Film > Indiana Jones
Ricorda la storia  |       
Autore: IndianaJones25    05/01/2022    1 recensioni
Di ritorno da una disavventura in Australia, Indiana Jones scopre che il suo vecchio amico Sallah si è volatilizzato, senza lasciare tracce.
Indy decide allora di partire verso l’Egitto meridionale, dove è in corso una delle più grandi imprese archeologiche del Novecento, per poter rintracciare il suo amico scomparso. Ancora non sa che questo lo condurrà nell’ennesima sfida contro il tempo per sventare un complotto che, se andasse a buon fine, potrebbe portare nelle mani dei sovietici un’antica e pericolosa arma, risalente all’epoca degli dèi e dei faraoni…
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Henry Walton Jones Jr., Nuovo personaggio, Sallah el-Kahir
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
    1 - IL TEMPO DEL SOGNO

    Ayers Rock, Australia, 1964

   La roccia emetteva bagliori rossastri, colpita dai raggi del sole alto nel cielo tinto di un blu scuro e brillante.
   Sebbene la stagione fosse mite – l’estate australiana era terminata da quasi due mesi, ed era ormai autunno inoltrato – il caldo era ancora comunque molto forte, e la sensazione di calore era aumentata dalla totale assenza di ripari ombrosi per centinaia di chilometri tutto attorno; almeno, se non si teneva considerazione dei pochi e bassi arbusti rinsecchiti in mezzo a cui, di quando in quando, faceva capolino qualche clamidosauro in cerca di prede.
   Il panorama, cosparso di sabbia rossastra e pietre, sarebbe potuto essere di una piattezza infinita; ma così non era per via dell’immenso monolite dell’Uluru, la montagna sacra, che attraeva lo sguardo distraendolo da qualsiasi altro elemento circostante.
   I due uomini, montati su resistenti cavalli abituati ad affrontare quelle aride distese, si approssimavano sempre di più all’immane e misteriosa montagna, che affascinava e magnetizzava tutta l’attenzione su di sé, avanzando al piccolo trotto per non rischiare di sfiancare gli animali. Nuvolette di sabbia si sollevavano al loro passaggio e, escluso il rumore degli zoccoli sul terreno, nessun suono interrompeva la sacrale atmosfera che permeava la zona.
   «Certo che fa caldo, per essere primavera» disse a un certo punto il più giovane dei due, poco più che un ragazzo, magrolino e con i capelli castani, passandosi un fazzoletto sopra la fronte bagnata di sudore e sbuffando in maniera vistosa.
   «A dire il vero, Woods, è primavera da noi, ma qui è autunno, mi pare di avertelo già spiegato» replicò la voce profonda e cavernosa di Indiana Jones. L’archeologo, le mani strette attorno alle briglie, si voltò per gettare un’occhiata di sfuggita al suo compagno.
   Il giovane annuì, continuando a tamponarsi la fronte.
   «Ha ragione, professore, tendo sempre a fare confusione con questa faccenda degli emisferi ribaltati» borbottò.
   «In ogni caso, al contrario di te, mi sono informato, prima di partire; e, così, ho scoperto che in questa regione fa sempre parecchio caldo, durante il giorno, non piove praticamente mai e le temperature si mantengono piuttosto alte a prescindere dalla stagione» andò avanti Jones, con accento ironico. «Ma di notte la faccenda cambia completamente. Stanotte scenderemo sotto i dieci gradi, quindi mi auguro che tu ti sia portato anche qualcosa di pesante da metterti addosso.»
   Il ragazzo indossava una camicia a quadri sbottonata fin sotto il petto, pantaloni corti fino al ginocchio e stivali di cuoio. Si era legato un fazzoletto giallo attorno al collo e aveva coperto il capo con un ampio cappello di paglia. Nonostante il suo abbigliamento leggero, sudava in abbondanza e sembrava parecchio a disagio, come se dovesse essere colto da un momento all’altro da un collasso. Inoltre, quell’informazione non gli piacque affatto, perché nella bisaccia attaccata ai finimenti non aveva assolutamente nulla per coprirsi; si sarebbe dovuto affidare completamente alla coperta di lana arrotolata dietro la sella, sperando che bastasse.
