Storie originali > Soprannaturale > Licantropi
Ricorda la storia  |       
Autore: Mary P_Stark    15/01/2022    0 recensioni
Bradford - 2010
Lorainne Simmons e Kennard Palmer sono entrambi volontari presso il Centro Diurno Rainbow, che si occupa di bambini e di famiglie in difficoltà. La loro amicizia si sviluppa entro le mura del Centro, oltre che fuori, e il suono di un pianoforte accompagna le loro giornate, pur se un'oscura minaccia sembra avvicinarsi per tentare di incrinare il loro neonato rapporto.
Riusciranno i due a fare fronte comune contro questo pericolo, o le loro differenze li divideranno per sempre?
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Prologo
 
 
Maggio 2010 – Bradford
 
Aveva fatto bene, a scegliere di cambiare? La sua routine settimanale si sarebbe drammaticamente ribaltata, così facendo? E i suoi bambini, ne avrebbero sofferto?

Con questi pensieri errabondi, Lorainne Simmons raggiunse il Centro Diurno Rainbow, sorto nei pressi della St. Patrick Church e l’Infirmary Park grazie alle sovvenzioni dei parrocchiani.

L’idea di un Centro Diurno accessibile ai bambini, soprattutto a coloro che erano affetti da disabilità, era nata più di quindici anni addietro. Grazie a Padre Christopher Hansen che, all’epoca, aveva avuto sulle spalle la gestione di quella parrocchia nella periferia di Bradford, era nato quell’utopistico progetto al solo scopo di aiutare i bambini meno fortunati.

Di fronte agli evidenti problemi di non poche famiglie della zona, soprattutto mono genitoriali o con gravi disagi economici o sociali, il parroco aveva lanciato l’idea di costruire una sorta di rifugio per tutti i minori più bisognosi.

La collettività si era resa più che disponibile a dare una mano e, nel giro di poco più di un anno, il Centro Diurno Rainbow aveva visto la luce.

Nel corso degli anni, e con il succedersi dei parroci – Padre Christopher era deceduto alcuni anni dopo l’apertura del Centro – il progetto si era via via allargato, fino ad annoverare una decina di dipendenti e numerosi volontari.

Avendo a sua volta vissuto per anni in condizioni disagiate, sballottata di casa in casa dopo essere stata abbandonata dalla madre senza uno straccio di spiegazione, Lorainne aveva accolto con favore l’invito di un’amica a partecipare al progetto.

Di buona lena, aveva quindi riprogrammato i suoi impegni quotidiani e, una domenica mattina di due anni addietro, si era presentata assieme a Kathleen – l’amica che l’aveva invitata a diventare una volontaria – per parlare col direttore del Centro.

Due settimane dopo, aveva iniziato a partecipare agli eventi organizzati in loco e, di buona lena, aveva svolto un corso di preparazione per il suo nuovo compito, oltre a uno di primo soccorso.

A quel punto, si era resa disponibile ogni lunedì mattina e questo era continuato fino a poche settimane prima, quando una nuova incombenza, all’interno del branco, le aveva reso impossibile proseguire.

Uno dei lupi più anziani di Alec Dawson, Fenrir di Bradford e suo capoclan, si era dato alla macchia, morendo per il mondo degli umani e allontanandosi da quello dei licantropi, pronto a non farvi più ritorno.

Non che fosse una stranezza. Capitava spesso che i licantropi, specie in tarda età, decidessero di tornare alla Natura, lasciando che il mondo umano si dimenticasse di loro. Veniva perciò approntata una fine dignitosa per ognuno di loro e, grazie a medici compiacenti, ne veniva dichiarata la morte per il mondo civilizzato.

A questi lupi veniva quindi data libertà di allontanarsi dal branco e di non rispettare più l’autorità del proprio Fenrir e, di loro, non si sapeva più nulla. Justin Crawford era stato l’ultimo, in ordine di tempo, a prendere questa decisione, e Lorainne era stata deputata a prendere il suo posto come Sentinella.

