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Autore: PiscesNoAphrodite    03/01/2022    0 recensioni
"La Dodicesima Casa non mi era mai sembrata così tetra – col suo perimetro regolare e incastonata come un diamante tra le pareti verticali del monte – benché non la ricordassi come un luogo ridente, se non per la presenza dei fiori i quali però aulivano, anch'essi, di un sentore di morte."
***
In un ipotetico post-Ade Misty è riuscito a conquistare le Sacre Vestigia di Libra, a dispetto di trascorsi poco brillanti; ma è possibile che nel raggiungimento di uno status ambito ed elevato non risieda la felicità? Dove cercarla, dunque? In bilico tra la vita e la morte? In gesta eroiche o in qualcosa di più ordinario?
(Narrazione a punti di vista alternati)
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Apollo, Lizard Misty, Perseus Algol, Pisces Aphrodite
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I prati di asfodelo, capitolo XIII

 

 

“Puoi raccontare a me il sogno, se lo desideri.”

Guardai Milo, ricomponendomi: “No, non credo sia il caso, è imbarazzante quanto basta e non è così importante” risposi girando sui tacchi per ripercorrere la scalinata all'indietro.

“Come preferisci” replicò. “Forse l'inquietudine che provi è l'effetto dei rimorsi, del pentimento.”

“Quale pentimento e per cosa?” domandai, voltandomi di nuovo verso il Santo dell'Ottava Casa.

Quella sicumera mi infastidiva. Milo non era uno stupido ma l'ostentata fede – cieca – in Athena lo avviliva. Un Santo dovrebbe possedere senso critico al di là dell'essere ostinatamente ligio al dovere.

“E lo domandi?” insisté, provocatorio.

“Hai forse presenziato ai fatti, per essere così sicuro che io abbia commesso qualcosa di cui dovermi pentire?”

“La fama delle persone coinvolte mi dà certezza delle mie convinzioni” affermò corrugando la fronte e, in risposta, sorrisi, tanto per sdrammatizzare.

“Sono i soliti pregiudizi ma non posso convincerti del contrario, forse il tempo mi darà ragione” sospirai sfilando il mantello per restituirlo al legittimo proprietario. “Se permetti, ci ho ripensato. Voglio salire lo stesso al Dodicesimo Tempio per vedere Søren, anche se lui non può ascoltarmi... e domani è un altro giorno.”

Lasciai Milo con un'espressione inebetita impressa sul viso. Aveva deciso di farmi passare senza battere ciglio, dopotutto sapeva che lo stimavo e lo reputavo una persona intelligente.

 

***

 

XXVII

 

Saori?!

Alzai gli occhi dal piano della scrivania tralasciando il faldone di documenti che stavo esaminando. La dèa irruppe a sorpresa nella biblioteca, con l'impeto di una raffica di vento. Aveva fatto ritorno al Santuario senza alcun preavviso.

“Dohko!” esclamò. “Non sopporto mi si scavalchi, che mi si tratti come una ragazzina priva di discernimento, sempre ultima a sapere le cose.”

Scarabocchiai alcuni ghirigori su un foglio a parte e poi scostai la sedia all'indietro, alzandomi in piedi, incapace di trattenere lo stupore. “A cosa vi riferite, milady? Non capisco.”

“Non fate il finto tonto” sibilò lei con le labbra tremanti. “Adesso è troppo, ho sorvolato troppe volte ma adesso basta, è ora di farla finita.”

“Farla finita con cosa?”

“Con quel presuntuoso che crede di essere chissà chi. Non gli è bastato svignarsela dal Santuario col pretesto di intrattenere rapporti diplomatici con un mio pari, senza averne facoltà, e di conseguenza giocarsi la vita del dodicesimo Custode per vanagloria. No! Si è permesso anche di umiliare la maestra di Seiya” passò le mani sul volto e prese un respiro iniziando a percorrere lentamente il perimetro della stanza. “E voi, cosa fate? Assecondate le sue manie di grandezza reggendogli il gioco a mia insaputa.”

Seiya, Marin...

