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Autore: edoardo811    09/01/2022    3 recensioni
Questa è una raccolta di drabble, oneshot, missing moments e capitoli extra della mia storia, La Spada del Paradiso.
Esploreremo le menti di più personaggi, scopriremo segreti sulla vita al Campo Mezzosangue e soprattutto scopriremo come se la cavano i nostri eroi dopo gli avvenimenti de "La Spada del Paradiso."
Vi consiglio dunque di leggere quella storia per comprendere questa raccolta e soprattutto per evitarvi spoiler nel caso decidiate di farlo in futuro. Potete trovarla nella mia pagina autore.
Spero che la raccolta vi piaccia, buona lettura!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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Cattura la bandiera (pt2)



Le loro spade si scontrarono in un tornado di rintocchi metallici. Uno scontro proteso in una parata interminabile di colpi, contraccolpi, mosse e contromosse.

Simon scattò verso di lui, tentando un affondo; Konnor dimenò lo spadone, respingendo la lama del suo avversario con un clangore metallico. Fece un passo avanti e mirò al fianco del figlio di Atena, che parò l’attacco a sua volta. I loro sguardi si incrociarono al di sotto degli elmetti e due sorrisi nacquero sui loro volti.

Erano entrambi spadaccini provetti, maestri della loro arte, due dei migliori combattenti che il Campo Mezzosangue aveva da offrire. I capicasa di Atena e Ares, i due volti della guerra, legati da un’eterna rivalità. Solo uno di loro poteva essere il migliore ed entrambi lo sapevano: presto avrebbero scoperto chi lo fosse davvero.

«Dovresti arrenderti adesso, Konnor» suggerì Simon, durante un breve attimo di stallo in cui i due ragazzi rimasero a qualche metro di distanza per studiarsi e riprendere fiato. «I tuoi amici sono tutti divisi, alle prese con avversari che non possono battere. Ammetti la sconfitta: non c’è nulla di male ad arrendersi a qualcuno di superiore.»

Konnor distese il sorriso. Simon era preciso, letale, ogni sua mossa era studiata nei minimi particolari ricalcando la scrupolosità che contraddistingueva la sua casa. Questo valeva sia quando combatteva, sia quando stilava una strategia per vincere. Ma dopotutto, era stato Konnor stesso a volerlo. Aveva detto a Simon di prepararsi, di radunare i migliori che poteva radunare, e di essere pronto a tutto. Quel combattimento, quell’intera partita di cattura la bandiera, erano proprio ciò che aveva chiesto.

Atena, a differenza di Ares, non era solo guerra. Era anche strategia, intelligenza, mente. Ma la mente non era tutto. Quando veniva il momento, occorreva dimenticarsi della mente, abbandonare la ragione e lasciarsi guidare unicamente dall’istinto. In uno scontro la minima esitazione poteva essere fatale, e questo Konnor l’aveva imparato sulla propria pelle. Simon seguiva uno schema ben preciso. Aveva studiato tutto nei minimi particolari, aveva uno scopo da raggiungere ed era determinato a farlo nel modo che si era prestabilito: presto anche lui avrebbe scoperto che quello non era sufficiente per vincere.

Non erano bastati la forza disumana di Naito e la violenza di Buck per battere Konnor; nemmeno la mente di Simon sarebbe stata sufficiente.

«Ti sei preparato apposta per questo momento» cominciò a dire Konnor. «Sono colpito, Simon, davvero. Ma se credi che la sola strategia basterà per vincere, allora ti sbagli.»

Scattò verso il figlio di Atena, che spalancò gli occhi e riuscì a parare l’attacco all’ultimo secondo.

«Se pensi che mi arrenderò senza combattere, allora pensi male!» esclamò Konnor. «Non mi sono mai arreso e di certo non lo farò ora!»

Simon piegò le gambe, stringendo i denti, schiacciato dal peso dello spadone. Saltò all’indietro, riuscendo a districarsi dall’attacco, poi caricò a sua volta. «Non perderò contro di te!»

Le lame cozzarono di nuovo tra di loro. La determinazione di Simon fece sorridere di nuovo Konnor. Quando la partita sarebbe finita, loro due sarebbero tornati amici. Un giorno, forse avrebbero dovuto combattere fianco a fianco, assieme. Ma non era quello il giorno.

Ora, entrambi avevano un solo obiettivo: vincere.

Nessuno di loro due aveva idea di cosa il destino stesse riservando per loro quel giorno.

 

***

 

I cloni la attaccavano da ogni direzione. Stephanie dimenava la lancia, colpendoli uno a uno. Ogni volta che la lama di Bronzo Celeste trafiggeva una copia di Xavier, quella esplodeva in una nuvola di nebbia. Si rese conto che la Foschia l’aveva circondata, uno strato spessissimo oltre il quale era impossibile scorgere qualsiasi cosa. Il bosco era un ricordo lontano, se non fosse stato per l’erba che calpestava avrebbe perfino creduto di non essere più al suo interno, e i rumori della battaglia erano svaniti, rimpiazzati unicamente dalle risate sguaiate di Xavier; era come se lui trovasse divertenti i suoi sforzi.

Aveva promesso a Konnor di non usare i poteri e l’avrebbe fatto, anche se in quelle condizioni Xavier era ben oltre la sua portata. Lui non si stava trattenendo, al contrario di Steph, e in ogni caso la ragazza dubitava che avrebbe potuto sconfiggerlo con facilità, viste le sue ottime abilità elusorie. Era l’avversario ideale, poteva colpirla da ogni direzione e scomparire come un miraggio subito dopo. Perfino se lei avesse avuto pieno controllo sulla foresta avrebbe potuto darle filo da torcere.