Quel ruolo, per quanto guadagnato con lotte al primo sangue sempre andate a suo favore, l’aveva però costretta a rivedere i suoi piani, onde per cui si era vista costretta a cambiare il suo turno al Centro Diurno.

Turno che ora la vedeva, la domenica mattina, dinanzi alla porta secondaria del Centro, con le braccia ricolme di scatoloni e l’indecisione dipinta in volto.

Non che avesse difficoltà a fare amicizia con le persone, ma aveva dovuto ripartire così tante volte, nella sua vita, che simili stravolgimenti la mettevano sempre un tantino in ansia.

“Ho idea che tu abbia bisogno di una mano” esordì una voce alle sue spalle, strappandola alle sue giravolte mentali.

Volgendosi a mezzo, Lorainne intercettò lo sguardo caldo e color nocciola di un uomo piacente, sui trenta - trentacinque anni, abbigliato con jeans e maglioncino di cotone e che, come lei, stava entrando al Centro.

Un volontario?, si chiese Lorainne prima di sorridere e ammettere: “In effetti, stavo decidendo se lasciare qui uno scatolone oppure tentare di aprire a suon di gomitate.”

L’uomo sorrise divertito e, ammiccando all’indirizzo della porta, dichiarò: “Credimi, posso agevolmente semplificarti la scelta.”

Ciò detto, la oltrepassò e aprì per lei il battente in vetro satinato, dopodiché si esibì in un frivolo inchino, cui fece seguire un mormorio roco che la sorprese e sì, la stuzzicò.

“Prego, entri pure, miss…”

“Lorainne Simmons, molto piacere” replicò lei, entrando e attendendolo nel corridoio perché la seguisse.

Lui non si fece pregare e, nel liberarla di uno dei due scatoloni, disse per contro: “Kennard Palmer, piacere mio. Sei nuova, per caso?”

“Sono volontaria qui da almeno due anni ma, per esigenze personali, ho cambiato turno dal lunedì mattina alla domenica. E tu?” gli spiegò lei, camminando tranquilla lungo il corridoio fino a raggiungere la stanza dei giochi.

Lì, entrò assieme a Kennard mentre l’uomo, ammiccando leggermente, asseriva: “Oh, quindi sei qui da molto anche tu. Io ho sempre avuto il turno domenicale, invece. Da oggi, quindi, lavoreremo assieme.”

“Già” annuì lei, sistemando su un tavolo i propri lavori di cartapesta.

“Cos’hai portato, per curiosità?” domandò a quel punto lui, indirizzando un’occhiata interessata al contenuto delle scatole.

“Alcuni lavori in cartapesta che i bambini possono usare per giocare. Non costano nulla, visto che li preparo io e, con questi, ben difficilmente potrebbero farsi male” sorrise Lorainne, estraendone uno per mostrarglielo.

Kennard lo prese in mano con espressione ammirata e, rigirandolo dinanzi agli occhi, esalò: “Beh, Lorainne, hai una manualità spettacolare. Io riuscirei sì e no a fare una palla.”

Esibendosi in un sorrisino divertito, la donna replicò: “Non credere che sia facile fare una sfera. Il più delle volte, ne esce un fagiolo.”

Risistemando l’oggetto – una casetta dal tetto rosso – Ken assentì con un risolino, asserendo: “Io, allora, sarei bravissimo nel fare fagioli.”

“Di solito, chi si denigra tanto, è anche molto umile. Dubito tu sia così terribile” replicò lei.

Lui allora rise, una bella risata calda e corposa, una risata che portò Lorainne ad accentuare il proprio sorriso e a godere delle reazioni della propria lupa al suono così morbido di quella voce.

Per quanto Kennard fosse solo un semplice umano, la sua voce vibrante e roca pareva solleticare gli istinti della sua lupa, portandola a gongolare a ogni sua nuova parola.