Saori forse avrebbe chiuso un occhio su altre faccende ma non in merito a qualcosa che coinvolgesse – in modo diretto o indiretto – il suo pupillo, i suoi favoriti. In cuor mio temevo, presumevo, reagisse come una bambina viziata e per questo avevo mantenuto il riserbo.

Ho ancora molto da imparare – sono parole vostre riferite a voi stessa, divina Athena, le ricordate? Pensavo mi aveste accordato fiducia a sufficienza da prendermi la briga di agire senza consultarvi, evitando di annoiarvi con la bravata della maschera.”

“Sì, sono parole mie e voi siete un impertinente – in realtà – privo dell'autorità che vi siete arrogato in questo caso specifico. Come si suol dire: il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, e queste mura hanno occhi e orecchie” disse armeggiando con gli oggetti posti su questo o quel ripiano, scaffale o mensola. Afferrò la bacchetta preposta a evidenziare le aree geografiche sulla cartina. Ne saggiò la resistenza, flettendo l'oggetto con le mani, per poi fendere l'aria a vuoto un paio di volte tanto che mi soffermai a guardare la scena perplesso.

“Allora saprete che Libra si è già scusato con Marin, si sono chiariti” replicai dopo essermi riavuto dallo straniamento. “In merito alle altre questioni... credevo fosse tutto risolto, non è da voi rivangare eventi – per così dire – spiacevoli.”

“Le scuse non sono sufficienti, considerata la gravità dell'offesa perpetrata a danno dell'amazzone” sbuffò, passando dalla collera all'insofferenza. “Meritereste di essere sollevato dall'incarico di Gran Sacerdote per aver liquidato l'episodio con tanta leggerezza.”

Non mi lasciai intimidire, attardandomi a guardare il cielo limpido attraverso la vetrata: “Sono spiacente. Potrei aver commesso l'ennesimo errore di valutazione ma non credo di aver agito con leggerezza, dopo aver appurato l'onestà del Santo di Libra” detto questo recuperai il plico di incartamenti per inserirlo nell'archivio.

“Non difendetelo. È il vostro buon cuore a trarvi in inganno, Dohko. Anche io ho sbagliato con lui confidando erroneamente – innumerevoli volte – nella sua buona fede, irretita dal suo viso d'angelo. Questa volta non sentirò ragioni.”

Il mio timore era fondato quando avevo preso la decisione di non informare Saori sull'accaduto, benché non credessi – fino a prova contraria – che si sarebbe infuriata al punto da esternare l'aggressività latente nella sua personalità. L'errore di Misty non risiedeva nelle mancanze che gli venivano rimproverate ma nell'essersi rapportato con impudenza nei confronti di Saori, ferendola ripetutamente nell'orgoglio. Lei se l'era legato al dito serbandogli rancore. L'incidente occorso a Marin era stato l'ulteriore goccia a far traboccare il vaso.

Saori è la reincarnazione di Athena, malgrado l'aspetto fragile, e alcuni Santi si ostinano a dimenticarlo. Maledizione...

“Convocate subito i vari ranghi a consiglio, sullo spiazzale dove sorge il Tredicesimo Tempio, cosicché io possa impartire a quell'insolente la lezione che merita.”

Mi voltai di scatto, ahimè, senza avere il tempo di reagire poiché Saori aveva già raggiunto l'uscita.

 

Il Santo di Libra mi stava studiando a fondo e sembrava privo di risentimento. Ciò che leggevo nei suoi occhi azzurri era pura disillusione, impazienza di avere delucidazioni sul mio ruolo nella vicenda: se lo avessi tradito con un voltafaccia oppure fossi un ignavo. Non avrebbe avuto tutti i torti a sospettarlo vista la pantomima – più o meno discutibile – che avevo recitato, per anni, impassibile sulle montagne di Goro-Ho, mentre la guerra civile imperversava decimando i Santi al Grande Tempio. Chinai la testa e poi sbirciai di sottecchi le espressioni degli altri. Alcuni Santi erano esterrefatti. Saori sfoggiava il piglio usuale in chi brandisce le armi e le redini del comando. Energie sprecate – a mio avviso – le quali profuse in circostanze diverse sarebbero risultate ben più proficue.

