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Autore: InvisibleWoman    08/01/2022    1 recensioni
[Un Professore]
Verso la fine dell'estate, Simone è partito un mese e mezzo per la Scozia per trovare sua madre, e adesso che ricomincia l'anno scolastico, è tornato sui banchi di scuola insieme a Manuel. Ma l'arrivo di un nuovo compagno di classe attira le attenzioni di tutti, specialmente di Simone, e la gelosia di Manuel.
Questa storia si ricollega a quella precedente (https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4005285&i=1) e FORSE potrebbe avere una successiva parte di risoluzione. Lo preciso perché non finisce proprio bene e mi piacerebbe mettere a posto le cose, ispirazione permettendo. Intanto spero che vi piaccia!
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo quel secondo bacio, che Simone aveva scambiato per pena, qualcosa era cambiato tra Manuel e lui. C’era un’aria strana, delle scintille che non sapevano in che altro modo descrivere se non come disagio. Disagio per tutto quello che non si erano ancora mai detti verbalmente, sebbene se lo fossero dimostrati ampiamente coi gesti. Era una sorta di purgatorio. Non erano amici, ma non erano nemmeno amanti. Allora cos’erano? Manuel era rimasto a domandarselo per tutta l’estate. Si era fermato a osservare il corpo mezzo nudo di Simone durante le tante feste in piscina che avevano dato a casa sua. Lo aveva visto sorridere, focalizzando l’attenzione su quella piccola fossetta a lato della guancia. Aveva ascoltato il suono della sua risata e quell’aria più leggera, mentre spruzzava l’acqua contro Laura, facendole un dispetto e bagnandola prima che fosse pronta. Aveva inconsciamente memorizzato ogni singolo aspetto di Simone, senza nemmeno rendersene conto. E quando era partito per la Scozia, aveva fatto tesoro di quei ricordi. 
Avevano trascorso l’ultimo mese e mezzo di estate separati. Lui era andato a trovare la madre e Manuel lo prendeva per il culo durante ogni videochiamata.
“Che cazzo ce sei andato a fa’ in Scozia in estate, dico io” gli ripeteva sempre. Il cielo plumbeo, le temperature fredde. Ogni volta che lo vedeva comparire sullo schermo con indosso un maglioncino o delle sciarpe, provava istintivamente una botta di calore che sapeva attribuire solo a quegli indumenti troppo caldi per poterli indossare durante una qualsiasi estate romana.
Non immaginava nemmeno che tra di loro le cose sarebbero sarebbero cambiate ancora una volta al suo rientro. Simone sembrava diverso. Aveva acquisito una maggiore sicurezza e possedeva una serenità d’animo che mai gli aveva visto prima. Stava meglio, lo vedeva. E nonostante fosse contento di saperlo così tranquillo, una piccola parte di sé rosicava all’idea di non essere lui la causa di quella serenità e stabilità emotiva. Non era grazie a lui se Simone stava bene. Anzi, parte del suo malessere in passato era stato da attribuire proprio a Manuel. 
Lo aveva visto riprendere in mano la propria vita, durante il corso di quell’estate che per lui era letteralmente volata. Avrebbe voluto interrompere lo scorrere delle lancette e rimanere sempre fermo a quei giorni caldi a bordo piscina. Alla fine, per assurdo, avevano avuto ragione entrambi: le cose non erano cambiate di molto, avevano trascorso quasi tutte le vacanze insieme, come culo e camicia, avevano studiato, avevano superato l’esame ed erano stati promossi entrambi. Ma allo stesso tempo era anche cambiato tutto. Il loro rapporto era mutato senza che nemmeno se ne rendessero conto. Avevano cancellato quei due baci, e Simone non aveva mai voluto parlare di quel secondo che, a suo dire, Manuel aveva dato per pietà. Erano amici, non era necessario complicare ulteriormente le cose, ormai gli era chiaro. Tuttavia, per Simone, Manuel era sempre Manuel. Non riusciva a tenerlo a distanza, non era capace di tenergli il muso a lungo. Era sempre il suo punto debole, come una spina che non riusciva a tirare fuori e che se stuzzicata tornava a dare fastidio. 