Non le accadeva spesso ma, quando succedeva, Lorainne ne godeva a piene mani poiché, quando la sua lupa era contenta e appagata, l’istinto predatorio scemava di colpo, lasciandole campo libero per poter vivere come un’umana.

Erano ormai cinque anni che conviveva con questa sua doppia natura e, per quanto il suo battesimo del fuoco fosse stato traumatico, ora le piaceva essere una mannara. Quando, però, doveva aver a che fare con i periodi di fertilità, le riusciva ancora difficile trattenere la lupa e la sua sete di accoppiamento.

Stare con i bambini, oltre a piacerle da sempre, l’aveva aiutata a contenere la sua parte ferina perché, a quanto pareva, anche alla lupa piaceva prendersi cura dei cuccioli. Umani o mannari che fossero.
 
Scoprire che, da quel giorno in poi, avrebbe avuto un’altra distrazione dai suoi istinti lupeschi più marcati, fu una gradevole sorpresa.

Quando poi, questa distrazione, aveva il viso piacente di un uomo all’apparenza intelligente e dai tempi comici perfetti, non poteva che essere un vantaggio.
 
***

Kennard aveva sempre dato per scontato che una chioma fluente, in una donna, fosse una caratteristica quasi imprescindibile. Lui, per lo meno, aveva sempre apprezzato i capelli lunghi, nel genere femminile.

Per quanto non potesse definirsi un latin lover, aveva avuto diverse ragazze, in passato, e tutte avevano potuto vantare una chioma stupenda e lunghissima.

Quando, però, quella mattina vide per la prima volta il viso di Lorainne Simmons, incorniciato unicamente da una corta capigliatura di biondissimi capelli, si ricredette all’istante.

Quando un volto era speciale, cesellato in maniera sopraffina e corredato di splendidi occhi di un grigio scuro e fumoso, i capelli passavano in secondo piano.

Per quanto, i suoi, fossero comunque belli, di un bel color paglierino, tagliati in modo da far risaltare gli zigomi alti e l’ovale del volto.

Saperla a sua volta volontaria lo sorprese e quando scoprì che, da quel giorno in poi, si sarebbero visti al Centro Diurno, Ken non poté che esserne lieto.

Non aveva molto tempo per fare amicizia, il lavoro e gli impegni di famiglia lo tenevano più impegnato di quanto non volesse, ma non poteva farci nulla, perciò il Centro Diurno era divenuto in fretta la sua valvola di sfogo.

In primis, perché poteva darsi da fare davvero per rendere felici i bambini, bambini che non sempre, sul lavoro, era in grado di proteggere, come addetto ai servizi sociali per il comune di Bradford. In seconda istanza, perché quel genere di attività riusciva a rasserenarlo, a rendergli meno difficile affrontare la vita di ogni giorno che, di carino e coccoloso, aveva ben poco.

Stare in compagnia con i bambini, cercare di renderli felici e sereni e ricevere in cambio i loro sorrisi e il loro affetto, era per lui il balsamo migliore del mondo.

E, a giudicare da come Lorainne si prendeva cura dei bambini del Centro, non doveva essere molto diverso neppure per lei.

La mattina era volata via leggera, tra l’arrivo dei ‘clienti fissi’ del Centro e i giochi che Lorainne aveva messo in atto per distrarli, coadiuvata sia da lui che da un altro paio di volontari.

Verso mezzogiorno, avevano quindi dato il pranzo ai presenti dopodiché, uno per uno, i bambini erano stati fatti sdraiare sui materassini per un riposino pomeridiano.

Fu in quel momento di relativa tranquillità, con il silenzio a farla da padrone e la calma ad avvolgere ogni cosa, che Kennard si sistemò accanto a Lorainne e mormorò: “Non sembrano neanche lontanamente le pesti di un’ora fa.”