La supponenza di uno dei suoi aveva risvegliato l'indole autoritaria – non autorevole – dissimulata dietro il sembiante innocente di fanciulla. Mi sentivo in colpa per aver sottovalutato ogni possibile risvolto di quello che avevo ritenuto uno screzio trascurabile tra due Santi; in colpa per Misty, che persisteva a trafiggermi con uno sguardo interrogativo, inquisitorio.

“Chi ha creduto che l'oltraggio alla dignità di una Sacerdotessa passasse inosservato avrà la dimostrazione dell'esatto contrario” sentenziò la déa.

In risposta Misty sfilò l'elmo, col decoro che lo contraddistingueva, e sostenne il di lei sguardo senza proferire verbo; il volto pallido, l'ovale perfetto lambito da nastri di capelli scompigliati dal vento. Somigliava molto ad Aphrodite. Strano che non avessi mai ponderato – prima di apprendere dell'esistenza del legame di sangue – sulla loro similitudine. Mi grattai il capo, riflettendo sul fatto di essermi reso complice dei propositi che mi auguravo riuscisse ad attuare, senza considerare eventuali imprevisti. E adesso? Forse il suo piano si sarebbe ridimensionato a mera utopia nell'impossibilità di realizzarsi.

Il mio ruolo, la mia presenza, non aveva alcun peso in quel frangente, purtroppo ero relegato ad assoluta impotenza.

Saori attraversò il breve spazio, che si estendeva tra il seggio allestito per l'occasione e il consesso dei Santi, ponendosi di fronte al Santo di Libra distanziato di qualche spanna rispetto agli altri.

“Ti avevo già avvertito a proposito dell'utilità di ciascun elemento nelle rispettive Caste. Utilità proporzionale al valore, alla condotta, nel tuo caso deprecabile per non dire riprovevole.”

Il ragazzo alzò un sopracciglio, senza aprire bocca; che fosse colto alla sprovvista da non riuscire a pronunciare due sillabe in croce? Eppure non era incapace di argomentare, al contrario, dava spesso prova di essere disinvolto con le parole, ed era probabile non avesse alcuna voglia di mettersi a discutere con Athena.

Chi tace acconsente e in questo modo stai avallando le accuse che ti sono imputate, ma perché lo fai?

Saori si accigliò. “Giustificati, ora. Sempre tu abbia una giustificazione valida” insisté, ma in risposta vi fu ostinato silenzio. Il volto della dèa era divenuto color melanzana. Il modo di porsi dell'interlocutore doveva averla fatta inviperire come non mai.

Il Santo di Libra si riscosse con fare quasi impercettibile da una postura ingessata, forse dovuta al sentirsi come un pesce fuori dall'acqua e invischiato in una trappola dalla quale non riusciva a liberarsi. Ero certo non si capacitasse del mio silenzio. Alzò il mento e con un moto dello sguardo indugiò sugli acroteri che coronavano l'apice del frontone del Tempio. Atteggiamento da interpretarsi come una chiusura definitiva al dialogo.

“Niente. Non ho nulla da dirvi che non sappiate” esordì poi, con parole selezionate con cura, e d'un tratto serrò le palpebre destandosi bruscamente dalla dimensione parallela in cui fluttuava, indotto a toccarsi la guancia dove era comparso un taglio obliquo. Divenne bianco come la cera, dopo aver scorto del sangue sulle dita, e si chinò per recuperare da terra l'elmo sfuggitogli dalle mani. Esitò, prima di rimettersi in piedi, come se il gesto di colei in cui riponeva la propria fiducia lo avesse destabilizzato emotivamente.

Strabuzzai gli occhi, allibito. In quel mentre mi sovvenne l'episodio in cui Saori mi aveva contestato l'uso della violenza che lei non tollerava. Ipocrita. La sua mente doveva essere molto contorta o ero io lo stolto.

Udii un mormorio d'indignazione nel gruppo degli astanti. Quello scatto d'ira fu percepito come imbarazzante – inammissibile – anche per coloro i quali ritenevano Misty una persona indisponente. Mi precipitai alle spalle di Saori poiché la vidi in procinto di sferrare il secondo colpo sul malcapitato, ma la anticipai.

