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Autore: ThorinOakenshield    09/01/2022    1 recensioni
Emmastory ha proprio deciso di ri-trascinarmi su Efp xD. Ecco di nuovo Iku! :D è una sorta di seguito della fanfiction precedente
Genere: Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo guardarono con tenerezza. Il piccolo Iku si stava muovendo nel sonno, emettendo versi e “parole”. Stava sognando, era chiaro. Ma sogni sereni, tranquilli, gli incubi gli erano completamente estranei. Per un attimo, Visirya si fermò a pensare. Estranei. Che brutta parola, anche solo da pronunciare. Mancavano da così tanto tempo nella vita di Iku… Stando al suo significato, anche loro ora non erano altro per lui? No, non poteva essere, quel solo pensiero la dilaniava. Avrebbe voluto restare lì nascosta fra quei cespugli, con una foglia a oscurarle in parte la vista e un fiore che di tanto in tanto si muoveva nel vento solleticandole le narici, ma il suo istinto materno aveva già preso a parlarle, e lei lo sentiva chiaramente. “Avvicinati” le diceva. “È pur sempre tuo figlio, ti riconoscerà.” A quel pensiero, annuì a sé stessa e si preparò ad avanzare, ma prima che potesse anche solo pensare di muovere un passo, qualcuno la fermò. Era Sendrix, il suo compagno e padre di Iku, e a giudicare dall’espressione che aveva dipinta in volto, era preoccupato almeno tanto quanto lei, ma sapeva che non potevano agire.  
Colta alla sprovvista, Visyria lo guardò, e il viola dei loro occhi si fuse in un’unica grande macchia di colore.  
“Aspetta. Sta ancora dormendo, e se lo spaventassimo?” le disse, indicando il cucciolo ancora addormentato, che fra un mormorio e l’altro rotolava sulla sabbia.  
“È che...” La madre chinò lo sguardo, un po' imbarazzata per quello che stava per dire, e un po' spaventata al solo pensiero: “E se non si dovesse più risvegliare?”  
Il drago strabuzzò gli occhi, fissando la compagna. Ella era seria. Una volta passato lo stupore, il padre di Iku si affrettò a rassicurare il suo amore. Quindi la coprì con la sua ala, con fare protettivo. “Tesoro, ma cosa ti salta in mente?” Parlò dolcemente. “È solamente un sogno più lungo del solito, ma certo che si risveglierà!”  
Sempre più preoccupata, Visirya continuava a guardare il suo, no, il loro cucciolo, e nel mentre vide che sorrideva, segno che non doveva star succedendo nulla di troppo grave, e che, cosa ancora più importante, Sendrix aveva ragione. E perché dubitarne? Era sempre stato così, sin dal giorno in cui l’aveva incontrato per la prima volta al Monte, e troppo timida per parlargli davvero, l’aveva visto avvicinarsi e offrirle un fiore. Lo stesso fiore azzurro come la sua pelle e le sue scaglie, che sin da quel giorno indossava come un gioiello, e allo stesso tempo, come peraltro pochi sapevano, un simbolo del loro amore. Da allora erano passati anni, e poi a completarlo era arrivata una notizia che non era riuscita a nascondere. Nel loro nido, un piccolo e tenero ovetto nero e striato d’azzurro. Soltanto sei mesi dopo era arrivato Iku, e insieme i due l’avevano visto crescere, muovere i primi passi fuori dal nido e in seguito anche imparare a volare, e per loro sfortuna, anche quel tempo era stato troppo poco.  
La draghessa si sentiva malissimo. Era così vicina, eppure così lontana, che sarebbe successo se non li avesse riconosciuti? Del resto, n'era passato di tempo! I giovani draghi, dopo essere stati separati da tanto dai loro genitori, tendevano a non riconoscere più questi ultimi. 
Sendrix riuscì a interpretare i pensieri di Visirya, ma del resto, loro non avevano mai avuto bisogno di parole, si capivano con uno sguardo. Dunque disse, sempre poggiando un'ala sul suo corpo squamoso. “Mal che vada, esiste pur sempre il rituale.”  
Visirya parve ritrovare un po' di speranza e di ottimismo. “Ma certo”, pensò, “il rituale!” E in cosa consisteva il rituale? Molto semplicemente in questo: i genitori dovevano mostrare la zampa al piccolo, il quale doveva appoggiarci contro la sua. “Vuoi… farlo tu?” propose allora la stessa Visirya, con un filo d’esitazione nella voce.  
