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Autore: Nao Yoshikawa    05/01/2022    16 recensioni
Aziraphale aveva tenuto poche volte in mano una spada. Mai avrebbe voluto impugnarla per fare del male ai demoni, perché Crowley era un demone, perché anche i demoni erano stati angeli.
Lui la guerra non l’aveva mai voluta. Lui e Crowley sarebbero dovuti scappare, lasciarsi tutto alle spalle. Perché essere legato a qualcuno come lo erano loro era troppo doloroso. Soprattutto in un momento come quello.
Dio aveva unito ogni creatura sia nel cielo che nella terra, riservando ad ognuno di loro un destino diverso. E poi li aveva separati.
“Questa storia partecipa al contest “Il filo rosso del destino – Soulmate!AU Contest” indetto da Pampa309 sul forum Ferisce la penna”.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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Prompt scelto20. Subisci le stesse ferite della tua soulmate.

Ciò che Dio ha unito, nessuno osi separare
 

 
Dio aveva creato le anime gemelle per dare all’essere umano la possibilità di completare sé stesso. Ma prima ancora aveva creato le anime gemelle per gli angeli, che erano creature che amavano per natura. Chiunque era destinato a qualcuno, accadeva in modo diverso per tutti. Aziraphale capì in modo poco piacevole che Crowley fosse destinato a lui.
Il suo vero nome non era neanche Crowley, che sarebbe stato un nome poco adatto ad un angelo, ma di fatto erano in molti quelli che oramai si rivolgevano a lui chiamandolo così.
Crowley era diverso da Aziraphale. Tanto per cominciare era un arcangelo e anche caratterialmente c’entrava poco e niente con lui: malizioso, sempre con la risposta pronta e anche un po’ ribelle. Aziraphale era tutto il contrario: rispettoso, tranquillo, ligio al dovere. Eppure, si erano trovati anche se ancora non lo sapevano. Era stato Crowley ad avvicinarsi per primo e Aziraphale era rimasto colpito dai suoi capelli rossi: era l’unica creatura angelica con i capelli di quel colore. Gli aveva tirato scherzosamente le ali e poi gli aveva detto.
«Ma perché Dio ha inventato una cosa così stupida? Insomma, posso capire che questo valga per gli esseri umani, ma noi? A noi angeli non serve a niente legarci a qualcuno.»
Aziraphale allora aveva avvertito un brivido, perché il tocco di Crowley gli piaceva e il suo odore era diverso da quello degli altri.
«Lo sai come funziona… È ineffabile. Molte delle sue scelte lo sono.»
«Mah, sarà. Non credo esista qualcuno destinato al sottoscritto. Io porto troppi guai, caro il mio Principato!»
Crowley gli aveva lanciato un’occhiata languida. I suoi occhi erano verdi e ignorava che sarebbero diventati color dell’oro, non molto tempo dopo. Poi lo vide sollevarsi sulle sue ali bianche, verso il cielo.
Non dovette passare molto affinché Aziraphale scoprisse il suo destino, la sua condanna. Ad un certo punto aveva sentito la pelle bruciare. Sul viso, sulla schiena, ovunque. Sfiorandosi e guardandosi su uno specchio d’acqua se n’era reso conto: sembrava essersi ustionato, come se qualcuno gli avesse gettato del fuoco in faccia. Ciò lo aveva un po’ spaventato e, soprattutto, aveva insinuato dei dubbi in lui
Quando era calata la sera, Crowley era tornato a trovarlo, attraversando i cieli del Paradiso, come aveva preso l’abitudine di fare.
«Oh, Aziraphale, sapessi cosa mi è successo oggi. Mi sono ustionato perché ho volato troppo vicino al sole. Però ti prego, non dirlo a Gabriel, è così pesante e noioso.»
Anche il viso di Crowley sembrava leggermente ustionato.
«Questo non ha senso…» mormorò.
«Non pensavo bruciasse tanto! Per fortuna le mie ali sono intatte.»
«Non mi riferivo a quello. Voglio dire… guarda il mio viso, è come il tuo» disse, indicandosi. Crowley chinò la testa di lato, facendo ondeggiare i capelli rossi.
«Hai volato vicino al sole anche tu?»
«No, è proprio questo il punto. Io non ho fatto niente.»
Crowley fece spallucce, non capì perché Aziraphale si preoccupasse tanto.
«Ebbene?»
Aziraphale non aveva potuto non farci caso. Non ci avrebbe prestato attenzione in un altro contesto, ma aveva già visto altri angeli come lui affrontare situazioni simili. Alcuni avevano scritto sul proprio polso il nome della propria anima gemella, alcuni avevano visto il mondo in grigio prima di incontrarla. Non era una cosa così facile, perché lì in Paradiso erano in tanti, e Aziraphale non aveva mai sperato nella fortuna. Ora però le cose cambiavano in maniera drastica.
«Ehi, ma si può sapere dove vai? Aspettami!» Crowley gli corse dietro, Aziraphale si era allontanato, agitato.
Di tutta la perfetta e fitta vegetazione lì intorno, Aziraphale andò a scegliere un cespuglio pieno di spine. Crowley stava per urlargli qualcosa, ma non lo fece: il Principato allungò una mano, pungendosi. Nel medesimo istante, Crowley avvertì dolore, come se quelle spine avessero punto lui. Non solo, aveva preso anche a sanguinare.
«Ma cosa…?» gemette. Ora il suo sguardo era su di sé, ora era su Aziraphale, con la mano insanguinata e dolorante. Ma la sua espressione più che dolorante era sorpresa, meravigliata.
«Subiamo le stesse ferite…»
Crowley corrugò la fronte, confuso. E poi capì.
«Ah.»
 