   Indy, invece, pur avendo rinunciato per una volta al giubbotto di pelle – che aveva ripiegato e infilato in una borsa di cuoio in previsione del freddo notturno – indossava la solita tenuta e appariva molto più a suo agio. Non sembrava patire minimamente la calura e la fatica di quel luogo. Nondimeno, da sotto il cappello di feltro i capelli argentati gli si incollavano al viso madido e arrossato, e una vistosa macchia di sudore gli si era allargata su tutta la lunghezza della schiena.
   «Ha di nuovo ragione, professor Jones. Ma per me è davvero difficile mettermi in testa che, metà aprile, sia in realtà autunno» proseguì il giovane. «Mi pare quasi di essere in un altro mondo.»
   Jones sogghignò, puntando gli occhi verso l’Ayers Rock che si avvicinava sempre di più.
   «Non è una semplice sensazione, Woods. L’Australia è davvero un altro mondo, completamente differente da tutto ciò a cui siamo abituati» replicò, con tono leggermente sognante. «Qui è tutto molto differente da ciò che siamo abituati a conoscere. Hai visto che strani animali? Non ne troverai di uguali in nessun’altra parte della Terra. E lo stesso vale per la flora. L’Australia, per quello che ne sappiamo, ha avuto un’evoluzione a parte, e venire qui è come fare un salto indietro nel tempo, all’epoca giurassica: animali, alberi... persino i sassi. Qui è tutto diverso.»
   Il maturo archeologo strinse gli occhi per vincere la luce accecante e guardò ancora verso la montagna, la cui sagoma si mostrava in una maniera parecchio sinistra, un’immagine misteriosa che appariva quasi estranea in quel contesto così desertico.
   «Ti ricordi che cosa ti ho detto, riguardo alle tradizioni aborigene?» domandò.
   Paul Woods annuì adagio.
   Il ragazzo ventiquattrenne era l’assistente del professor Tobias Hoffman, un eminente studioso di storia dell’arte che lavorava per il Metropolitan Museum of Art di New York. Hoffman e Jones – che aveva ricevuto tale incarico dal rettore del Marshall College – stavano da tempo preparando una serie di conferenze inerenti l’arte dell’Oceania, ma si erano resi conto che mancavano ancora una serie di dettagli da verificare, prima di poter dare avvio al ciclo.
   Così, avevano pianificato per mesi quella spedizione in Australia, studiandola nei minimi particolari.
   Ciò di cui nessuno dei due aveva tenuto minimamente conto, però, era uno scalino rotto davanti all’ingresso del Metropolitan, la cui manutenzione era da tempo rinviata; il medesimo scalino che, intercettando il piede di Hoffman, aveva fatto compiere un ruzzolone al professore, fratturandogli una gamba proprio il giorno prima della partenza. Pertanto, per non vanificare il lavoro di mesi, Jones e Hoffman, riuniti al pronto soccorso, avevano deciso seduta stante, e senza possibilità di appello, che sarebbe stato Woods ad accompagnare Indy in Australia.
    Perciò, adesso eccoli lì, a cavallo in mezzo al deserto, a sudare sotto il sole impietoso dell’emisfero australe, diretti verso l’inquietante Ayers Rock. Il ragazzo, abituato soltanto a catalogare reperti nel fresco di un laboratorio prima di uscire e tornarsene a casa in mezzo al traffico newyorkese, avrebbe di gran lunga preferito trovarsi in qualsiasi altro posto; ma, ormai, era lì, a patire un disagio dietro l’altro in compagnia di questo burbero archeologo, e tanto valeva fare buon viso a cattivo gioco.
   «Sì, mi ricordo» replicò. «Secondo gli aborigeni australiani, prima che si formasse il mondo fisico, esisteva una specie di realtà parallela, fatta di puro spirito, che viene chiamata Tempo del Sogno.»
   «Esattamente» replicò Indy. «E l’Ayers Rock, chiamato Uluru nelle lingue originarie dell’Australia, secondo le leggende sarebbe una porta di collegamento tra il mondo di oggi e il Tempo del Sogno. Una caratteristica che condividerebbe con altre formazioni rocciose dell’Australia, come, per esempio, l’Hanging Rock.»
   Woods rabbrividì in maniera vistosa a dispetto della canicola.
