Anime & Manga > Bungou Stray Dogs
Ricorda la storia  |       
Autore: Ode To Joy    06/01/2022    3 recensioni
[Past Odazai]
[One-side Soukoku]
“Puoi farmi una promessa?”
Chuuya s’imbronciò. “Tra noi non ci sono promesse, solo minacce.”
“Non è per me,” si affrettò a dire Dazai. “È per il bambino. So che gli vuoi bene.”
“Io non-“
“Volere bene a mio figlio, non implica volere bene a me.”
Chuuya lasciò andare un sospiro esasperato. “Che cosa vuoi, Dazai?”
“Per il mio compleanno, ti chiedo un regalo,” disse Dazai, senza guardarlo negli occhi. “Se mi accadesse qualcosa, dedicheresti la tua vita a proteggere mio figlio?”
“Questo posso promettertelo senza che tu vada da nessuna parte. Hai la mia parola.” Chuuya non avrebbe potuto rispondergli in nessun altro modo.

.
La morte di Odasaku ha posto fine alla guerra contro la Mimic, un modico prezzo per garantire alla Port Mafia l’ultimo tassello di potere di cui aveva bisogno.
Dazai non lo accetta, ma le persone a cui ha voltato le spalle - e da cui è stato ferito - sono le sole a cui può chiedere aiuto, ora che Odasaku lo ha condannato ad avere un futuro.
[Trans!Dazai] [Unplanned Pregancy]
- Fanfiction partecipante al Calendario dell’Avvento di Fanwriter.it -
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ango Sakaguchi, Chuuya Nakahara, Kouyou Ozaki, Osamu Dazai, Ougai Mori, Ougai Mori
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'These Brand New Pages'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Note dell’Autore 

Di solito faccio perdere tempo ai lettori sul mio profilo IG o la mia pagina FB, ma qualche riga d’introduzione qui volevo lasciarla. Questo progetto muove i primi passi nell’autunno del 2019 e vede la luce attraverso il Calendario dell’Avvento di quello stesso anno con As Pure As The Driven Snow, ma è l’anno successivo, con S k r i k che prende inizio la vera serializzazione della serie These Brand New Pages.

La storia si presenta come un enorme What-if che inizia con la fine della Dark Era ma che, gradualmente, si estenderà a tutto l’universo di BSD. 

Poems By A Ghost si pone come prima parte effettiva della vicenda (di cui S k r i k era il prologo), per tanto ritroviamo Dazai poche ore dopo la morte di Odasaku, che si ritrova ad affrontare tutte le conseguenze del caso. 

Avvertenze Principali: Trans!Dazai e Unplanned Pregnancy.

Ships/Characters: Past-Odazai e una Soukoku in divenire che sta lì, ma non è ancora arrivato il suo momento. Principalmente, i sette capitoli ruotano tutti intorno al rapporto che Dazai ha con Mori e Chuuya nel presente, e ciò che gli è rimasto di Odasaku. Fanno la loro comparsa non proprio casuale Kouyou, Ango e Hirotsu. Ma il vero protagonista lo si conosce solo alla fine.

Grazie per l’attenzione.

Buona lettura.







 

0


Dazai Osamu agognava l’oblio.

Tutt’intorno a lui vi erano solo il silenzio e il buio di un appartamento vuoto, ma il rumore nella sua testa non faceva che divenire più caotico, minuto dopo minuto.

Si dondolava sul divano con la testa tra le mani. Le dita sporche di sangue artigliavano i capelli scuri, quasi volesse strapparseli.

Tremava. In preda al delirio, mormorava frasi sconnesse, ricacciando in gola il desiderio di urlare.

Si alzò di scatto, assecondando il desiderio di distruzione che strisciava sotto la sua pelle e non lo faceva ragionare. Aveva voglia di ridurre a brandelli qualcosa - a cominciare da se stesso - voleva far saltare in aria tutta quella maledetta città e trasformare in cenere quel dolore.

Perché di dolore si trattava. 

E Dazai Osamu non era in grado di gestirlo.

Nascose il viso tra le mani: voleva strapparsi via la pelle, cavarsi gli occhi, qualunque cosa pur di non dover sentire quelle mani invisibili dilaniargli l’anima. 

Faceva dannatamente male. 

Prese la pistola che aveva gettato tra i cuscini del divano - una di quelle di Odasaku. Non sapeva nemmeno perché l’aveva portata con sé, forse per istinto. Era uscito dalla Port Mafia disarmato e da traditore. Se Mori avesse mandato qualcuno a cercarlo, avrebbe risparmiato a tutti il disturbo di un’esecuzione al cospetto del Boss. 

Dazai premette la canna fredda contro i capelli umidi di sudore e sporchi di sangue. Un colpo e via. Addio dolore. Addio vita. Addio tutto e tutti.

”Non c’è nulla in questo mondo che possa colmare il vuoto che hai dentro.”

Eppure, per una stagione della sua vita, Dazai se ne era dimenticato.

Abbassò il braccio a fatica, come se stesse combattendo contro una forza invisibile.

Indietreggiò fino a che le sue gambe non incontrarono il divano. Cadde disteso. La testa di capelli scuri atterrò su uno dei cuscini, la mano che stringeva la pistola rimase a penzoloni, oltre il bordo. 

Il dolore era così, arrivava a ondate. Lo travolgeva, sbattendolo di qua e di là con violenza, poi tutto si calmava e restava il vuoto. Almeno, fino alla prossima crisi.

Dazai sbatté le palpebre un paio di volte, smarrito.

Non sapeva da quante ore era lì - non ricordava nemmeno come ci era arrivato - ma era certo di non poter restare. Piegò il braccio, si coprì gli occhi. Il calcio della pistola gli sfiorava il viso. 

Era così stanco. 

Avvertì il fantasma di una carezza sulla guancia. “Lasciala andare,” la voce di Odasaku gli giunse chiara e reale. Non lo era. Dazai lo sapeva. “Lasciala andare, Osamu.”