“Smettetela! Il mancato autocontrollo, in pubblico, è inaccettabile e denota immaturità.” Le sussurrai all'orecchio. “Stride con ciò che rappresentate.”

“Ma, Dohko... avete perso la pazienza anche voi con lo stesso soggetto, e più di una volta. È impossibile rimanere calmi.” Mi rinfacciò abbassando il braccio lungo il fianco e guardandomi negli occhi con aria sommessa, quasi delusa per il mio intervento che le aveva scombussolato i piani.

“Ma io sono un uomo semplice, fallibile, riflesso delle proprie debolezze, ho ammesso di aver sbagliato e mi sono pentito. Voi siete l'incarnazione della dèa della Giustizia, della Guerra, delle Arti. È diverso. Dovreste porvi come esempio: una sorta di modello di virtù da seguire” soggiunsi, sempre sottovoce. “Autorevolezza, milady. Autorità e abuso di potere non sono sinonimi di autorevolezza, io l'ho imparato a mie spese. Seguite il mio consiglio è per il vostro bene.”

“Ma.”

“Volete perdere il rispetto e la fiducia dei Santi, a fatica conquistati? È questo che volete?”

“No.”

“Allora vi prego di non continuare su questa china” ripresi.

Saori abbassò gli occhi e spezzò la bacchetta di legno a metà scagliandola via. Mi allontanai da lei e, nel frattempo, qualcos'altro attirò la mia attenzione.

“Divina Athena, si è già scusato con me.” Marin dell'Aquila aveva spezzato i ranghi dei Santi allineati, infrangendo la fittizia linea di demarcazione che sanciva il divario tra i militi e l'autorità superiore. “Per me è più che sufficiente.”

“Non sarai tu a stabilirlo, Marin dell'Aquila, per quanta considerazione e fiducia riponga nei tuoi confronti” precisò Saori.

L'amazzone fece un passo indietro e chinò il capo assicurando la fascia rossa che le cingeva la vita e Misty, dal canto suo, sgranò gli occhi come colto da stupore poiché la donna lo aveva dapprima sfiorato con un braccio inducendolo a incrociare lo sguardo stralunato con il proprio.

Congiunte al brusio di disapprovazione si dipinsero espressioni di sdegno su alcuni volti, non ultimo quello di Aiolos: “Milady, anche io ho parlato col Santo di Libra e ho avuto l'impressione che le scuse rivolte a Marin siano sincere.”

Se lo sosteneva Aiolos doveva essere senz'altro vero. Sistemai il mantello sopra agli abiti civili, Saori non mi aveva neanche dato il tempo di indossare i paramenti. Mi voltai per raggiungere lo scranno situato accanto a quello vuoto della dèa, sedetti accavallando le gambe, mi guardai le mani e poi le unghie. Ero stato sollecito a dissuaderla dal mettersi in cattiva luce. Sollecito ma non tempestivo nel prevedere e fermare il gesto incivile che aveva gettato un'ombra di discredito rischiando di pregiudicare quanto di buono era stato costruito finora. Avevo salvato il salvabile ma la protervia e l'impulsività di Saori avrebbero inasprito antichi rancori e infervorato gli animi, me lo sentivo.

“Hai un animo nobile, Sagittarius. Non dimenticherò questa propensione a prodigarti con generosità anche nei confronti di chi non lo merita.”

“Permettete, divina Athena. Sarebbe già tutto risolto con le scuse presentate dal responsabile e accolte dalla controparte. Credo che il Sommo Sacerdote abbia agito con saggezza, concedendo il perdono – al posto vostro – al Santo della Settima Casa” esordì Mu di Aries. Si era pronunciato con schiettezza in difesa del Santo di Libra, conscio che le sue parole avessero un peso determinante.

Anche Saga si unì al coro delle proteste: “Sono d'accordo” disse, seguito da Capricorn il quale annui in silenzio. Ai due sembrava non importare di essere invisi dai più, e anche Cancer fu sul punto di intervenire ma lo indussi a tacere per tempo con un cenno. Lo spettro del passato acuiva un sentimento di solidarietà in alcuni di loro, era innegabile.

