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Autore: Nariko_koi    10/01/2022    1 recensioni
Regione dello Hubei, 1939.
Dopo essere stato ferito sul campo di battaglia e congedato, Wang Yao, tenente dell'esercito Nazionalista, si trova costretto a scortare il proprio aguzzìno lontano dal fronte. All'incarico di per sé insolito si aggiunge il fatto che Honda Kiku, l'ostaggio, non è un volto nuovo nella vita di Yao. Dopo aver condiviso un'estate sulle sponde rigogliose del Fiume Azzurro, i due si ritrovano a distanza di anni a camminare fianco a fianco indossando divise di schieramenti tra loro opposti. Yao è sfuggente, impenetrabile e pieno di collera, una collera di cui Kiku, incorruttibile e legato alla propria causa, non comprende fino in fondo la motivazione. Due spiriti fratelli, entrambi brillanti e inquieti, un ricordo che emerge da dietro la devastazione attorno ai passi dei due soldati, due nazioni senza speranze.
Sulla strada per Chongqing, il passato tornerà a chiedere la resa dei conti, e Kiku e Yao saranno costretti ad affrontare i loro demoni, nel tentativo di preservare la loro scarna, sofferta, umanità.
[NiChu/ChuNi] [Accenni ad altre coppie e personaggi]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Cina/Yao Wang, Germania/Ludwig, Giappone/Kiku Honda, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo I
 
Nilufar
 
 
Se gli chiedessero un nome, oltre a quello di Kiku, che gli porta alla mente l'estate del '28, Yao farebbe quello di Nilufar.
Nilufar era la governante afghana di mezz'età, per la verità d’un paio d'anni più giovane di Wang Lanhua, che però, a differenza sua, in quarantasei anni di vita avrà rischiarato una scottatura solare sì e no due volte e sollevato la metà dei chili che Nilufar trasportava ogni giorno. Non è chiaro se la signora Wang dimostrasse molti meno anni di quelli che realmente aveva o se fosse Nilufar a dimostrarne molti di più, fatto sta che viste l'una di fianco all'altra uno non avrebbe mai immaginato che potessero essere coetanee.
Comunque.
Nilufar era musulmana sunnita, e quando un giorno di parecchi anni prima, a soli sedici anni, era entrata in casa Wang con la mano di Li Feng (giardiniere, autista e tuttofare dei Wang) su una spalla e il ventre pronunciato, a Nanchino la gente aveva iniziato a mormorare mille versioni diverse della storia di quella ragazzina silenziosa e rachitica. Qualcuno diceva che fosse scappata dalla famiglia osservante per poter sposare il signor Li, che allora aveva diciotto anni e per un periodo aveva vissuto nello Xinjiang¹, altri dicevano che lui l’avesse messa incinta ben prima di sposarla; Qualcun altro raccontava che i suoi fossero morti di febbre e addirittura c’era chi diceva che Nilufar fosse in realtà parente della famiglia reale afghana e che fosse fuggita da un attentato che aveva sterminato la sua famiglia, o che fosse la figlia bastarda del re in persona, e che gli eredi legittimi avessero cercato di eliminarla. Ognuno di questi racconti, comunque, si concludeva con una fuga. Yao non aveva mai trovato il coraggio (o la sfacciataggine) di chiedere conferme ai Li, e così il fotogramma sbiadito, ritagliato fuori dall’interezza della pellicola, di Nilufar, la composta, sempre coperta e da sempre anziana Nilufar, che saltava giù da una finestra a piedi nudi e correva nella notte come una bambina con il velo che le svolazzava sul capo, aveva assunto un ché di romantico nella sua testolina di bambino.
Yao non saprebbe dire con sicurezza se i due si fossero sposati prima o dopo che il signor Li iniziasse a lavorare in casa Wang o viceversa, fatto sta che ancora oggi non ricorda un solo giorno in cui Nilufar non fosse presente in casa. I signori Li erano una sorta di istituzione, di colonna portante. O forse sarebbe stato più corretto paragonarli ai mortai e ai rulli che sbriciolano e appiattiscono la sabbia delle fondamenta, senza i quali i sontuosi capitelli e i cavalli alati sulle tegole non potrebbero esistere. Sempre presenti, anche quando l'occhio non li percepiva, pronti a scattare all'ora del bisogno e scomparire dietro a un muro una volta divenuti superflui, i Li osservavano un comandamento inalienabile: le cose dei Wang restano in casa Wang.
Il giorno in cui Yao visse una sorta di rivelazione in merito all'ospite fu anche lo stesso in cui pranzò coi Li per la prima volta dopo un po' di tempo. La sua giornata aveva avuto inizio, come sempre, al sorgere del sole. Sarà stato il commento spietato di Lanhua sul suo paio d'occhiaie da panda, sarà stato il mal di schiena proprio di uno che ha passato due settimane curvo su una tesi, sarà stato un particolare allineamento degli astri o più semplicemente il fatto che tutta quella disciplina lo stava deteriorando, in ogni caso, quella mattina, Yao aveva deciso che era ora di prendersi una giornata libera. Così aveva lasciato un biglietto svogliato sotto al centrotavola della sala da pranzo, afferrato il manubrio della bicicletta e pedalato fino al villaggio.