Sulle prime Sendrix non rispose, poi, pur scuotendo la testa, piegò le labbra in un sorriso sincero. “No, cara. Sei tu la madre, è con te che ha avuto più esperienza. Il legame fra madre e figlio è sacro. Come diceva il Clan?” le disse poi, serio come mai prima.  
“Le madri allevano, i padri insegnano.” Fu svelta a replicare lei, sicura.  
“Esatto" continuò allora lui, orgoglioso di lei come del loro piccolo.  
Ora aveva smesso di muoversi, ma dormiva ancora, e a renderlo adorabile c’era quel bel musetto arricciato. Le ali, poi, sporche di sabbia, di tanto in tanto si muovevano a loro volta, come se volessero scacciare chissà cosa con una folata di vento.  
“Su, vai, ti sta aspettando” la incoraggiò Sendrix, sospingendola in avanti con uno sguardo e un lieve tocco sulla schiena.  
Annuendo, Visirya non se lo fece ripetere, e lenta, avanzò verso il cucciolo addormentato, chinandosi fino ad essere abbastanza vicina da toccarlo. Cauta, lo sfiorò con un solo artiglio, e rigirandosi ancora, questo sbadigliò appena. “Iku?” lo chiamò lei, incerta.  
Appena sveglio e ancora assonnato, Iku sollevò una zampa per strofinarsi gli occhi, e solo allora, eccola. Proprio lì davanti a lui, una femmina della sua specie, che stando alla taglia doveva essere già adulta. Confuso, si grattò la testolina piegandola di lato, poi attese. “Chi sei?” parve chiederle, emettendo ancora il suo caratteristico verso. Che strano era vederla lì! Era successa una cosa molto simile con Shelldon, George e Lupe, che era anche riuscito a salutare poco prima di svegliarsi, ma era stato diverso. Loro non erano draghi. Che sciocco, lui credeva di essere rimasto da solo!  
Lo sguardo disorientato di Iku ferì Visirya come mille frecce affilate. Prima di porgere la zampa, guardò il compagno, come se stesse cercando un briciolo di coraggio. Il drago le lanciò uno sguardo rassicurante, come se avesse voluto dirle: “Non ti preoccupare, andrà tutto bene.”  
La madre respirò a fondo, ripetendosi dentro di sé: “Sì, andrà tutto bene... Andrà tutto bene...” Quindi allungò la zampa verso il figlio, non riuscendo a celare un certo tremore. Lo stava guardando con gli occhi lucidi, quasi supplichevole.  
Iku però osservò confuso, facendo perdere le speranze alla povera Visirya.  
Fu proprio quando la draghessa stava per rassegnarsi, che il piccolo posò la zampina contro la sua. E Visirya non riusciva a crederci. Aveva temuto di perderlo per sempre, e invece il suo cucciolo l’aveva riconosciuta. Felicissima, sentì gli occhi bruciare a causa di alcune lacrime che lottavano per uscire, e preda dell’emozione, non fece nulla per fermarle, tanta era la contentezza. “Iku! Iku, piccolino, sono la mamma!” esclamò, stringendolo a sé nell’abbraccio più forte che riuscì a dargli, con le sue grandi ali azzurre a coprire quelle più scure del figlio.  
Rimasto in disparte, Sendrix titubò prima di avanzare a sua volta, e pur muovendosi lentamente, come se temesse un’improvvisa ritorsione, alla fine non riuscì a non sorridere. “Figliolo…” chiamò appena, la voce ridotta a un sussurro appena udibile. Inutile. Divertente, certo, ma inutile. Ora che aveva ritrovato la mamma, il draghetto non aveva occhi che per lei, e con le zampine la stringeva forte, come a non volerla lasciar andare mai più. “Iku, Iku!” ripeteva, il tono di voce un chiaro specchio delle sue emozioni. Con le lacrime agli occhi, mamma Visirya lo lasciò fare, poi, dopo un’ultima stretta si allontanò di qualche passo. “Guarda, ovetto, c’è anche papà” gli fece notare, indicandolo con un artiglio.  
Lento, il piccolo drago mosse qualche passo verso di lui, che mostrando la zampa esattamente come la compagna, attese. Per sua fortuna, il gesto fu ricambiato, e istanti dopo, sfiorò anche la sua. Adesso la famiglia era riunita davvero. E adesso che tutto era tornato alla normalità, rimaneva ancora un'altra questione. Anzi, due. Ed entrambe c'entravano qualcosa l'una con l'altra. In primo luogo, Iku doveva spiegare ai genitori cosa fosse successo. In secondo luogo... Non sapeva parlare, come avrebbe fatto a raccontare tutto? “Iku, Iku” stava continuando a dire il draghetto, sotto lo sguardo attento e premuroso di mamma e papà.  