Dio aveva uno strano senso dell’umorismo, questo era sicuro. Sembrava che più due fossero diversi, più fossero destinati a stare insieme. Questo era successo ad Aziraphale e Crowley, che presto si erano abituati all’idea di essere anime gemelle, legate a vita e con il dono – o la maledizione – di avere su di sé le ferite dell’altro e di conseguenza anche il dolore.
Crowley gli aveva detto che in fondo non era andata poi tanto male, perché dopotutto erano angeli e si trovavano in Paradiso. A nessuno dei due sarebbe accaduto niente di male. E quindi passavano le loro giornate nella quiete più totale, a scambiarsi baci sotto le fronde degli alberi, vicino alle acque cristalline dei fiumi, a innamorarsi ogni giorno di più.
Ma il loro destino non apparteneva loro.
 
Il giorno in cui Crowley fu gettato giù dal Paradiso, Aziraphale sentì le sue ali sanguinare. Crowley non era stato l’unico, ma uno fra i tanti, eppure questa consapevolezza non aveva lenito il suo dolore. Il sangue gli macchiava le ali candide e le mani, le lacrime gli bagnavano le guance. Aziraphale sapeva cosa era stato fatto loro, ai ribelli: erano stati fatti cadere ed erano state strappate loro le ali, oramai indegni di essere considerati angeli, i prediletti di Dio. Loro che avevano dato inizio ad una ribellione.
Perché Dio aveva creato le anime gemelle, se poi molte di esse erano costrette a separarsi, sempre per suo volere?
Ineffabile o meno, Aziraphale sentì di odiare il suo destino. E sentì di odiare un po’ anche Crowley e il fatto che dovesse soffrire così tanto, nell’anima e nel corpo.
Le sue ali c’erano ancora, saldamente attaccate a lui. Ma era come se gliel’avessero strappate via.
Dimmi, Crowley. Perché l’hai fatto? Ne valeva la pena? Valeva la pena, di infliggerci tutto questo dolore?
Questo non avrebbe potuto chiederglielo.
Non avrebbe potuto chiederglielo per molto tempo ancora.
 
Quando Aziraphale rincontrò Crowley, si accorse che ben poco di angelico era rimasto in lui. Adesso aveva delle nuove ali, nere come l’ebano e i suoi occhi erano in tutto e per tutto simili a quelli di un rettile. E allora aveva sentito il suo cuore battere forte, l’impulso di stringerlo, senza però cedere. Ricordava ancora troppo bene il dolore provato e le cicatrici che stavano lì, all’attaccatura delle ali, come se qualcuno gliele avesse strappate e poi rimesse.
Quello era stato anche il primo giorno di pioggia e Crowley gli aveva sorriso, come se niente fosse successo, come se tutto si potesse dimenticare.
«E dai, Aziraphale. Non sei neanche un po’ felice di vedermi?»
Oh, anche se Aziraphale era un angelo, lo avrebbe soffocato volentieri.
«È tutto quello che sai dire? Seriamente?» domandò, deluso.
Pensava che lo amasse. Che fossero legati a doppio filo, che condividessero tutto.
Crowley arrossì. Odiava la pioggia, ma in quel momento non ci face caso, anche se tremava di freddo.
«Io non volevo cadere» mormorò. «È stato un incidente. Lo sai, a volte frequento le compagnie sbagliate.»
«Compagnie sbagliate? Oh, Crowley, guardaci. Noi dovremmo essere anime gemelle, dovremmo condividere le stesse ferite. Ma in questo direi che hai fatto un buon lavoro.»
E non era solo alle ferite fisiche che si riferiva. Crowley abbassò lo sguardo, il suo sorriso si era spento. Era stato uno sciocco, ma era più facile non pensarci. Davanti ad Aziraphale, però, era impossibile.
«Era un dolore che avrei risparmiato, se non a entrambi, almeno a te.»
 
