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Autore: HellWill    01/01/2022    0 recensioni
(Ho visto questa challenge (goo.gl/XBoRTK) e non potevo non farla. L'ho iniziata nel 2015, ma era l'anno della maturità e mi sono fermato al prompt n°23.)
"Tuttavia, la volta decisiva in cui Anila si rese conto che c’era qualcosa di decisamente strano, fu perché trovò un dentino vicino il suo letto; e di certo non l’aveva perso lei."
Genere: Fantasy, Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '365 DAYS WRITING CHALLENGE'
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1 gennaio 2022
Monster Under
The Bed

Capitava, ogni tanto, che si svegliasse nel cuore della notte, paralizzata dall’angoscia.
Non riusciva a muovere un dito, non riusciva a far altro che battere le palpebre e sentire se stessa urlare nella propria testa mentre figure minacciose circondavano il suo letto; fatte di pura ombra, quelle figure scomparivano man mano che lei si svegliava e muoveva un dito, due, una gamba, un gomito.
Certo, questo capitava prima.
Ma andiamo con ordine.
La prima volta che Anila si rese conto che c’era qualcosa di strano, non fu perché accadde un disastro o chissà che: semplicemente si rese conto che non faceva quei bruttissimi incontri da un pezzo, e si chiese se ciò significasse che stava finalmente crescendo.
La seconda volta che Anila si rese conto che c’era qualcosa di strano, fu perché si rese conto che anche gli incubi, quelli occasionali che ogni tanto chiunque ha, erano spariti nel nulla assoluto. Sempre più spesso le capitava di iniziarne uno, e poi… poi il nulla. E si svegliava riposata, poiché quegli inizi di incubo non l’angosciavano come gli incubi veri e propri che aveva avuto prima di allora.
La terza volta, e anche le successive tre o quattro, che Anila si rese conto che c’era qualcosa di strano, fu perché sua madre la incolpò del fatto che dalla dispensa continuava a sparire cibo. Perlopiù conserve sotto aceto o sott’olio, che ad Anila neanche piacevano granché, ma sua madre e suo padre erano convinti fosse lei perché… beh, insomma, c’erano solo loro tre in casa, e se non erano i suoi genitori a mangiarle, chi mai altro poteva essere stato?
Tuttavia, la volta decisiva in cui Anila si rese conto che c’era qualcosa di decisamente strano, fu perché trovò un dentino vicino il suo letto; e di certo non l’aveva perso lei.
Anila e la sua famiglia non avevano animali; non erano soliti cacciarne, poiché le foreste del Regno di Kanor erano infestate di animali ben più pericolosi dei cervi; e soprattutto non erano soliti comprare carne, siccome al padre di Anila non piaceva.
Il dentino che la bimba trovò aveva una strana forma: non esattamente come un canino di gatto, in quanto era più lungo e più largo; somigliava quasi ad un molare di cane, in quanto la parte larga era frastagliata come uno di essi… ma era anche decisamente più lungo di qualsiasi dente di cane avesse mai visto in vita sua. Somigliava un po’ ad una zanna, in effetti.
Oh, ed era viola chiaro, colore del quale di solito i denti non sono.
Anila lo mise nella sua scatola dei tesori, e se ne dimenticò.
Se ne ricordò solo quando, una notte, un rumore la svegliò: la sua scatola dei tesori, piena di ossicine trovate nei prati, ali di farfalle, bottoni e altre amenità, era riversa in terra, e un’ombra scura e – pelosa? – si allungava fin sotto il suo letto, al punto da farle spalancare gli occhi nell’oscurità della sua cameretta, terrorizzata che le ombre fossero tornate a farle visita.
Ma l’ombra scomparve sotto il suo letto, silenziosa; e per i minuti successivi null’altro accadde. Timorosa di mettere piede sul pavimento, lì dove la cosa era strisciata, Anila si limitò ad accendere la candela che teneva sul comodino per le emergenze – come prendere un bicchier d’acqua in cucina, o recarsi nella stanza dei vasi da notte – e studiò circospetta la propria stanzetta: nulla era fuori posto, però, a parte la scatola dei tesori riversa in terra.