Le poteva contare sulla punta delle dita le volte in cui Odasaku lo aveva chiamato per nome - durante il sesso, per lo più - ma aveva desiderato lo avesse fatto più spesso. 

Dazai sentì che afferrava la pistola e si lasciò disarmare.

“Non è questo che ti ho detto di fare,” disse Odasaku, pragmatico.

“Mi hai detto di vivere,” mormorò Dazai, con voce spezzata. “A me. Ti sei fatto ammazzare, poi mi hai buttato addosso una ragione per vivere.” Rise, beffardo. Più ci pensava e meno aveva senso. Certo, stava parlando col fantasma del suo amante morto - col sangue di lui addosso, per di più - e questo riduceva drasticamente il numero delle cose sensate in quella storia. Ma non riuscì a trovare il coraggio di guardare di fronte a sé e porre fine a quell’illusione. 

“Non puoi restare qui,” aggiunse la voce di Odasaku. “Stanno arrivando.”

Dazai lo sentì allontanarsi e scattò a sedere per afferrarlo. Il nome del suo amante rimase sospeso nell’aria, come il braccio teso verso il nulla.

L’appartamento non era più buio. Il sole appena sorto si specchiava sulle finestre dei grattacieli più alti, costringendolo a socchiudere gli occhi.

Si era addormentato. Era rimasto in quel luogo per un lasso di tempo pericoloso. 

Dazai si alzò, le gambe lo ressero a stento. 

Non pensò a dove andare - non era importante nell’immediato. Doveva solo uscire di lì, prima che qualcuno altro entrasse. 

Aprì la porta d’ingresso. 

Di fronte a lui, la lucina verde dell’ascensore lo informò che le porte scorrevoli stavano per aprirsi. Non c’erano altri appartamenti su quel piano che potessero giustificare la presenza di qualcuno.

Richiuse la porta, fece tre passi indietro. Sapeva che barricarsi era inutile - oltre che stupido. E non aveva molte opzioni a sua disposizione all’ultimo piano di un grattacielo - a parte buttarsi. 

Dazai udì i primi passi sul pianerottolo nello stesso momento in cui si accorse di avere ancora la pistola stretta nel pugno. Non pensò neanche per un istante di puntarla contro la porta. Non era nella posizione di opporre resistenza, ne era perfettamente consapevole. In tutta onestà, non gli importava. Non gli era mai importato.

Si portò la canna alla tempia. La sua mano non tremava, non più.

Non era nulla di eclatante, solo quello che aveva desiderato fare da sempre.

La porta si spalancò.

Dazai premette il grilletto. 


Since the love that you left is all that I get

I want you to know that if I can't be close to you

I settle for the ghost of you

I miss you more than life

 

 

Poems By A Ghost 


I


Sakaguchi Ango era un maestro nel mantenere un basso profilo. Se così non fosse stato, non sarebbe mai riuscito a fare il suo lavoro. Quando Dazai Osamu, Dirigente più giovane della storia della Port Mafia, si era interessato a lui, il suo ruolo d’infiltrato si era fatto solo un po’ più complicato. Il peso emotivo che era nato da quell’imprevisto era qualcosa a cui nessun addestramento lo aveva preparato.

“E muoviti!” Si attaccò al clacson, fece un sorpasso con doppia riga continua. Quella condotta non gli apparteneva e, di sicuro, non si sposava bene con la sua abitudine di mantenere un basso profilo, ma dopo aver ripulito il sangue di un amico da una scena del crimine, era difficile restare calmi. 

E Sakaguchi Ango non aveva la minima intenzione di ripetere l’esperienza nel corso della stessa giornata.

Parcheggiò in doppia fila, di fronte all’ingresso del grattacielo. Avrebbe pensato dopo a eliminare ogni traccia del suo passaggio dalle telecamere o dai rilevatori di velocità. Doveva solo sperare che la Port Mafia non lo precedesse. Si lanciò contro il pulsante dell’ascensore. Le porte scorrevoli impiegarono pochi istanti ad aprirsi, a lui parvero un’eternità e la salita fino all’ultimo piano fu una vera e proprio tortura.

Ango non sapeva se era ancora in tempo. Maledizione, non sapeva nemmeno se quello fosse il luogo giusto. Le uniche cose che aveva erano la speranza di conoscere Dazai abbastanza bene da prevederlo e il suo istinto.

Non rimase deluso. 

Quando aprì la porta dell’appartamento di Odasaku, Dazai era lì, a pochi passi da lui, con una pistola puntata alla tempia. Colmare la distanza tra loro in tempo utile era praticamente impossibile.

“Fermo!” 

Troppo tardi. 

Dazai aveva già premuto il grilletto. 

Seguì un lungo istante in cui Ango credette di essere morto. Il suo cuore doveva essersi fisicamente fermato, non c’erano dubbi. 

Dazai Osamu era vivo, sconvolto quanto lui. Nessun proiettile era partito da quella pistola.

Ango poteva tornare a respirare: era arrivato in tempo.

“Maledizione!” Sibilò, attraversando la stanza con ampi passi. 

Pietrificato da quanto era - meglio, non era - appena successo, Dazai non oppose alcuna resistenza. Ango gli tolse la pistola di mano, la riconobbe. “È di Odasaku,” mormorò, ma non era sorpreso. Avevano rinvenuto due fondine ma una sola arma sulla scena del massacro della Mimic.

“È scarica,” disse Ango. “Continua a salvarti la vita anche ora.” Infilò la pistola nella cintura: non voleva lasciare nessuna traccia del loro passaggio in un appartamento che risultava nel libro paga della Port Mafia.

“Andiamo, Dazai.” Ango lo afferrò e il diciottenne si dimenò con forza. “Dazai, non abbiamo tempo!”

“Non mi toccare!” 

La spia del Governo si concesse un istante per valutare lo stato fisico in cui versava il giovane Dirigente - sempre ammesso che quell’etichetta gli appartenesse ancora. “Hai del sangue addosso,” notò, imponendosi un tono calmo. “È tuo?”

“Sai benissimo di chi è,” sibilò Dazai. 

