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Autore: HellWill    02/01/2022    0 recensioni
(Ho visto questa challenge (goo.gl/XBoRTK) e non potevo non farla. L'ho iniziata nel 2015, ma era l'anno della maturità e mi sono fermato al prompt n°23.)
La casa scricchiolava.
La casa scricchiolava, e non era un buon segno.
Irnokan era casa sua sin da quando l’aveva creata proprio dove un tempo, vicino l’antica Ther, sorgevano i nidi delle fate; in una porzione della Foresta del Re così sepolta nei suoi stessi meandri da risultare sconosciuta ai più, persino agli umani che si fregiavano di esserci cresciuti dentro.
Genere: Drammatico, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '365 DAYS WRITING CHALLENGE'
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2 gennaio 2022
Betrayal
 
La casa scricchiolava.
La casa scricchiolava, e non era un buon segno.
Irnokan era casa sua sin da quando l’aveva creata proprio dove un tempo, vicino l’antica Ther, sorgevano i nidi delle fate; in una porzione della Foresta del Re così sepolta nei suoi stessi meandri da risultare sconosciuta ai più, persino agli umani che si fregiavano di esserci cresciuti dentro.
Irnokan era casa sua; e casa sua era, giustamente, magica quanto lui. Irnokan avvertiva i suoi abitanti delle tempeste che sarebbero arrivate, o delle creature che si avvicinavano; Zashat aveva addirittura ricoperto la casa di incantesimi per renderla invisibile a chi non ci fosse già stato, e quindi era il rifugio perfetto per fuorilegge come i suoi ospiti: la Resistenza.
La Resistenza aveva in effetti trovato Zashat per puro caso, e lui aveva offerto casa propria, dopo un po’, come base operativa. Si erano incontrati durante le rivolte che avevano portato alla nascita e all’indipendenza del novello Regno Faël, e per quanto ancora a sud ci fossero intere città in rivolta, che lottavano per l’indipendenza… il più era stato fatto. Zashat era un guerriero temibile, e Marika, il capo della Resistenza, l’aveva sempre ammirato per questo. Nidàl, suo marito, era un po’ inquietato dalla presenza del Sayn, ma a conti fatti tutti andavano d’accordo con Zashat, pur non conoscendolo a fondo. Dopotutto, aveva dato loro una casa.
Ecco alcune delle cose che inquietavano gli abitanti di Irnokan riguardo Zashat: al contrario della maggior parte dei Sayn, Zashat aveva le pupille verticali e gli occhi che al buio brillavano appena. In più, si muoveva così silenziosamente che raramente lo si sentiva arrivare, e perciò sembrava comparire dal nulla non appena veniva nominato. Non mangiava, non beveva e in generale non coltivava la bellezza – cosa tipica dei Sayn –, e sembrava prosperare nelle situazioni in cui era coinvolto il sangue e la morte; ma ciò non sembrava turbarlo, e neanche sembrava piacergli particolarmente: era un po’ come se lo reputasse l’ordine naturale delle cose.
Quando Zashat combatteva, e questo lo avevano visto sul campo poco tempo prima, egli non uccideva: ciò era infatti impossibile per qualsiasi Sayn. Eppure, riusciva a neutralizzare tutti i nemici che incontrava sul proprio cammino, il che faceva di lui una risorsa preziosissima in tempi di guerra.
Ma Zashat credeva anche nella filosofia per cui non bisognava uccidere una mosca solo perché dà fastidio; e credeva profondamente anche che tutti dovessero aderire a quella filosofia fintanto che vivevano sotto il suo tetto. Per cui, uccidere o ferire qualunque creatura vivente era vietato ad Irnokan, a meno che non servisse per mangiare o difendersi – la caccia, dunque, era ammessa, e così anche l’impedire con la violenza che la casa venisse scoperta.
Gli anni erano passati velocemente all’interno di Irnokan: Marika aveva lasciato le redini a suo marito, in modo da potersi occupare di loro figlio Erik, di due anni, e di Elizabeth, che di anno ne aveva soltanto uno. Zashat aveva suggerito alla Resistenza di fare ricerche sui Portali per altri mondi, e Marika passava tutto il suo tempo libero con i maghi dell’organizzazione, cercando un modo per trovarli e così proteggere la piccola da chi andava cercandola per scopi decisamente malvagi.
E Nidàl aveva preso con molta serietà la propria missione di far fiorire la Resistenza, ma si vedeva che chiaramente non era la persona più adatta al comando… almeno, secondo Zashat.
La casa, come dicevamo, scricchiolava. E ciò non era un buon segno.
Influenzata dai suoi abitanti, se Irnokan scricchiolava voleva dire che c’era qualcosa che non andava in essi; ma Zashat non li conosceva poi così bene, e non avrebbe saputo dire cosa ci fosse a non andare.
Indagò per giorni, ma tutto sembrava tranquillo.
Passarono le settimane, e la casa sembrava sempre di più sul punto di far appassire gli alberi che la costituivano; Marika se ne andò, per motivi che Zashat non comprese. Ma forse, non andava più d’accordo con Nidàl? Cosa ci vuole perché una madre prenda suo figlio e quella che ormai considerava tale e se ne vada in un altro mondo?
Irnokan rifletteva quella scelta, e sussurrava a Zashat ciò che accadeva all’interno delle sue mura: una grande oscurità stava nascendo e crescendo da tempo nel cuore e nell’animo di Nidàl… ma a Zashat sembrava tutto normale, e gli concesse il beneficio del dubbio.
Fu allora che Tarish fece il suo ingresso ad Irnokan: si guardò intorno, ammirò la magia che aveva creato la casa in tono mellifluo, e Nidàl lo accolse come nuovo membro della Resistenza. Ma a Zashat, Tarish non piaceva. Era una creatura della notte, che per vivere doveva necessariamente far del male a chi lo circondava: si nutriva di cattiveria, e ciò non faceva che riflettersi in tutto ciò che faceva.
Il peggio era forse che, nutrendosi della cattiveria umana, lasciava le proprie vittime come bambini spaesati in un mondo di cui non si ricordavano più; era come se li rendesse improvvisamente incapaci di ricordare chi erano, cosa facevano o dove si trovavano, e aspirasse in quelle labbra sottili tutta la personalità di cui erano composti gli esseri umani dei quali si nutriva.
Un vampiro emotivo. Null’altro di più, niente di meno.
E non passava giorno senza che Irnokan si lamentasse di quella presenza, impaurita e rabbiosa quando faceva il suo ingresso in casa e sollevata quando se ne andava per brevi periodi.
Ma Nidàl, invece, era di altro avviso riguardo Tarish: in gran segreto, confrontandosi prima con i membri più convinti della Resistenza, e infine con tutti gli altri a poco a poco, il nuovo capo aveva deciso di stringere un patto con Tarish, la cui natura era così oscura che, in piena primavera, agli alberi di Irnokan cominciarono a cadere le foglie, ingiallite e morte in brevissimo tempo.
Avuta conferma di tale patto, a Zashat non restava che fare una cosa; che, per quanto semplice, era anche piuttosto dolorosa.
 