Tuttavia i suoi continui tentativi di flirt e battutine stavano davvero cominciando a irritarla.

«Forse avrei dovuto partecipare anch’io a quell’impresa» la provocò per l’ennesima volta. «Sono sicuro che avrei potuto fare a pezzi quella kitsune, il mezzo demone e perfino l’uomo serpente tutto da solo!»

«E perché non l’hai fatto, allora? Se non ricordo male, tu eri uno di quelli che rideva di noi!»

«Oh, andiamo raggio di luna, non dirmi che ti sei offesa!» Uno dei cloni la aggredì. Stephanie lo distrusse con la lancia. Qualcosa si mosse alle sue spalle. Riuscì a voltarsi appena in tempo per parare la daga di Xavier, che sogghignò. «Se avessi saputo subito che eri così forte non avrei mai dubitato di te!»

Stephanie strinse i denti. Lo ricacciò indietro e provò un affondo, ma lui si trasformò di nuovo in nebbia.

«Magari il limone me lo sarei beccato io alla fine, non Konnor. Tu che ne pensi?»

«Penso che non mi sorprende il fatto che tu sia single» sbottò lei. Una copia di Xavier la attaccò di nuovo di fronte, ma questa volta lei non si fece fregare: ignorò il clone e si voltò, un attimo prima di trovarsi il vero Xavier di fronte. Nonostante gli occhiali da sole, riuscì comunque a vedere la sua espressione stupita.

Stephanie schivò la daga e roteò la lancia, colpendolo allo sterno con l’asta e mozzandogli il respiro. Xavier si piegò, boccheggiando, e Steph ne approfittò per centrarlo sotto al mento, ribaltandolo. Il figlio di Ecate cadde a terra con un grugnito, i Ray-Ban che gli saltavano via dagli occhi. Steph gli puntò la lancia alla gola, scrutandolo dall’alto. «Questa volta il tuo trucco non ha funzionato, Xavier. Arrenditi.»

«Heh. Me la sono cercata» sogghignò Xavier, sollevando le mani in segno di resa.

Steph osservò quel sorriso e provò una strana sensazione. Normalmente avrebbe fatto finta di niente, in quella situazione però le venne da pensare a Konnor, e a quello che lui avrebbe detto. Lui non si sarebbe solo accontentato di vincere.

«Lo sai, Xavier, saresti perfino un grande combattente se solo tu non prendessi tutto così alla leggera» lo rimproverò, sentendosi perfino delusa. «Come speri di affrontare i nostri nemici con questa mentalità? Loro non si fermeranno come ho fatto io, lo sai?»

Il sorriso svanì finalmente dal volto del suo avversario. «Certo che lo so, Stephanie. Sto solo giocando un po’. Qual è il problema?»

«Il tempo per i giochi è finito, Xavier. Sarà meglio che tu te ne renda conto al più presto.»

L’espressione di Xavier si indurì. Qualunque cosa volesse dirle, però, fu anticipata dal grido terrorizzato che squarciò l’aria all’improvviso.

 

***

 

Thomas perse il conto di quante mine antiuomo, tagliole per orsi elettrificate, trappole per topi cariche di formaggio esplosivo, reti metalliche e fosse piene di salsa al tabasco avevano schivato. Alcune erano ben nascoste, altre un po’ meno. Per fortuna Paul riusciva a percepirle tutte le anomalie nel bosco prima che si incappassero in esse, altrimenti in un paio di occasioni uno di loro avrebbe rischiato di trascorrere un brutto quarto d’ora. Tommy non aveva mai fatto il bagno nel tabasco, ma era abbastanza sicuro di poter continuare a vivere senza.

Nel frattempo, i rumori dello scontro continuavano ad arrivare in lontananza. Di tanto in tanto si sentivano esplosioni, seguiti da nuvole rossastre che si levavano nel cielo e grida disperate. Dovevano essere i loro sventurati compagni che incappavano nelle trappole di Kevin. A giudicare dalla polvere che emanavano, le mine antiuomo non erano mortali, ma stracariche di polvere urticante. Chiunque fossero i poveracci che le avevano attivate, Thomas si sentì in pena per loro.

Paul si fermò di colpo. «Ci siamo.»

I ragazzi si guardarono tra loro, scambiandosi dei cenni muti d’intesa. Perfino Derek si fece serio. Sapevano tutti cosa fare, dovevano essere veloci e precisi.

Si sporsero lentamente da dietro alcuni cespugli, trovando subito una visuale chiara dell’obiettivo.

Un paio di anni prima, Kevin aveva preso spunto dai romani e aveva costruito nel bosco assieme ai suoi fratelli una piccola roccaforte di lamiere antiproiettile, vetro antisfondamento e anche blocchi di cemento dove custodire la bandiera, con tanto di feritoie, cannoni ad acqua che spillavano dal fiume poco distante e una miriade di altre diavolerie che avevano reso impossibile a chiunque riuscire a passare. Il risultato era stato un numero così grande di lamentele da parte della squadra avversaria, e anche dalle driadi, che Chirone si era visto costretto ad aggiungere una nuova regola apposta per Kevin nel Cattura la Bandiera, ossia quella di non costruire basi nel bosco. Inutile dire che il figlio di Efesto non l’avesse presa affatto bene, ma dopo un paio di maledizioni lanciate verso i suoi critici, che aveva accusato di “non saper perdere”, aveva mollato l’osso.

Perciò, questa volta la bandiera giaceva bene in vista, al di sopra di alcuni scogli in riva al fiume. Il drappo azzurro con il simbolo della casa di Atena ricamato sopra sventolava sospinto dal venticello. Seduto sopra uno scoglio poco distante, girato di schiena, c’era Kevin. Thomas aguzzò lo sguardo, in cerca di altri ragazzi a guardia del posto, ma non c’era nessuno. Il folle che aveva disseminato di trappole il bosco era completamente solo.