Ango poteva sentire addosso il rancore che provava per lui, come tante lame invisibili. Non lo biasimava. “Odiami quanto vuoi,” gli concesse. “Se ti farà stare meglio, ti permetterò di spaccarmi la faccia ma adesso ti porto via di qui.” Pronunciò le ultime parole con fermezza e tentò di afferrarlo una seconda volta.

Dazai si ritrasse. “Lavori per il Governo.”

“Affronteremo anche questo discorso, ma in un posto sicuro!”

“Che diavolo ci fai qui?”

Ango perse la pazienza, lo afferrò per le spalle e lo scosse con forza. “Sto cercando di salvarti la vita!” Sbraitò. “E nemmeno tu riuscirai a impedirmelo!”

Trascinarlo fuori dall’appartamento fu facile: non pesava niente. In macchina si entrò con le sue gambe. Messe le mani sul volante, Ango tirò un sospiro di sollievo.

Dazai sedeva al posto del passeggero come un pupazzo rotto, privo di volontà. Era pallido e le macchie di sangue che aveva addosso non erano allarmati quanto i segni scuri sotto i suoi occhi.

Ango non riusciva a capire se avesse pianto fino a crollare o se non fosse riuscito a farlo. “Ti porto a casa mia,” lo informò, dato che il diciottenne non sembrava particolarmente interessato alla sorte che gli sarebbe toccata. “Hai ancora delle carte da giocare e studieremo come farlo.”

Dazai gli lanciò un’occhiata carica di disprezzo. “Ti piace interpretare la parte del traditore o stai cercando di ripulirti la coscienza?”

Ango sapeva di doversi aspettare anche di peggio. “Non ho mai voluto farvi-“

“Non dire cazzate,” lo interruppe Dazai. Non era nel suo carattere essere scurrile - quello era Chuuya - ma quella era una buona giornata per uscire dagli schemi. “Sei una spia. Io e lui eravamo soltanto un evento collaterale… No, forse lo era solo lui e io ero il tuo obiettivo.”

“Dazai, rallenta,” lo pregò Ango. “Stai sovranalizzando la situazione e non sei nelle condizioni di farlo.”

“Sovranallizare?” Ripeté Dazai. “Non ce n’è alcun bisogno. Governo e Port Mafia hanno il loro patto di non belligeranza e Odasaku è stato il modico prezzo da pagare per raggiungere lo scopo.”

“Dazai, ti giuro che se avessi saputo-“

“Cosa?” Dazai lo inchiodò con lo sguardo. “Saresti tornato sui tuoi passi?”

Ango rimase in silenzio, gli occhi fissi sulla strada. “Quel nostro ultimo incontro al Lupin…” Disse. “Ogni mia parola era sincera.”

Dazai si voltò verso il finestrino. 

Ango lo spiò con la coda dell’occhio. “Che cosa hai fatto?”

“Mi hai trovato, quindi lo sai già.”

“Ho solo avuto un’intuizione.”

“Su che base?”

Ango si umettò le labbra, prima di rispondere. “Mori era lì.”

Gli occhi scuri di Dazai saettarono sul profilo della spia.

“La Port Mafia stava raccogliendo i suoi caduti,” raccontò Ango. “Io ero lì per fare un rapporto finale con cui chiudere il fascicolo della Mimic.”

Quali caduti hanno raccolto?” Domandò Dazai.

Ango percepì il lieve tremore della sua voce e fu tentato di afferrargli la mano o mostrargli un qualunque segno di conforto, ma sapeva che sarebbe stato respinto. “Non lo hanno toccato,” disse, assicurandosi di guardare solo di fronte a sé. “Te lo giuro. Non lo hanno toccato, ci ho pensato io.”

Dazai volse di nuovo il viso verso il finestrino e Ango gli concesse un minuto per elaborare la cosa. “Non potevi essere rimasto lì, alla Port Mafia,” aggiunse. “Il mio timore era che ti avessero già ammazzato. Hai provato a fare qualcosa per lui e Mori non te lo ha concesso, non è vero?”

Dazai non rispose.

Ango ingoiò a vuoto. “Sei arrivato in tempo?” Domandò. “Se il sangue che hai addosso è il suo, significa che-“

“Sono un traditore,” disse Dazai, senza guardarlo. “Per la Port Mafia, sono un traditore.”

Ango sapeva che non gli avrebbe detto altro. “Siamo quasi arrivati.”




 

“Devo vomitare.” Fu la prima cosa che disse Dazai, una volta messo piede in casa.

Preso di sorpresa, Ango gli aprì goffamente la porta del bagno e il diciottenne vi si fiondò dentro. Rimase lì, con la schiena appoggiata all’architrave e gli occhi fissi a terra, mentre Dazai faceva quel che doveva fare. Quando ebbe finito, il giovane tirò lo sciacquone e si lasciò cadere a sedere sul pavimento freddo.

Preoccupato, Ango lo raggiunse. “Ti senti bene?”

“Vuoi che ti risponda?” Ribatté Dazai, inspirando dal naso con gli occhi chiusi.

L’altro appoggiò un ginocchio a terra, azzardando una mano sulla spalla. “Da quanto tempo non mangi o bevi qualcosa?”

“Non me lo ricordo.”

“Hai preso qualcosa che-“

“No, Odasaku non avrebbe voluto.”

Ango rifletté in fretta. “Ti porto un bicchiere d’acqua e dei vestiti puliti. Più tardi, distruggerò quelli che hai addosso,” disse. “Mi dispiace, non ho delle fasciature.”

“Non fa niente,” mormorò Dazai, stringendosi le ginocchia al petto. 

Ango sapeva che non era vero: quelle bende non avevano solo un valore estetico, ma i suoi vestiti gli sarebbero stati abbastanza larghi da coprire ogni cosa. Impiegò meno di dieci minuti a recuperare tutto il necessario. Prima che tornasse in bagno, sentì Dazai vomitare una seconda volta e si domandò se non fosse il caso di dargli qualcosa per la nausea. Ango rimandò la risposta a più tardi: forse il suo corpo stava cercando di elaborare gli ultimi eventi, mentre la sua mente non era ancora pronta a farlo. 