«Fuori di qui».
Nidàl spalancò gli occhi.
«Non puoi essere serio… Dai, Zashat. Dove potremmo mai andare?».
«Non mi interessa. I patti erano chiari. Tra la mia gente si suol dire, “chekiyé dogovò doljayà ruvhbà”. Sai cosa vuol dire?».
Nidàl scosse il capo, mentre Zashat incrociava le braccia sull’ampio petto nudo.
«Vuol dire “Se i patti sono rispettati, l’amicizia è lunga”. I patti non sono stati rispettati, quindi i tempi in cui potevate fregiarvi della mia amicizia sono giunti al termine. Avete tradito la mia fiducia alleandovi con quella creatura della notte, e a questo non si può porre rimedio. Se pure interrompeste il patto, dà adito a dubbi sulla vostra buona fede dimostrata fino a quel momento».
«Zashat, noi-».
«Andate via».
Il tono dell’uomo non ammetteva repliche, e Nidàl abbassò lo sguardo.
«Lasciaci prendere le nostre cose e ce ne-».
«No. Andate via e basta».
«Ma c’è tutta la nostra vita in questa casa!» protestò il ragazzo, e Zashat puntò gli occhi dalla pupilla verticale nei suoi.
«Cosa non è chiaro di ciò che ho appena detto? Se rimettete piede in questa casa, vi ammazzo e vi sgozzo con le mie mani» ringhiò, e Nidàl lasciò ricadere il suo unico braccio lungo il fianco, fissandolo allibito.
«Davvero?» mormorò, e Zashat restò immobile.
«Sì» confermò. «L’avete lordata con la vostra sozzura. Non voglio che entriate più in casa mia. Se lo farete, ne affronterete le conseguenze».
Nidàl a quel punto si voltò: Said, Nimar, Faren, Ilibom e Saren erano gli unici presenti a quello scambio, mentre gli altri membri della Resistenza erano fuori, a lavorare ad altri progetti; e comunque non erano poi tanti, non più di una trentina in tutto.
«Andiamo» mormorò Nidàl, facendo loro cenno di fare dietrofront.
Said si accostò a lui.
«Dove pensi di andare?» chiese piano, mentre si allontanavano da Irnokan, la casa magica in mezzo al bosco.
«Non lo so» confessò Nidàl.
Zashat li guardò andar via, poi rientrò in casa in silenzio.
Svuotò la dispensa in cucina, e valutò cosa vendere e cosa invece regalare ai più bisognosi; stessa cosa fece i giorni seguenti con il contenuto delle varie camere, conservando solo anonime coperte di lana, lenzuola e legna per i camini.
Quando si fu liberato di tutto, una settimana circa dopo che la Resistenza se n’era andata, Zashat studiò la casa svuotata di ogni presenza e si recò al piano di sopra, in biblioteca. Non c’era libro che non avesse già letto, quindi si accoccolò in una poltrona e si mise le mani sul viso, coprendosi gli occhi.
E infine urlò.
Per il dolore, per il tradimento che aveva subito e per quello che aveva inflitto, per aver perso gli unici amici che avesse avuto da molto tempo; urlò per un po’, poi gemette e infine pianse, rannicchiato su se stesso come un bambino troppo cresciuto.
Ci mise qualche ora, ma quando ebbe finito si rialzò, e non nominò mai più la Resistenza, limitandosi a vivere ai margini della società civile, limitandosi ad aspettare il momento in cui qualcuno – e lo sapeva, ci sarebbe stato – fosse arrivato a chiedergli nuovamente un tetto sopra la testa.
E chi era lui, per dir loro di no?
 
   
 
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