Tommy corrugò la fronte. Erano così convinti che le trappole sarebbero bastate a tenerli lontani che non avevano messo nessun’altro di guardia, oppure quel pazzo aveva qualche altro asso nella manica? Considerando i loro avversari, era molto più probabile la seconda opzione.

«Va bene» cominciò a dire. «La bandiera è in bella vista, non possiamo avvicinarci senza farci scoprire. Restate vicini e fate attenzione: non sappiamo cos’ha in serbo quel tizio.»

«Parli come un vero leader, Tommy!» si complimentò Derek, dandogli una pacca sulla schiena, che per fortuna venne coperta dai rumori della battaglia.

Thomas lanciò un’occhiataccia al fratello, ma si sforzò di non rispondergli. Uscirono dal nascondiglio e si avvicinarono lentamente agli scogli. Il fragore del fiumiciattolo coprì i loro passi. Kevin non si voltò nemmeno una volta, rimanendosene piegato su sé stesso, a trafficare con chissà cosa. Fecero attenzione a non calpestare altre trappole, ma non ne notarono nessuna. Arrivarono a pochi metri di distanza e Jonathan sollevò l’arco, mirando verso il loro avversario.

«Oh, no, avete superato tutte le trappole e siete arrivati fino a qui!» cantilenò Kevin all’improvviso, gesticolando con una mano. Si voltò verso di loro e fece un tiro di sigaretta, squadrandoli adirato. Puntò il pollice verso la bandiera e sbuffò una nuvola di fumo mentre parlava: «Accidenti, che sfortuna. Beh, la bandiera è lì. Prendetela e levatevi dalle palle.»

Tommy era troppo sbalordito per far caso alle parole di Kevin. «Ma… ma stai fumando!»

Kevin fece un altro tiro, la punta della sigaretta che si tingeva di rosso incandescente. «E allora?»

«Non si può fumare nel campo!»

«Non me ne frega un cazzo.»

Il figlio di Ermes sussultò. «Le parolacce, Kevin!»

«Oh, giusto, dimenticavo che questo posto è un fottuto asilo nido!» sbraitò Kevin, alzandosi in piedi sopra lo scoglio. Puntò la sigaretta verso di lui. «Che succede, piccoletto, le tue povere orecchie vergini sono sensibili alle parolacce? Scommetto che non sono solo le tue orecchie a essere vergini.»

Con un ultimo tiro consumò tutta la sigaretta, poi gettò il mozzicone nel bosco. E con quella aveva infranto la terza regola del campo nel giro di un minuto. Thomas sapeva che Kevin non era mai stato proprio “ligio al dovere” però quel comportamento era anomalo perfino per lui. Inoltre sembrava davvero arrabbiato. Che diamine gli stava succedendo?

«Vi ho detto di prendere la bandiera e levarvi di torno. Che cazzo state aspettando?! Muovetevi!»

«Okay, okay!» esclamò Derek. «Dei, Kevin, finiscila con queste scemenze da macho. Non sei per niente credibile.»

«Chiudi la fogna! Dei, quanto odio la tua faccia! Vorrei prenderti a pugni finché non diventi viola!»

I ragazzi si guardarono tra di loro per l’ennesima volta, sempre più sconvolti. Thomas era certo che se Chirone lo avesse sentito gli avrebbe infilato una saponetta in bocca.

Sophia sollevò le spalle. «L’avete sentito, no? Prendiamo quella bandiera e andiamocene.»

«To’! Finalmente una con un cervello!»

Incerto, Thomas seguì la figlia di Ares verso gli scogli. Sentì i passi dei suoi compagni che li seguivano. Ancora una volta, non notò trappole attorno alla bandiera, tantomeno rinforzi di Kevin in arrivo. Era davvero da solo, con la bandiera priva di protezione. In qualsiasi circostanza sarebbe sembrata una trappola, ma Kev sembrava davvero furibondo e davvero disinteressato alla faccenda. Forse era per questo che alcune trappole erano state piazzate quasi a caso, come se non si fosse impegnato davvero.

«Non devi fare così, Kev» disse Paul all’improvviso. Thomas si voltò, accorgendosi del figlio di Demetra che guardava Kevin dal basso, serio in volto.  

«Uh? Ma che cazzo vuoi, Birch? Chi ti ha detto niente?!»

Paul sollevò le mani. «Capisco che tu sia arrabbiato, ma questo non è il modo giusto di comportarsi. Hai fatto un errore. Anziché sfogarti sugli altri, dovresti cominciare a lavorare su te stesso e migliorarti, in modo da non farne più.»

«Ma di che stai parlando?!»

«Sarah ha parlato con Sunrise. So tutto, Kev.»

Kevin spalancò gli occhi.

«Ehm, ma di che stanno parlando?» domandò Derek a Jonathan, che scosse la testa.

«Non ne ho la più pallida idea.»

«Ehi, Blake!»

Thomas sussultò, accorgendosi di Sophia che si stava arrampicando sugli scogli. Gli scoccò un’occhiataccia. «Lascia perdere quegli idioti e dammi una mano qui!»

«S-Sì, scusa.» Tommy si avvicinò alla ragazza, mentre raggiungeva la cima.

«Kevin si è venduto, ma i suoi compagni non la prenderanno bene» disse la figlia di Ares. «Adesso ti passo la bandiera, non appena la prendi inizia a correre e… AAAAAAAAAH!»

Sophia cominciò a gridare non appena toccò l’asta della bandiera. Il suo corpo fu colpito da convulsioni e i capelli le si rizzarono sulla testa. Thomas inorridì. «Sophia!»