Il che, a dir la verità, era abbastanza strano di per sé: la scatola in questione, infatti, era solitamente riposta su di uno scaffale sopra la piccola scrivania, quindi, qualunque cosa fosse quell’ombra pelosa, si era dovuta arrampicare su per il tavolino e sopra lo scaffale… per poi scaraventarla a terra? Saltando il tavolo? No, non aveva molto senso.
Dato che la luce tremula della candela le aveva dato coraggio, la piccola Anila si decise e scese dal letto: portò la candela sul pavimento, ed ispezionò attentamente lo spazio vuoto fra esso e la rete del letto.
Tale spazio era decisamente misterioso: Anila non vi guardava mai, e vi ritrovò con gli occhi un calzino smarrito tempo prima e addirittura un giocattolo che non vedeva da anni, finito lì da chissà quanto.
Tuttavia, una parte del sotto-letto era e rimaneva in ombra, oscurato dal comodino. Quando Anila mosse la candela per esaminarlo con più diligenza, quella parte in ombra… soffiò.
Spaventata, Anila balzò all’indietro, lasciando il porta candela sul pavimento di assi.
Ma cosa c’era sotto il suo letto?
«Non avere paura» bisbigliò, con il cuoricino che le batteva forte nel petto. «Io ne ho più di te, comunque» confessò, e spostò la candela per non disturbare qualunque cosa ci fosse sotto il suo letto. Poi ci ripensò e prese la fonte di luce, dirigendosi alla scatola riversa in terra: con delicatezza ripose tutti i ninnoli caduti in essa, e notò con stupore che mancava proprio la sua ultima preda… la piccola zanna violetta era infatti sparita. La cercò sul pavimento, corrucciata, ma si arrese all’evidenza che la cosa se l’era ripresa… sempre che fosse stata proprio lei a perderla in primo luogo.
«Volevi il tuo dentino?» chiese piano, e l’ombra pelosa sotto il suo letto si acquattò e fece un verso simile al “mrrau” di un gatto che ti chiede qualcosa, ma con un suono più basso e meno acuto. «Ti farai mai vedere?» domandò poi, cauta.
«Potrei» mormorò la voce, ed era una strana; se della maggior parte delle voci che senti puoi dire se sono di bambino, o di ragazzo o ragazza, o di uomo o donna, o di anziano… beh, di quella non potevi dire un bel niente, perché somigliava alla voce che avrebbe avuto una cosa se avesse potuto parlare: senza genere, senza acuti, senza tempo.
Alquanto stupita, Anila si morse le labbra e bisbigliò:
«È un sogno?».
«No, altrimenti lo mangerei. Sei spaventata», e non era una domanda.
«Cosa sei?».
«Un mostro, di quelli sotto il letto» rispose la creatura, calma. Sembrava si stesse facendo i fatti suoi. «Mi dispiace averti svegliata» aggiunse poi, con dolcezza.
«Sei un mostro? Di quelli cattivi che sono nelle foreste?» chiese allora la bambina, sotto voce. Il mostro rise piano.
«Oh, no. Noi nasciamo quando un bambino ha bisogno di noi. Mangiamo i sogni, ma solo quelli brutti. E ogni tanto anche del cibo umano, perché no. Ci incuriosite moltissimo».
Anila si rese conto di avere la bocca aperta per lo stupore, così la richiuse.
«Non ti farai vedere?» chiese poi, dopo attenta riflessione.
«Noi mostri sotto il letto abbiamo paura della luce. Per questo usciamo solo quando è notte» spiegò con pazienza la creatura, e Anila annuì.
«Quindi se spengo la candela vieni fuori?».
«Sì, ma se lo fai non potrai vedere per un pezzo, dato che sei una figlia degli uomini».
«Che vuol dire figlio degli uomini?» chiese con curiosità la bimba.
«Oh, è il vostro nome antico. È così che gli altri popoli chiamavano voi esseri umani, in origine».
«E perché non potrò vedere, se spengo la candela?».