Somatizzazione del dolore. Era una cosa che si addiceva a Dazai Osamu.

Tornato in bagno, Ango appoggiò i vestiti puliti vicino al lavandino e porse il bicchiere d’acqua al suo insolito ospite. Dazai si costrinse a bere, ma prese appena un paio di sorsi. 

“Lascia tutto sul pavimento.” Ango gli diede istruzioni. “Più tardi, penserò a ogni cosa.” A quel punto, non gli restava che togliersi di torno ma doveva ammettere che l’idea gli provocava ansia. “Posso confidare nel fatto che non tenterai il suicidio nel mio bagno?”

Se Ango si fosse ritrovato costretto a chiamare un’ambulanza per un traditore della Port Mafia, con tanti capi d’accusa da non poterli contare, sarebbe stato un problema per entrambi. 

Dazai si limitò a fulminarlo con gli occhi - era difficile reggere il suo sguardo ora che erano entrambi scoperti - e Ango decise di dargli fiducia. 




 

Se fosse stato per Dazai, si sarebbe raggomitolato sul pavimento freddo con il sangue di Odasaku addosso e lì sarebbe rimasto, fino a data da destinarsi - o fino alla sua morte. La presenza di Ango a una porta di distanza rendeva tutto più complicato. Si tolse la giacca lentamente e ci mise un’eternità a sbottonare la camicia: gli tremavano le dita. Una volta sfilati i pantaloni, guardò il suo riflesso nello specchio sopra il lavandino: le macchie di sangue erano più evidenti sulle fasciature bianche.

Ingoiò un altro conato di vomito e allontanò lo sguardo.

Non era la prima volta che si lavava via del sangue di dosso - in particolare, il proprio - ma quello era di Odasaku. Fece scorrere l’acqua nella doccia, aspettando che diventasse calda. 

Dazai fissò gli occhi su un qualunque punto del muro e prese a strapparsi di dosso le fasciature. Appena qualche giorno prima, Odasaku lo aveva fatto per lui con la lenta cura di un amante. Si fermò, come se una fitta improvvisa lo avesse attraversato dalla testa ai piedi.

Ingoiò aria dalle labbra tremanti e finì di fare quello che stava facendo. 

Il getto caldo gli spezzò il respiro. L’acqua ai suoi piedi si tinse di rosso e divenne man mano più chiara. In un batter d’occhio, qualunque traccia Odasaku gli avesse lasciato addosso era sparita.

“Mi hai avuto in modi che non hanno a che fare con la mia morte,” disse il fantasma di Odasaku.

“Lo so,” replicò Dazai. Sentiva la presenza dell’altro alle sue spalle e quasi si aspettava che gli insaponasse i capelli, come soleva fare quando passavano la notte insieme. Prima di crederci troppo, afferrò la bottiglietta dello shampoo e fece da solo. “Mi piaceva guardare il mio corpo e scovare tutti i segni del tuo passaggio.”

“E come ti faceva sentire?”

Dazai si tirò i capelli indietro. “Vivo,” mormorò. “Era questo il potere che avevi su di me. Non l’ha mai avuto nessun altro, solo tu.”

“Non pensi di avermi idealizzato?”

Una risata stanca. “Pensavo che chiamando il tuo nome, ti saresti voltato,” ammise Dazai. “Pensavo che, anche di fronte al dolore della perdita dei bambini, mi avresti guardato e… Non lo so, forse avresti visto qualcosa per cui…” Le parole gli rimasero incastrate in gola. “Sì, ti ho idealizzato,” concluse. “Ho idealizzato ogni cosa.”

Nessuno gli rispose. Era di nuovo da solo.




 

Ango eliminò dal bagno ogni traccia di sangue, fece sparire i suoi vestiti e gli preparò qualcosa da mangiare. Dazai si limitò a essere una silenziosa presenza sul divano per tutto il tempo. I vestiti prestati erano larghi e comodi e più il sole si alzava, più diveniva difficile tenere gli occhi aperti. La mancanza di sonno non era mai stata una problema per lui. Durante le missioni, era arrivato a distruggersi fino a collassare, guadagnandosi una scenata da parte di Chuuya nel processo. Quella volta era diverso: il suo corpo non rispondeva come era abituato, forse per lo shock - la sua intera vita era andata in pezzi nel tempo di un tramonto - poco importava che non riuscisse a piangere.

Era ancora sveglio, quando Ango gli mise una coperta addosso.

“Se vuoi dormire, fallo,” disse il padrone di casa, sedendosi sulla poltrona vicino al divano. “Abbiamo tutto il tempo.”

“Davvero?”

“Questo è un posto sicuro.”

“Stai infrangendo tante di quelle leggi che non riesco a contarle, Ango. Non può esserci nulla di sicuro in questo.”

“Il Governo non si fa scrupoli a fare accordi con la malavita quando c’è da guadagnarci.”

“Ma non mi dire,” commentò Dazai, sarcastico.

“E tu sei un guadagno,” disse Ango. “Allo stato attuale, dopo l’accordo con Mori, sei quella vittoria inaspettata che porterebbe i miei superiori un gradino più in alto.”

“Quanto basta per far gioire il loro ego,” concluse Dazai. “Mori era dieci passi avanti ancor prima di avere quella licenza.”

“Perché Mori aveva te.”

Dazai sbuffò. “Non ho mai provato alcuna soddisfazione per commenti come questo,” si accomodò meglio contro i cuscini. “Non diventerò il cane di Santoka Taneda. Se questo è il piano, Ango, rinuncia.”

“Anche se fosse l’unico modo per salvarti la vita?”

“Smettila, sai che non me ne importa nulla,” si lagnò Dazai, come se l’altro lo stesse disturbando con le sue chiacchiere.

“A lui importava,” replicò Ango.

Eccolo lì, l’odio di Dazai che tornava a colpirlo a suon di sguardi. 