Si trattava di un piccolo agglomerato di casette bianche piazzate su un canale, a cui si arrivava passando in mezzo a sentieri ritagliati tra canne di bambù e pruni. Un posto tranquillo, che poteva sembrare soporifero in confronto alle strade vivaci di Nanchino, tuttavia Yao provava una strana soddisfazione a passeggiare sui ponti deserti e ascoltare il frinire dei raggi della bicicletta, il gorgogliare sommesso del canale, un colpo di tosse a distanza. C’era qualcosa di appagante nel vedere per primi il mondo al mattino, come nel condividere una sorta di segreto. Adesso Yao direbbe che si trattava del piacere del vivere in uno spazio sospeso. 
Al villaggio prese solo un pacchetto di liquirizia.
Quando il sole iniziò a farsi prepotente sul canale, Yao montò di nuovo sulla bicicletta e raggiunse la fine del bosco di bambù, dal quale si vedevano emergere i tetti della casa. Si arrestò all’ombra di un albero, piantando i talloni sulla ghiaia. La vista delle finestre in mezzo agli alberi, per qualche motivo, gli mosse una strana sensazione di immobilità, di spazio predisposto. Si ritrovò a pensare che mentre lui si nascondeva tra i ponticelli e i muri del villaggio, il resto delle persone in casa aveva iniziato a vivere la propria giornata in comunione, e che lui stava per inserirsi come un intruso dentro a qualcosa che era stato costruito in sua assenza nel lungo arco della mattinata. Solo, con la faccia seminascosta dall’ombra delle foglie, come una tigre in agguato, non riusciva a pensare di invadere quello spazio, di offendere l’assetto corrente con la propria presenza. Era come svegliarsi e trovare ogni cosa in perfetto ordine, e sapere che un tuo movimento potrebbe annientare questa disposizione. Pochissime volte aveva vissuto la mancanza di un vuoto in cui inserirsi.
Ecco quando ha visto Nilufar.
Oltre il ponte bianco che lo separava dall’ingresso della casa, Nilufar stava trascinando a fatica un sacco di riso grande almeno quanto lei. Così Yao ha schiacciato le suole delle scarpe sui pedali e la bicicletta è decollata sui fili d’erba, poi è stata abbandonata contro lo steccato e lui ha raggiunto Nilufar a piedi.
«Serve aiuto mǔmā²?»
Attendere la risposta sarebbe stato superfluo, e così Yao le tolse il sacco di riso da sotto le braccia prima ancora che lei potesse riconoscere chi aveva di fronte. Nilufar aveva alzato il capo di scatto e l'aveva guardato con quella faccia minuta, tutta naso e occhi, i capelli grigi sfuggiti alla stoffa beige dell’hijab e la pelle tra il naso e il labbro superiore lucida di sudore. Veniva da domandarsi come riuscisse a resistere così imbacuccata alle temperature asfissianti del Jiangsu. Quando si è accorta che si trattava di Yao aveva sorriso e rilassato le spalle.
«Un ragazzo di buona famiglia come te non dovrebbe portare sacchi di riso sulle spalle, xiǎo³ Yao.»
«Neanche una signora anziana come te dovrebbe ̶  ahia
Nilufar gli aveva tirato un pugnetto non troppo convinto sul braccio con le nocche tutte ossa. «Attento a chi chiami “anziana”, xiǎohuǒzi⁴.»
 
La cucina aveva un odore di verdure bollite e di mántou cotto al vapore che si attaccava addosso ai vestiti e impregnava i capelli, ed era la prima cosa che si percepiva una volta attraversata la porta scorrevole. A quello seguiva il borbottio delle pentole e lo sfrigolare dell'olio. Quando Yao vi si intrufolava sbirciando da dietro i sacchi di riso o le casse di frutta, bastava che uno qualsiasi dei Li riconoscesse la sua voce per precipitarsi a liberargli le braccia. Questa volta fu il turno di Nunu, terzogenita diciassettenne con la stessa statura minuta e faccia tonda della madre.
«Lasci, xiānsheng, faccio io» disse, agitando un po' la testa come a sottolineare il nuovo taglio a caschetto. Appena se ne accorse, Nilufar sollevò un sopracciglio.
«Che diavolo hai fatto ai capelli?»
«Me li ha tagliati Wang Li – rispose con un sorriso euforico – dice che le signore bene li portano così a Nanchino.»
«Ma come ti viene in mente di farti tagliare cinque anni di capelli in quel modo? Sembri un uomo!»
Yao si intromise: «Io li trovo molto graziosi – sorrise a Nunu – davvero eleganti.»
Lei in risposta abbassò lo sguardo sulle mani giunte in grembo e chinò il capo cinguettando un “grazie” acuto come un fischietto. Nilufar le disse di tornare al lavoro e lei sparì dietro la porta della ghiacciaia.
«Non incoraggiare le sue stramberie, xiǎo Yao. – borbottò mentre immergeva le mani nell’acqua saponata – Lo sai che pende dalle tue labbra.»