La ragazza si staccò dalla bandiera, che emise alcune scintille. Cadde all’indietro con un gemito di dolore. Thomas si mise sotto di lei per afferrarla, ma non fu una buona idea: settanta chili di muscoli si schiantarono su di lui, trasformandolo in un piattello. Alcuni versi sorpresi si levarono dal gruppetto. Derek corse verso di loro due.

«Stai bene?» domandò, inginocchiandosi accanto a Thomas.

«Ah… sì, sì, sto be…»

«Non sto parlando con te!» Derek scostò Sophia da sopra di Tommy e le prese il volto tra le mani. «Sofi! Sofi, parlami! Dimmi che sono un idiota! Dammi un pugno, maledizione, fa’ qualcosa!»

Tommy si rimise in piedi, massaggiandosi il collo. Si accorse dello sguardo vacuo di Sophia, con alcuni rivoli di bava che scivolavano dalla bocca. Respirava ancora, ma aveva le mani annerite e puzzava di bruciato. Diversi gemiti sconnessi le uscivano dalle labbra, accompagnati da alcuni scossoni del suo corpo.

«Ah, sì, scusate gente…» Kevin saltò giù dallo scoglio, con una sigaretta nuova in bocca. «… mi sono dimenticato di dirvi del sistema di sicurezza della bandiera. La vostra amica dormirà per qualche ora. Forse giorni.»

 «Hai folgorato Sophia!» urlò Derek.

«E allora? Tutto è lecito in amore e in guerra. E questa, amici miei, è una cazzo di guerra.»

Derek digrignò i denti e si mise in piedi. Paul e Jonathan lo affiancarono, parandosi di fronte al figlio di Efesto, che sogghignò. «Vi consiglio di arrendervi e andarvene adesso, finché siete in tempo, o le cose si metteranno molto male per voi.»

«Ma sentitelo! Ti sei giocato tutte le tue carte, Kev, e sei da solo, noi siamo in quattro. Sei tu quello che deve arrendersi!» esclamò Derek, sollevando la sua spada di Bronzo Celeste.

Kevin ridacchiò e gli fece cenno di farsi avanti. Thomas aveva già visto quella scena, la puzza di trappola arrivava da lontano un chilometro. Gridò a Derek di stare fermo, ma quell’incosciente di suo fratello era già partito. «Immobilizzalo Paul!»

«Subito!»

Paul posò le mani a terra, proprio come a volte faceva Steph quando usava i poteri. Delle radici spuntarono dal terreno, immobilizzando le gambe di Kevin. Il figlio di Efesto grugnì per la sorpresa e provò a muoversi, ma senza risultato. In un solo istante, Derek era di fronte a lui con un’espressione così furiosa che Thomas ebbe un brivido: non l’aveva mai visto così incavolato.

«Adesso ti…»

Kevin non lo lasciò finire. Sollevò le mani e due coltri di fiamme incandescenti fuoriuscirono dai suoi palmi.

«Oh, merda!» gridò Derek, gettandosi di lato per non farsi colpire.

La risata di Kevin si sollevò tra il ruggito delle fiamme, mentre i ragazzi fuggivano in ogni direzione. «Pensavate davvero che vi avrei permesso di farmela sotto il naso? Avete la più pallida idea di con chi avete a che fare?!»

Il fuoco scomparve all’improvviso. Thomas drizzò la testa, accorgendosi dei suoi compagni sparpagliati e arruffati, ma tutti intatti. Kevin li osservava da lontano, con quel ghigno folle stampato in faccia. Sollevò di nuovo una mano, ma questa volta la puntò verso l’alto: altre fiamme si sollevarono dal suo palmo, bruciando la punta della sigaretta. Kevin aspirò, accendendosela, poi fece svanire le fiamme. Fece un lungo tiro, con una calma straziante, poi se la sfilò dalle labbra per far cadere la cenere. Il suo ghigno si distese.

«Io sono Kevin fottuto Bolt. E vi farò a pezzi.» Puntò la mano libera verso di loro e un’altra coltre di fiamme attraversò la radura.

Per fortuna le fiamme non puntarono Thomas, perché era troppo sconvolto per riuscire a muoversi. Kevin… controllava il fuoco?!

«Razza di idiota, incendierai la foresta!» urlò Paul.

«Scusa, non ti sento, il rumore del tuo piagnisteo è troppo forte!» Kevin direzionò i palmi verso di lui, costringendolo a scansarsi di lato.

«Tommy! Che stai facendo?!» gridò Derek. «Non startene lì impalato!»

Il ragazzo si riscosse. Bracciò il falcetto e si fiondò su di Kevin mentre era impegnato con i suoi compagni. Kevin si voltò verso di lui. «Cosa pensi di fare, piccoletto?»

Thomas urlò e si gettò a terra un attimo prima di essere investito da un fiotto incandescente. Uno strano odore seguì le fiamme, mentre la sua pelle sussultava per via dell’aria divenuta rovente all’improvviso. Sembrava… benzina. Sollevò la testa e vide Kevin respingere i suoi compagni, ridendo a squarciagola. Nessuno poteva avvicinarsi senza rischiare di essere incenerito. Jonathan tese l’arco, ma Kevin lo incalzò con le fiamme, senza dargli il tempo di scoccare. Nemmeno Paul stava usando i poteri, probabilmente per paura che le piante prendessero fuoco.

«Posso annientarvi tutti da solo!» urlò Kevin. Continuò ad attaccare senza lasciare loro un attimo di respiro. Più i secondi passavano, più la sua risata cresceva di intensità e più il suo sguardo si faceva folle. Assomigliò in maniera terribilmente inquietante a quella kitsune che Tommy aveva incontrato, Hikaru. Avevano anche il fuoco in comune.  

