi prima del previsto?»
«No Mandhalà. Gli ho parlato … Dice che vuole esplorare il mondo… È uno di quelli. Un Sognatore!»
«Come mio padre!» Mandhalà si portò le mani alla bocca, come a trattenere un urlo di angoscia.
«Già…»

L’espressione di Mandhalà si era fatta triste e melanconica. Cominciò a fissare le braci del falò con intensità, come se all’interno vi vedesse immagini del suo passato. Alcune belle, altre brutte, molte decisamente tristi.
«Non ha mai fatto ritorno … Ha lasciato la tribù per sempre … Mia madre lo ha pianto per anni e poi è morta senza sapere dove fosse finito.»
«Il ragazzo non farà proprio lo stesso. Se parte prima di farsi una sua famiglia, lascerà solo due vecchi genitori e qualche cugino a chiedersi che fine abbia fatto. E Ghrug’le. E la piccola Freh’fog.»
Al pensiero degli altri due figli, la madre goliath parve rasserenarsi.
«La piccola ha appena cominciato a camminare. Avrà ancora anni per stare col fratellone prima che parta. In quanto a Ghrug’le, visto che vuole andare a lavorare per i nani, non è detto che non viaggi a sua volta allontanandosi dai monti ogni tanto. Chissà che i fratelli non si ritrovino in giro per il mondo.»
Il fuoco scoppiettava per gli ultimi pezzi di legna. A breve sarebbe rimasto solo il rossore delle braci a illuminare la notte e la tenda. I due goliath si abbracciarono.
Dopo avergli dato un affettuoso cazzotto nelle costole, Mandhalà guardò Litorb.
«Alla fine sei orgoglioso di lui, ammettilo.»
«Orgoglioso… Morirà sicuramente affrontando chissà che razza di creature… Come posso non esserlo???»
La luce delle stelle che brillavano fuori, illuminò per un attimo l’enorme sorriso di gioia folle di Litorb il Caccia Ogre.
 
Le Orsraun sono un posto difficile in cui vivere. Per i goliath non c’è sfida più grande che sopravvivere lì. Eccetto forse, sopravvivere nel resto di Faerun.
   
 
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