«I capelli ricrescono.» A parlare questa volta fu il signor Li, entrato in cucina con una sigaretta tra le labbra e il vassoio con l'anatra arrosto tra le mani. Sorrise a Yao «Buongiorno, xiǎohuǒzi».
«Buongiorno.»
«Quante volte devo ripeterti di non fumare in cucina?»
Yao s'intromise di nuovo, prima che il battibecco degenerasse: «Nǎi-naiè in casa?».
Nilufar lanciò un ultimo sguardo obliquo in direzione del marito, poi si sistemò l’hijab sulla fronte e accompagnò Yao dentro a una stanzina piena di vecchi mobili e suppellettili che puzzava di medicine, separata dalla cucina solo attraverso una tenda gialla. La signora Li sedeva su una sedia a dondolo in un angolo a scrutare un punto della stanza premendo tra loro le labbra invisibili. Sembrava concentratissima a risolvere una specie di rompicapo, così non si accorse subito che Yao si era seduto sui calcagni accanto alla sedia.
«Come stai, nǎi-nai?» lei parve non sentirlo, in effetti era un po' sorda. Yao cercò lo sguardo di Nilufar, e lei gli fece un gesto con la mano come per esortarlo a provare di nuovo. «Ti va una stecca di liquirizia? L'ho comprata poco fa, è buona.»
La signora Li voltò il capo con una lentezza esasperante, e staccò gli occhi dal punto in cui li aveva incollati solo quando fu totalmente rivolta verso Yao. Sempre con quel ritmo, sollevò le sopracciglia ispide increspando ancor di più la pelle sulla fronte tutta macchie, e stirò le labbra in un sorriso sdentato.
«Meng. Sei tornato.»
Yao deglutì e forzò un sorriso. Nilufar posò una carezza sulle spalle della signora Li e disse che era meglio lasciarla riposare. Le mise davanti una di quelle vecchie monete forate al centro⁸ che per qualche motivo riuscivano a distrarla per ore, e mentre se la rigirava tra le mani Nilufar e Yao uscirono. Meng era il fratello maggiore di Feng. Aveva partecipato alla rivoluzione contro l'impero Qing ed era stato freddato durante una rivolta nel 1912. Nilufar sosteneva che Yao gli somigliasse.
Nel frattempo, oltre la tenda gialla, la governante anoressica di Arthur Kirkland aveva assediato la stanza con altri cinque camerieri. Arthur era il rampollo di una famiglia britannica che da più di cinque generazioni gestiva un'azienda di tè con base ad Hong Kong, e per un breve periodo aveva condiviso le aule universitarie con Yao. Il nonno di Arthur, a suo tempo, aveva fatto un importante favore ai Wang di cui Yao non conosceva i dettagli, ma da quel poco che i suoi genitori si erano permessi di raccontargli sembrava che Kirkland senior avesse coperto un possibile scandalo. Ecco spiegato come mai sir Arthur lasciava ogni estate le verdi colline dello Yorkshire per accamparsi dai Wang (e lavorarsi Wang Long in previsione di un possibile affare), portandosi dietro una scorta di domestici che, esattamente come lui, non parlavano una sola parola di mandarino e non sembravano interessati a imparare. Ed ecco spiegato anche il motivo per cui Mrs Grendel continuava a ripetere “where's your master?” a voce altissima e strascicando ogni vocale a Nunu, che dall'altro capo del tavolo continuava a sistemare i jiǎozisul piatto di porcellana, sollevando di tanto in tanto lo sguardo su di lei come per controllare che fosse ancora lì, in aperta indifferenza.
«Your master, maaas-tah, where-
«C'è qualche problema, ma'am
Lei si voltò con uno scatto talmente brusco che Yao sentì le sue articolazioni scricchiolare, poi si rilassò di colpo.
«Oh, eccovi qua, sir» sospirò, dando le spalle a Nunu e senza rivolgere uno sguardo a Nilufar.
«Mi cercavate?»
«I signori si domandavano dove fosse finito, è quasi ora di pranzo.»
«Oh, devo essermene dimenticato. Che imbarazzo.»
Nilufar continuò a fissarla braccia conserte, e voltò il mento verso Yao «Che sta dicendo?».
«Mi cercavano per pranzo, mǔmā.»
«Se avesse provato a dirlo in mandarino magari si poteva evitare di disturbare nǎi-nai con tutto questo baccano, povera donna.»
Mrs Grendel seguì il loro scambio spostando lo sguardo da Yao a Nilufar e viceversa, poi tossì avvicinando un pugno chiuso alla bocca.
«Sir?»
«Potreste dire loro che pranzerò qui?»
Lei sgranò gli occhi e inclinò il capo, come frastornata. «Pranzare... qui, signore?»
«Sono sicuro che sir Arthur starà benissimo anche in mia assenza.»
«Pranzare... uh – si portò due dita alla fronte – come volete voi, sir.» E detto ciò fece cenno a tutti gli altri di iniziare il servizio, girò i tacchi e si avviò su per le scale.