“Non lo userai per farmi fare quello che vuoi,” sibilò il più giovane.

“Io non voglio dover raccogliere il tuo cadavere, dopo che è stato crivellato di proiettili,” disse Ango.

“E non sarò nemmeno la tua espiazione,” aggiunse Dazai. “Sii onesto e ammetti che sei qui perché pensi di avere un debito nei confronti di Odasaku.”

“Io ho un debito nei suoi confronti.”

“I morti non hanno nulla da riscattare.”

Ango allargò le braccia. “Va bene, smettiamola di parlare di quello che voglio io,” concesse. “Dimmi che cosa vuoi tu e non rispondere morire.”

“Mi hai trovato con una pistola puntata alla testa,” gli ricordò Dazai. “Cosa vuoi che ti dica?”

“Ti serve tempo?”

Il diciottenne odiava che il suo secondino - perché era questo che Ango stava facendo - fosse così intuitivo. “Quanto puoi concedermi?"

Il padrone di casa fece un rapido calcolo. “Dieci… Forse quindici giorni.”

Dazai si girò su un fianco, dandogli la schiena. “Basterà.” Se Ango disse altro, non lo udì. Il sonno ebbe la meglio. 




 

Ango non smise di fare piani ad alta voce per tutti i giorni seguenti. La sua non era mancanza di rispetto per il dolore del diciottenne, ma il suo modo personale di venirne a capo. L’alternativa era restare immobile e sopportare in silenzio gli occhi di Dazai che lo trafiggevano con ogni sguardo, peggiorando il peso dei peccati che gravavano sulla sua coscienza.

“Vendere i segreti della Port Mafia ti porterebbe un enorme guadagno e ci concederebbe spazio di manovra per riabilitarti,” propose Ango, porgendo al suo ospite una tazza di tè fumante.

“Pensavo che Governo e Port Mafia fossero giunti a un compromesso.”

“A nessuno dei due basterà questa situazione di parità molto a lungo, lo sappiamo entrambi.”

Dazai prese la tazza tra le mani. “Non ho intenzione di vendere la Port Mafia,” disse, fermo. 

Il salotto era divenuto il loro nuovo quartier generale. Dazai non si era alzato dal divano fin dal primo giorno, tranne che per andare in bagno. Ango si era trasferito sulla poltrona per venire a patti con la sua ansia: lasciare il suo ospite da solo non era pensabile.

“Li hai traditi,” gli ricordò Ango. 

“Ho disubbidito a Mori e me ne sono andato. È diverso.”

“In che modo?”

Dazai prese un sorso di tè. “Non capiresti.”

Ango allargò le braccia, come a dire che era lì e aveva tutto il tempo del mondo per ascoltarlo. “Prova a spiegarmi.”

Dazai tamburellò le dita contro la ceramica calda, pensando alle parole più giuste per spiegare il suo punto di vista. “Mori ha ucciso Odasaku, non la Port Mafia,” disse Dazai, osservando il tè scuro. “Chuuya, Hirotsu, Kouyou e tutti gli altri non c’entrano niente.”

Ango inarcò le sopracciglia: era una posizione che si poteva quasi definire magnanima, completamente opposta da quella che si era aspettato dal Dirigente più giovane della Port Mafia. “Se avessi il potere di decidere, che cosa faresti?” Domandò. “Ti vendicheresti di Mori?”

“Non ce l’ho il potere di decidere.”

“Sì, ma se-“

“Non è come pensi,” lo interruppe Dazai, gli occhi scuri divennero come due finestre su un abisso senza fine. “Vuoi sapere se voglio Mori morto? No, sarebbe troppo semplice. Ucciderlo sarebbe solo l’ultima cosa che gli farei, la meno crudele.”

Ango ingoiò a vuoto. 

“Ma ho fatto una promessa.” L’espressione di Dazai si ammorbidì e così il tono della sua voce. “Era vivo. Quando sono arrivato, erano già tutti morti ma non Odasaku.”

Ango trattenne il fiato: non aveva previsto di conoscere quella parte della storia dopo così poco tempo. “Ti ha detto qualcosa?” Domandò.

“Mi ha detto di stare dalla parte dei più deboli, di divenire qualcuno che salva le persone.”

“Perché ti ha-“

“È questo il motivo per cui non ho il potere di decidere,” disse Dazai. “Perché Odasaku ha affidato a me le sue ultime volontà e non posso tradirlo.”

Solo pochi giorni prima, quello stesso ragazzo gli aveva detto che i morti non riscattano alcun debito e ora ammetteva di sentirsi legato a una promessa fatta all’amico che non era riuscito a salvare. 

“Per questo non posso vendicarmi di Mori,” aggiunse Dazai. “E non posso neanche morire. Odasaku non l’avrebbe voluto.”

Ango ne fu confortato. “Il suo… Il suo…” Chiuse gli occhi e si umettò le labbra, riflettendo su una scelta di parole migliore. “Odasaku è in uno dei nostri obitori. È stata fatta un’autopsia, come da routine. Mi sono fatto carico di ogni faccenda che concerne la sua sepoltura, ma io non sono l’unico amico che aveva.”

Dazai prese un altro sorso di tè, non lo guardava più in faccia. “Che vuoi che ti dica?”

“Se hai dei desideri che concernono il suo funerale.”

Erano lì, seduti a parlare di come andare avanti e Oda Sakunosuke non era stato neanche sepolto. 

“C’è un piccolo cimitero dall’altra parte del ponte, affaccia proprio sul mare,” disse Dazai. “Posso farti vedere la posizione su Google Maps.”

Ango non gli chiese per quale ragione conosceva un posto simile: c’erano cose di quel giovane che preferiva non sapere. Era Odasaku quello in grado di gestirlo, lui a stento riusciva ad assicurarsi che restasse vivo.

“Penso gli sarebbe piaciuto,” concluse Dazai.

Ango annuì due volte. “Farò in modo che venga sepolto lì.”

“Ango?”

“Cosa?”

“Quando questo momento d’immobilità finirà, mi porterai sulla sua tomba?”