   «Ho sentito girare certe storie poco belle, su quelle montagne» borbottò. «Sparizioni, visioni, spiriti… cose così. Non ho molta voglia di scoprire se siano vere oppure no… sa, non mi andrebbe affatto a genio di imboccare la porta sbagliata e finire nel Tempo del Sogno. Io sto molto bene qui, nel tempo degli hamburger, della Coca-Cola, dei juke-box e delle belle ragazze in minigonna con cui scatenarmi al sabato sera.»
   Indy fece un lunga e roboante risata. Non poteva certo dare torto all’assistente del suo collega, riguardo quel punto di vista.
   «Suvvia, Woods, non dimenticare che siamo uomini di scienza!» borbottò poi, tornando serio. «Mica possiamo farci spaventare da certe sciocchezze. E, poi, dai retta all’esperto: non è vero niente. Ti assicuro che ne ho viste tante di cose strane, in lungo e in largo per il mondo, ma di paranormale non ho mai visto assolutamente nulla in vita mia. Magari, lì per lì, potrebbe sembrare che ci sia qualcosa che non va; ma poi, a mente fredda, uno capisce che c’è sempre un’altra spiegazione e che non ci si deve lasciare suggestionare.» Lasciò andare le staffe per asciugarsi un rivolo di sudore che gli stava colando negli occhi, quindi soggiunse: «Non è certo per imboccare la via verso un’altra dimensione, che siamo venuti fin qui.»
   Il giovane guardò di sbieco l’Ayers Rock.
   «Dica quello che le pare, professor Jones, ma a me quella montagna sembra piuttosto inquietante.»
   Indy ammiccò. Non poteva negare che, in fondo, il giovane avesse ragione. La sagoma tronca del massiccio roccioso, solcata da canaloni i cui colori variavano a seconda del modo in cui la rifrazione del sole li colpiva, faceva davvero impressione. E ancora più suggestivo era il pensiero che, al contrario delle altre montagne esistenti, non fosse sorto dal terreno per via delle spinte telluriche avvenute nel corso delle ere geologiche.
   Il grande monolite ferroso, secondo alcuni ricercatori, era infatti di origine extraterrestre. Secondo certe teorie, la Terra, in un remotissimo passato, avrebbe avuto non una, bensì due lune. A un certo punto della sua storia, però, il pianeta si sarebbe scontrato con il più piccolo dei suoi satelliti, che nell’impatto sarebbe esploso. Una parte significativa dell’antico ammasso orbitante, quindi, sarebbe precipitata sulla Terra e si sarebbe conficcata in Australia, formando appunto l’Uluru, che si sarebbe protratto in profondità per parecchi chilometri. Gli ottocento e rotti metri con cui si innalzava verso il cielo, di conseguenza, sarebbero stati soltanto una piccola parte dell’insieme.
   Comunque, non era certo per una questione di fisica e di geologia che Indiana Jones aveva compiuto il lungo viaggio che lo aveva condotto nella grande isola dell’Oceania.
   «Non lasciarti suggestionare» brontolò. «Se ti pare di udire o di vedere qualcosa che non va, sarà solo per via delle interferenze magnetiche di quell’affare, nulla di più. Ricordati che noi siamo qui soltanto per copiare alcune delle pitture rupestri con cui gli aborigeni sono soliti ricoprire le pareti del monte. Non è stato semplice ottenere il permesso, di solito non è consentito avvicinarsi più di tanto. Fatto questo, ce ne torneremo indietro e potrai pensare alle tue ragazze con la gonnellina e ai tuoi hamburger.»
   Paul sorrise, senza replicare nulla. Evidentemente, quella prospettiva non gli dispiaceva affatto.
   Il paesaggio, brullo e desolato, si andava tingendo di una nuova variazione di rosso mano a mano che il sole compiva la sua traiettoria nel cielo, abbassandosi verso l’orizzonte. Ormai la grande roccia sembrava ardere di un fuoco sacro, come se si fosse incendiata. Non era per niente faticoso immaginare come mai gli antichi abitatori del luogo la considerassero sacra e cara agli dèi.