«Che donna orribile» sentenziò il signor Li mentre accatastava il pentolame da lavare.
Nilufar gli lanciò un'altra occhiata obliqua, poi tornò a rivolgersi a Yao. «Ma che le hai detto?»
«Solo che pranzo qui, devo averla stordita.»
Nunu saltò sul posto. «Pranzi qui?»
«Voglio dire, se non è un problema.» Yao si rese conto solo allora, e con un certo imbarazzo, di essersi autoinvitato.
«Nessun problema, xiǎohuǒzi – Li Feng gli posò una mano callosa sulla spalla coraggio, aiutami a chiudere i húntun¹⁰, sei magro come un manico di scopa.»
«Un momento, voi due – Nilufar li additò con un indice nodoso – non è educato lasciare in asso gli ospiti. I tuoi genitori saranno molto contrariati, xiǎo –
A interrompere la ramanzina di Nilufar fu un “gē-ge¹¹!” urlato dai piedi delle scale e seguito da uno scalpitare di suole sul pavimento. La vocina apparteneva a Xiaoyu, il più giovane dei Li. «Che ci fai qui, gē-ge
«Gē-ge resta a pranzo.»
«Nunu!»
Giocandosi la carta Xiaoyu, Nunu era riuscita e innescare un'infinita supplica che aveva costretto Nilufar a cedere. Così Yao si arrotolò le maniche della camicia sulle braccia, si lavò le mani e si posizionò accanto al signor Li per chiudere gli húntun.
 
Le ricette di Nilufar non seguivano quasi mai la tradizione. Quella era riservata ai piatti inviati di sopra, destinati a palati esigenti. Ciò che a questi palati non arrivava, verdure avanzate e frattaglie di anatra, veniva trasformato in brodo e ripieno per i ravioli, oppure cotto insieme a quello che Yao e i bambini chiamavano Riso Anti-Spreco Alla Nilufar. Dentro a quelle quattro mura Yao aveva imparato a tagliare le carote, a eviscerare il pesce, a chiudere i ravioli, a trasformare gli scarti in piatti e i piatti in mezzi di cura. Al piano di sotto il cibo diventava una dimostrazione d’affetto che ai ricchi sfuggiva.
A tavola due posti erano rimasti vacanti. Erano quelli dei gemelli, Gaosu e Nuli, entrambi a Shanghai per lavoro. Il primo si era arruolato nell’esercito, la seconda lavorava come badante di un anziano signore presso una famiglia di alta estrazione per potersi pagare gli studi.
Durante il pranzo la tavola diventava teatro di chiacchiere e risate sgraziate, e ogni commensale a turno diventava oggetto di battute che avevano l’effetto di far soffocare Xiaoyu con il tè. Alla fine del pasto quest’ultimo si arrampicò su una sedia per recitare, a grande richiesta del signor Li, una poesia di epoca Tang che apparteneva a un libretto che Yao gli aveva regalato per il compleanno. Xiaoyu aveva sbagliato qualche tono e in alcuni punti aveva balbettato, ma il resto dei commensali aveva comunque applaudito. Quando la sua esibizione terminò, Nunu corse a recuperare un vecchio volume da dentro una cassapanca e lo riconsegnò a Yao. Si trattava de Il viaggio in Occidente¹², un romanzo che Yao aveva letto a tredici anni nell’arco di una settimana circa, e che Nunu stava riconsegnando al proprietario dopo un intero anno, insieme a un dizionario. Considerando che Nunu doveva aver fermato la lettura ogni cinque parole circa per cercare pronuncia e il significato dei caratteri sul dizionario, e che l’intero romanzo contava più o meno trecentottanta pagine, a Yao quell’intero anno sembrava un tempo da record.
Yao si era complimentato con entrambi. Aveva detto che se si fossero impegnati abbastanza, sarebbero riusciti a finire gli studi e magari anche a frequentare l’università a Shanghai come Nuli. A quell’affermazione la tazza di Nilufar ha emesso un tintinnio. Lei sorrise, ma Yao sapeva che qualcosa la turbava.
«Quando sarete entrambi intellettuali colti e felici, ragazzi miei, non scordatevi della vostra vecchia e stupida māma.»
«Tu non sei stupida, māma.»
«Mi stai dando della vecchia, Xiao Yu?»
Il ragazzino si lanciò in una serie di goffe scuse che ebbero il merito di interrompere la tensione. Più tardi, però, mentre Yao e Nilufar lavavano i piatti in giardino, lei approfittò del fatto che fossero soli.
«Vorrei che smettessi di parlare ai ragazzi di università e cose così.»
Yao sollevò il capo dalla pentola di rame che stava strofinando «Come?».
«Lo so che non condividi.»
«No, infatti.»
«Che succederà quando sapranno di non poter studiare? Glielo dirai tu, o dovrò farlo io?»
«Scusa, mǔmā, non capisco di che parli. Nuli studia a Shanghai.»