Simone credeva di averci messo una pietra sopra. Mettere una distanza fisica tra loro due gli era servito. Durante quel mese e mezzo in Scozia si era sentito leggero, tranquillo come forse mai era stato in vita sua. Quel grosso macigno che aveva sentito sulle spalle per anni, si era finalmente dissipato, lasciandolo alla spensieratezza tipica dei suoi anni. Aveva fatto qualche conoscenza, si era divertito, ma non lo aveva mai detto a Manuel. Una parte di sé avrebbe voluto rinfacciarglielo, farlo ingelosire, come se poi potesse mai accadere. L’altra, invece, temeva solo di allontanarlo. Tra loro c’era un che di irrisolto che rendeva tutto complicato. Niente era bianco o nero, ma in diverse scale di grigio a cui Simone non era abituato. Nella sua mente tutto doveva avere una collocazione ben precisa, e quella costante incertezza che regnava tra lui e Manuel, era diventata insostenibile.
Era rientrato da Glasgow solo un paio di giorni prima dell’inizio delle lezioni e non aveva avuto modo di vedere Manuel dalla fine di luglio. Immaginava già di trovarselo abbarbicato nuovamente a Chicca o a qualsiasi altra nuova fiamma conquistata durante l’estate. Invece lo accolse da solo con un sorriso a trentadue denti su quel volto abbronzato e i capelli schiariti dal sole. Era ancora il più stronzo e il più bello di tutta la scuola e rivederlo ricordò a Simone che no, non l'aveva affatto superata, per quanto si fosse ostinato a crederlo durante il corso di quel lungo mese e mezzo separati. 
“Mamma mia quanto sei pallido, oh” esclamò Manuel, passandogli un braccio attorno alle spalle. “Se vede proprio che il sole in Scozia non l’hai visto manco in cartolina.”
“L’hai preso tu per entrambi, no?” rispose Simone con un sorriso, cercando di non osservare troppo quella pelle ambrata che tanto gli donava. 
Manuel ridacchiò a sua volta, passandosi una mano tra i capelli che adesso avevano acquisito striature dorate, e allontanandosi dall’amico. Camminarono fianco a fianco, attorniati dai loro compagni di classe, mentre la campanella suonava e invitava loro a trovare posto dentro la propria aula. 
Manuel si lasciò scappare qualche occhiata di troppo a Simone. Lo vide sedersi al banco accanto al suo, com’era d’abitudine. Lo osservò tirare fuori i libri e sistemarli sul banco in modo ordinato e accennò un sorriso nel constatare che in fondo, seppur più sicuro di sé e più tranquillo, Simone era il solito Simone perfettino di sempre e questo lo rassicurava. C’era un che di familiare nel ritrovare in lui aspetti che ormai aveva imparato a conoscere alla perfezione. Elementi che rendevano Simone il suo Simone. Poi però, proprio a contraddire quel pensiero, la sua attenzione venne attirata da un orecchino che Simone portava all’orecchio sinistro e gli ricordava che no, il tempo continuava a scorrere e a mutare le cose e le persone senza che Manuel potesse fare niente per fermarlo. Niente restava immutato. Nemmeno lui.
“Oh!” si avvicinò, dandogli un colpo sulla spalla. “Ma che te sei fatto?” disse indicando il lobo forato. 
“Ah, questo? Boh, l’ho fatto mezzo ubriaco con degli amici a Glasgow” scrollò le spalle con fare casuale. Non stava mentendo, quell’orecchino l’aveva fatto dopo aver bevuto qualche birra di troppo insieme a Keith, il ragazzo che aveva conosciuto in Scozia. Ciò che non avrebbe detto a Manuel, era che quel piercing era frutto di una serata intera passata a sproloquiare su di lui, sui sentimenti che provava verso quello stronzo che gli aveva stravolto la vita senza ricambiarlo. Keith, esasperato da tutte quelle chiacchiere, lo aveva portato a fare quella pazzia. “Questo segnerà l’inizio di un nuovo Simone. Cogli l’attimo e fregatene, smettila di pensare e agisci”, gli aveva detto in un inglese quasi incomprensibile ai più. Simone lo parlava abbastanza bene, ma l’accento scozzese aveva reso all'inizio le cose molto più complicate.
“L’orecchino, il tatuaggio… stai a fa’ il figo, eh?” lo prese in giro Manuel ridacchiando. Simone gli fece una smorfia. 