Era una richiesta semplice, ma la risposta non lo era affatto. Ancora nessuno sapeva che Ango stava ospitando un criminale - ricercato dal Governo e traditore della Port Mafia - e se Dazai non aveva alcuna intenzione di divenire il cane di una potenza in carica, il suo tentativo di salvarlo diveniva più difficile.

Si disse che anche a un condannato a morte viene concesso un ultimo desiderio.

“Lo farò,” rispose. “Te lo prometto.”




 

Di quei quindici giorni, Ango ne aspettò undici, prima di parlare con Taneda di quanto stava facendo. Finito il resoconto dei fatti, il Direttore della Divisione Speciale sospirò e infilò le dita sotto i naselli degli occhiali in un gesto stanco. “Ango…”

“Potrebbe essere il nostro asso nella manica per gli anni a venire.”

“Ma non ha alcuna intenzione di collaborare, mi par di aver capito.”

Lo stato in cui versava Dazai non era migliorato di una virgola: mangiava appena, si svegliava nel cuore della notte in preda a crisi che gettavano Ango nel panico più assoluto e vomitava a giorni alterni. 

“Inoltre, mi sembra che questa convivenza non ti stia facendo alcun bene,” aggiunse Taneda, studiando il viso esausto del suo sottoposto. 

Ango aveva fatto dello stacanovismo il suo stile di vita. Il riposo gli era estraneo, come l’assenza di problematiche da risolvere. Nulla di tutto quello lo aveva preparato a prendersi cura di Dazai. 

“Dazai Osamu è una risorsa che non va sprecata, Direttore,” insistette Ango. 

“E hai già pensato a come impiegarla?” Domandò Taneda.

“Non appena sarà pronto a uscire allo scoperto, farò in modo che venga da lei.” Ango si aggiustò gli occhiali sul naso. “Se gli propone di lavorare per noi, rifiuterà.”

Taneda storse la bocca in una smorfia. “Questo fa crollare il suo valore, ragazzo mio.”

“Gli proponga di entrare nell’Agenzia Armata.”

Il Direttore lo fissò, basito. “Vuoi che metta l’erede mancato di Mori nella mani dell’ex agente che ha collaborato con lui?”

“Non è una questione che riguarda Mori,” chiarì Ango. Si tratta dell’ultima promessa fatta a un amico in fin di vita, ma questo non avrebbe mai potuto spiegarlo al suo superiore. “L’Agenzia si trova in una posizione in cui Dazai potrebbe sentirsi a suo agio.”

“E pensi che Fukuzawa saprebbe come gestirlo?”

Questo dovrebbe dirlo lei a me, Ango si morse la lingua e provò a elaborare la cosa da un’altra prospettiva. “Fukuzawa è un uomo che Dazai potrebbe rispettare,” disse. 

Taneda si concesse un minuto per rifletterci. “Hai solo pochi giorni per lavorare a questa tua proposta, Ango,” disse. “Dopodiché, saremo costretti a procedere secondo la legge.”




 

Prima di tornare a casa, Ango passò a fare la spesa - era finito il granchio in scatola e non poteva rischiare che Dazai saltasse la cena per due giorni di seguito - ma una volta varcata la soglia dell’appartamento, non trovò il suo ospite spiaggiato sul divano come suo solito. “Dazai?” Chiamò, mascherando l’ansia alla male e peggio.

“Sono in bagno,” rispose il diciottenne.

L’agente governativo lasciò andare un sospiro e procedette fino alla cucina, per mettere a posto quanto aveva comprato. Non fece caso a quanto tempo Dazai passò chiuso dentro al bagno. Quando udì qualcosa cadere a terra e rompersi, Ango scattò come se fosse esplosa una bomba.

Spalancò la porta senza alcun rispetto, spaventando Dazai, in piedi di fronte al lavandino. “Che ti prende?”

“Che stai facendo? Ho sentito un rumore.”

“Mi è caduto il bicchiere,” disse il diciottenne, indicando i frammenti di vetro sul pavimento chiaro.

Ango fece appello a tutta la sua pazienza. “Puoi evitare di farmi prendere un colpo?”

Dazai evitò di rispondergli a tono. “Metto a posto e ti raggiungo,” disse.

“Fai in fretta.”

Una volta seduti a tavola, il diciottenne lo prese di sorpresa una seconda volta. “Voglio parlare con il Direttore Taneda,” disse, addentando il primo granchio della serata.

Ango rimase con la forchetta sospesa a mezz’aria per un lasso di tempo ridicolo. Simulò un colpo di tosse e si ricompose. “Hai cambiato idea?” Domandò. “Diverrai un pentito al servizio del Governo?”

“No,” rispose Dazai. “Voglio fare qualcosa che mi permetta di salvare le persone.”

“Il Governo si occupa della protezione e del benessere dell’intero paese.”

“Il Governo ha più zone d’ombra della Port Mafia, non provare a negarlo,” lo zittì Dazai. “Fammi parlare con il Direttore e vediamo cosa ne esce fuori.”

Ango fece appello a tutta la sua pazienza e annuì. “Organizzerò un incontro.”

“Dovrà essere in un luogo pubblico.”

“Dazai, lascia fare a me.”

Il diciottenne lo inchiodò con lo sguardo. “Dovrà essere in un luogo pubblico,” ripeté.

Ango cedette. “E luogo pubblico sia.”

Cadde il silenzio. Ango continuò a mangiare e Dazai a fissarlo in silenzio. L’agente non riuscì a reggere la pressione di quegli occhi scuri per molto. “Che cosa c‘è?” Domandò.

“Quanto tempo ci vorrà?”

“Per cosa?”

“Per ripulirmi.”

Ango scrollò le spalle. “Non ho mai seguito la procedura personalmente,” ammise. “Prevedo che dovrai sparire dalla scena per un anno e mezzo, forse due. Per allora, avrai vent’anni e potrai cominciare una nuova vita.”

“E di quella vecchia che ne sarà?”

“Dipende da una serie di variabili.”

“Tipo?”