«Perché i vostri piccoli due occhi ci mettono un po’ ad abituarsi al buio, piccina» mormorò il mostro, paziente. Ad Anila quella frase suonava strana; e non perché non fosse vero ciò che la creatura le aveva detto: gli occhi effettivamente ci mettevano un po’ a vedere al buio, ma…
«Perché dici “due” occhi? La maggior parte delle creature al mondo ne ha due, mi sembra… strano, dirlo» osservò la bimba, e il mostro rise piano.
«Perché io non ne ho solo due, sciocchina».
Anila spalancò gli occhi e cercò di immaginarsi la creatura: pelosa e nera come il fumo, lunga come l’aveva vista mentre si svegliava, con…
«E quanti occhi hai?».
«Sette, ovviamente» rispose, come se davvero fosse ovvia qualsiasi parte di quella conversazione.
…con sette occhi. Tre per lato della faccia, se ne aveva una, e uno sulla fronte, forse?
«Ora spengo la candela. Vieni fuori quando te lo dico io, così non mi spaventi?».
«Certo. Ma non credo di spaventarti. Ho una forma molto amichevole, o almeno così dicono».
«Chi lo dice?».
«Ma tutti i bambini che ci scoprono, sciocchina. Se fossimo spaventosi, non potremmo più nutrirci dei vostri brutti sogni!».
«Sette occhi sono piuttosto spaventosi» Anila rise nervosa, e cercò sul comodino il cappellino in metallo per spegnere la candela.
La stanza ripiombò nell’oscurità, e Anila si rimise a letto, impaziente: non vedeva un accidente, in quel momento! Sentì il mostro sospirare.
«Non volevo farmi scoprire, a dir la verità… proprio per questo volevo riappropriarmi del mio dente perso. Vedi, nel tentativo di rimediare alla mia sbadataggine, ho finito per farmi scoprire in modo totale!».
«Non è colpa tua, se tengo la scatola dei tesori su uno scaffale troppo piccolo!» rise la bimba, e il mostro con lei.
«Bene, ora inizio a vedere un po’. Scorgo i contorni del tavolo e delle imposte della finestra. Puoi venire fuori?».
«Posso salire sul letto?» chiese gentilmente il mostro, e Anila annuì. Senza sapere come la creatura avesse fatto a vedere il gesto da sotto il letto, ecco che un coniglietto nero con sette occhi e una coda da scoiattolo – lunga e setosa come visone – balzò sul suo letto. Aveva proprio tre occhi per lato del musino, che si allungavano verso le orecchie, e uno proprio in mezzo alla fronte, che brillava pochissimo di una luce azzurrina.
«Ma sei bellissimo!» esclamò entusiasta la bimba, e il mostro ridacchiò imbarazzato.
«Ti ringrazio! Ora però devi dormire… io ho fame, e domattina toccherà a me riposare!».
«Cosa succede se non faccio più incubi?» chiese la bimba, un po’ triste al pensiero di far morire di fame il povero coniglietto magico.
«Troverò un altro bimbo o un’altra bimba che ne abbia di succulenti, non temere… Ma tutti fanno incubi: anche i grandi» confessò il mostro, e Anila spalancò gli occhi nel buio, stupita.
«Davvero?» chiese. «E che incubi fanno?».
«Perlopiù riguardo i loro errori… per questo noi mostri sotto il letto ci mettiamo sotto quelli dei bambini: i loro incubi sono decisamente più puri, e riguardano molto meno la vita reale e molto di più la sfera– beh, ma basta parlare di cibo! Ho l’acquolina in bocca!» protestò il mostro, ridacchiando. «Ora me ne torno sotto il letto».
«Ma non stai un po’ stretto?» si preoccupò la bambina.
«È della taglia perfetta per me» assicurò il mostro. «Buona notte, Anila» e detto ciò balzò sul pavimento e scivolò sotto il letto.
Anila si mise sotto le coperte e chiuse gli occhi.
Poi li riaprì.
«Come fai a sapere il mio nome?» bisbigliò.
Ma non arrivò mai nessuna risposta.
   
 
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