Lorainne sorrise dolcemente nell’osservare la distesa di bambini a poca distanza da loro e, nello scuotere il capo, ammise: “Possono essere delle autentiche tempeste un attimo prima e, l’istante successivo, dei teneri agnellini. Sanno trasformarsi dinanzi a noi con sorprendente facilità.”
“Eppure, tu non mi sembri particolarmente stanca” le fece notare lui.

Ammiccando al suo indirizzo, Lorainne replicò: “Oh, ma lo sarò stasera! Quando metterò piede a casa, mi lascerò cadere sul divano e dormirò fino a domattina, quando andrò a farmi una bella passeggiata per i boschi.”

“Niente lavoro, il lunedì?” domandò lui, curioso.

“Il lunedì, apro il mio negozio di articoli musicali solo al pomeriggio” gli spiegò lei, lanciando un’occhiata distratta alla pianola che si trovava sul fondo della stanza. “Quella, l’ho portata io.”

Sorpreso, Kennard esalò: “Hai portato una … Yamaha PSR-RX600 a titolo gratuito?”

Sbattendo le palpebre per la sorpresa, Lorainne mormorò: “Oh… abbiamo un conoscitore di strumenti, qui?”

Lasciandosi andare a un risolino sommesso, lui ammise: “Non posso negare di averla suonata più di una volta, in questi due anni, ma colpevolmente non mi sono mai chiesto da dove fosse saltata fuori.”

“E posso sapere se la pianola è stata felice di essere suonata da te?” gli domandò a sorpresa lei, spiazzandolo.

Kennard la fissò basito per alcuni istanti, prima di vederla ridere silenziosamente e accendere il volto di ilarità.

Sì, Lorainne non aveva affatto bisogno di una chioma fluente, per apparire affascinante. La pelle di pesca del suo viso riluceva candida, alla luce diafana del pomeriggio – oscurata dai tendaggi tirati dinanzi alle porte-finestre – e le sue labbra morbide, a forma di cuore e ora piegate in un sorriso, catturavano l’attenzione anche del più distratto tra gli uomini.

E lui, volente o nolente, non era mai distratto.

“Scusa, la domanda deve esserti sembrata davvero assurda” riprese a dire Lorainne, tergendosi una lacrima di ilarità. “Nel mio negozio ho un pianoforte che non suona quasi nessuno, a parte me e pochissimi eletti, e mi chiedevo se tu potessi diventare un suo nuovo fruitore.”

“E come mai questo pianoforte è così schizzinoso?” le domandò a quel punto Kennard, incuriosito da quella storia davvero stramba.

“Clarisse, il nome del pianoforte, tende a emettere note stonate, se chi lo usa non è di suo gradimento” ammiccò lei con fare da cospiratore. “Non so dirti se sia posseduto o meno dallo spirito di mia nonna, a cui è intitolato lo strumento, ma tant’è. Infatti, al momento siamo solo in tre a poterlo toccare.”

Sinceramente sorpreso da quella storia, Kennard si esibì in un sorrisetto furbo e, nel massaggiarsi il mento, domandò: “Lunedì pomeriggio sei aperta, eh?”

“Uhm… vuoi tentare la sorte?” domandò allora lei, sollevando le sopracciglia con espressione divertita.

“Mi tenti, Lorainne, davvero” ammise lui prima di notare un movimento tra i bambini.

Subito, Lorainne si volse a propria volta e, nel vedere la piccola Ana agitarsi nel sonno, si affrettò a raggiungerla per inginocchiarsi al suo fianco. Dolcemente, e con movimenti così sinuosi e morbidi da far pensare alla fluidità dell’acqua, Lory la raccolse tra le braccia e la cullò contro il seno, sussurrando una nenia a bassa voce.

Rapito da quel suono, delicato come il frusciare del vento tra le fronde di un bosco, Kennard rimase in religioso silenzio, cullato a sua volta da quella voce di contralto che, lentamente, trasportò Ana nuovamente tra le braccia di Morfeo.