Il figlio di Ermes non riusciva a credere ai suoi occhi. Kevin aveva sempre avuto il potere del fuoco e non ne aveva mai parlato con nessuno? Com’era possibile?!

Perché?!

«Non avreste dovuto mettervi contro di me!» Kevin puntò le mani al cielo e le fiamme eruttarono, accompagnate dalla sua risata sguaiata. All’improvviso sembrava soltanto interessato a mettersi in mostra. «Adesso, imparerete a…»

Le fiamme smisero di uscirgli dalle mani all’improvviso. Vi fu un ultimo sbuffo soffocato, come quello di un rubinetto rimasto a secco, e poi il silenzio. Il figlio di Efesto spalancò gli occhi, mentre tutti gli altri di fronte a lui si raggruppavano. Ancora una volta, Thomas si accorse di quel forte odore che impregnava l’aria. Non era di semplice benzina, sembrava più di miscela per motosega, chimico e dolciastro.

«U-Un secondo…» Kevin diede loro le spalle e cominciò a ispezionarsi la giacca di pelle che aveva indosso. Imprecò sonoramente e si voltò di nuovo. Puntò ancora le mani e parlò, anche se questa volta il suo tono parve molto più incerto: «Bene, avete capito che con me non si scherza, ma siccome sono generoso, ho… ho deciso che vi lascerò andare, sì. Perciò sparite, altrimenti vi carbonizzo!»

Thomas e gli altri si scambiarono un’occhiata. Paul puntò una mano e un groviglio di radici spuntò dal terreno, intrappolando il figlio di Efesto alle braccia e alle gambe.

«Ehi! Lasciami Betulla! Lasciami!»

Derek si avvicinò a lui e gli strappò la giacca di dosso, rivelando al di sotto di essa un aggeggio attaccato al corpo di Kevin. Sembrava un esoscheletro di plastica e ferro, formato da una piccola tanica di benzina collegata a dei tubicini legati con dei lacci alle sue braccia. Era piuttosto rudimentale, ma Thomas rimase comunque interdetto. Kevin non aveva nessun potere. Era stato quel coso a fargli sparare fuoco.

«Hai costruito tu quest’affare?!» chiese, con un filo di voce.

«No, mia nonna» sbottò Kevin. «Certo che l’ho costruito io! E adesso ridatemelo! È solo un prototipo e se me lo rovinate vi uccido con le mie mani!»

«Ragazzi.» Jonathan era chinato vicino a Sophia. «È messa male. Dobbiamo portarla in infermeria.»

Derek osservò la ragazza svenuta, poi si concentrò su Kevin. «Ti hanno mai detto che sei un sociopatico?» rantolò, gettando la giacca a terra.

«Gne gne gne. Non giocare col fuoco se hai paura di bruciarti» ribatté il figlio di Efesto, sogghignando nonostante fosse stato sconfitto.

Se Tommy non si fosse intromesso, probabilmente Derek lo avrebbe steso con un cazzotto. «Jonathan ha ragione, Derek. Prendiamo la bandiera e portiamo Sophia in infermeria, prima che…»

Venne interrotto da diversi starnazzi provenienti nel bosco. Erano le arpie della sicurezza, che strillavano a tutti quanti di tornare indietro e che la partita era annullata.

«Che cosa?! Che significa che la partita è annullata?!» domandò Derek, incredulo. «Proprio quando avevamo la bandiera!»

«Bah. Che perdita di tempo…» commentò Kevin, con gli occhi direzionati verso il bosco.

«Forse qualcuno si è fatto male» ipotizzò Paul.

«Sì, magari con le trappole di questo qua!» sbottò Derek, indicando Kevin con il pollice.

Thomas non disse nulla, anche lui sbalordito da quel risvolto così improvviso. Ebbe un ricordo della sfida di caccia di qualche mese prima, quella in cui Edward aveva usato la Spada del Paradiso per la prima volta, e una terribile sensazione si fece largo dentro di lui.

Si augurò con tutto sé stesso che si trattasse solo di quello, una sensazione.

 

***

 

Lisa e Tonya si stavano affrontando furiosamente, tra grida e imprecazioni. La figlia di Nike possedeva di gran lunga maggiore forza fisica, ma in quanto ad agilità Lisa era un miglio sopra. Nessuno degli attacchi di Tonya era ancora andato a segno, e si stava stancando, Lisa invece era veloce e resistente. Rosa lo sapeva bene, dopotutto si era allenata un sacco di volte assieme a lei. Non era preoccupata per la sua compagna, anzi, era certa che Tonya non avesse alcuna speranza.

Tuttavia non era a loro due che doveva prestare attenzione, ma a Seth. Lo guardò mentre si avvicinava a lei brandendo quel gigantesco machete di Bronzo Celeste. Si domandò se non se lo fosse fatto produrre dai figli di Efesto apposta per avere quella specie di aura da pseudo serial killer. Quel tizio era una gimmick vivente, però poteva premiare la sua originalità e la sua dedizione al personaggio.

«Così vi eravate messi d’accordo apposta per affrontarci?» domandò. Sorrise divertita al pensiero di quei tizi che si riunivano per discutere chi dovesse combattere chi. «A cosa devo l’onore di essere stata scelta proprio da te, il semidio più temuto del campo?»

«Ero curioso di vederti in azione» rispose Seth, la voce camuffata dalla maschera antigas. «Anche tu sei molto temuta. Dicono tutti che sei una spadaccina incredibile, inoltre sei sfuggita dalle grinfie di quell’essere, e sono certo che per farlo ci sia voluta una forza notevole. Voglio proprio vedere che cosa sai fare. Sappi che non mi tratterrò, perciò fa’ del tuo meglio, Rosa Mendez.»