   I due cavalli, mantenendo il passo costante, continuarono ad andare avanti. Un piccolo moloch irto di spine, nel vederli sopraggiungere, guizzò in fretta dietro un tronco secco, svanendo alla vista. Un pitone diamantino, disturbato dal loro passaggio, si distese in tutta la sua lunghezza e scomparve con un lungo movimento sinuoso in mezzo ad alcune rocce.

 
* * *

   Adesso, mentre si arrampicavano con estrema fatica lungo uno dei canaloni riarsi e bollenti, da cui si levava l’acre odore metallico del ferro arrugginito che costituiva la gran parte dell’immenso monolite, la lunga attraversata del deserto sotto il sole cocente appariva poco più che una piacevole passeggiata. Il terreno era disagevole e pieno di insidie, tanto che a ogni passo si correva il rischio di compiere un vero e proprio capitombolo. Il calore era insopportabile e mancava l’aria, perché quella poca che si riusciva a respirare era caldissima e secca, al punto da far bruciare i polmoni. Bisognava anche stare attenti a dove si infilavano le mani, per non rischiare di toccare per sbaglio qualche serpente in agguato in un anfratto, come per esempio un taipan, uno dei rettili più velenosi al mondo: un simile incontro, isolati com’erano, si sarebbe potuto rivelare fatale.
   «Comincio a capire le storie sugli spiriti» bofonchiò Paul, inerpicandosi di malavoglia per una parete parecchio complicata. «Se non ti vengono le traveggole qui, non ti vengono da nessuna parte.»
   Indy, che lo precedeva di alcuni metri, a sua volta sudato e affannato, atteggiò le labbra a un sogghigno svergolo.
   «Ti rendi conto, Woods, che da quando abbiamo messo piede in Australia non hai fatto altro che lamentarti?» lo derise, dopo aver superato un tratto piuttosto insidioso e aver raggiunto una sorta di terrazzamento che permetteva di muoversi con più facilità, grossomodo a trenta metri di altezza dalla base del monte. «Anziché fare un ragionamento del tipo: “guarda il professor Jones, così vecchio eppure tanto vitale, cerchiamo di dimostrare di poter fare meglio di lui”, continui a trovare scuse per lagnarti di questo, e di quello e di quell’altro.»
   Il ragazzo non sembrava avere per niente l’intenzione di scherzare. Se mai ne aveva avuta una, doveva essersi dissolta insieme a tutto il sudore di cui era intriso, evaporata nel caldo torrido.
   «Fa presto a parlare, lei, professore» sbottò. «Ma è anche una questione di abitudini. Se avessi voluto fare il giramondo, mi sarei iscritto a qualche società geografica, non avrei fatto domanda come assistente di laboratorio al museo.»
   «E anche questo è vero» tagliò corto Jones, distratto da un dettaglio che aveva attratto la sua attenzione. «Ora, però, sta’ zitto almeno un minuto, mi pare di aver trovato qualcosa…»
   Si fermò, osservando una fenditura che si apriva nella roccia. Era abbastanza larga da permettere il passaggio di un uomo, pur con qualche difficoltà. La cosa più curiosa, però, erano i numerosi fori circolari che si trovavano allineati dall’alto verso il basso sui due lati del crepaccio. Da quello che Indy poteva capire, erano di origine antropica, quindi era probabile che, quella spaccatura, potesse nascondere qualcosa di interessante, che valeva la pena di scoprire.
   «Che cosa c’è, professore?» domandò Paul, allungando il collo per vedere meglio.
   «Ssst…» sibilò Indy, facendo un cenno con la mano perché rimanesse fermo.
   L’archeologo studiò con attenzione l’apertura, valutando ciò che aveva di fronte a sé. Poi, senza esitare oltre, si infilò con una mossa rapida nell’anfratto.
   «Professore, dove…?» sbottò Paul.
   «Zitto e seguimi!» ordinò Indy con tono secco e perentorio.
   Il budello roccioso era ancora più angusto di quanto apparisse se visto dall’esterno, tanto che era parecchio difficile muoversi. Se uno di loro fosse stato appena un poco più robusto, non sarebbe mai riuscito a passare. Le due pareti erano così vicine che Indy ne sfregava una con la schiena e l’altra con la tesa anteriore del suo cappello, qualche volta addirittura con la punta del naso. Era praticamente impossibile muovere la testa per vedere dove stesse andando, per cui poteva affidarsi soltanto alle sue sensazioni e alla mano destra, con cui tastava la roccia a poco a poco che procedeva a fatica, guadagnando strada. Per sua fortuna, nonostante l’età, poteva ritenersi ancora piuttosto agile e snello, e le sue articolazioni erano ancora robuste e sane, e questo lo stava aiutando ad affrontare senza intoppi quello stretto passaggio.