E proprio come succedeva alle anime gemelle, era impossibile stare lontani. La rabbia di Aziraphale non si era spenta, ma leggermente sopita, mentre proteggeva Crowley dalla pioggia, sollevando le ali sopra la sua testa. Mentre gli mostrava le ferite sulla schiena, ora cicatrici, e mentre Crowley le accarezzava, forse tratteneva i singhiozzi. E poi gli mostrava le proprie ferite a sua volta, di cui era stato l’artefice.
«Dovresti odiarmi. Io ti faccio male.»
«Come io potrei farne a te. Siamo destinati.»
«Anche adesso?»
Già, anche adesso che erano un angelo e un demone?
Era un destino crudele.
 
Erano passati secoli e secoli e Aziraphale e Crowley non avevano mai smesso di stare insieme, anche se era tutto più difficile.
Ma un demone e un angelo non potrebbero stare insieme, gli aveva detto Aziraphale.
Come no? Nemmeno se sono destinate l’uno all’altro? Ognuno è destinato a qualcuno.
 
Questa era la regola, ma nessuno aveva mai spiegato loro cosa fare in quei casi. Aziraphale sapeva di non essere l’unico in quella situazione e chiunque – qualche sfortunato come lui – faceva finta di non vedere. Come Gabriel, che aveva il simbolo di una farfalla stilizzata sul polso, come Belzebù, caduta anche lei e che come Crowley condivideva il suo destino. Prima li avevano uniti e poi li avevano separati.
L’uomo non osi separare ciò che Dio ha unito.
E loro, allora? Chi aveva osato separarli? Dio? Crowley con la sua scelta (Non una scelta, angelo, è stato un incidente), sbagliata?
 
«Esattamente di cosa ci preoccupiamo? Viviamo sulla terra oramai da anni. Siamo più umani che… beh, altro…» gli aveva detto Crowley, un giorno
In fin dei conti non erano mai stati tanto diversi dagli umani. Aziraphale li vedeva ogni giorno, anime gemelle che s’incontravano, legati in modo improbabile.
Chi era legato in modo più semplice, chi in modo più crudele, com’era capitato a loro.
«Forse… forse hai ragione, Crowley. Ci dovrà pur essere un motivo, se noi… se noi siamo destinati.»
Crowley allora gli aveva sorriso, si era guardato intorno e lo aveva baciato di fuggito.
«Ecco, bravo angelo. Mi piaci molto quando mi dai ragione, più di quando mi dai torto. Non importa ciò che siamo, staremo insieme, anche se il mondo dovesse finire.»
Aziraphale aveva sorriso, mentre avvertiva un grande senso di inquietudine.
Perché la fine del mondo sarebbe arrivata.
«Crowley, ma se qualcuno volesse farmi male…» mormorò. Oramai non gli importava più di ferirsi o di lasciare che qualcuno gli facesse male. Quello lo avrebbe anche sopportato, ma il pensiero di ferire di conseguenza anche Crowley lo terrorizzava. Il demone posò le dita sulle sue labbra.
«Nessuno ci farà male. Non accadrà niente, vedrai» gli disse, cercando di convincere più sé stesso con lui.
Le cicatrici sulla schiena gli ricordavano fin troppo bene quale fosse il suo, il loro destino.
La fine del mondo sarebbe arrivata, nessuno dei due lo sapeva, ma qualcosa avevano avvertito
 
Aziraphale aveva tenuto poche volte in mano una spada. Mai avrebbe voluto impugnarla per fare del male ai demoni, perché Crowley era un demone, perché anche i demoni erano stati angeli.
Lui la guerra non l’aveva mai voluta. Lui e Crowley sarebbero dovuti scappare, lasciarsi tutto alle spalle. Perché essere legato a qualcuno come lo erano loro era troppo doloroso. Soprattutto in un momento come quello.
Dio aveva unito ogni creatura sia nel cielo che nella terra, riservando ad ognuno di loro un destino diverso. E poi li aveva separati.
 
«Aziraphale, qualsiasi cosa accada, non mi farò ferire.»
«Nemmeno io.»
 
Si erano detti questo e poi, all’improvviso, se l’era ritrovato accanto. La sua schiena, contro la propria, le ali a sfiorarsi.
«Crowley, ma che…?»
«Al diavolo. Visto che non posso combattere contro di te, visto che devo proteggerci entrambi, per me da adesso esiste solo la nostra parte.»
Aziraphale gli avrebbe detto che era una follia. Ma forse era anche la cosa meno folle in mezzo a quel caos.
«Allora lottiamo per uscirne insieme» aveva detto in tono solenne e poi si erano gettati, tra la folla, le grida, il caos e la distruzione.
 