“Caro, non sa ancora parlare” disse la draghessa.  
“Non è un problema, imparerà” rispose il drago, perfettamente tranquillo e rilassato.  
La compagna sbuffò fumo dalle narici. “Imparerà se glielo insegniamo!”  
“Ah sì, giusto, giusto. Lo stavo per dire.”  
Visirya alzò gli occhi al cielo, ma lasciò perdere. In quel momento doveva occuparsi di qualcosa di più importante.  
“Iku” stava continuando a squittire il piccoletto, non sapendo che, di lì a poco, sarebbe riuscito pure a dire altro.  
Divertita da tanta frenesia, mamma Visyria per poco non rise, e con lei anche Sendrix, ma respirando a fondo, s’impose la calma. “Piano, ovetto, piano! Così non riusciamo a capirti!” gli fece notare, regalandogli un lieve sorriso.  
Confuso, il draghetto piegò la testa di lato, grattandosela poi con un artiglio. 
“Più lentamente, d’accordo, figliolo?” provò a dirgli il padre, incoraggiandolo. “Io sono papà. Riesci a dire papà?” un tentativo come un altro, doveva ammetterlo, ma da qualcosa dovevano pur iniziare.  
Incuriosito da quello strano suono, il piccolo alzò gli occhi fino a incontrare quelli del drago, e nonostante l’incertezza, alla fine decise di provare. Per un po' rimase in silenzio, fin quando: “Paku!” esclamò, felice e orgoglioso di sé stesso.  
“C’è andato vicino, cosa ne pensi?” chiese Visirya al compagno, a sua volta orgogliosa ma anche immensamente divertita. Non avrebbe voluto ridere, ma data la situazione, trattenersi era pressoché impossibile.  
Di lì a poco, fra i due draghi non ci fu che il silenzio, rotto soltanto da un secondo tentativo del cucciolo di esprimersi. Incerto, indicò Visirya con un artiglio, e concentrandosi, finalmente disse qualcosa. “Mama! Mama!” un’altra esclamazione di pura felicità, di fronte alla quale Visirya quasi pianse. “Cielo, Sendrix, hai sentito? Sa davvero chi sono! Sa davvero…” commentò, incredula e con gli occhi pieni di lacrime, tanta era la contentezza.  
“Il tuo nome però sa dirlo, vero?” scherzò il compagno, mostrando rabbia realmente non provata.  
“Non provare a incolparmi. È come dice il Clan, non ricordi?” replicò lei, svelta e sicura.  
“Sì, ma i padri…” balbettò l’altro, interdetto.  
“Oh, smettila. Tu sarai lì quando imparerà a volare.” Tagliò corto Visyria, per poi tacere e tornare a guardare suo figlio con occhi colmi di stupore. “Allora, ovetto, stavi dicendo?” azzardò poi, spronandolo ancora. Doveva andare piano, ed era vero, ma stimolarlo era di vitale importanza, specie ora che in lui si era accesa quella sorta di lampadina.  
"Prova di nuovo a dire papà" disse il drago, accostandosi a lui. Anche la madre lo stava osservando, carica di aspettativa.  
Il draghetto stava guardando il padre, con i suoi occhioni dolci ed innocenti. Sembrava quasi timido, come se avesse avuto paura di sbagliare. Alla fine, il cucciolo prese coraggio ed esclamò: “Paku!”  
La madre non si scoraggiò, e nemmeno il compagno. Difatti egli insistette dolcemente: “No tesoro. Ci sei andato vicino un'altra volta. Ma io non sono Paku, io sono papà. Coraggio, prova a dire papà.”  
Iku stava capendo tutto alla perfezione ed era intenzionato ad avere successo. Aprì la bocca, incoraggiato dai genitori. Il protagonista cominciò ad emettere le prime lettere, insicuro, ma mamma e papà erano lì con lui ad infondergli coraggio. Non a caso, infine, Iku riuscì ad urlare: “Papa!” In quel momento, parve che fosse esplosa una festa, con tanto di coriandoli e suoni di trombe. Visyria e Sendrix risero felici e presero loro figlio tra le zampe. Gli fecero fare le giravolte, ridendo con lui. Adesso sì che era tutto perfetto. E perfetto fu anche la parola giusta per descrivere il resto di quella giornata, in cui il piccolo Iku, finalmente capace di pronunciare parole diverse dal suo nome, ora continuava a ripeterle. Non importava cosa volesse, se giocare, mangiare qualcosa, o essere tenuto in braccio, ora comunicare era molto più facile, e gli bastava chiamare i genitori e indicare prima loro e poi l’oggetto del suo interesse. Quelle dei genitori invece erano cose più strane, più lunghe a cui avrebbe pensato con la crescita, che all’improvviso non vedeva l’ora di sperimentare. “Mama…” sussurrò, indicando una piccola porta alle loro spalle con un cenno del capo.  