   A pochi centimetri da lui, invece, Paul Woods sbuffava e piagnucolava parole a fiume, dicendo che nessuno lo pagava abbastanza per tutto questo e che lui non era tagliato per roba del genere. A ogni lamento che si faceva sfuggire di bocca, seguiva l’ennesimo movimento errato, con annesse botte nelle più disparate e impensabili parti del corpo.
   «Sono un restauratore, io, non uno speleologo, e non so proprio cosa gli sia venuto in mente al professor Hoffman di spedirmi qui» si lamentò. «Ahia! Ho picchiato il gomito! Uhi! Adesso il ginocchio! Lo so, non ne uscirò vivo, questo posto diventerà la mia tomba, ma cosa ho fatto di male nella vita per meritarmi questo?! Ah! La spalla, maledizione…! E sì che ho sempre lavorato bene e non ho mai fatto niente di sbagliato! Ohi, che razza di fitta alla schiena! Sono certo che sia una punizione, perché il professore avrà scoperto che la sera mi piace suonare la chitarra e cantare nei bar e non avrà mandato giù la faccenda, è un bravo docente ma su certe cose è parecchio retrogrado… Ahi! Mannaggia, che craniata! E allora, io…»
   «Vuoi piantarla?!» sbottò finalmente Indy, facendo echeggiare la sua voce per tutta la fenditura. «Già non è semplice attraversare questo crepaccio della malora, se poi mi rendi ancora tutto più complesso con i tuoi lamentosi monologhi da vecchia bisbetica mi viene davvero voglia di mollarti qui e buonanotte al secchio! E poi, fra una quarantina d’anni, giuro che tornerò e finanzierò di persona uno scavo archeologico per avere la soddisfazione di riesumare il tuo vecchio scheletro polveroso e rinsecchito!»
   Paul si morse le labbra e tacque, mortificato.
   Indy, sbuffando, continuò ad andare avanti. Trovava che i giovani si stessero facendo tutti dei mollaccioni senza spina dorsale, che non sapevano più faticare e che pensavano soltanto a divertirsi. Quel Woods non era da meno. Se avesse saputo che si sarebbe rivelato una tale palla al piede, avrebbe fatto volentieri a meno di lui: tanto, per una simile impresa, Indiana Jones da solo bastava e avanzava. Lui, con la sua esperienza e le sue capacità, era ancora molto più capace – e audace – di parecchi ragazzini imberbi e inutili.
   A distrarlo dalle sue riflessioni sul decadimento della civiltà, fu l’interrompersi della fenditura, che si aprì in una vasta cavità in mezzo alle pareti rocciose. Faceva uno strano effetto trovarsi in mezzo a quelle altissime muraglie rosse alla cui sommità brillava il cielo blu intenso.
   Dopo essersi guardato per alcuni istanti, Indy individuò qualcosa di estremamente interessante. Una delle pareti, infatti, era interamente ricoperta da disegni tracciati dalla mano degli aborigeni. Si trattava certamente di immagini molto antiche e, per quello che poteva capire, mai viste in precedenza da nessuno.
   «Meravigliosi…» borbottò Woods, affiancandolo e osservando a sua volta i pittogrammi.
   Evidentemente, quella visione era risultata sufficiente per fargli scordare all’improvviso tutte le difficoltà patite per giungere fin lì. D’altronde, era pur sempre un esperto di arte antica e, trovarsi di fronte a tanta bellezza, faceva passare in secondo piano qualsiasi cosa.
   Indy e Woods osservarono con attenzione i disegni. Il colore che spiccava di più era il rosso, ma c’erano anche tracce di verde, blu e giallo. Le immagini raffiguravano esseri umani affiancati da serpenti e ornitorinchi, immersi in un paesaggio ameno e dai tratti misteriosi, che non sembrava assomigliare per nulla ai panorami aridi e desertici di quella parte dell’Australia.