Manuel si passò lentamente la lingua sulle labbra e ignorò la pulsante sensazione che avvertiva nel guardare quel nuovo Simone più maturo e sicuro di sé. Non era ancora riuscito a farsene una ragione o dare un nome a quel turbinio di sentimenti che faticava ad accettare come propri. Non era stata pena. Quel bacio che si erano scambiati mesi prima a bordo piscina, non era stato mosso dalla pietà. Non del tutto. Vedendolo così triste e abbattuto, aveva sentito il forte impulso di consolarlo, di stargli accanto, di fargli sentire la sua presenza. Non era pena. Era anzi il più classico, il più forte, il più scontato dei sentimenti. L’unico che Manuel non riuscisse ancora ad accettare e pronunciare non solo ad alta voce, ma persino nella propria mente. Lì dentro era ancora talmente tutto confuso, difficile e spaventoso, che rifugiarsi nel conosciuto era l’unica cosa fosse in grado di fare per cercare di soffocare quelle emozioni.
Durante l’estate non c’era stato un vero e proprio riavvicinamento con Chicca. Tra di loro c’era un legame importante, un affetto che prescindeva dai sentimenti romantici che entrambi avevano provato l’uno per l’altra. E c’era stato un momento in cui, mentre Simone era a Glasgow, Manuel aveva scambiato quell’affetto per altro. La solitudine, la confusione, il bisogno di certezze, l’avevano portato nella direzione sbagliata. Chicca era stata abbastanza intelligente da rendersene conto, ormai totalmente disintossicata da quella droga che era stata per lei Manuel. 
“Che stai a fa’?” gli aveva chiesto in acqua dopo un tentativo di approccio di Manuel, mentre si trovavano con alcuni loro compagni di classe al mare. 
Manuel l’aveva fissata con occhi sperduti per qualche istante, non arrabbiato per quel rifiuto, ma incapace di qualsiasi tipo di reazione o di risposta. 
“Non lo so manco io, Chicca” disse lui dopo un po’, scuotendo la testa.
“Me dici che te prende, oh? Sei strano forte ultimamente” aveva ribadito lei con una strana occhiata. Poi Laura li aveva interrotti trascinandosi via Chicca con sé e Manuel rimase lì in acqua, immergendosi fino ai capelli perché, paradossalmente, solo lì da solo, nascosto dal mondo intero, gli sembrava di non annaspare. 
“Guarda che lo so” aveva detto Laura più tardi, stendendosi al sole sul telo, mentre Chicca, Matteo e gli altri si azzuffavano in mare. 
“Che sai te?” chiese Manuel confuso.
“Di Simone. Lo so che è innamorato di te” disse parandosi gli occhi per guardare meglio il suo compagno di scuola. 
“E quindi?” domandò. “Lui dice de no, comunque” aggiunse facendo spallucce. Ricordava la conversazione a bordo piscina quando stava ancora nei casini con Sbarra. Simone gli aveva detto che non lo faceva per amore, che non era innamorato di lui. Ed effettivamente, dopo quello che c’era stato tra di loro, dopo l’incidente, dopo quel bacio che Manuel aveva rubato settimane dopo, Simone sembrava averci messo una pietra sopra. Non aveva più menzionato quello che era successo, non aveva più tentato nessun approccio, non lo aveva guardato come faceva prima, quando Manuel faceva finta di non vedere le sue costanti richieste di conferme dopo la notte del suo compleanno. Simone era tornato il solito Simone: un compagno di classe, un amico
“E tu gli credi?” chiese lei divertita. Era rimasta in buoni rapporti con Simone e, dato che era l’unica a sapere come stavano le cose, era diventata anche la sua confidente. 
“Perché non dovrei, scusa? O te sai qualcosa che non so?” domandò curioso.
“Perché, ti interessa?” lo prese in giro Laura. “Comunque puoi stare tranquillo. Per quanto ne so, Simone ha conosciuto uno in Scozia. Quindi forse hai ragione tu” concluse mettendosi gli occhiali da sole e le cuffie alle orecchie, decretando così la fine di quel discorso che Manuel voleva invece disperatamente continuare. 

In quel momento, seduto sul banco di scuola vicino a lui, avrebbe tanto voluto indagare su quel ragazzo misterioso di cui aveva parlato Laura. Non gli era sembrato il caso di chiedere via messaggio o videochiamata, perché che figura ci avrebbe fatto? Non era mica geloso, la sua era solo disinteressata curiosità. Ma venne prontamente interrotto dall’arrivo del padre di Simone e di un ragazzo nuovo che cercava un posto in cui sedersi. Si avvicinò proprio a Simone, adocchiando il banco vuoto davanti a lui.
“E’ libero qui?” chiese con fare incerto. 