“Sì, Iku, va bene, va a giocare nella tua stanza” gli rispose la madre, accompagnandolo lentamente e insistendo su quella parola perché la imparasse.  
Il suo Iku era piccolo, ma non per questo stupido, né cieco o sordo a qualunque cosa gli accadesse intorno, ragion per cui provare non costava nulla. Se proprio non ci fosse riuscito, allora avrebbero provato e riprovato fino a riuscirci insieme.  
“Sta… ku?” titubò il piccoletto, di nuovo impacciato.  
“Quasi. Stanza” ripeté allora Visirya, accarezzandogli piano la testolina squamosa.  
“S-Stana” riprovò subito il draghetto, saltando stavolta soltanto una lettera.  
Sul momento, però, la madre non lo corresse, poiché in fin dei conti, la sua cameretta era stata modellata su una piccola caverna. “Stana” disse ancora la madre, sorridendogli.  
Fatti pochi passi, i due arrivarono alla cameretta del piccolo, ma prima che Visirya potesse allontanarsi, Iku la chiamò ancora. “Mama” fece, restando fermo sulla soglia e poi scostandosi. A suo modo, un invito a lasciarla entrare, che la draghessa pensò di accogliere, ma non prima di scambiarsi con il compagno un’occhiata d’intesa. Conoscevano il loro piccolo, sapevano che la sua stanzetta era una sorta di nido, per lui, e se davvero li stava invitando ad entrare, allora voleva dire, o magari mostrare, qualcosa. Annuendo, Sendrix non si fece attendere, e in breve, i tre varcarono quella soglia.  
Felice e sorridente, Iku si accucciò sul pavimento di pietra, e senza più parlare, si avvicinò al baule dei giocattoli. A dire il vero non c’erano poi tanti balocchi, chiaro, ma nel mucchietto spiccò il suo preferito. Una sorta di incrocio fra un fazzoletto e un cuscino, e proprio accanto, un pennarello nero. “Mama, papà” chiamò, scuotendo entrambi gli oggetti perché si avvicinassero.  
“Sì, Iku, dimmi. Parla con la mamma” disse subito Visyria, precipitandosi da lui.  
Mantenendo il silenzio, il piccolo drago si guardò intorno, e in quel momento ricordò che gli mancava qualcosa. Aveva il giocattolo e il pennarello, ma nulla con cui disegnare davvero. Confuso, tornò al baule dei giochi, e alla vista di un foglio di carta, sorrise. Finalmente pronto, si accucciò di nuovo per terra stendendo bene il foglio, e lentamente, iniziò a disegnare. Piano, un tratto per volta, lasciando che almeno in quel momento fossero le immagini a parlare. Fra una linea e l’altra, i suoi ricordi della spiaggia presero vita e forma, e con essi anche i volti dei suoi tre amici. Schizzi infantili, ma che mostrarono Shelldon il granchio, George la scimmia e Lupe il tucano, che fra tutte le altre figure era la più grande, a dimostrazione di ciò che aveva fatto per lui quando era rimasto solo e triste sulla rena.  
A lavoro finito, poi, il draghetto pronunciò a suo modo una sola parola. “A-miku.”  
Meravigliati, i genitori non fecero che osservare il disegno del loro cucciolo, e poi, in silenzio, lo strinsero in un delicato abbraccio di gruppo.  
Con il tempo che passava, il loro ovetto ormai non era più tale, stava crescendo e imparando cose nuove ogni giorno, e con quel piccolo lavoro aveva anche dimostrato di potercela fare da solo, nonché di circondarsi di persone, o in quel caso di amici animali giusti per lui, che stando a quanto raccontò a sera prima di addormentarsi in un nido di paglia nell’angolo della stanza, gli avevano tenuto compagnia mentre loro non c’erano, facendolo anche giocare e divertire.  
Essere tornato a vivere con la sua famiglia era tanto bello quanto importante, ma lo stesso valeva per i tre amici. Forse un giorno li avrebbe rivisti, ma ormai stanco, decise di non pensarci. In fin dei conti sia il tempo che il mondo operavano spesso in modi misteriosi, e a lui non restava che aspettare e vedere, affidando, nel mentre, una preghiera al cielo già punteggiato di stelle.  
   
 
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