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Autore: Alarnis    08/01/2022    3 recensioni
"Quel giorno fu lei a restare ferita, solo ora se ne rendeva conto."
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Fateli passare!”

 
“Non ti secca se mi siedo qui?” disse divertita Belinda, addossandosi alla botte in cui era nascosto Moros.
Fa pure! brontolò lui a mente; del resto poteva dirle di no?
In cosa si era cacciato!
Era sempre stato bravo a giocare a nascondino, ma aveva per la prima volta infranto la regola base: mai restare intrappolato nel proprio nascondiglio! Perciò Ufff sbuffò. Avrebbe voluto incrociare le braccia per esprimere il proprio disagio, ma gli era impedito pure quello.
“Arrivo io e libero tutti!” ricordò i giochi dell’infanzia, quando risollevava le sorti della partita con i fratelli. La mano che si fiondava ad un muro, ad un albero, anticipando la corsa alla tana di chi faceva la conta. Bei tempi!
“Credevo che dopo Baltasar con gli uomini avesse chiuso!” confidò Belinda con voce da cospiratrice, attutita dallo spessore del legno. Moros, se la immaginò mentre gesticolava con le braccia in un gesto categorico. “Ma poi sei comparso tu con lei…” la sentì continuare con voce squillante.
Chi? Io? La bambina iniziò a fare castelli in aria ipotizzando il rapporto che s’era instaurato tra lui e Malia.
Che razza di smorfiosetta, pensò Moros nel sentirla ciarlare di passeggiate e scambi di ghirlande fiorite.
Sta’ un po’ zitta!  s’irritò tra sé dopo la prima mezz’ora di quel bambinesco e fantasioso monologo, a cui tuttavia non osava rimproverare.
Del resto, era venuto alla conclusione che fosse impossibile per la piccola Belinda tenere chiusa quella boccuccia, che nonostante le dimensioni contenute buttava fuori più aria di un mantice in piena attività.
E così Moros conobbe tutta l’infanzia di Belinda, della madre Donna Francesca e dell’oste Augosto compresi quanti ratti quest’ultimo era riuscito a catturare negli anni: di cui la piccola teneva un rendiconto segreto, in una tavola segnapunti. Provò nostalgia nell’ascoltarla: Belinda era padrona del proprio passato. Era come una pianta ancorata  a solide radici, mentre lui… Aveva conosciuto solo Matilda, che per lui, come per i fratelli, aveva stabilito fosse indifferente conoscere o meno chi l’aveva cavalcata, diciamo così, per qualche ora. “Non ci sono figli di signori, qui!” gracchiava Matilda, tanto per non indurre speranze o meglio alimentare pretese di protagonismo e desiderio di riscatto nei figli.
“Ma se tu sei un eroe, allora compirai un’impresa?” lo interrogò la bambina, interrotta di prepotenza dalla critica di Malia, che a differenza di Moros, esternava quanto fosse infastidita da quel continuo petulante chiacchiericcio pettegolo “Ma quale eroe?”.
“Ma cosa sto’ facendo di male?” brontolò Belinda tacendo: la voce imbronciata.
“Vedi di fidarti, moccioso!”concluse Malia, picchiettando sulla botte “O la tua impresa finirà prima di cominciare!”.
“Sono tutto un brivido!” la sfotté spavaldo Moros in risposta, beccandosi un acido “Screanzato di un moccioso!”. Tuttavia sembrò rabbonirla.
Il lato positivo? Ora Belinda taceva!
Le mie orecchie…  ringraziò il cielo Moros, finché dopo un breve periodo di riposo tattico, per arginare il rimprovero, Belinda ricominciò con “Dov’ero rimasta? Ah sì!”. Se la figurò che si teneva il mento con la mano riflessiva. Pensandoci, doveva essere buffissima, ma…
No, basta! Pietà! Moros si calcò ancor più il cappuccio sulla testa, per quello che gli riuscì possibile, imbrogliato com’era dall’abbraccio del grano. Come rimpiangeva la riservatezza di Nicandro. Silenzi che come i suoi erano carichi di domande su di un passato che la loro giovane età aveva privato di ricordi nitidi, che per il cugino aveva un unico nome: Macerino, il villaggio natale di Nicandro.
“Sono certo che vuole qualcosa in cambio…” indagò Belinda, con una vocetta bassa bassa, che suggeriva attenzione.
Che fosse vero? Se la prima regola di nascondino l’aveva elencata prima, la prima per Matilda era non fidarsi di nessuno! O meglio che tutto si fa’ per qualcosa in cambio.