“In queste circostanze, non per defezione ma per inadempienza – sommando tutta una serie di infrazioni – decreto il passaggio delle Sacre Vestigia di Libra a Shiryu” sentenziò Saori. “E... tu, invece, tornerai in prigione a languire nella sporcizia e nell'indigenza, e ci resterai fino a quando non avrò deciso cosa fare con te: se mandarti in esilio o trovarti una sistemazione più consona, dato che in veste di Santo d'Oro sguazzi nella mediocrità.”

Misty roteò gli occhi al cielo condensando nella labile espressione di disappunto il disprezzo per le scenate plateali. Sospirò limitandosi a prendere un fazzoletto dalle mani di Babel e tamponare la ferita. “Subordinato alla vostra autorità, accetterò qualsiasi decisione prendiate, divina Athena; ma non posso esimermi dall'avvisarvi che siete sulla rotta dell'incidente diplomatico” ribatté raccogliendo metaforicamente il guanto di sfida.

Guardai in basso poiché rilevai una sorta di instabilità causata da un movimento tellurico, mi sovvenne un sospetto, rialzai la testa con apprensione e constatai ciò che temevo: era come se in quegli occhi adombrati dall'ira vorticasse un bagliore di fiamme, il Santo di Libra era circonfuso da una potente aura. “Basta!” esclamai al suo indirizzo, incurante del dolore causatomi dall'emicrania, e fu allora che Misty desistette. Si spense e abbassò il capo in segno di resa.

Saori era impallidita ma la rassicurai con uno sguardo. L'esternazione del ragazzo non suonava come una minaccia, bensì come un pretesto per rinfrescarle la memoria su quali fossero i suoi nobili natali. Non riuscivo a biasimarlo visto il modo indecente in cui era stato trattato, ma stava oltrepassando i limiti e – considerato come il Santuario fosse un ambito di semplice apparenza – intervenire era d'obbligo.

Shiryu alzò la voce nel brusio delle altre: “Trovo disonorevole acquisire le Sacre Vestigia senza un duello o una prova regolamentare.”

Il mio discepolo si dimostrava saggio, come sempre, e sapevo non avrebbe approfittato della situazione per elevarsi a un rango superiore per quanto ci tenesse.

“Silenzio” replicò Saori, irremovibile.

Affondai le mani tra i capelli, dopo mi voltai cogliendo Asterion di Canes Venatici nell'atto di fulminare con un'occhiata Algol di Perseus.

Cosa avrà letto nella mente del saudita?

Scacciai l'interrogativo ed eventuali dubbi, irrilevanti in quel momento, per dirigermi verso Saori, determinato ad accompagnarla nei suoi appartamenti. Da sola avrebbe avuto la possibilità di riflettere a mente fredda, ed ero certo sarebbe ritornata sui suoi passi quando le acque si sarebbero calmate. La sua era una decisione avventata, quasi folle, e sembrava più una ritorsione. Dimenticava, o fingeva di ignorare, che l'armatura di Libra aveva scelto spontaneamente il Santo da lei declassato senza un processo equo?

 

***

 

XXVIII

 

Ricordai le fattezze del caprone che puzzava di stantio: la creatura che, per qualche tempo, aveva vegliato su Misty quasi fosse stata la sua stessa ombra, ma fu una visione astratta e svanì all'istante. Nessun intervento umano o divino avrebbe cambiato le cose, non era un privilegiato, non figuravamo nella lista dei raccomandati. Impossibile confidare nel miracolo, ne eravamo consapevoli entrambi.

Il sangue pulsava alle tempie, sopraffatto dall'ira stavo rimuginando invano. Avevamo vissuto l'intera esistenza devoti a una dèa, reincarnatasi in una mocciosa viziata, che si era permessa di infliggere dolore a piacimento a un Santo d'Oro nemmeno fosse un blando oggetto di piacere, l'ultimo dei servi.

Che sia maledetta in eterno e gli dèi mi perdonino. E Dohko? È un lacchè, indolente, ma onesto.

