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Autore: HellWill    01/01/2022    3 recensioni
[Encanto ]
(Ho visto questa challenge (goo.gl/XBoRTK) e non potevo non farla. L'ho iniziata nel 2015, ma era l'anno della maturità e mi sono fermato al prompt n°23.)
SPOILER!
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Il mio HeadCanon per Bruno Madrigal è che 'sto poro cristo sia precipitato, in seguito alla prima profezia riguardante Mirabel, in uno stato di angoscia tale che i suoi pensieri sono divenuti ossessivi, al punto da scatenargli comportamenti compulsivi che, nel film, vengono scambiati per pura superstizione. In questa FanFiction, dunque, Bruno parla con la terapista di famiglia... ovvero la stessa Mirabel, e le confessa alcuni dei suoi pensieri più profondi.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie '365 DAYS WRITING CHALLENGE'
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1 gennaio 2022
Obsessive
Compulsive
Disorder
 
«Ti chiedi mai… perché io non abbia avuto un dono?» Mirabel Madrigal si poggiò alla balaustra del balcone, fissando il cielo stellato al di sopra della Casita.
«Ah… no, no. Non me lo sono mai chiesto» rispose Bruno, sorridendo nervosamente. Era trascorso poco tempo dalla morte di abuela Alma, non più di qualche giorno, e la Casita era piuttosto depressa; ma Mirabel la carezzava con dolcezza, ed essa sollevava qualche asse per dare segni di vita nell’altrimenti silenziosa serata.
L’abuela era spirata in modo sereno, circondata da tutta la famiglia; e si era raccomandata con Mirabel, in un’ultima volontà, di custodire l’unione della famiglia…
«L’abuela mi ha detto… di prendere l’unione della famiglia come un dono. Il mio dono. Tu cosa ne pensi?».
Bruno grattò la testa ad un paio di ratti dagli occhi curiosi, che sgusciarono via dalle sue mani passandogli sul corpo.
«Credo che l’abuela fosse ben intenzionata, ma… ma, in verità, credo tu sia la sua degna erede. Dopotutto, nemmeno lei aveva un dono, no? Avrebbe senso, sì. Sì» la rassicurò con un sorriso, e Mirabel sospirò.
«E a te come va? È difficile riabituarsi alla tua stanza?» scherzò allora la ragazza, e Bruno fece una smorfia.
«Troppe scale, troppa sabbia, troppe macerie. A volte vorrei…» ma poi tacque, e Mirabel batté le palpebre in silenzio, in attesa che continuasse la frase. Invece, come suo solito, Bruno mormorò: «Tocco tocco legno», dando quattro piccole bussate alla ringhiera di legno del balconcino e gettandosi alle spalle un pizzico di sale.
«Cosa vorresti? Sai, dicono che il mio dono sia ascoltare le persone» Mirabel gli fece un gran sorriso ironico, e Bruno lo ricambiò in modo incerto.
«E chi, con precisione, lo direbbe?».
Mirabel storse le labbra, divertita.
«Lo dico io. Sputa il rospo».
Bruno svicolò dal suo sguardo e si appoggiò alla balaustra con gli avambracci, come stesse cercando di organizzare i pensieri che gli frullavano in testa.
«Vorrei solo che mi avesse chiesto scusa. Sai, prima… prima di andarsene» mormorò, facendo un cenno verso la Casita incredibilmente silenziosa; solo qualche sporadico tuono dovuto al dono di Pepa Madrigal poteva udirsi, lontano in una delle magiche stanze della casa.
«Non… non l’ha fatto?» chiese Mirabel, spalancando gli occhi. «Mi stai dicendo che… l’abuela ti ha abbracciato e ti ha riaccolto in famiglia, ma non ti ha mai… e dico mai… chiesto scusa in modo diretto?».