«Sì, e per poterselo permettere pulisce il culo a un vecchio. – l’acqua nella tinozza ondeggiò, e sotto la superfice i piatti tintinnarono. Nilufar si passò una mano bagnata sulla fronte, portando i capelli grigi sotto l’hijab – Non sono pronta a vederli sconfitti, xiǎo Yao, non è giusto. Gli stai raccontando delle bellissime favole, ma prima o poi si accorgeranno che a quelli come noi non serve recitare poesie. E quando accadrà non sono sicura che riuscirò a restare a galla.»
Yao l’aveva osservata in silenzio da dietro i ciuffi scuri che gli ondeggiavano davanti al viso, vide le profonde rughe sulla fronte e attorno agli occhi. In quel momento aveva compreso che anche se avesse pranzato ogni giorno in casa dei Li, anche se avesse portato loro tonnellate di libri, anche se avesse lavato tutte le loro stoviglie e lucidato ogni angolo della casa, dopo il pranzo sarebbe andato a lavarsi via il puzzo delle verdure e della frittura e si sarebbe fasciato di seta come tutti coloro che abitavano di sopra, mentre Nilufar e i suoi si portavano addosso quell’odore di miseria ovunque mettessero piede. Era troppo facile cucinare al loro fianco e vendere sogni, per poi chiudersi alle spalle la porta della cucina e continuare la propria vita da re.
 
 
***
 
 
«Dove sei stato?»
Yao voltò pagina senza staccare gli occhi dal libro che stava leggendo. Era seduto a gambe accavallate sul divanetto che aderiva alla ringhiera di legno del porticato, e che lo separava dall’acqua verdognola del fiume. Suo padre, seduto sulla poltrona di fronte a lui, aveva aperto gli occhi e si era costretto a resistere al sonno del primo pomeriggio.
«A pranzo dai Li. Credevo te l’avessero riferito.»
«Intendevo prima, e guardami quando ti parlo.»
Yao sollevò lo sguardo sulla figura squadrata di Wang Long.
«Ero in paese, ho lasciato un biglietto.»
«Sei sparito tutta la mattina. Tua madre era in pensiero.»
«Mi dispiace.»
«È tutto quello che hai da dire?»
Yao ci pensò un attimo. In effetti sì, quello era tutto. Che altro avrebbe potuto aggiungere? Mi dispiace che Lanhua sia una paranoica e che tu sia un maniaco del buon costume? Mi dispiace avervi offeso perché ho preferito pranzare con gente normale? Mi dispiace averti fatto fare una brutta figura col leccapiedi europeo che ti sta attaccato come una sanguisuga e che dal canto suo non si degna neanche di imparare le basi delle nostre consuetudini? Non ebbe il tempo né il fegato di dare voce a quel monologo, perché Long si era passato una mano sul viso e aveva lasciato che le palpebre gli calassero sugli occhi.
«Ne discutiamo un’altra volta» disse, e dopo poco si riaddormentò da seduto, come un vecchio, con la bocca semiaperta e il respiro pesante. Yao si perse un attimo ad osservarlo, e si domandò come avrebbero reagito tutti gli studenti del padre, i docenti dell’università di Nanchino e i ricchi borghesi con cui faceva affari e si intratteneva in divertimenti raffinati, a vedere l’onorevole e ammirato professor Wang Long dormire in quella maniera indecorosa. Fu sollevato nel notare che almeno non aveva iniziato a parlare nel sonno. Mentre ragionava su questo notò con la coda dell’occhio che qualcuno si avvicinava.
«Kiku-san.» lo salutò, forse un po’ troppo gelido.
«Buongiorno, Yao-san. Non ti ho visto oggi a tavola.»
Yao chiuse il libro e lo posò sul tavolino di fianco a lui, accanto al servizio da tè. Ormai era evidente che non sarebbe riuscito a finire la lettura. «Non c’ero» rispose secco, mentre si tastava le tasche per trovare le sigarette. Si accorse di essere stato brusco al limite della cortesia, così si affrettò a correggere il tiro: «avevo bisogno di una pausa, ecco tutto. Ma credo di essermi comportato da imbecille.»
«A tutti capita di lasciarsi sopraffare, ogni tanto. Non prendertela troppo con te stesso, Yao-san
Yao si voltò a guardarlo per la prima volta, e fu anche la prima volta nell’arco della giornata che qualcuno gli si rivolgesse con quel tono lenitivo. Si accorse che Kiku era vestito all’occidentale, e che reggeva tra le mani un volume che Yao aveva visto più volte sfogliare da Li, un’edizione de Il grande Gatsby in lingua originale. Per pura formalità, prima di prendere la propria sigaretta dal pacchetto lo porse all’altro, e di certo non si sarebbe aspettato che lui accettasse. Yao non poté trattenersi dal sollevare un sopracciglio.
«Tu fumi?»
«Qualche volta.»
Così Yao raschiò rapidamente il fiammifero sulla scatola, poi lo avvicinò al viso di Kiku con le mani a coppa. Osservò la luce della fiammella dipingergli il volto di arancio con pennellate delicate e la sua espressione di porcellana mentre inspirava il fumo. In quel momento Kiku sollevò gli occhi su di lui, fu solo un attimo, ma accadde ciò che Yao aveva previsto e proprio come lo aveva immaginato. Ovvero, il volto di Kiku si deformò nell’arco di una frazione di secondo e lui cominciò a tossire in maniera irrefrenabile, come se stesse espellendo l’anima a colpi di tosse.