“Non lo so, credo di sì” rispose distrattamente lui.
Il ragazzo si sedette e poco dopo il professore Balestra gli chiese di presentarsi. Si chiamava Mattia, veniva da Firenze e si erano trasferiti per il lavoro dei genitori. Esaurito l’argomento, iniziò la lezione e Manuel non pensò più al nuovo arrivato. Non gli interessava che fosse un bel ragazzo alto, con dei lunghi capelli mossi e biondi, tenuti legati in una specie di chignon.  Non gli interessava quella nuova presenza, perché non immaginava ancora che ruolo avrebbe avuto nella vita sua e di chi amava. Lo catalogò come notizia di poca importanza e passò oltre. Era solo contento di poter tornare alla propria routine e di poter affrontare quel nuovo anno insieme alla sua classe e a Simone, anziché doverlo ripetere in un’altra scuola e fare la fine di quel ragazzo. 
Lo notò solo quando, durante la ricreazione, Laura fece una strana occhiata a Simone, portandolo a osservare una spilla che il ragazzo teneva appuntata allo zaino. Una bandiera arcobaleno. 
“Ma magari non significa niente” rispose Simone incrociando le braccia al petto, appoggiato sopra il tavolo con le gambe lunghe davanti a sé. Mattia era uscito allo scattare della campanella e Laura si sentiva libera di spettegolare. “Ormai ce l’hanno tutti” commentò.
“Ma perché, che deve significà, scusa?” domandò Manuel confuso, totalmente estraneo a quel mondo e a quella comunità a cui non sapeva ancora di appartenere.
“Beh, ha una bandiera arcobaleno. Magari è gay come Simone” li guardò lei come se fosse la cosa più ovvia e scontata del pianeta.
Simone strinse le labbra. “Anche se fosse, mica ci accoppiamo con ogni nostro simile, eh” la redarguì lui. 
“Ah perché vuoi pure dirmi che non ti piace? Appena è suonata la campanella, tutte le ragazze gli si sono messe attorno come api attratte dal miele, dai” gli fece un’occhiataccia. 
Manuel osservava in silenzio quello scambio, mordicchiandosi la guancia dall’interno. Quel ragazzo a cui non aveva nemmeno prestato particolare attenzione, adesso sembrava essere diventato l’argomento principale di conversazione della classe e di interesse di Simone. Provò istintivamente del fastidio verso quel Mattia che neppure conosceva. 
“Quindi ve riconoscete co’ le spillette? Tipo l’animali nella giungla coi richiami?” fece con fare scocciato e scettico. 
“Ma che vuoi tu. Che ti importa, scusa?” si insinuò Laura, sollevando un sopracciglio.
“Ma che voi che freghi a me” fece spallucce, prima di afferrare lo zaino sul pavimento. “Andiamo al chioschetto qua fuori?” chiese poi a Simone. Ma proprio in quel momento Mattia ritornò da solo, andando dritto verso il suo posto e Laura diede una spinta a Simone, portandolo a rimettersi in piedi frettolosamente per non cadere per terra. Le rivolse un’occhiata eloquente.
“Mattia, giusto?” chiese. “Se non hai da mangiare, Simone voleva accompagnarti al chiosco qua fuori.”
“Simone sa parlare anche da solo, grazie” il moro disse a Laura, prima di rivolgersi al nuovo arrivato. La sua ex effettivamente aveva ragione, era un bel ragazzo. Certo che però quella spilla poteva anche non significare nulla. Tuttavia, decise di lanciarsi e tentare, in memoria delle parole di Keith. Tanto cosa aveva da perdere? Al massimo si sarebbe fatto un nuovo amico etero. L’ennesimo.
“Sì, se non hai portato niente noi andiamo spesso qui fuori” gli disse allora, con un cenno della testa.
Mattia ridacchiò davanti a quella scenetta, rivelando un bel sorriso, fatta eccezione per un paio di denti accavallati nella parte inferiore. “Grazie. E tu non vieni?” chiese a Laura, che frugava dentro lo zaino in cerca della sua merenda.
“No, no. Oggi ho portato da casa” rispose lei con un sorriso tirato, dando una gomitata a Manuel che non la smetteva di fissare in cagnesco il nuovo arrivato. Mattia, resosi conto, spostò lo sguardo da Laura a Manuel, come se volesse chiedere anche a lui la stessa cosa.
“No, annate voi, divertitevi” pronunciò acido, mentre Mattia sollevò un sopracciglio perplesso.