Mi ero addentrato con fare circospetto nelle segrete – dopo aver esibito il lasciapassare – e pervenni cauto nel luogo dove era stato confinato il mio amico. Sapevo che il cosmo fosse inibito nei sotterranei del Santuario, pertanto fui indotto a soffermarmi in silenzio sulla soglia della cella. C'era poca luce ma quel poco bastava per distinguere una figura familiare tra le ombre. Mi indisponeva vederlo così: spogliato dell'armatura, con indosso solo l'uniforme, degradato e umiliato.

Scivolò lungo la parete giungendo a contatto col terreno sul quale si abbandonò mollemente, disteso con le braccia lungo i fianchi a fissare il vuoto, smarrendosi nel buio della volta che lo sovrastava come un abisso.

Eh, no! Non è il momento di dormire.

“Alzati, su, coraggio” esordii senza annunciarmi. Il suo atteggiamento rinunciatario mi aveva convinto ad agire.

Misty si voltò lentamente sul fianco e alzò la testa. Sembrò riconoscermi ed ebbe un sussulto di dignità, buon per lui perché stavo perdendo la pazienza. Si alzò in piedi e – non senza difficoltà – mi raggiunse.

Si abbandonò con riluttanza in un abbraccio rigido, malgrado l'impedimento della grata. Gli sfiorai la fronte che poi chinò sulla sbarra orizzontale dell'inferriata dopo essersi distaccato. Avrei voluto trattenerlo ma lui era sgusciato via, come infastidito dal contatto con l'armatura. Saggiai sulle labbra un sapore acre, un connubio di sudore e salsedine.

“Algol” disse. “Non dovresti essere qui di tua iniziativa perché è impossibile senza il permesso di Athena o del Sommo Sacerdote, e non esiste cosmo che possa annullare il sortilegio che pervade queste mura. Come hai fatto a passare? Hai corrotto le guardie?”

“Il cosmo è annullato ma non lo è il potere del mio scudo, è bastato intimare alle sentinelle che le avrei lasciate di sasso.” Lo presi in giro bonariamente perché le cose erano andate in modo diverso da come immaginava.

“E cosa vorresti fare, adesso? Perché sei qui?” Un sorriso gli ravvivò il volto terreo, di un pallore mortale.

“Sta' tranquillo. Sono qui di mia sponte poiché ho convenuto di non avere più nulla da spartire con quegli individui.” Mi voltai sputando a terra, non riuscivo a trattenere lo sdegno. Ciò a cui avevamo assistito doveva essere stato troppo anche per me.

“Sono crollato sotto il peso della disperazione.” Misty tornò serio, prese un profondo respiro e rimosse il sudore dalla fronte col dorso della mano. Gli tremavano le labbra e aveva le sclere arrossate. “Nemmeno un uragano abbatterebbe queste mura e non ho dimenticato l'obiettivo che mi sono ripromesso di perseguire, ma sono in trappola e forse lo sarò per sempre...”

Tacque, restando con la bocca semiaperta, nel frangente in cui estrassi il mazzo di chiavi per inserirne una nella serratura e aprire. Mi aveva visto armeggiare con lo specchio, e uno sprazzo di luce rimbalzò sulla superficie dell'oggetto che non esitò a strapparmi dalle mani.

“E questo? Come hai fatto a procurartelo!?” domandò con protervia.

Piccolo arrogante, adesso avrai la risposta.

“Non guardarmi con quell'aria da imbecille. Sì, so esattamente a cosa serve. Ho ricevuto un piego sigillato a nome del Sommo Sacerdote con cui mi informa di conoscere le tue intenzioni e desidera ancora aiutarti, nonostante tutto. Mi ha dato delucidazioni anche in merito allo specchio. Quindi mi sono diretto alla Settima percorrendo il solito sentiero, e non ho faticato a trovare l'oggetto sapendo dove hai l'abitudine di custodire le cose sacre.”