Per quanto Yao si sforzasse di trattenersi, fu impossibile impedirsi di lasciare esplodere una risata, una di quelle soddisfacenti che giungono dall’addome, passano dal petto e fuoriescono da ogni parte del viso. E non era che trovasse divertente il fatto che Kiku si fosse smascherato da solo nel tentativo di impressionarlo, non era mai stato un sadico, ma vedere interrotto quel momento di silenzio e poesia da una scarica di colpi di tosse sguaiati e dall’espressione inumana dell’altro gli aveva fatto dimenticare tutto il malumore accumulato in giornata. Incredibile che Long stesse ancora dormendo.
Nel frattempo Kiku si era coperto il viso con una mano, dandogli le spalle mentre ancora tossiva. Yao si rese conto di quanto doveva sentirsi umiliato, e così gli versò una tazza di tè e gliela porse.
«Ecco, prendi.» disse. Lui mormorò un grazie soffocato e bevve a piccoli sorsi, senza guardarlo. Allora Yao aggiunse: «Devi scusarmi, è solo che mi hai ricordato quando ho fumato anch’io per la prima volta. Credo di aver distrutto un servizio da tè. Era su un tavolo e io mi ci sono appoggiato, sai, per la tosse e tutto. Ora che ci penso credo di aver rotto anche quello.»
Kiku si lasciò scappare un risolino, e Yao seppe di aver rimediato con successo. Lo invitò a sedersi con un gesto della mano e lui prese posto sul divanetto.
«Non credevo ti piacesse Fitzgerald.»
«Oh, è la prima volta che leggo qualcosa di suo. Me l’ha prestato tuo fratello.»
Yao si accese la sigaretta e sventolò il fiammifero. «È il suo romanzo preferito, – disse a labbra serrate – tutto quello che sogna è lì dentro. A volte ho paura che possa dimenticare la sua identità.»
Non che Yao fosse contrario a prescindere allo stile di vita occidentale, anzi. In quegli anni sosteneva per primo che le istituzioni e la mentalità dei cinesi necessitassero di avvicinarsi ai modelli europei, eppure l’idea di trattare il loro passato e le loro tradizioni come una zavorra, come si ostinavano a guardarle certi suoi colleghi universitari, lo ripugnava. Ma la verità, e questo l’avrebbe ammesso a se stesso solo molto tempo dopo, era che l’idea che Li andasse in giro attaccato al bastardo britannico e che pendesse dalle sue labbra invece che da quelle del suo fratello più anziano gli faceva prudere le mani peggio di un paio di guanti di ortiche.
Kiku mostrò un sorriso pacato e chinò il capo, per poi risollevarlo in un gesto timido. «È strano sentirti parlare così, Yao-san. Credevo sostenessi che la Cina deve rinnovarsi guardando a ovest.»
Yao espirò una nuvola di fumo. «Lo penso davvero, – disse – ma dimenticare noi stessi è un altro discorso. Un uomo molto più saggio di me una volta disse: studia il passato se vuoi divinizzare il futuro.»
Kiku annuì con lo stesso sorriso. «Confucio.»
Restò a guardarlo un momento mentre capelli di fumo passavano tra loro. Non si aspettava quella risposta. «Esatto» mormorò, continuando a guardarlo. In realtà tutta quella situazione era alquanto inaspettata. Lo stesso ragazzo che fino a una settimana prima l’aveva trattato con assoluta sufficienza ora sembrava investire anima e corpo nel tentativo di avere una conversazione con lui.
«E dunque tu non leggi romanzi occidentali?»
«Romanzi? – Yao liberò un’altra nuvola di fumo – oddio, per la verità ho letto più saggi che romanzi. Sai, Marx, Engel. Di Marx ho proprio letto tutto. Come romanzi apprezzo molto i lavori di Joyce e Woolf, ma ecco, non sono proprio un appassionato del genere.»
Kiku fece un cenno col mento al libro che Yao aveva posato sul tavolino. Il sogno della camera rossa, di Cao Xueqin¹³. «E quello?»
«Questo? Beh, questo fa eccezione, in realtà sto rileggendo i passaggi che mi hanno colpito di più.»
«Dicono sia una meraviglia.»
«Lo è eccome. Se dovessi scegliere tra l’Honglou meng e tutta la bibliografia di Marx… beh, metterei al rogo Marx e tutto il resto del mio sapere.»
Kiku aveva posato la guancia su un palmo. Aveva qualcosa nel suo sguardo, una strana iridescenza sul fondo dell’iride, mentre lo ascoltava parlare in silenzio. Qualche secondo dopo che Yao finì di parlare, come a volersi assicurare che avesse detto tutto, Kiku mormorò: «sei un uomo davvero ambiguo, Yao.» E forse era rivolto più a se stesso che a lui, come a volersi confermare qualcosa che pensava già da molto tempo.