Un brivido gelato percorse la schiena di Rosa al pensiero di quello che aveva passato per mano di Orochi, ma si sforzò di ignorarlo e di mostrarsi coraggiosa. Fletté le gambe, preparandosi a combattere. «Tutti ti temono. Ma non ti ho mai visto allenarti nell’arena. Secondo me sei solo fumo e niente arrosto.»

Nonostante il viso coperto, Rosa poté giurare che le stesse sorridendo. «Hai un solo modo per scoprirlo.»

Seth scattò. Era veloce, molto più di quanto la sua corporatura avrebbe fatto credere. Rosa non provò nemmeno a parare il suo attacco: scartò di lato e il machete scivolò accanto a lei, fendendo l’aria. La ragazza roteò il busto, mirando al fianco di Seth, ma lui si mosse fulmineo e parò la lama con un gesto rapido e preciso, che la stupì. Indietreggiò appena in tempo per evitare un altro attacco di Seth, che continuò a incalzarla, costringendola a indietreggiare. La figlia di Apollo sentì dolore alle braccia nel tentativo di parare i suoi colpi. Non solo quel tizio era veloce, ma colpiva pure come un camion.

Per un istante, l’immagine di Seth svanì, rimpiazzata da quella di Naito.

«Arrenditi piccola dea.»

Rosa strinse i denti. Scacciò via quel pensiero e si concentrò. Seth era bravo, ma non era allo stesso livello di Naito. Non poteva perdere anche contro di lui, era fuori discussione. Se voleva diventare la migliore combattente, doveva batterlo. Superarlo di forza era fuori discussione e come velocità erano pressappoco identici. Doveva trovare una soluzione alternativa, e in fretta.

Si lasciò caricare di nuovo e questa volta rotolò per schivare il suo avversario. Rosa sgusciò alle sue spalle e mirò alla schiena, ma lui si voltò appena in tempo per parare il suo attacco, le lame che si premevano tra di loro. Seth fece forza con il machete e Rosa si piegò sotto al peso delle sue braccia, incapace di reggere il confronto. Piegò l’elsa e districò le due lame, scansandosi di lato. Seth barcollò in avanti, perdendo l’equilibrio, e Rosa realizzò di aver appena trovato il punto debole che stava cercando.  

Scattò verso di lui e mirò alle gambe; Seth non riuscì a reagire in tempo e fu ferito dietro al ginocchio. Grugnì di dolore, il sangue che zampillava dai pantaloni strappati, ma non demorse e si voltò prima che lei potesse infierire ancora.

«Anf… bel colpo» si complimentò, mentre le lame rimanevano premute tra loro ancora una volta. I suoi occhi scuri si accesero di ammirazione nei suoi confronti. «Come immaginavo, sei davvero abile.»

«Grazie» rispose Rosa, col fiato pesante. Ricambiò lo sguardo del figlio di Nemesi e annuì. «E tu non sei solo fumo.»

Seth ridacchiò. Fletté il polso, utilizzando la stessa strategia usata da lei poco prima, ma Rosa non si fece cogliere impreparata. Saltò all’indietro, un attimo prima di essere di nuovo caricata. Le lame si incrociarono decine e decine di volte, nonostante la ferita Seth non sembrava affatto intenzionato a rallentare, tuttavia Rosa aveva capito come affrontarlo: doveva usare la sua forza contro di lui.

Il figlio di Nemesi si fiondò su di lei. Rosa mulinò la sciabola, respingendo il machete con un colpo secco. Seth si sbilanciò, ma riuscì ancora una volta a deviare la spada prima che lei potesse infierire.

«Sai…» cominciò a dirle, mentre il loro combattimento proseguiva. «… sono felice che tu sia tornata sana e salva.»

Per un istante, Rosa fu colta alla sprovvista da quell’affermazione così improvvisa. Non era la prima volta che la sentiva, certo, ma da lui non se la sarebbe mai aspettata. E come ogni volta che le avevano detto quella frase, lei non seppe come reagire. Cosa doveva rispondere quando le dicevano cose di quel tipo?

“Grazie”? “Sono felice che tu sia felice”? “Anch’io sono felice di non essere morta”?

Il machete balenò di nuovo di fronte a lei. Rosa lo schivò inarcando la schiena all’indietro e sollevò la sciabola. Incrociò ancora una volta lo sguardo di Seth e sorrise. Scattò verso di lui, mirando al fianco sinistro.

«Mi fa piacere saperlo!» gridò, deviando all’ultimo secondo la spada e puntando invece al fianco destro. Non appena incontrò di nuovo il machete di Seth, realizzò che la sua finta non aveva funzionato.

«Devo chiederti una cosa» disse ancora lui.

«Dimmi» rispose Rosa, dopo aver evitato l’ennesimo affondo.

«Sei libera dopo la partita?»

«Che… che intendi dire?»

«Non volevo affrontarti solo per vedere cosa sapevi fare» spiegò Seth, dandole un attimo di tregua. «Volevo anche avere l’occasione di conoscerti meglio. Ti andrebbe di vederci dopo la partita?»

«Tipo… un appuntamento?»

Lui sollevò le spalle. «Una specie.»

«Oh.» Rosa si sentì in tremendo imbarazzo. Non le era mai capitato che qualcuno le facesse una proposta simile. «Mi… mi dispiace davvero, ma in questo momento… preferisco non pensare a queste cose. Vorrei pensare solo ad allenarmi.»