“Se ora uscissi in strada e chiedessi a una persona qualunque dove si trova Dazai Osamu, questa ti guarderebbe come se fossi un pazzo. Fai la stessa cosa con un agente governativo o con un membro della malavita, e otterrai una reazione completamente diversa. Ora, io lavoro per il Governo e questo esclude la prima categoria dalla lista della variabili problematiche, ma la Port Mafia? Mi hai detto di aver disubbidito a Mori e questo ti rende un traditore. Significa tutto o niente. Che cosa sei per loro?”

Dazai scrollò le spalle. “Nulla.”

“Non è possibile e lo sai,” ribatté Ango. “Mori non lascerà morire la questione e basta.”

“Mori mi ha lasciato uscire dalla porta principale, senza fare niente,” raccontò Dazai. “Nello specifico: mi ha detto che se fossi andato da Odasaku, non sarei più potuto tornare indietro e sappiamo entrambi com'è andata.”

Ango non riusciva a credere alle sue orecchie. “Tutto qui?”

“Mi ha fatto puntare due fucili addosso per fare scena.”

“Per fare scena?”

“Non mi avrebbe mai fatto niente. Mori ragiona per profitto e spararmi non gliene avrebbe portato alcuno.”

“Forse, ma libero e lontano da lui sei una minaccia che non può ignorare.”

“Non sono una minaccia,” ribatté Dazai, calmo. “Non ho intenzione di vendere la Port Mafia, ricordi?”

Ango alzò gli occhi al cielo, esasperato. “Perciò io devo credere che tu te ne sia, semplicemente, andato e che Mori non farà nulla a riguardo?”

Dazai usò la forchetta per giocare con il granchio nella scatoletta. “Mori sapeva benissimo quello che stava facendo,” disse. “Come sapeva quello che sarebbe successo dopo. Il mio tradimento non è stato un errore di calcolo, ma una fase del piano.”

Ango era più confuso di quanto lo fosse all’inizio di tutta quella storia. “Quale piano?”

Dazai scrollò le spalle. “Non lo so.”




 

Dazai Osamu se ne andò dall’appartamento di Sakaguchi Ango tre giorni più tardi, dopo aver accettato di entrare a far parte dell’Agenzia Armata di Detective di Fukuzawa Yukichi. 

Nella settimana successiva, l’ex Dirigente della Port Mafia fece saltare in aria l’auto di Nakahara Chuuya per semplice diletto. Quella fu l’ultima traccia del suo passaggio alla Port Mafia.

Il giorno dopo, Chuuya pretese e ottenne di avere un confronto con Ango. Il primo uscì da quell’incontro con la consapevolezza che il suo partner aveva abbandonato il mondo oscuro di Yokohama e non sarebbe più tornato.

Poche ore più tardi, Ango mantenne la sua promessa e portò Dazai alla tomba di Oda Sakunosuke.

Fu l’ultimo giorno in cui si videro.



 

A cinquantatré giorni dalla sconfitta della Mimic - non che Nakahara Chuuya tenesse il conto - tutta la Port Mafia era in fermento per il vuoto di potere lasciato dalla recente scomparsa di Dazai Osamu. Nessuno, a parte i piani alti, conosceva i retroscena dell’accaduto. Erano addirittura arrivati a vociferare che il Boss in persona ne fosse responsabile, ma il pettegolezzo aveva avuto vita breve. Vivo o morto che fosse, di Dazai Osamu non c’era più traccia.

Chuuya aveva perso il conto delle volte che aveva ingoiato la parola traditore a forza, per non dare dimostrazione di conoscere quella storia un po’ più di tutti gli altri. Lo stronzo non era scomparso, aveva voltato loro le spalle. Punto.

Peccato che le persone a sapere quella verità si potessero contare sulle dita di una mano sola.

Il Boss aveva già pensato nei dettagli a come arginare le problematiche causate da quell’assenza repentina. Ufficialmente, nessuno era stato ancora investito di alcun titolo. Alla squadra armata mancava un leader e una poltrona da Dirigente era tornata libera.

Due ragioni più che buone perché quelli dei piani di mezzo della Port Mafia arrivassero a calpestarsi a vicenda, anche fisicamente.

“Come reggi la pressione?” Hirotsu glielo domandò durante una loro serata al P.Pub, mentre dall’esterno arrivavano i tipici rumori di una rissa.

Chuuya guardò il suo calice di vino, pensando che non era abbastanza ubriaco per quella conversazione. “Comincio a pensare che il Boss non abbia ancora fatto annunci ufficiali perché spera che i peggiori si ammazzino a vicenda, liberando qualche voce dal suo libro paga.”

Hirotsu accennò un sorriso. “Probabile,” concordò. “Akutagawa?”

Chuuya scrollò le spalle. “Pallido e taciturno come sempre?”

“È una domanda?”

“Chiedilo a Gin, è sua sorella,” propose Chuuya. “Il fatto che sia il cucciolo abbandonato da Dazai non significa che passerò il resto dei miei giorni ad accompagnarlo al lavoro.”

“Potrebbe divenire il tuo nuovo partner, lo sai?”

“Ci ho pensato, ma no!” Esclamò Chuuya, sottolineando il suo disappunto sollevando il calice di vino. “Il Boss non mi giocherà un tiro mancino simile. Akutagawa avrà la squadra armata, io il posto da Dirigente - che non è nemmeno quello di Dazai, che non andrà a nessuno. Piuttosto, tu come vivi questa cosa di avere un sedicenne instabile per superiore?”

Chuuya non comprendeva Hirotsu: aveva l’esperienza e le facoltà giuste per sedere alla destra del Boss, eppure continuava a fare da baby-sitter ai piccoli mostri che Mori - o chi per lui - raccattava per strada.

“Dazai aveva quindici anni,” ricordò il veterano - a Chuuya parve di udire della nostalgia nella sua voce. “Conosco Ryuunosuke da quando ne aveva quattordici. È una storia che si ripete per me.”