Si erano fatti solo una promessa, non farsi ferire, se non per sé stessi, almeno per l’altro. Nessuno dei due si era reso conto che come promessa fosse un po’ sciocca, soprattutto in mezzo ad una guerra tra angeli e demoni.
Era stata solo quella scintilla di fuoco demoniaco a sfiorare il viso di Aziraphale. E il dolore, oh il dolore era stato qualcosa di nuovo e al contempo familiare. Ricordava di aver già provato un dolore del genere quando Crowley era caduto, quando le ali gli erano state strappate, a ricordarglielo le sue cicatrici. Ma allo stesso tempo si trattava di un dolore nuovo, tanto forte da fargli mancare il respiro. Sapeva bene cosa significava: qualche metro più in là, Crowley era piegato dal dolore, una mano premuta sul lato sinistro del viso. Bruciava come l’inferno, gli tagliava la pelle senza pietà alcuna. Il demone allontanò ad un tratto la mano e vide minuscole gocce di sangue. Si lamentò appena e poi chiuse gli occhi.
 
 
 
Chissà quanto quella battaglia era andata avanti, se per giorni, mesi o addirittura anni. Ad un certo punto avevano perso la cognizione del tempo e si erano risvegliati l’uno accanto all’altro, in mezzo alla nulla, alla polvere, in un mondo finito tutto da rifare. Crowley era stato il primo a risvegliarsi, immediatamente si era portato una mano sul viso: il sangue si era asciugato, ma il suo viso sembrava tagliato in due.
«Angelo, ti prego. Dimmi che sei vivo» mormorò.
Aziraphale batté le palpebre.
«Crowley, che ci è successo?» mormorò. Guardare lui in viso era come guardare sé stesso. Il viso della sua anima gemella appariva sfigurato dal lato sinistro, probabilmente non sarebbe mai tornato quello di un tempo.
«Ah, parli della mia faccia? Poco importa. Siamo vivi, non era scontato.»
Aziraphale gemette ancora, rialzandosi. Non sapeva se le lacrime avevano preso a bagnargli il viso per la desolazione intorno a sé o per il senso di colpa più bruciante di quelle ferite.
«Crowley, mio caro. Mi dispiace, avevo promesso di non farmi ferire.»
«Ah, pensandoci era una promessa stupida. Stavamo combattendo. Su, angelo. Sono davvero così brutto?»
Tipico di lui, affrontare tutto con l’ironia. Ad Aziraphale non importava di rimanere eternamente sfigurato, il fuoco bruciava gli angeli, spesso li uccideva. Ma che anche Crowley si fosse ridotto così per colpa sua, questo era insopportabile.
«No, Crowley. È che… non è giusto, capisci? Ah, dannazione. Odio e amo così tanto il legame, il destino che c’è stato riservato.»
Crowley si trascinò vicino a lui, prese il suo viso tra le mani. Si poteva dire, dopo secoli e secoli, che ora fossero tornati pari. Lui era caduto, causandogli una perenne cicatrice vicino le ali. Aziraphale era stato ferito in battaglia, causandogli un aspetto per sempre sfigurato. E probabilmente avrebbero continuato a farsi male, ancora, seppur contro la loro volontà.
«Hai ragione. Ma non importa. Non è importante quanto male ci faremo. Ancora non ci hanno diviso, nemmeno una guerra ha potuto farlo. Nemmeno la fine del mondo.»
Ora erano lo specchio dell’altro. Stesse ferite, stesse lacrime, stesso sguardo. Aziraphale si aggrappò a lui, conscio del fatto che lo avrebbe amato per sempre, anche oltre la fine del mondo.
«Crowley…»
«Andiamo, angelo. Qui non c’è niente per noi. Ci serve un posto dove poter ricominciare» e poi mormorò, in tono tragico, quasi solenne. «Addio alla nostra amata umanità, a tutto quello che conoscevamo.»
Aziraphale si asciugò le lacrime. Probabilmente non sarebbero più stati loro stessi, esteriormente quanto interiormente. Strinse forte la mano di Crowley.
Avevano ancora l’un l’altro. Feriti, pieni di sensi di colpa e cicatrici, ma si avevano, ancora.

Nota dell'autrice
In questa storia sono presenti alcuni miei headcanon che compaiono anche in Memento (Crowley in versione arcangelo che vola vicino al sole, bruciandosi le ali, ad esempio), e come nella storia Nothing ho ripreso il concetto dell'Apocalisse che avviene, anche se in modo un po' diverso. Non so esattamente cosa ho scritto, perché avevo in mente solo l'inizio di questa storia, quindi il resto è molto improvvisato. Il prompt che ho scelto (tra i tanti che mi piacevano) lo trovo molto azzeccato per Aziraphale e Crowley, anche se mi rendo conto che è uscita una storia molto angst. Beh, più amo una ship e più la faccio soffrire. 
Come ho scritto anche nell'introduzione, questa storia partecipa al 
al contest “Il filo rosso del destino – Soulmate!AU Contest indetto da Pampa sul forum "Ferisce la penna".
   
 
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