“Stiamo andando a mangiare, non a una festa in discoteca” ribatté Simone con un sospiro, avviandosi verso l’uscita.
“Quindi qui andate spesso in questo chiosco?” domandò Mattia, iniziando a incamminarsi accanto a Simone, lasciando un Manuel scocciato che prendeva in giro l’accento fiorentino del ragazzo. 
“Ma l’hai sentito come ha detto chiosco? Che cojone” rise scuotendo la testa.
“E tu ti senti che sai parlare solo in romanesco come i burini?” lo guardò male Laura, voltandosi per andarsene senza dargli modo, ancora una volta, di rispondere. 

“Quindi tuo padre lavora in un’orchestra sinfonica? Che figo, oh” disse Simone dando un morso al suo cornetto alla nutella. Mattia gli aveva raccontato del suo trasferimento avvenuto durante l’estate. Il padre Francesco, musicista, aveva trovato lavoro in un’orchestra a Roma e per questo si erano dovuti trasferire. La madre era una graphic designer e, non avendo un’azienda fisica, si era potuta spostare con facilità insieme al marito e ai due figli. Mattia lo aveva informato di avere una sorella gemella di nome Greta che frequentava il liceo artistico e davanti a quella notizia il cuore di Simone perse un battito, rabbuiandosi all’istante. Frequentava ancora lo psicologo che aveva iniziato a vedere dopo l’incidente. E sebbene fosse sceso a patti con quella perdita, non poteva dire di averla ancora del tutto superata. I ricordi di Jacopo erano ancora pochi e confusi, ma i video che erano stati tirati fuori da suo padre, lo aiutavano a ricomporre i pezzi. Aveva accettato l’idea che forse non lo avrebbe mai ricordato pienamente, e non solo per via del trauma, ma anche per una questione di età, come gli aveva una volta ricordato Manuel. Aveva solo tre anni e in quel periodo i ricordi di tutti erano confusi e frammentati. Non avrebbe mai avuto modo di conoscere quel fratello, di vederlo crescere, di confidarsi con lui, come magari avrebbe fatto Mattia con sua sorella. Quella complicità che si veniva a creare solo tra due fratelli, specialmente gemelli, lui non l’avrebbe mai sperimentata. Non era giusto, ma doveva farselo andare bene, perché non c’era altra soluzione. La bobina del tempo non poteva essere riavvolta. 
“Tutto bene?” chiese Mattia, passandosi un tovagliolino di carta sulle labbra dopo aver finito di mangiare la sua pizzetta. 
“Sì, sì” rispose Simone pronto per tornare in classe con un cornetto imbustato tra le mani. 
Quando rientrarono, trovò Manuel steso ancora una volta col busto lungo il tavolo. Gli occhi chiusi e quelle lunghe ciglia dorate che si era ritrovato più volte a fissare nei mesi precedenti. Il video che aveva girato lo custodiva ancora all’interno del proprio computer, non aveva avuto il coraggio di cancellarlo. Ma ormai aveva smesso di guardarlo. Non aveva senso continuare a farsi del male. 
Gli diede un colpo sulla testa con la busta di carta e Manuel riaprì gli occhi all’istante.
“Che stai a fa’? Fra un po’ arriva Lombardi e se ti vede così lo sai che ti rompe le palle” gli ricordò Simone, lasciandogli il cornetto sul banco. 
“Che è?” chiese Manuel, un po’ assonnato e un po’ scocciato. 
“E aprilo, no?” rispose sedendosi, mentre Mattia chiacchierava davanti alla porta con Laura e Chicca, con loro che probabilmente gli stavano facendo il terzo grado, dato che Simone non era riuscito a scoprire nulla di interessante. 
Manuel tirò fuori il cornetto e lo azzannò, come se non mangiasse da settimane. Lo zucchero a velo sui peli della barba e Simone lo osservò cercando di soffocare l’istinto di avvicinare le mani al suo viso. 
“Te sei divertito co’ quello là?” domandò Manuel, continuando a fissare Mattia. 
“Ma che c’è, sei geloso?” Simone sapeva che non poteva essere geloso sul piano romantico, ma forse poteva esserlo della loro amicizia. Magari temeva che se si fosse legato a Mattia, si sarebbe allontanato da lui. O, più probabile, Simone si stava facendo in testa un film che non esisteva nemmeno.