«Neanche prima di andarsene» ripeté Bruno, e Mirabel notò che aveva gli occhi lucidi. Lo zio tirò su con il naso, e improvvisamente la ragazza poté vedergli crollare addosso tutto il peso dei suoi oltre cinquant’anni, neanche si fosse trattato di un carico fisicamente tangibile: gli si incurvarono le spalle, e l’uomo chiuse gli occhi mentre la brezza serale gli spostava i capelli incolti dal viso.
«E poi quel numeretto musicale in cui tutta la famiglia mi… mi incolpava di qualsiasi cosa…» Bruno accennò un sorriso triste, e Mirabel spalancò gli occhi.
«Tendo a dimenticare che vivevi nei muri e non eri chissà dove oltre le montagne» confessò Mirabel a disagio. «Ne avrai sentite di ogni, in questi anni…».
«Nulla in confronto a ciò che mi frulla in testa» rise l’uomo, ma era una risata amara quanto il suo sorriso che seguì. «Ma va bene. Va bene così. Va bene così» ripeté, e di nuovo quel rituale: «Tocco tocco legno» e diede quattro colpetti alla balaustra con le nocche che, Mirabel lo notò solo in quel momento, erano un po’ escoriate.
«Lo… lo fai spesso?».
«Cosa?».
«Questo» e mimò il gesto di bussare sul legno, producendo un “toc toc” appena accennato. Disturbato da quel suono e dal gesto in sé, Bruno lo completò e bussò altre due volte, con un mezzo sospiro.
«Quattro volte. Devi farlo quattro volte. Non una, non due, non tre. Non tre» ripeté, e Mirabel lo guardò preoccupata.
«Parlami di quei pensieri… quelli a cui hai accennato poco fa».
«Quali?» chiese Bruno, stupito.
«Quelli che “ti frullano in testa”» virgolettò con le dita la ragazza.
«Ah… non so se… non so se siano adatti ad una ragazzina che…» ma fu interrotto dallo sguardo perentorio che gli diresse lei, con un sopracciglio inarcato e una mano sul fianco. «Oh» mormorò. «A volte dimentico com’è parlare con le persone. I topi almeno rispondono ciò che voglio sentirmi dire» borbottò, poi alzò gli occhi al cielo. «Va bene. Da dove comincio? Da dove?» chiese poi, e nel suo tono c’era un accenno di disperazione.
«Iniziamo da…» Mirabel finse di rifletterci, ma la curiosità ebbe il sopravvento: «Cominciamo dal perché fai questi gesti continui, ti va?» chiese gentilmente.
«Penso solo… No, no. Credo che se non li facessi, accadrebbero cose terribili. Cosa che per un po’ mi ha salvato da me stesso, io penso. Penso» mormorò Bruno, appena udibile. Mirabel aggrottò le sopracciglia, confusa.
«Cose terribili? Tipo?».
«Tipo la distruzione più assoluta. La scomparsa dei doni. La rottura della famiglia. Casita ridotta in macerie».
«Ah, vuoi dire quello che è successo qualche anno fa?» chiese Mirabel ironica, e decisamente poco impressionata.
«Beh, era molto legato a quella visione, a quella profezia che feci su di te, no? È iniziato così. Mi sono inizialmente convinto che se avessi fatto tutto il possibile per evitarlo, non sarebbe successo. Non calpestare le crepe, che rompi la schiena a tua madre… Lanciati il sale dietro le spalle per evitare la sfortuna… Tocca legno o ferro per evitare le maledizioni… Sono gesti innocui, ma sono diventati…» Bruno si stava agitando, e il suo parlare in modo sconnesso e pieno di pause stava confondendo Mirabel, che mise le mani avanti.
«Credi davvero che tutte queste cose avrebbero evitato ciò che è poi successo comunque?».