Quando fu certa che la bimba si fosse chetata, Lorainne le baciò la fronte con un sorriso dopodiché, sistematala sul materassino, la coprì con una coperta color cielo e tornò accanto a Kennard, su una comoda panca imbottita.

Kennard, allora, lasciandosi andare contro il muro, mormorò: “Stavo per addormentarmi anch’io. Canti davvero bene.”

Lei sorrise grata, replicando: “Non è nulla di che. Non ho una voce abbastanza potente per poter cantare certi brani, ma le nenie non hanno bisogno della potenza vocale di Whitney Houston, per cui…”

“Se avessi cantato questa nenia a mia sorella quando era piccola, probabilmente non sarebbe cresciuta come l’Anticristo personificato” chiosò a quel punto Kennard, portandola a coprirsi la bocca per non esplodere in una corposa risata.

I suoi occhi, però, gli dissero quanto quell’accenno l’avesse fatta divertire e, nello scorgere lacrime d’ilarità illuminare il suo sguardo fumoso, si sentì innaturalmente felice al pensiero di averla resa felice.

L’istante seguente se ne chiese il perché ma, quando la sua mente gli presentò il conto, mostrandogli immagini fuggevoli di Lorainne e delle sue forme squisite, preferì cancellare alla svelta quei pensieri.

D’accordo, era da un bel po’ che non stava con una donna e che non aveva una relazione stabile, ma da lì a sbavare di fronte a una sua collega volontaria, ce ne correva.

Eppure, altre immagini cospirarono contro di lui, costringendolo a distogliere lo sguardo per puntarlo sui bambini che, saporitamente, stavano ancora riposando.

Magari si fosse trovato al loro posto! Forse, avrebbe evitato di fare la figura dello scemo.

Lorainne, però, mise in serio pericolo il suo autocontrollo, poggiando una mano sulla sua spalla come a voler darsi una spinta per alzarsi in piedi dopodiché, ammiccando al suo indirizzo, gli domandò: “Vado a prendere una bibita al distributore. Posso portarti qualcosa?”

“Ah… no, grazie. Sto bene così” riuscì a dire lui, raggranellando un minimo di cervello per poter rispondere con proprietà.

Lei allora ammiccò, se ne andò con passo elegante e maledettamente sensuale, pur se non sembrava farlo di proposito e Kennard, finalmente – finalmente? – solo, riuscì a riprendere a respirare normalmente.

Che dipendesse dall’astinenza, dal suo naturale fascino, dal profumo di rose o da qualcosa che ancora non era riuscito a inquadrare, ma Lorainne riusciva a destabilizzarlo in un modo del tutto nuovo.

Quando, però, vide Bob Withacker entrare nella saletta per scambiare due chiacchiere, notò anche sul suo volto la stessa espressione stordita che, quasi sicuramente, doveva avere anche lui e, in parte, si tranquillizzò.

Non era lui nello specifico a essere impazzito, era Lorainne a instupidire gli uomini. Che fosse meglio o peggio, non era in grado di dirlo, ma almeno non si sentiva più un idiota totale.

“Perché ho l’impressione che tu abbia incrociato Lorainne lungo il corridoio?” chiosò Kennard, indicandogli poi un’immaginaria gocciolina di bava su un lato della bocca.

Bob ridacchiò nel mandarlo beatamente al diavolo e, accomodatosi sulla panca accanto alle finestre, mormorò roco: “Dovrei essere diventato cieco, per non vederla.”

“Mi consolo, perché pensavo di essere rincitrullito di colpo” sospirò allora Ken, sistemandosi al suo fianco.

“No, tranquillo. Ci sono parecchi cuori infranti, qui al Centro” ammise a quel punto Bob, allungando gli avambracci sulle cosce, lo sguardo perso in direzione dei bambini addormentati. Alcuni di loro si mossero nel sonno ma, ancora, nessuno diede segno di volersi svegliare.

“Nessuna conquista, però?” si informò Kennard.