“Ma di chi? Di mister hoha hola?” lo prese in giro Manuel, pronunciando la c aspirata come facevano i toscani. 
“E allora perché lo devi trattare così, scusa?” chiese incrociando le braccia al petto.
“E perché, perché, perché, sempre co’ ‘ste domande tu” Manuel scosse la testa e tornò a voltarsi, concentrandosi sul cornetto, anziché su Simone e i mille dubbi che gli provocava.
“Comunque prego, eh” concluse Simone, in riferimento alla merenda che gli aveva portato. 

Per il resto della giornata non parlarono più né di Mattia, né di nessun altro. In realtà, anche nei giorni a venire quel bel ragazzo biondo sembrava essere diventato un argomento tabù, di cui Manuel non aveva intenzione di discutere. Simone non riusciva a comprendere perché gli stesse così tanto antipatico, quando invece Mattia si era rivelato una persona piacevole e, soprattutto, Laura aveva avuto ragione. Lei e Chicca avevano fatto tutto al posto suo, con qualche domanda tattica e soprattutto spiandolo sui social. Durante quelle settimane Simone aveva scoperto che Mattia aveva lasciato a Firenze un ragazzo, con cui al momento era in crisi per via della distanza. 
“Non credo possa funzionare” gli aveva confessato una sera di fine ottobre. Suo padre aveva invitato la classe a casa sua. L’anno prima quelle cene gli avevano dato tremendamente fastidio, ma da quando era venuta fuori la verità su Jacopo, lui e suo padre erano tornati in buoni rapporti e le sue continue intromissioni non erano più un problema.
Mattia era venuto volentieri, ma a dirla tutta era già stato a casa sua nei giorni precedenti per studiare. Avevano legato, cosa che a Manuel continuava a dar fastidio, ma Simone aveva deciso di fregarsene. Manuel non poteva avere la botte piena e la moglie ubriaca. Non provava niente per lui, ma gli dava fastidio una sua possibile relazione?
“Però, carina tu sorella eh” aveva detto quella sera a Mattia, mentre lui e Simone erano intenti a chiacchierare e ridere di cose che Manuel non conosceva. Non sapeva nemmeno lui cosa stesse cercando di fare. Greta era effettivamente molto carina, d’altronde era la sorella di quel biondo che aveva mandato su di giri mezza classe. Ma a Manuel non interessava nessuno dei due. Eppure continuava a mettersi in mezzo e provare il forte e sempre più irrefrenabile desiderio di prendere a pugni quel nuovo mister perfezione. Mattia se la cavava a scuola, era intelligente, ironico, e in più sapeva anche suonare. E se c’era una cosa che rendeva un uomo automaticamente appetibile alle ragazze, e non solo, era vederlo coi capelli raccolti, tutto impegnato a strimpellare una canzone con in braccio una chitarra. Ma la cosa che gli dava più fastidio era vedere Simone andargli dietro come se fosse l’unico ragazzo sulla faccia della terra. Non lo beccava più a guardarlo mentre credeva che Manuel non se ne accorgesse. Non cercava il contatto, il suo sguardo, o la sua compagnia, come faceva un tempo. Simone l’aveva ormai definitivamente catalogato come un amico e non intendeva più fare nient’altro che potesse mettere in imbarazzo Manuel o in discussione il loro rapporto. E Manuel avrebbe dovuto essere felice, era quello che voleva. Ma era davvero quello che voleva? 
Mentre continuava a fissare Simone e Mattia parlottare vicini vicini seduti in disparte rispetto al resto del gruppo, Manuel si sentì a disagio. Perché non riusciva a essere come loro? Perché non riusciva a essere onesto, almeno con se stesso? Di cosa aveva paura? Durante quell’estate, dopo quel secondo bacio, si era sentito frastornato, confuso. Terrorizzato. Ammettere che ciò che provava per Simone fosse di natura differente dall’amicizia, significava mettere in discussione tutto se stesso, tutto ciò a cui aveva sempre creduto. Non sapeva come spiegarselo, continuava a ripetere a se stesso che quelle emozioni non significassero nulla. Che doveva esserci un’altra spiegazione per quella voglia di tornare a sentire il sapore delle sue labbra, la sensazione dei suoi capelli tra le dita, quel brivido lungo la schiena che aveva avvertito quando gli aveva parlato all’orecchio sotto quell’impalcatura. Lui non era gay. E se non era gay, cos’era? Cos’era quella strana sensazione al livello dello stomaco ogni volta che lo vedeva, cos’era quella voglia di separare Mattia e allontanarlo da lui, cos’era quel desiderio di stare accanto a Simone e tenergli la mano? Cos’era? 