   «Fantastico…» borbottò Paul, accostando la mano a uno dei disegni e sfiorandolo con delicatezza. «Però, non riesco a comprendere che cosa rappresenti…»
   Indiana Jones sogghignò.
   «Si dice che le pitture del Tempo del Sogno siano personali e destinate a rivelare il passato, il presente e il futuro di chi si imbatta in esse» spiegò.
   «Quindi» ipotizzò Woods, aggrottando le sopracciglia. «Queste pitture dovrebbero essere per noi? O, meglio, per lei, professore, visto che ha scoperto lei il modo per raggiungerle?»
   Indy restò in silenzio per qualche istante, osservando attentamente i disegni che si snodavano per tutta la lunghezza della parete, come se stessero raccontando una storia. Mostravano un uomo solitario che viaggiava in luoghi molto diversi e che, spesso, si trovava ad avere a che fare con nemici di ogni sorta. Alla fine, l’uomo solitario incontrava una bella donna e le restava vicino, tenendola per la mano. Un sorriso gli si allargò sulle labbra, mentre pensava a come quella storia, in un certo senso, potesse veramente sovrapporsi alla sua. Ma, in fondo, la si sarebbe potuta fare coincidere con la storia di chissà quanta gente.
   Batté un dito sulla parete, indicando una figura in particolare, che assomigliava a una grossa lucertola dai tratti antropomorfi.
   «Queste pitture narrano la storia di Tatji, la grande lucertola rossa» raccontò. «Si dice che la lucertola fosse una cacciatrice temibile e imbattibile, perché si serviva di una speciale arma infallibile: un boomerang, chiamato kali. Tatji abitava le grandi pianure, finché un giorno non giunse in vista dell’Ayers Rock. A quel punto, per voler mettere alla prova la propria forza, la lucertola scagliò il suo boomerang che, però, contrariamente al solito, non tornò indietro. Era rimasto conficcato da qualche parte nella roccia del monolite. Tatji, allora, cominciò a scavare fori come quelli che abbiamo visto all’ingresso della spaccatura per poterlo ritrovare, ma non ci riuscì mai, finché morì in una delle caverne che costellano il monte.»
   «Una storia affascinante…» borbottò Paul, poco convinto.
   «Come tutti i miti, ha una finalità pratica. In questo caso, serve a spiegare l’origine dell’erosione del monte, che spesso provoca buchi nelle pareti rocciose» puntualizzò l’archeologo.
   Aprì la solita borsa che portava a tracolla e ne estrasse un taccuino e un pacchetto di matite colorate. Li porse al ragazzo, che li afferrò.
   «Ora che la lezione di mitografia è terminata» sentenziò Indy, «tocca a te. Datti da fare e cerca di ricopiare al meglio questi disegni. E sbrigati: non ho voglia di restare qui troppo a lungo.»
   Con un sospiro, Paul si mise a sedere sopra un masso che si trovava alla giusta distanza e che gli permettesse di avere una visione di insieme, e si preparò a cominciare il suo lavoro. Dopo aver aperto il quaderno e aver scelto una matita che gli sembrava andasse bene, lanciò un’occhiata di sfuggita a Indy.
   «Lei mi dà una mano, professore?» domandò.
   Indy scosse la testa in fretta. Non aveva nessuna voglia di mettersi a ricopiare quelle pitture.
   «No» replicò, burbero. «Non lo sai che chi fa da sé fa per tre? Mentre tu disegni, io ne approfitto per dare un’occhiata qui attorno. Cerca di non cacciarti nei guai.»
   Woods si lasciò sfuggire una risatina.
   «E in che tipo di guai dovrei finire, professore? Sono qui seduto…»
   «Non si sa mai» replicò l’archeologo, con fare sprezzante. «Quando non si è abituati alla vita sul campo, non si può mai sapere che cosa potrebbe accadere. Comunque, finché ci sono io qui nei paraggi, non ti devi preoccupare proprio di nulla.»
   Indiana Jones lo osservò ancora per qualche istante mentre, dopo essersi stretto nelle spalle, si metteva all’opera. Poi si volse e si allontanò.


 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Indiana Jones / Vai alla pagina dell'autore: IndianaJones25