Il cielo era sereno, velato dall’afa
leggera che avviluppava quella mattina di inizio agosto.
Il Castello di Cristallo era però
stranamente silenzioso, avvolto da un’atmosfera tetra e immobile.
Sotto alla grande arcata cristallina
era stato installato un altare, e svariate corone floreali diffondevano
nell’aria profumi dolciastri tipici dei funerali.
Cadance era morta.
Princess Mi Amore Cadenza, ex
foalsitter di Twilight Sparkle, adorata sovrana, moglie amatissima e madre
amabile.
Quando Princess Twilight lo aveva
saputo, era scoppiata in lacrime disperate, e una depressione nera le aveva
stretto il cuore.
Era passato appena un anno dalla sua
incoronazione come sovrana di Equestria, ma nulla all’epoca lasciava presagire
la fine di Cadance. Un incidente di volo. Una caduta spaventosa. La fine di
tutto.
Quel giorno, l’alicorno si era
svegliata alle sei, ed il primo pensiero che aveva avuto era stato il funerale
di lì a quattro ore.
Di nuovo, una violenta crisi di
pianto l’aveva sconvolta e aveva dovuto scendere nelle cucine e richiedere alle
domestiche una tisana rilassante per potersi calmare.
“Maestà, come vi sentite?” le
avevano domandato, sollecite.
“Un po’ meglio, grazie. Spike è già
sveglio?” aveva quindi domandato, con la voce ancora tremolante.
“Il vostro consigliere è sveglio, ma
è ancora chiuso nella sua stanza…”
“Bene. Andrò
a parlarci.”
Spike era seduto sopra uno sgabello
di velluto rosso, posto dinnanzi alla finestrona che dava sulla piazza
principale della Capitale di Cristallo.
Lui e la sorella avevano dormito nel
Castello di Cristallo, ospiti di Shining Armor, ridotto ad uno zombie e alle
prese con una figlia di quattro anni irrequieta ed ingestibile.
“Dov’è la mamma? Voglio la mamma!”
era stato lo straziante ritornello della piccola alicorno per tutti i tre
giorni nei quali Twilight aveva vegliato con Shining Armor.
Spiegarle cos’era successo a Cadance
non sarebbe stato semplice, così i suoi cari prendevano tempo e si preparavano
a dire addio per sempre alla loro
congiunta.
Il giorno prima del funerale erano
arrivati pure Night Light e Twilight Velvet, e avevano aiutato il figlio a
sostenere l’andirivieni di creature davanti alla bara di sua moglie, chi con
parole sussurrate di condoglianze, chi con mazzi di fiori, chi con piccole
sculture di cristallo a contenere candeline tremule.
L’unicorno bianco si sentiva ad un
passo dal tracollo, e se non ci fossero stati i fratelli ed i genitori
probabilmente sarebbe crollato definitivamente.
Flurry avvertiva la forte tensione
che permeava l’ambiente, talmente tanto da non riuscire a stare ferma un
attimo; correva da una stanza all’altra, invece di parlare gridava e aveva
scatti d’ira incontrollata, soprattutto perché nessuno le dava spiegazioni
convincenti sul perché la mamma non andasse a coccolarla.
Quanto a Spike, se ne stava ad
ammirare l’alba che piano piano veniva a svegliare la popolazione, ancora
incredulo per quanto era accaduto alla cognata.
“Spike…” lo aveva chiamato la
sorella, ed i due si erano abbracciati, come due naufraghi alla ricerca di zattere.
“Come sta Shining Armor?” era stata
la domanda del drago.
“Dorme ancora. Non ho il coraggio di
andare a svegliarlo, ha dormito pochissimo in questi giorni.”
“Che ore sono?”
Gli occhi dei due fratelli
guizzarono verso il ricco orologio a foglie d’oro che troneggiava sopra il
tavolo di fine cristallo azzurro. Segnava le sei e quaranta.
Entrambi temevano il momento in cui
le lancette avrebbero toccato le dieci, ma nessuno dei due osava dirlo ad alta
voce.
“Vieni a fare colazione?”
Il drago
annuì e lasciò mestamente la camera da letto per gli ospiti che gli era stata
assegnata.
Verso le otto arrivarono anche le
amiche di Twilight e Spike.
Vedendo i loro amici così provati,
decisero di dividersi alcuni compiti: Applejack spostò le corone di fiori dalla
camera ardente al piazzale esterno dove si sarebbe svolta la cerimonia funebre;
Rarity aveva portato per Twilight, Spike e Shining Armor alcuni abiti adatti al
triste evento; Fluttershy si offrì di cantare nel coro della funzione; Pinkie
prese in custodia Flurry Heart e Rainbow Dash ricevette gli intervenuti al
funerale, per poi accompagnarli in piazza.