Continuava a guardarli, a studiare ogni loro movimento. Vedeva Simone ridere alle battute di Mattia seduti vicini sul divano. Lo osservava giocherellare distrattamente con un paio di anelli che quella sera portava alle lunghe dita affusolate. Era solo a pochi metri da lui, eppure gli sembrava così distante, così irraggiungibile, come se un continente intero li dividesse. 
“Ti posso chiedere una cosa?” chiese d’un tratto Laura, facendolo spaventare.
“Che cazzo, Laura!” esclamò lui, cercando di ricomporsi e allontanare lo sguardo da quella scena.
“Allora?” ribadì, sedendosi sul bracciolo della poltrona dov’era seduto Manuel.
“Allora che? Che me devi di’, sentiamo.”
“Ma…” Laura cercò il modo giusto per fargli quella domanda che le bazzicava per la mente ormai da settimane. Il dubbio si era insinuato in lei già da tempo, ma nell’ultimo periodo la questione le sembrava talmente tanto evidente che iniziava a diventarne sempre più convinta. Non poteva essersi sbagliata tanto. Certo, avrebbe potuto farsi gli affari suoi e lasciar correre. Ma voleva bene a Simone, nonostante tutto quello che c’era stato tra di loro. Non capiva cosa ci vedesse in Manuel, ma se era lui l’unico che poteva renderlo felice, doveva almeno provare ad aiutarlo.
“Tu sei sicuro che non ti piace Simone, vero?” sganciò infine la bomba, dopo aver cercato di soppesare le parole, senza successo.
Manuel iniziò a ridere come se trovasse quella battuta particolarmente divertente. Ma presto la sua risata iniziò a risultare forzata, tirata, come quella di una persona colta con le mani dentro il vasetto di marmellata. 
“No perché Simone mi ha detto di quello che è successo il giorno del suo compleanno e…” 
Manuel sgranò gli occhi e il sorriso gli morì sul volto. Il suo sguardo passò da Laura a Simone e adesso non era più Mattia quello a cui avrebbe voluto spaccare la faccia. Aveva promesso che sarebbe rimasto tra di loro. Quello che era successo non contava nulla, dovevano dimenticarlo. E lui lo aveva raccontato a Laura? Se lo sapeva lei, significava che allora anche Chicca ne era a conoscenza? Per questo non aveva più voluto saperne di lui? Anche lei lo credeva un frocio
“E allora che, Laura? Che? Non so che cosa t’ha detto Simone, ma non è la verità” provò a giustificarsi lui. “Quello me moriva dietro da mesi, te prego. Direbbe qualsiasi cosa per farsi bello. La verità è che je sarebbe piaciuto” disse secco, con una vena di cattiveria. La stessa che gli aveva rivolto mesi prima nel box, dopo averlo rifiutato di nuovo, prima dell’incidente. In quell’istante sembrò dimenticare il riguardo che aveva avuto per un po' nei confronti di Simone. La paura di fargli del male, di spezzarlo in quel periodo delicato della sua vita. Quell'incidente lo aveva tormentato per le settimane successive e per parecchio tempo aveva avuto il terrore di dire o fare la cosa sbagliata. Aveva fatto di tutto per aiutare Simone a mantenere la stabilità di cui aveva bisogno. E adesso, invece, rischiava di distruggerla di nuovo. 
“E meno male che ti definisci suo amico” rispose Laura, facendo eco ai suoi pensieri.
“Scusa, Laura, non volevo di'…” 
“E comunque non servono le parole di Simone a dimostrarmi che ha detto la verità. Vorrei ti potessi guardare da fuori. E magari guardare un po’ meno lui, perché così la rendi proprio palese” scrollò le spalle e ancora, per l’ennesima volta, si dileguò prima ancora che Manuel potesse risponderle. Ma in fondo questa volta cosa aveva da dirle? Lui, con tutti i suoi dubbi, la sua confusione, quella rabbia che non sapeva come sfogare nel modo corretto, non era giusto per Simone. Né come amico, né come altro. Simone aveva bisogno di avere al suo fianco una persona che lo aiutasse e gli desse serenità, non una che lo distruggeva ogni volta che venivano messe in discussione le sue certezze. Doveva essere felice per lui e Mattia e farsi da parte. Forse era l’unico modo che aveva per essere un buon amico.