Speriamo di no, pensò Chuuya. Le probabilità che Akutagawa Ryuunosuke si trasformasse nella brutta copia di Dazai erano scarse, ma non nulle. Se proprio doveva accadere il peggio, il diciottenne sperava che avvenisse il più lontano possibile da lui. Non ci sarebbero stati altri partner rompicoglioni nella sua vita, aveva preteso la parola del Boss a riguardo. Chuuya lavorava bene da solo. Punto.

“Tadashi ha perso!” Annunciò Kaji, tornando al posto che aveva lasciato vuoto, accanto al giovane dai capelli rossi. “Peccato.” Era uscito per assistere all’ennesima rissa della settimana e ora tornava col risultato, manco avesse assistito a una competizione sportiva di qualche tipo.

Chuuya sbuffò. “Qualcuno li ha avvisati che non è un torneo di boxe? L’ultimo a rimanere in piedi non riceverà il titolo di Dirigente a mo di trofeo!”

Hirotsu scrollò le spalle. “Lasciamoli divertire.”

“Divertire? Si stanno massacrando. Se un nemico ci attaccasse ora, avremmo solo catorci umani da mandargli contro!” Ribatté Chuuya.

“E le mie bombe!” Aggiunse Kaji con entusiasmo.

Il rosso gli lanciò un’occhiata piena di pietà. “Non so che divinità pregare per avere la pazienza giusta. Ma al Boss cosa è saltato in mente?”

Hirotsu gli diede una pacca sulla spalla. “Mori sa quello che fa,” disse. “Per quanto vale, sono certo che abbia fatto la scelta giusta. Una volta che la tua promozione diverrà ufficiale, saprai cosa fare. Tu conosci la lealtà, Chuuya. Non avrai bisogno di farti temere dai tuoi uomini, saranno loro a stimare te.”

Simili parole dal leader della Black Lizard colpirono Chuuya in un punto debole che non sapeva di avere. Hirotsu era sempre stato cordiale con lui e non aveva mai fatto nulla per farlo sentire meno di quell’altro. Ma non era un mistero che Dazai fosse il suo preferito.

“Grazie…” Mormorò, incerto.

“Non ringraziare,” disse Hirotsu, con tono di rimprovero. “Non tentennare. Testa alta e voce sicura. Sempre.”

Come un soldato richiamato all’ordine, Chuuya drizzò la schiena e annuì.

Kaji scivolò verso di lui, appoggiando la testa alla sua spalla. “E mi permetterai di sviluppare le mie ricerche, vero?”

Chuuya lo allontanò con una gomitata. “E levati!” Tornò a concentrarsi sul suo calice di vino: voleva sentire la testa un po’ più leggera, prima di tornare a casa e mettersi a dormire. Il cellulare prese a vibrare nella tasca dei jeans, rovinandogli il momento.

Sbuffò sonoramente. Per un attimo, pensò di annegare quell’aggeggio infernale nel cocktail di Kaji e farlo tacere. Stava per prendere seriamente in considerazione l’idea - poteva permettersi un telefono nuovo al giorno, non sarebbe stata una gran perdita - quando lesse il nome sul display.

Occupato a delirare sui suoi progetti, Kaji non si accorse che l’amico al suo fianco aveva smesso di respirare. Hirotsu fu più attento. “Chuuya, tutto bene?” Gli strinse la spalla.

Il diciottenne trasalì e per poco non buttò il calice a terra.

Il display del cellulare si spense.

Colpito dalla reazione esagerata dell’amico, anche Kaji smise di parlare da solo. “Che ti prende, Chuuya?”

“Niente.” Chuuya ingurgitò quello che era rimasto del suo vino e si alzò in piedi. “Devo andare,” buttò sul bancone del pub le banconote che aveva in tasca. “Pagate voi per me e dite di tenere il resto come mancia.”

Li salutò con un gesto veloce della mano, senza guardarli negli occhi. Una volta fuori dalla porta, l’aria fredda del porto lo costrinse a fermarsi e tirare su la zip del giubbotto. Metà dei tavolini e delle sedie all’esterno del locale erano finiti sottosopra a causa della rissa appena conclusasi. I due rivali e i loro amici erano ancora lì - gli uni a festeggiare il vincitore e gli altri a cercare di rimettere in piedi il perdente - Chuuya li superò senza degnarli di uno sguardo. Tra le sue dita, il cellulare riprese a vibrare. Guardò il display solo dopo aver raggiunto il retro del pub, dove aveva parcheggiato la moto. Chuuya lesse e rilesse il nome sul piccolo schermo, fino a che le lettere smisero di avere senso.

Sgombro.

Il diciottenne ingoiò aria, combattendo l’istinto di gettare il cellulare a terra a ridurlo in mille pezzi. Non poteva essere lui. Ango era stato molto chiaro nello spiegargli la nuova posizione dello stronzo. Dazai Osamu era morto per tutti loro, non apparteneva più alla Port Mafia e non si poteva tornare indietro.

Eppure, il cellulare tra le sue dita vibrava come una bomba sul punto di esplodere.

Chuuya aveva due possibilità: lanciarla via ed evitare lo scoppio, oppure lasciarsi di saltare in aria. 

Ricacciò indietro l’urlo che bruciava in fondo alla sua gola. 

Premette il cerchio verde sul display e si portò il cellulare all’orecchio. “Tu, miserabile bastardo,” sibilò. La rabbia accumulata in cinquantatré giorni esplose tutta insieme, rendendogli difficile pronunciare una frase di senso compiuto. “Tu… Tu…”

“Chuuya…” Un singhiozzo.

Il giovane dai capelli rossi gelò. “Da-Dazai?” 

“Chuuya, ti prego…”

Chuuya non era sicuro se stesse piangendo, ma di certo aveva bisogno di aiuto. “Dazai, dove sei?” Domandò, cercando le chiavi della moto con la mano libera. “Dazai, dimmi dove ti trovi. Ti vengo a prendere.”

Avrebbe pensato poi a spaccargli la faccia come meritava.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bungou Stray Dogs / Vai alla pagina dell'autore: Ode To Joy