Una brusca frenata fece oscillare lievemente il carro, i suoi ospiti e Moros dentro la botte.
Oddio! Un controllo! Era quello il motivo della sosta.
Il vociare dei soldati. “Ordini di Gregorio Montetardo!” sentì programmare dal duro gergo delle guardie.
Doveva restare calmo! Sapeva che sarebbe giunto quel momento, ma  non aveva immaginato la precisazione che ne seguì“Passiamo a lancia sacchi e botti!”.  Deciso e conciso. Nessuna discussione ammessa.
Preghiere mute gli restarono sulle labbra cucite, mentre i compagni intervenivano a far ragionare i soldati che impassibili iniziarono lesti la loro consegna palesemente infischiandosene.
Era la fine. Non poteva reagire.
Sentì Braccioforte rischiare di venire alle mani con i soldati, salvo l’intervento di Malia che s’era frapposta tra loro. Una scena che si svolgeva veloce alla luce del sole, ma celata ai suoi occhi.
L’urlo di Belinda, gli confermò fosse in una trappola da cui non si sarebbe salvato!
Sentì il fruscio della lancia, il suo abbattersi mentre si conficcava sul legno e ne sfondava il centro del coperchio su di un solo punto, per avanzare nel contenuto. La forza della mano del soldato che si imprimeva in un affondo.
S’impose di non urlare, nonostante l’appuntito metallo s’abbattesse sul cranio a fratturarlo e sugli arti per spaccarli.
Strinse gli occhi, più forte che gli fu possibile.
Ogni malanno.
Rivolse un pensiero per Guglielmo, immaginò l’abbraccio che avrebbe concesso a Nicandro se gli fosse stato possibile incontrarlo, lanciò la sua maledizione a Lavinia e  un insulto a Gregorio, artefice della sua malasorte.
Gli occhi restavano chiusi.
“Bene, potete andare!”  la frase che le sue orecchie ascoltarono forte e chiaro, lo ridestò da paura, impotenza, terrore.
Non riusciva a capire…
Un passaggio di consegna tra le guardie “Fateli passare!”.
Sono vivo! realizzò. Sentiva ancora la testa, gli arti, le ossa.
Forse perdeva sangue, ma si sentiva bene. Stranamente bene.
Ascoltò, si fa per dire, il mutismo dei compagni mentre il solo mugnaio salutava le guardie e si augurava che la purezza del proprio grano non avesse risentito del contatto col metallo ruggine; tra un’insolenza e l’altra, tanto spontanee nella sua parlata da non risultare offensive ma far ridere della grossa le guardie che continuavano ad atteggiarsi prepotenti.
Minuti di silenzio passarono. Tanti. Troppi, finché la voce ansiosa e concitata di Braccioforte  suggerì “Apriamo la botte!”.
“Non ancora.” sentì suggerire da Malia all’amico, “Se non vuoi che il tuo caro figlioletto finisca male fai come dico!” la sentì ridacchiare.
Onestamente gli fecero bene quelle parole, come il non sentirle disprezzare da Braccioforte, che sentiva quasi un padre. Una figura diversa da quella irraggiungibile di Guglielmo Montetardo, una più concreta e quotidiana.
Continuò il silenzio dei compagni, sovrastato dalle voci delle botteghe interne al castello in cui erano stati accolti.
Schiamazzi, tonfi, grida che riempivano l’aria e, finalmente la voce ammiccante di Malia “Sono sorpresa, tu ti sia fidato.” , prima di concludere “Pronto ad uscire, moccioso?”.
Non se lo sarebbe fatto ripetere due volte! E quando lei scoperchiò la botte, era già pronto a fissarne il viso intensamente; come un fiore che aspetta il sole per aprirsi ad un nuovo giorno.
Lei sembrò calargli le mani addosso, a tastargli il viso o perdersi nel grano, prima di dire spazientita e isterica, quasi allergica ai sentimentalismi “Oh! Insomma. Liberati di quel cappuccio ed escì!”. Malia gesticolò riportandosi la mano al vestito per ripulirsi della sfarinatura del grano “Ti ho già detto che mi punge le dita!” brontolò quasi a giustificarsi.
Moros portò con fatica la mano al cappuccio abbassandolo come lei aveva tentato di fare poco prima. Si ritrovò a sorriderle “Obbedisco!”, ma le strizzò l’occhio, mentre si riportava diritto e finalmente riassaporava l’aria.
   
 
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