“Non che io sappia e comunque, se fosse successo, il fortunato si sarebbe vantato” ammiccò Bob. “Lo-Lo è dolce e gentile con tutti perché, immancabilmente, ci tratta tutti come se fossimo bambini.”

“Lo-Lo?” ripeté incuriosito Kennard, facendo tanto d’occhi.

“E’ il nomignolo che le hanno affibbiato i bambini e, in tutta onestà, le sta bene. Esprime tutta la sua dolcezza, se ci pensi” asserì Bob, ammiccando al suo indirizzo.

Kennard assentì pensieroso e, tra sé, si immaginò coccolato come la bambina che, in precedenza, Lorainne aveva preso tra le braccia perché si riaddormentasse. Sarebbe stato un bel modo, per essere trattato come un bambino.

Al solo pensarlo, un sorriso divertito gli sorse spontaneo sul volto ma, quando avvertì dei passi lungo il corridoio, se lo tolse immediatamente dalla faccia, temendo assurdamente che lei potesse comprenderne i motivi.

Non era davvero il caso di apparire un tale assatanato, anche se lei avrebbe dovuto essere una veggente per capire quali fossero i suoi pensieri.

Nel vederla rientrare, tra le mani tre lattine di tè freddo, Lorainne sorrise nel vedere Bob e, dopo avergli passato una lattina, si andò a sistemare sul lato libero di Kennard – facendo segretamente la sua felicità – e passò la seconda lattina a lui.

“Grazie, ma non dovevi” mormorò Ken, facendo tintinnare la sua lattina contro quella di Lorainne e poi quella di Bob, giusto per non fare differenze.

“Mi andava” scrollò le spalle lei, sorseggiando il suo tè alla pesca prima di irrigidirsi leggermente, passargli la lattina e alzarsi in piedi proprio nel momento in cui un bambino si risvegliava di soprassalto, forse scosso da un incubo.

Prima ancora che Kennard e Bob potessero comprendere la situazione, lei si accucciò accanto al bambino gorgogliante, lo prese in braccio perché non svegliasse anche gli altri e, nel tenerselo stretto, uscì dalla stanza per coccolarlo in privato.

Bob, a quel punto, ammiccò all’indirizzo di Kennard e mormorò: “Hai capito cosa intendevo? Dolce e gentile.”

“E percettiva. Ha capito subito che qualcosa non andava” sussurrò ammirato Kennard, colpito dalla rapidità con cui si era accorta del risveglio nervoso del bambino.

“C’è un motivo se i bambini la adorano” motteggiò Bob mentre, dal corridoio, le parole tenere e rassicuranti di Lorainne accompagnavano il bambino a un risveglio più sereno e tranquillo.

Inspiegabilmente, anche Kennard si sentì rasserenato da quel tono tenero e materno, quasi stesse parlando a lui e non tanto al bambino tra le sue braccia.

Lorainne sapeva intessere davvero magie, con la sua voce.
 
***

D’accordo, aveva accettato la sfida del pianoforte più per curiosità, che per reale interesse nei confronti di quello strumento – all’apparenza – stregato ma, quando si trovò dinanzi allo Stereophonics, Kennard indugiò dubbioso dinanzi alla porta.

Le persone presenti nell’ampio negozio erano diverse e, in tutta onestà, lui non aveva molta voglia di fare la figura dell’idiota, piazzandosi sulla panchetta dinanzi al piano per poi scoprire di non saper strimpellare una sola nota decente.

Quando, però, Lorainne lo inquadrò oltre lo specchio della porta e gli sorrise, invitandolo poi a entrare, non poté più defilarsi. Ormai, doveva farsi coraggio e sperare che il pianoforte di Lorainne non gli giocasse un brutto tiro.

“Ciao! Come promesso, eccomi qui” esordì lui, salutandola con un cenno della mano.