«Tocco tocco legno» mormorò Bruno, bussando quattro volte sulla balaustra del balconcino, e Mirabel lo guardò con tenerezza. «Sì, sì lo credevo davvero. Penso sia il motivo per cui non me ne sono mai andato, non per davvero. Il motivo per cui sono rimasto, il vero motivo, non è per stare insieme a persone che mi reputavano uno iettatore… per carità. Per carità. Ce ne fosse uno, che si è scusato. Anche loro baci e abbracci, quando fino a pochi giorni prima canticchiavano “non si parla di bruno, no, no”» mormorò amaro lo zio. «Dicevo… il motivo per cui sono rimasto, il vero motivo, è per evitare che il disastro accadesse. E siccome non ho… non avevo… un vero controllo su cosa succedeva in casa…» la pausa sfumò nel silenzio, e Bruno sembrava tormentato e ansioso nell’ammettere quella mancanza di controllo.
Mirabel gli poggiò una mano sulla spalla, esitante, e Bruno chiuse gli occhi, lucidi e colmi di lacrime. Poi li riaprì, e li fissò in quelli castani di Mirabel.
«Tu sei l’unica, l’unica che ha creduto in me. Mi hai spinto fuori da quei muri, fuori dai miei confini, e questo mi spaventa. Io… io non ho parole per dirti quanto ti sono grato di ciò. Ma non so neanche spiegarti quanto ciò mi metta ansia. Tocco tocco legno» mormorò, battendo quattro volte sul legno dipinto di giallo e arancione della Casita. «E ora non so perché lo faccio ancora. Il peggio è passato. Ma ho questi pensieri… questi pensieri che continuano ad assalirmi, sono fuori dal mio controllo, non riesco proprio ad impedirli… che se non faccio questi rituali, questi piccoli rituali che per me non sono nulla di particolarmente inficiante, qualcosa di terribile accadrà. E a volte mi chiedo se questi pensieri non siano indice di chi io sia davvero» mormorò Bruno, chiudendo gli occhi, e finalmente una lacrima gli rotolò sulla guancia.
«Sei molto vago sulla natura di questi pensieri» mormorò Mirabel, stringendosi allo zio e abbracciandolo per dargli conforto. «Ti va di dirmi di cosa trattano?».
«Sono molto… molto cruenti. Molto brutti. Molto specifici, anche» mormorò Bruno, carezzando i capelli della nipote con gli occhi socchiusi.
«Tipo?» insistette Mirabel.
«Tipo… tipo che se non tocco legno quattro volte allora morirà qualcuno. Tu, ad esempio. In un modo orribile. E non è una visione, è solo… è solo un pensiero. Ma io ci credo, ci credo così fermamente che devo toccare legno quattro volte, altrimenti ho paura di avere ragione, che sia una visione, che il dono si manifesti anche in questo modo. E se qualcuno mi interrompesse mentre tocco legno, o non facesse raggiungere il sale a terra, o mi fermasse il braccio mentre tocco legno, perché disturbato dal mio bussare… io… io credo che impazzirei definitivamente, perché allora queste cose orribili che penso si avvererebbero tutte insieme. Encanto: distrutto. Distrutto. La nostra vita: rovinata. La Casita: in frantumi. I doni: scomparsi. Scomparsi» ripeté, e di nuovo sembrava particolarmente agitato.
«Non ho una soluzione per questi pensieri orribili, tio Bruno…» ammise Mirabel, stringendosi a lui; lo zio ricambiò l’abbraccio, confortato dalla vicinanza della ragazza. «Ma quel che posso fare è assicurarmi che nessuno ti prenda in giro per questi rituali. Per quanto possano sembrare strani, sono tutti…» esitò, e Bruno sciolse l’abbraccio, abbassando lo sguardo.
«Sono tutti colpa di mama Alma» concluse zio Bruno, e rivolse lo sguardo alle stelle mentre la brezza leggera entrava nella Casita, portando odore di fiori e cibo proveniente dal villaggio.
«Mi dispiace così tanto» mormorò Mirabel, abbassando invece lo sguardo.
«Non importa. Non importa» ripeté Bruno, e chiuse gli occhi cercando di mettere ordine nella propria mente.
   
 
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