«Peccato.» Seth piegò la testa. Non sembrava particolarmente turbato. «Vorrà dire che…»

«Aspetta un attimo, è per questo che hai voluto affrontarla?!» si intromise Tonya, che nel frattempo aveva smesso di combattere con Lisa e si era messa a guardarli sbalordita. La ragazzona rivolse un sorriso sbilenco al suo compare. «Ma che ti aspettavi, che ti dicesse di sì? Ma ti sei visto?!»

Seth sembrò punto sul vivo. Si guardò le mani e il corpo. «Cosa…? Che ho che non va?»

«Te ne vai in giro conciato come un maniaco! Nessuna ragazza sana di mente ti vorrebbe attorno!»

«Ma…»

Seth si voltò verso di Rosa, come a cercare una sua conferma. Lei pensò di poter andare a fuoco. Sollevò le mani in difesa. «Ascolta Seth, sono sicurissima che tu sia un bravo ragazzo, però…»

«La finite di ciarlare?!» sbottò Lisa, rimasta in disparte. Agitò i pugnali, puntandoli verso di Tonya. «Sbaglio o dovevamo combattere io e te?!»

Tonya sogghignò. «Hai tanta fretta di prenderle, mozzarella italiana?»

«Ma sta’ zitta, vacca.»

«Non parlare nella tua stupida lingua!» tuonò Tonya. «Usa un linguaggio che tutti possiamo comprendere!»

«Ho detto che sei una grassonaOra va meglio?»

«Ma come osi?!» La voce di Tonya si alzò di un’ottava, facendola sembrare reduce da un’aspirata di elio. «Ti trasformo in polpette per gli spaghetti, mozzarella!»

«Bene! Fatti sotto!»

Le due urlarono furiose e si lanciarono all’attacco. Tonya sollevò la mazza, mentre Lisa puntava i pugnali. Un istante prima che collidessero, un altro grido si sollevò tra il bosco, facendole fermare all’istante. La voce era acuta, femminile: «AIUTO! AIUTO!!!»

Tonya e Lisa si osservarono allibite. Rosa sentì il sangue gelarle nelle vene quando lo udì. Chiunque stesse gridando, pareva proprio che la stessero uccidendo.

«Ma questa…» disse Seth, prima di spalancare gli occhi. «… è la voce di Alyssa!»

 

***

 

«Fammi capire bene... hanno scelto te per affrontare me

«Sì, e allora?! Pensi che non possa batterti?!»

Edward osservò Alyssa mentre saltellava sul posto, facendo shadow boxing, e sollevò un sopracciglio. «Senti, hai già appurato che tirarmi addosso le pigne non funziona. Perché non mi lasci semplicemente in pace e vedi se i tuoi compagni hanno bisogno di aiuto? Prendiamo strade divise e chi si è visto si è visto.»

«Scusa tanto, coso, ma non posso farlo. Ho detto che ti avrei fatto a pezzi ed è quello che intendo fare!»

«… coso?» Edward sospirò, afferrandosi la radice del naso. «Senti, quanti anni hai, quattordici? Ascolta il mio consiglio e levati dai piedi, altrimenti…»

Un’altra pigna lo centrò in piena faccia. Edward grugnì e indietreggiò stordito, mentre di fronte a lui Alyssa lo squadrava infastidita. «Per prima cosa, ne ho sedici, coso! E secondo, anche se ne avessi dodici ti farei comunque letteralmente a pezzi!»

Il figlio di Apollo ne aveva proprio abbastanza. Afferrò di nuovo l’arco e prese la mira senza perdere altro tempo in chiacchiere inutili. Alyssa strillò come una banshee e smise di tirare pugni al vuoto. Edward sogghignò, ma un istante prima di scoccare qualcosa gli cadde sulla testa, stordendolo. La freccia partì comunque, ma mancò il bersaglio di un chilometro, abbattendosi invece contro un albero. Per fortuna, perché Edward aveva mirato alle gambe di Alyssa, ma se per caso avesse sbagliato e l’avesse trafitta al petto di sicuro avrebbe avuto un bel po’ di spiegazioni da dare.

La mocciosa si rese conto di essere stata mancata e gli rivolse un sorriso spavaldo. «Bella mira, genio!»

Edward digrignò i denti. Si accorse della ghianda caduta ai suoi piedi, probabilmente precipitata da un ramo sopra di lui. Incoccò un’altra freccia e fece un passo avanti per evitare altre sorprese spiacevoli. Alyssa strillò di nuovo. «No, aspetta, scherzavo!»

«Sta’ zitta e fatti colpi…» Edward inciampò su qualcosa, schiantandosi a terra. La freccia partì comunque e andò a schiantarsi con un tonfo sordo, finendo pure quella a fare compagnia alla sorella sopra un albero sfortunato.

Il ragazzo si rialzò sui gomiti e si accorse di essere inciampato sopra una radice che sbucava dal terreno. «Ma è uno scherzo?» sbottò, non credendo alla propria sfortuna.

«Oh, mamma…» mormorò Alyssa, sbalordita. Si guardò le mani. «Sta… sta funzionando?!»

Edward non capì di cosa stesse parlando, non che gliene fregasse comunque qualcosa. Afferrò l’arco per quella che gli sembrò la trecentesima volta e scattò in piedi. Questa volta, prima di scoccare si impigliò con le stringhe delle scarpe e inciampò di nuovo con un grido furibondo.

Mentre si massaggiava la tempia, dolorante, sentì la risata sguaiata di Alyssa. «Funziona! Funziona! Sono invincibile!»

«Ma che diavolo stai dicendo?!» tuonò Edward, stanco di sentire quella vocetta fastidiosa.

Lei gli puntò contro l’indice. «Non puoi sconfiggermi! Mia madre mi sta letteralmente proteggendo! Sono letteralmente baciata dalla fortuna!»