“Manuel” sentì la voce di Simone alle sue spalle dopo aver preso il giubbotto ed essere uscito dalla villa in tutta fretta. “Dove vai?”
“C’ho una cosa da fare” rispose lui atono, impaziente di andare via di lì.
“Chi è lei?” chiese Simone incrociando le braccia al petto. Tutte le volte che era andato via, come al suo compleanno o a quello di Chicca, c’era di mezzo Alice. Adesso sapeva che quella era una storia chiusa e sepolta. Ma doveva esserci di mezzo un’altra, una persona che riteneva valesse le sue attenzioni più di lui.
Manuel invece arricciò le sopracciglia in un’espressione perplessa. Non capiva a cosa si riferisse. 
“Lei chi?”
“La ragazza da cui stai andando” aggiunse Simone con una punta di gelosia nella voce. “La conosco?” provò a rimediare dopo, fingendosi genuinamente interessato alle vicende amorose del suo amico. 
“Non c’è nessuna ragazza, Simò.”
“Allora perché vai via così di fretta?” chiese curioso.
“Non me sento bene, c’ho da fa. Qualsiasi cosa sia, voglio andà via, si può o devo datte spiegazioni a te? Che accollo che sei, oh” ringhiò Manuel, aggredendolo gratuitamente ancora una volta. L’ennesima.
“No, prego. Se vuoi andare vai” rispose Simone offeso, invitandolo con una mano ad allontanarsi. 
“Ecco, allora lasciami in pace e torna da quel giullare che te sta ad aspettà là co’ la chitarra” pronunciò con astio, voltandosi per andare via.
“Non lo puoi fare” rispose ferito. 
“Che cosa non posso fa’ adesso, sentiamo?”
“Non puoi dirmi che per te neanche esisto, e poi fare queste scenate. Non puoi baciarmi perché quella t’ha lasciato o perché ti faccio pena, e poi non volere che mi leghi a un’altra persona. Non è giusto.” Tutte le volte che loro due si erano avvicinati, il motore che spingeva Manuel era la rabbia, la frustrazione, o la pena, nell’ultimo caso. Mai l’amore. Mai la felicità. Lo aveva sempre fatto sentire sbagliato, sporco, quasi. Come se ci fosse qualcosa di cui vergognarsi in ciò che avevano fatto. Come se fosse un segreto impronunciabile e inconfessabile ad anima viva. Non era giusto. 
“Ma che stai a di'. Vai da lui, Simò. Non t’ho detto io de venì qua. Vai, che quello ce sta pure a tenè d’occhio come un falco” rise amaramente scuotendo la testa. 
“Sei ingiusto anche con lui che non ti ha fatto niente” lo difese Simone, facendo scoppiare Manuel. Lo incenerì con lo sguardo da lontano, mentre lo vedeva avvicinarsi per monitorare la situazione, come se Simone ormai gli appartenesse già. 
“C’hai ragione. So’ io quello cattivo, quello che ce l’ha co’ tutti. Perché sei ancora qua, allora? Famme un favore e stamme alla larga, va bene?” concluse iniziando ad allontanarsi da lì con ampie falcate, salendo sulla sua moto e sparendo presto nel buio degli alberi che circondavano la villetta. 
“Tutto bene?” chiese Mattia che si era appena avvicinato.
“Sì, tutto a posto” rispose ancora di spalle Simone, mentre osservava il vuoto davanti a sé.
“Vieni, voglio farti vedere una cosa” disse Mattia appoggiandogli una mano sulla schiena, e Simone lo seguì. I piedi che lo portavano ovunque lui volesse, ma la mente rivolta ancora a Manuel e a quella sfuriata immotivata. Si sentì nuovamente in torto ad aspettarsi qualcosa da lui, specialmente quando davanti a sé aveva una persona che sembrava genuinamente interessata a tutto quello che aveva da dire. 
Mattia gli stava insegnando che una relazione non era composta da rabbia, frustrazione, vergogna, ma passione, condivisione, complicità, dolcezza. Manuel invece era caos, confusione. Era fuoco ed era tempesta. Manuel era tante emozioni insieme che non sapeva controllare e creava dentro di lui un uragano che lo rendeva impotente in balia del vento. 
Eppure, Manuel era Manuel. E, nonostante tutto, quel vortice che lo sconquassava dall’interno lo faceva sentire vivo come nessun altro

  
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