 

A differenza di altri non serbavo rancore nei confronti di Marin perché il suo essere di parte non mi aveva mai coinvolto in prima persona. Sì, sono un fottuto egoista. Tuttavia l'avevo evitata guardando al lato opposto dell'arena: l'atteggiamento stucchevole, languido – da gatta morta – specialmente quando si intratteneva con l'idiota della Quinta Casa, mi innervosiva. Soprattutto se pensavo agli ultimi sviluppi in cui il nostro ex-leader era fuoriuscito di scena, e giaceva rinchiuso in una fetida prigione da diversi giorni. Lei ne aveva una colpa, oh se l'aveva. Bastarda, ipocrita, infame. Non aveva mai smesso di provocarlo, più o meno volontariamente, ma poteva permetterselo perché la responsabilità sarebbe sempre ricaduta sull'altro. Mi ero trattenuto dal manifestare un gesto di rabbia, dovevo fare attenzione a non espormi. I favoriti di Athena erano intoccabili, ne avevo avuto la prova definitiva. L'avevamo avuta, perché i vertici continuavano a trattarci come ratti di fogna. Avevo incrociato lo sguardo con quello di Asterion e lui aveva annuito, squadrando Marin di sfuggita, per poi abbozzare un sorriso sardonico simile a una smorfia di disgusto. Pazienza se mi aveva letto nel pensiero... eravamo d'accordo. Ci eravamo guardati anche con Moses e Babel. Concordavamo sullo stesso argomento ma eravamo rimasti in religioso silenzio a rimuginare.

Shaina si era congedata da Marin dopo le ultime battute di allenamento nell'arena. Avevo alzato il mento all'indirizzo della rossa, scambiando un riso di scherno con i miei pari. Quel giorno nessuno aveva avuto voglia di cimentarsi in un duello fittizio e oziavamo in disparte, chi sugli spalti, chi a braccia conserte a ridosso del circolo di sabbia.

C'era stato qualcosa di insolito nel comportamento dell'amazzone, quasi una sorta di imbarazzo – e avrebbe fatto bene a vergognarsi – che l'aveva persuasa di non interagire con noi.

Mi ero staccato dalla muraglia di pietra, dal punto in cui mi ero attardato a gustarmi la scena, poiché un messo, inviato per conto di qualcuno dal Tredicesimo Tempio, mi aveva raggiunto sporgendomi una missiva con apposto il caratteristico sigillo. La gatta morta lo aveva notato e supponevo stesse impazzendo dalla curiosità di sapere cosa avessero in serbo per me – non per lei – dai piani alti...

 

 

Misty spalancò gli occhi. “Athena è all'oscuro di tutto” osservò distogliendomi da quel breve excursus di ricordi.

“Sì” confermai.

“Quindi Dohko ha mantenuto il segreto e ha deciso di aiutarmi, sebbene Saori si sia messa di traverso” soggiunse, ponendo la superficie riflettente contro la casacca. “Non sono così sicuro che lo specchio funzioni, non qui dentro, e sono senza armatura.”

“Avevi affermato che avresti oltrepassato la soglia degli Inferi senza armatura.” Gli ricordai con un tono brusco perché mi indisponevano i cambi repentini di atteggiamento ma, al tempo stesso, riconoscevo che non si fosse ancora ripreso dallo sconvolgimento.

“Sì, ed è quello che farò” replicò dopo una pausa che avevo attribuito al coraggio esitante.

“Dovremmo provarci. Non ci resta che provare, non abbiamo alternative.” Lo incoraggiai allungando una mano verso il suo viso, e sfiorai con le dita i margini sollevati del taglio che lo deturpava. Un vero e proprio sfregio a un'opera d'arte.

Questa è la conferma di come l'incarnazione di Athena sia una sciacquetta insulsa e ignorante.

Strinsi i denti. “Sono i fatti a fare la differenza e non le parole, o hai cambiato idea su tuo fratello?”

“Taci...” biascicò lui, con un'aria corrucciata che mi indusse a sorridere.

“E... così, l'incantesimo che pervade i sotterranei non inficia l'aura taumaturgica dei Santi.” Misty accostò la mano dove – dapprima – pulsava la ferita aperta, ora risanata. “Voglio riportarlo al Santuario. Voglio riportare Søren al Santuario” confermò dopo un attimo di smarrimento misto a incredulità.

 

 

 

 
   
 
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