«Smettila di ripetere “letteralmente”!»

«Io non smetterò proprio un bel niente finché non ti sarai letteralmente gettato a terra implorando la mia pietà!»

«MAI.»

«Come ti pare, coso. Guarda, posso batterti pure da bendata!» Alyssa tirò fuori una fascia dalle tasche e se la legò sopra agli occhi, assomigliando in tutto e per tutto a una delle statuine bronzee della madre. Allargò le braccia e il sorriso. «Avanti, coso, prova a colpirmi ora se ci riesci!»

Con immenso piacere.

Edward raccolse l’arco da terra e lo caricò con tutta la forza che aveva, pregustando il momento in cui quel piccolo sgorbio avrebbe supplicato la sua misericordia. La corda dell’arco si spezzò e una delle estremità rimbalzò sulla sua faccia, centrandolo sulla guancia. Ululò di rabbia e di dolore, atterrando sulla schiena sul manto erboso del bosco. Veloce come il vento gli saltò via dalle mani.

Da qualche parte imprecisata attorno a lui, le risate di Alyssa crebbero di intensità. «Sei letteralmente senza speranze, coso! Non l’hai ancora capito? Non puoi battermi! Ho la fortuna dalla mia parte!»

In quel momento, con la voce di quella rompiscatole che si insinuava nelle orecchie, il bruciore alla guancia e la consapevolezza di aver di nuovo rotto il suo arco, Edward desiderò di scomparire. Rimase a terra a osservare il cielo azzurro e sereno con il peso della sconfitta e dell’umiliazione che gravavano su di lui. Fatto a pezzi prima ancora di combattere. Doveva essere il suo record personale di bassezza.

«Allora, ti arrendi?»

La voce di Alyssa lo folgorò come un fulmine. Edward drizzò la testa ricacciando le imprecazioni e non credette ai propri occhi: Alyssa stava oscillando i fianchi e le braccia da destra verso sinistra, in maniera alternata.

«Che stai facendo?!»

«Il ballo della vittoria, no?»

«Smettila! Smettila subito!» gridò Edward, a un passo dallo strapparsi i capelli per la rabbia.

Alyssa si voltò, agitando il sedere di fronte a lui. «Perché non mi fai smettere tu, babbeo!»

«BABBEO?!»

Quello doveva essere un incubo. O forse Edward era ancora morto, ma anziché nello Yomi si trovava nell’Inferno dantesco, in un girone dedicato apposta a lui.

«Oh, sì! Oh-oh! Guarda che mosse!» Alyssa continuò a borbottare e a mugugnare frasi incomprensibili, mentre proseguiva con quello che era senza ombra di dubbio il ballo più stupido di tutti i tempi. «Te l’avevo detto che non avevi speranze!»

«Non… ho speranze… eh…?» rantolò Edward, con gli occhi che bruciavano e un rivolo di bava che scivolava dalla bocca. Si rimise in piedi e tese la mano verso il vuoto: l’aria sfarfallò, poi un fascio di luce illuminò la radura. Un secondo dopo, stava stringendo Ama no Murakumo tra le mani. Avvertì un formicolio alla schiena non appena entrò in contatto con quella spada. Sogghignò oltre i limiti umani conosciuti e si avvicino ad Alyssa, che stava continuando a ballare, girata di schiena e bendata.

«Adesso… ti faccio vedere io…» sussurrò, prima di sollevare la spada.

 

 

 

 

 

 

 

Salve gente. Prima di tutto, voglio chiedervi scusa. Vi chiedo scusa per avervi fatto aspettare così tanto e vi chiedo scusa per questo scempio di capitolo (lol). Penso che uno dei motivi per cui ci ho messo così tanto per aggiornare era proprio perché questo capitolo non mi piaceva per niente. Credo di aver fatto il passo più lungo della gamba, ci sono troppi personaggi, troppe cose che accadono tutte insieme, e temo di non aver dato il giusto spazio a tutto, di aver fatto sentire i vecchi protagonisti “meno importanti” di quello che dovrebbero essere, e soprattutto temo anche di avervi, come dire, “sovraccaricati” coi personaggi. 

Comunque sia, non tutti i mali vengono per nuocere, grazie a questi ultimi due capitoli ho capito che:

1: il pov generale non mi piace per niente

2: in questo capitolo c'erano troppi personaggi

Perciò potete stare tranquilli, il pov generale non tornerà più e i personaggi non dico che verranno abbandonati, ma verranno approfonditi in futuro, a tempo debito, in maniera ben fatta. Spero, tuttavia, che nella sua bruttezza questo capitolo vi abbia intrattenuti. Lol. Comunque sia, ci saranno ancora 2 capitoli, con Edward come protagonista, e poi la raccolta sarà ufficialmente conclusa. Alla fine questa storia è diventata più una… terra sperimentale? Per testare nuovi pov, mostrare qualche personaggio extra e cose del genere. 

Dovevano esserci missing moments e altri retroscena, da pubblicare mentre lavoravo ad altre storie, ma poi con la stesura dell’Elisir di Lunga Vita, e ora del Velo Invisibile, mi sono ritrovato ad aggiornare in maniera costante, quindi non c’era più bisogno di questa storia “tappabuchi”. Tuttavia, è una storia che avrà comunque la sua importanza, per quello che succederà in futuro. Sì perché il Velo Invisibile non sarà la fine della saga, ma penso che questo fosse già chiaro. 

In ogni caso, spiegherò meglio cosa ho in mente in futuro, quando avrò concluso questa storia una volta per tutte. Fino ad allora, grazie mille per aver letto, grazie per la pazienza e grazie a Farkas per aver recensito l’ultimo capitolo. Alla prossima!

   
 
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