Lorainne gli sorrise ampiamente, consegnò lo scontrino e la scatola contenente un flauto a una eccitata ragazzina undicenne e alla madre dopodiché, nell’uscire da dietro il bancone, disse: “Sono lieta tu abbia accettato di venire. Clarisse sembra irrequieta, oggi. Neppure io riesco a suonarla bene.”

Oh, ottimo, un pianoforte con le paturnie, pensò tra sé Kennard, cominciando davvero a preoccuparsi.

Mostrandoglielo con un certo orgoglio, Lorainne poggiò una mano con naturalezza sulla schiena di Kennard per sospingerlo dolcemente verso lo strumento e l’uomo, nonostante tutto, provò un brivido improvviso. Ma non certo di freddo.

Quel tocco casuale, leggero e amichevole, ebbe su di lui l’effetto di un’autentica scossa a basso voltaggio e, in cuor suo, sperò che la donna al suo fianco non si fosse resa contro della sua reazione incontrollata.

Sarebbe stato imbarazzante spiegarle quanto sembrava essere preso, quando stava vicino a lei. Gli dava quasi l’impressione che Lorainne potesse piegarlo alle sue volontà con il semplice suono della sua voce, quasi sapesse quali corde suonare all’interno del suo animo.

Il che, di per sé, era un’autentica follia.

Quando, però, raggiunsero il piano e la sua mano sfiorò i legno lucido e nero della cassa armonica, anche la presenza di Lorainne andò a sparire, almeno per un attimo, sostituita dall’ammirazione per quel magnifico pianoforte a coda.

Accarezzandolo con reverenziale timore, si accomodò sul panchetto sotto gli occhi di alcuni clienti dall’aria sorpresa ma, disinteressandosi completamente del loro eventuale giudizio, poggiò le dita sui tasti in avorio e pigiò il tasto del la.

Il suono che ne scaturì vibrò elegante all’interno del locale, attirando altri sguardi curiosi e l’interesse della padrona del negozio che, sorridendo incoraggiante a Kennard, mormorò: “Suona.”

Fu un sussurro, niente più che una richiesta, eppure Kennard si sentì spinto a obbedirle, preda di un calore che si sviluppò dall’interno del suo corpo fino a raggiungere la sua mente, ora iperattiva.

Come guidato da fili invisibili, le mani si mossero agili sulla tastiera, intonando le prime note di Per Elisa. Subito, il suono si trasmise in ogni angolo del negozio che, come una cassa di risonanza, amplificò la melodia fino a renderla l’unico rumore udibile.

Nessuno fiatò, rapito da quei suoni armonici e strutturati e Lorainne, quasi inconsapevolmente, si avvicinò a Kennard per poggiare una mano sulla sua spalla, mentre l’uomo continuava a suonare come preda di una magia.

Soltanto a brano ultimato, Ken parve risvegliarsi dalla trance in cui era parso cadere e, nell’osservare sorpreso e colpito Lorainne, esalò: “Beh… schifo non ha fatto, ti pare?”

Un applauso spontaneo si levò tra i presenti e la giovane, nel sorridergli, replicò: “Direi che era più di non ha fatto schifo. Sei stato meraviglioso.”

Meraviglioso.

No, per niente. Era spacciato, piuttosto. Bell’e che spacciato, si disse lui mentre scrutava inebetito il volto sorridente e pieno di felicità di Lorainne.

Come avrebbe fatto, a quel punto, a non desiderare di veder replicare altre mille e mille volte quel sorriso? Davvero non lo sapeva.

 


N.d.A.: come promesso, ricominciamo a viaggiare nel mondo dei licantropi e, stavolta, torniamo dai nostri vecchi amici inglesi, e con personaggi che già conoscete, anche se abbiamo già incontrato la prima new entry, che è Kennard. Come proseguirà la sua novella storia d'amicizia con Lorainne? Scoprirà il suo segreto, o sarà lei a dirglielo? Si accettano scommesse. ;-)
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Licantropi / Vai alla pagina dell'autore: Mary P_Stark