Yao si versò una tazza di tè. «Allora chissà cosa penserai dei miei genitori – sorrise – credo che mia madre sia la donna più ambigua che tu abbia mai conosciuto. Ho ragione?»
Lui sembrò colto alla sprovvista. «Oh. Ehm, ambigua non saprei, diciamo che è molto diversa dalla classica donna giapponese, non so se mi spiego.»
«Anche dalla classica donna cinese. Credo sia l’unica attrice di teatro a non piangere ai funerali, eccetera. Per questo dicevo che è ambigua. Ma non solo, – si affrettò ad aggiungere – tante cose. A cominciare dal fatto che rivendica il diritto di vivere come le pare, ma non vuole che la si chiami femminista o cose così, capisci che intendo?»
«Capisco.» disse, e rimase qualche secondo a osservare Wang Long russare sommessamente sulla poltrona di vimini. Poi aggiunse: «Pensi che lei e tuo padre si amino ancora?» A quel punto Yao deve aver fatto una faccia stranita molto vistosa, perché Kiku si affrettò a parlare ancora. «È una domanda stupida, mi dispiace. Non farci caso, davvero non so perché l’ho detto.»
«Ma figurati, non… non hai detto nulla di oltraggioso, e comunque ti rispondo lo stesso.» Yao non si era accorto di star carezzando il bordo della tazzina col pollice. «Amarsi dici? Diciamo che non sono sicuro che a una certa età si possa parlare di amore. Voglio dire, sì, magari un tempo si saranno anche amati, o comunque credo che ci fosse dell’affetto tra loro. Non prendermi per un romantico, so che molte coppie ora come ora si mettono assieme per interessi economici o cose così, però i miei hanno un vissuto particolare, sai. Entrambi hanno studiato all’estero, e poi venivano da famiglie molto aperte di mente, insomma. Però non saprei dirti se tra loro ci sia mai stato un gran trasporto, ecco, sicuramente c’è stato del rispetto, come adesso. Ma credo che a un certo punto resti solo quello.»
«Hai un’idea un po’ cinica dell’amore.»
«Credimi, di me puoi dire tutto tranne che sia cinico.» Temendo di essersi esposto troppo, Yao trovò presto il modo di spostare l’attenzione sull’interlocutore. «Che mi dici dei tuoi? Pensi si amino ancora.»
«In realtà non saprei davvero. Mia madre è morta quando avevo nove anni, perciò non ricordo molto di lei.»
«Oh.» Yao stava per dire “mi dispiace”, ma Kiku doveva essere ben deciso a non innescare il processo di commiserazione a cui, prima di allora, doveva aver assistito innumerevoli volte, perché riprese a parlare in fretta.
«E mio padre, ecco. Lui è un tipo un po’ freddo, faccio sempre molta fatica a capirlo. Non fraintendermi, non è che sia un orso o altro, solo che non è facile interpretarlo.»
«Davvero non hai ricordi di tua madre?»
«So che suonava il koto¹⁴. E ovviamente che amava molto i fiori, quando era in vita a Kyoto avevamo un giardino molto bello. Lo abbiamo tutt’ora, ma non è la stessa cosa.»
«Per questo ti ha chiamato Kiku?»
Lui sembrò rimanere stordito per un momento. «Come?»
«Vuol dire crisantemo, giusto? Il mio giapponese è un po’ arrugginito.»
Dopo qualche secondo Kiku annuì. «È corretto – disse, e poi un velo di tristezza gli si posò sugli occhi mentre ancora annuiva – erano i suoi preferiti. Ecco. Questa è un’altra cosa che ricordo di lei.»
Yao rimase in silenzio, nascose il viso dalla vista dell’altro. Era sicuro che se fosse rimasto a guardarlo lui lo avrebbe colto mentre vacillava, fosse anche per un momento. Che strano ragazzino. Così giovane eppure del tutto privo di quella spensieratezza tipica dell’innocenza. E nonostante a Yao apparisse evidente che fosse un tipo ingenuo, non riusciva ad associare alla sua persona la leggerezza adolescenziale. Doveva essere pieno di contraddizioni anche lui.
Yao gli versò un po’ di tè nella tazza, che durante quella pausa era stata quasi svuotata. «Devi andarne fiero – mormorò, come se gli stesse rivelando un segreto – È un fiore nobile.»
Kiku sollevò lo sguardo su di lui, un filo di vento passò tra loro. Mentre guardava il proprio riflesso dentro alle sue iridi scure, Yao ebbe la sensazione di aver già vissuto quell’esatto momento milioni di volte.
A un tratto, accadde qualcosa di imprevisto. Dalla poltrona di Wang Long si sollevò un’improvvisa ronfata, e subito dopo una frase detta a una velocità fotonica, e nonostante ciò quasi comprensibile (con il silenzio del pomeriggio e l’acustica quasi teatrale del porticato era impossibile non sentire), qualcosa come “andiamamangiare… – un respiro dal naso – i nani”. Capirono che Long stava parlando nel sonno. Sul momento Yao non aveva detto nulla, era rimasto a osservare interdetto suo padre che si stirava e si rimetteva comodo. Poi, voltandosi, aveva visto la faccia di Kiku deformata dal colossale sforzo d trattenersi dal ridere. Allora, per qualche motivo che gli era ignoto, Yao decise di mungere quella mucca fino all’ultima goccia.