Nonostante
il completo nero con cravatta vinaccia di Rarity, Shining Armor era ridotto in
uno stato pietoso, con spesse occhiaie e occhi ormai arrossati dal pianto
incessante, e uno stato di coscienza ottuso da una nuvola di ovatta. Forse era
meglio così, pensava Twilight, se poteva aiutarlo a sfuggire a quel dolore
opprimente.
Le dieci di mattina arrivarono in un
lampo.
Twilight aveva un lungo abito con
strascico, simile a quello con il quale era stata incoronata, solo nei toni del
nero, del bianco e del grigio.
Davanti al capo aveva una veletta
sostenuta dalla corona e una piccola rosa rossa.
Con gli zoccoli più pesanti del
piombo, Twilight si mosse verso il pubblico e attese che il coro scemasse per
iniziare a parlare:
“Grazie a voi tutti di essere qui quest’oggi.
Non è un giorno facile, Princess Mi Amore Cadenza ci ha lasciati, ed ha
lasciato un vuoto incolmabile nei nostri cuori. Ora, anche se è difficile,
vorrei che provassimo a ricordarci di lei quand’era viva e felice, e del fatto
che lei amava questo Impero e tutti i suoi abitanti.”
Mentre parlava, la mente di Twilight
galoppò lontana, sciolta nell’etere in maniera fluida, come se stesse guardando
se stessa da una prospettiva esterna. Era tutto vero? Cadance era davvero
deceduta o quello era solo un brutto sogno?
La cerimonia, com’era iniziata, così
terminò, velocemente, lasciando Twilight senza fiato. Erano intervenute pure le
principesse emerite e le loro voci commosse avevano aggiunto ulteriore dolore
al lutto dell’alicorno lilla.
Cadance sarebbe stata sepolta nella
cripta del Castello, così, quando il pubblico se ne andò e Twilight poté
finalmente rimanere da sola con i suoi pensieri, si piazzò davanti al loculo
dell’amata cognata e cominciò a piangere disperatamente, con gli zoccoli posti
come ad abbracciarla.
Shining
Armor e Spike non erano lì. Ognuno era perso nel suo dolore.
“Dov’è Twilight?” aveva chiesto
Applejack, la quale stava aiutando Rarity a pulire la stanza adibita a camera
ardente.
“Nella cripta. Vuole essere lasciata
sola.” aveva mormorato il principe dell’Impero.
Pinkie aveva in braccio sua figlia,
che piangeva disperata. Anche se a quattro anni non sapeva esattamente cosa
fosse la morte, aveva intuito che la mamma non sarebbe più tornata.
La pony rosa gliela passò e Shining
la cullò senza risultati.
Le Cutie Mark Crusaders erano sedute
vicino a Spike e Sweetie Belle gli teneva la zampa per dargli conforto.
“E’ ora di andare.” disse
semplicemente Rainbow Dash.
“Torneremo la settimana prossima.”
le fece eco Applejack.
Poco dopo,
Shining Armor si ritrovò solo nell’immenso Castello, solo con la sua famiglia
sconvolta dal lutto. La giornata era passata tra funerale, un pranzo veloce,
visite alla cripta e il calare inesorabile della sera.
Mentre le ragazze tornavano a casa
in treno, Rainbow Dash decise di aprire la conversazione con qualcosa che aveva
notato durante la cerimonia:
“C’era Lightning Dust. L’avete vista?”
Le amiche annuirono.
“Non era sola, se non sbaglio. Con
lei c’era una puledrina…” disse Rarity, con fare interrogativo, “… Ha una figlia?!”
“Per quanto Lightning Dust mamma
possa farmi rabbrividire, non me la sento di escludere quest’opzione.” le
rispose Rainbow.
“Non aveva un bell’aspetto…”
considerò Fluttershy.
“No, è vero anche questo… Io mi sono
avvicinata per parlarle e lei mi ha zittita dicendo che non era quello il
momento…”
Rainbow Dash covava un’intensa
rivalità per la sua ex compagna di corso Wonderbolt, ma non per questo
desiderava il suo male, anche se lei in passato si era comportata in maniera
assai poco etica.
“Credete che sia malata?” domandò
Applejack.
“Può essere… Una come lei però non
credo sia capace di ammettere una simile debolezza…” rispose ancora la
Wonderbolt, pensierosa.
Le ragazze discussero ancora a lungo
su Lightning Dust e sua figlia, mentre Pinkie semplicemente guardava fuori dal
finestrino e non partecipava. Aveva altro a cui pensare.
Il treno giunse quindi alla stazione
di Ponyville e ciascuna se ne tornò a casa propria.
Era stata una giornata pesante, e
tutti avevano solo voglia di chiudere gli occhi e non badare più a niente.