Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Lion1997    05/01/2022    2 recensioni
Non sopportavo le cene che quei vecchi ipocriti organizzavano al nostro ritorno dalle spedizioni fuori dalle mura. Cosa c’era da festeggiare? Le morti di altre decine di soldati divorati dai giganti?
Eppure ci ero andato comunque.
Genere: Erotico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Non sopportavo le cene che quei vecchi ipocriti organizzavano al nostro ritorno dalle spedizioni fuori dalle mura. Cosa c'era da festeggiare? Le morti di altre decine di soldati divorati dai giganti?
Eppure ci ero andato comunque. Perché Erwin mi aveva garantito che ci sarebbero stati fiumi di alcol e, almeno per una sera, avrei potuto svagarmi senza pensare ai compagni caduti: queste erano state le sue parole per convincermi. E io ci ero andato.

Mi trovavo seduto di fianco al posto di capotavola, occupato proprio dal comandante, e avevo di fronte a me Quattrocchi, che per tutta la sera non fece altro che bere e urlare al mondo quanto i giganti fossero affascinanti. Solitamente sarei rimasto infastidito dal suo comportamento, ma durante la cena avevo altri pensieri che impegnavano la mia mente. Prima di tutto continuavo a pensare alla missione che si sarebbe tenuta qualche giorno dopo.

E poi c’era lei; Marie; la moglie di Nile. Sapevo che, per un breve periodo della sua gioventù, Erwin ne era stato innamorato, ma credevo che i suoi sentimenti verso di lei si fossero dissipati nel tempo, eppure quella sera lui non smise di cercarla con lo sguardo, di sorridere ogni qual volta i loro occhi si incrociavano. A un certo punto, ballarono persino insieme; lo fecero in modo discreto, c’era pur sempre suo marito a osservarli, ma notai come lui la guardava, come stava attento a ogni minimo movimento di lei. Non che io volessi ballare con Erwin, io odio ballare, però mi domandai come ci si sentisse a essere considerati in quel modo da lui. E provai rabbia, forse invidia, perché sapevo che non sarei mai riuscito ad averlo come, invece, lo aveva lei.

Pensai più volte di andarmene, ma qualcosa mi trattenne incollato alla sedia fino alla fine della serata. Rimasi a chiacchierare con la mia squadra, buttando un occhio di tanto in tanto su Erwin, giusto per vedere cosa stesse facendo, con chi stesse palando. Che idiota.

La festa terminò prima di quanto mi aspettassi. Tutte le bottiglie sui tavoli erano vuote, così come i bicchieri e i calici. Pian piano, gli invitati se ne tornarono nelle proprie stanze o alle proprie abitazioni, la maggior parte barcollando o cantando. Erwin e io fummo gli ultimi a lasciare la sala: il comandante aveva sempre avuto l’abitudine di aiutare a sistemare, e io restavo tutte le volte a pulire i tavoli e passare la scopa e il moccio sui pavimenti.
Quando, dunque, rimanemmo soli, dopo qualche minuto in cui ognuno dei due svolgeva i propri compiti, fui io a rompere in silenzio. Gli domandai ciò che mi aveva tormentato durante tutta la festa: se fosse ancora innamorato di Marie e si pentisse di essere entrato nel Corpo di Ricerca. Non rispose. Forse neanche io volevo che lo facesse. Avevo paura: temevo un suo cenno di assenso. Non avrei saputo come convivere con la certezza che lui avrebbe voluto tornare indietro per sposarla, perché questo avrebbe significato che lui l’amava tanto da rinunciare ai propri ideali, per cui avrebbe dato la sua stessa vita. E io questo non sarei riuscito ad accettarlo.

Continuammo a riordinare e pulire in silenzio. Quando finii non mi girai a salutarlo, non lo guardai neppure, mi diressi semplicemente verso la mia stanza, nonostante sapessi che quella notte non avrei chiuso occhio. Neanche lui mi rivolse una parola, forse nemmeno si accorse della mia assenza.

Nella mia cabina, dopo aver indossato la camicia bianca e i pantaloni blu, entrambi di lino, con cui solitamente dormo, mi stesi supino sul letto. Trascorsi un tempo che sembrava infinito a guardare il soffitto, senza alcun pensiero per la mente. Stavo semplicemente sul materasso a osservare la parete, quando, all’improvviso, sentii la porta aprirsi. Capii subito chi fosse, senza neanche guardare la persona che era entrata: conoscevo fin troppo bene il suono di quelle scarpe che attraversavano l’ingresso della mia stanza in piena notte.

Mi alzai e mi avvicinai alla soglia dell’uscio, trovandomi di fronte la figura di Erwin. Non disse nulla, si avvicinò solo al mio viso e poggiò le sue labbra sulle mie. Sapevano di rum. Dopo qualche istante, la sua lingua era già entrata a esplorare la mia bocca, mentre le sue mani vagavano dai miei fianchi alla mia schiena, sotto la camicia larga che portavo. Come sempre, Erwin si fece subito più impaziente, cominciando a lasciarmi baci e morsi prima sui lobi, poi sul collo e sulle clavicole.

Dopo poco mi allontanai dalle sue labbra, provocando in lui un’espressione contrariata quanto sorpresa. Feci qualche passo e afferrai la maniglia della porta, che chiusi a chiave; dopodiché mi girai nuovamente verso Erwin.

Sapevo bene che non sarei mai stato abbastanza per lui, che non sarei mai diventato Marie, ma quella notte, così come le centinaia di altre volte in cui ci eravamo tenuti compagnia, mi andava bene così.
   
 
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