«I nani, bà-ba
«Mh.»
«E dove?»
«Al tempio di Confucio
«Di Nanchino?»
«Di Pechino
Kiku ormai aveva ceduto, e con una mano sugli occhi aveva lasciato che una risata sibilata facesse da sottofondo a quella conversazione delirante.
«È un po’ lontano, bà-ba
«Basta Yao, ti prego.»
«Come ci arriviamo da qui a Pechino?»
Un rantolo, «Con le ginocchia.»
«Con le –
E a quel punto Yao gettò la testa in avanti, mentre la sua risata scrosciante faceva eco a quella asmatica di Kiku. Un momento prima gli stava decantando le virtù del crisantemo in quell’atmosfera da dramma hollywoodiano, un momento dopo discuteva di nani serviti per cena al tempio di Confucio da raggiungere sulle ginocchia. In quel momento si accorse se Kiku aveva gli incisivi inferiori storti, e che quando rideva gli si formavano due fossette sulle guance. E capì, mentre osservava gli spasmi del suo addome, che aveva sbagliato a giudicarlo come un ragazzino presuntuoso e insignificante. In realtà era solo un timido, uno che cercava spasmodicamente un contatto quasi impossibile da trovare.
«Perché mi guardi così?»
Yao sbatté le palpebre un paio di volte, Kiku ancora sorrideva. In quel momento capì una terza cosa, si rese conto di aver cercato di piacergli per tutta la durata della conversazione. E Kiku doveva essersi accorto che Yao non avrebbe risposto, perché si alzò in piedi, si inchinò, e disse che aveva qualcosa da fare. Così si allontanò, le ombre delle colonne interrompevano di tanto in tanto la luce sulla sua nuca scura e sulle spalle, e Yao non si sarebbe mai aspettato ti vederlo voltare il capo e il torso e camminare di lato per qualche secondo, solo per guardare verso di lui mentre se ne andava.
 
 
 
 
 
____
Note:
 
  1. Lo Xinjiang è una regione nel nord ovest della Cina dove convivono numerose minoranze etniche, è collegata all’Afghanistan tramite un piccolo corridoio di terra, ed è inoltre la regione da cui passava la famosa via della seta;
  2. Mǔmā: zietta, viene usato anche per riferirsi affettuosamente a una donna di una certa età;
  3. Xiǎo: “piccolo”, prima di un nome proprio assume un’accezione vezzeggiativa;
  4. Xiǎohuǒzi: “ragazzo”;
  5. Mántou: pane cinese al vapore;
  6. Xiānsheng: “signore”, appellativo di cortesia;
  7. Nǎi-nai: “nonna paterna”, “nonnina”, anche in questo caso non si tratta della vera nonna di Yao, ma di un modo affettuoso per rivolgersi a una persona anziana;
  8. Curiosità: il testo fa riferimento a un tipo di moneta che è stata per la prima volta introdotta durante la dinastia Qin (221-207 a.C) e che è rimasta in uso fino all’istaurazione della Repubblica Popolare (1949); il foro centrale era di forma squadrata e contribuiva a una doppia funzione: da un lato permetteva di legare le monete tra loro con una corda, da un altro voleva rappresentare la Terra, che secondo il pensiero cinese tradizionale è quadrata, mentre la volta cinese è sferica (ed è quindi rappresentata dalla restante parte della moneta);
  9. Jiǎozi: ravioli cinesi;
  10. Húntun: chiamati anche wonton, ravioli in brodo;
  11. Gē-ge: “fratello maggiore”, “fratellone”, vale il discorso sopra;
  12. Il viaggio in Occidente, pubblicato in Italia anche come Lo Scimmiotto, è un romanzo di epoca Ming attribuito tradizionalmente a Wú Chėng’ēn, che vede protagonista lo scimmiotto di pietra Sun Wukong (per i giapponesi Son Goku), e che negli anni è stato di ispirazione per serie tv, fumetti, anime e manga, il più famoso dei quali è senz’altro Dragon Ball (Scimmiotto/Sun Wukong, come Goku, viaggia su una nuvola, possiede un bastone magico e indossa un diadema che lo costringe ad ubbidire al monaco Xuanzang, nell’anime trasposto nel personaggio di Bulma);
  13. Il sogno della camera rossa è un romanzo di epoca Qing e fa parte dei quattro grandi romanzi tradizionali, insieme a Il viaggio in Occidente, il Romanzo dei Tre Regni e Sul bordo dell’acqua, anche conosciuto come I briganti; si tratta di un’opera talmente carica di significati da aver dato vita a una branca di studi incentrata unicamente su questo romanzo, e che rappresenta un’enciclopedia della quotidianità e degli usi della società cinese dell’epoca;
  14. Il koto è uno strumento a corde giapponese appartenente alla famiglia delle cetre e derivato del guzheng cinese.
  
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