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Autore: Moriko_    15/01/2022    1 recensioni
[Cells at Work! BLACK] [Glomerulo]
"Il tempio che si trovava alle sue spalle splendeva di una forte luce che sembrava aver scacciato le tetre nubi che avevano sempre avvolto quel maestoso edificio. Davanti a lei, le sue compagne – i Glomeruli – stavano afferrando le ultime ceste colme di glucosio che avevano portato alcuni globuli rossi, mentre parlavano del futuro che le attendeva: avrebbero ripreso il loro quotidiano lavoro, quello di ripulire le cellule, senza più preoccuparsi di smaltire il glucosio in eccesso; la pioggia di insulina era caduta dal cielo come una benedizione, per salvare tutti da un finale disastroso che stava piombando nelle loro vite.
Tutto stava andando per il meglio, come lei aveva sperato... come entrambi avevano sperato."

[Spoiler! post-capitolo 26 del manga di Cells at Work! BLACK | capitoli 26-48] [Missing moment]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Fanfiction

Sommario. 
Un sentimento molto profondo, una terribile separazione e il dolore per la scomparsa di una persona amata. Ma quando il sentimento verso quella persona è così forte lo porti dentro di te, ed è destinato a durare in eterno.

[Spoiler! capitoli 26-48 del manga di Cells at Work! BLACK] [Missing moment]

 

 

Cgqe4dd

Unforgettable love.

 

 

 Spero che lui torni presto. Devo ringraziarlo per prima...

 

Con gli occhi lucidi, una ragazza dai capelli raccolti in un piccolo chignon stava osservando l’atrio del luogo dove lavorava ogni giorno.

Il tempio che si trovava alle sue spalle splendeva di una forte luce che sembrava aver scacciato le tetre nubi che avevano sempre avvolto quel maestoso edificio. Davanti a lei, le sue compagne – i Glomeruli – stavano afferrando le ultime ceste colme di glucosio che avevano portato alcuni globuli rossi, mentre parlavano del futuro che le attendeva: avrebbero ripreso il loro quotidiano lavoro, quello di ripulire le cellule, senza più preoccuparsi di smaltire il glucosio in eccesso; la pioggia di insulina era caduta dal cielo come una benedizione, per salvare tutti da un finale disastroso che stava piombando nelle loro vite.

Tutto stava andando per il meglio, come lei aveva sperato... come entrambi avevano sperato.

Sia lei che le sue compagne - che lui e i suoi compagni - così come il resto delle cellule, sarebbero tornati alla vita di sempre, ma con una piccola novità: se fosse stato vero che l’insulina proveniva dall’esterno, sarebbe stato altamente possibile che quel corpo nel quale lavoravano avesse iniziato a rendersi conto degli errori che aveva commesso e, forse, avesse iniziato a cambiare stile di vita.

Se fosse davvero così... sarebbe un sogno che si realizza... finalmente!

La ragazza sorrise e tornò sulla soglia d’ingresso, restando in attesa dell’arrivo dei primi globuli rossi che erano finalmente liberi da quelle dannate ceste che negli ultimi tempi stavano causando più problemi che sollievo.

«Benvenuti, da questa parte. Prego, entrate e datevi una ripulita!»

 

 

 

Era trascorsa circa una settimana dal giorno in cui lei aveva incontrato quel globulo rosso. Di lui non conosceva nulla, nemmeno il suo nome, ma fin dal primo istante aveva capito che avrebbe potuto fidarsi di quel giovane e delle sue parole.

«Non preoccuparti, non sono così debole. Sono disposto a fare tutto questo per alleggerire il peso che stai portando sulle tue spalle, anche solo per un po’.»

Se era vero che la forza muscolare rispecchiava anche la resistenza fisica, forse quel globulo rosso aveva ragione. D’aspetto fisico quel simpatico eritrocita non sembrava affatto debole, tutt’altro: alto e robusto, era stato in grado di sorreggerla quando lei stava per cadere a terra; qualsiasi altro, al suo posto, forse sarebbe caduto insieme a lei.

Ogni giorno in lei era sempre più forte il desiderio di ringraziarlo. Quel «Grazie...» che gli aveva rivolto non le era mai sembrato abbastanza, anzi. Di certo il crollare sul suo petto per la stanchezza non era stato il modo migliore per ringraziarlo: doveva alzare lo sguardo, guardarlo negli occhi e dirgli tutto ciò che sentiva dentro di sé.

Doveva farlo a nome di tutti, perché grazie all’idea che aveva avuto il loro peso era diventato più leggero. E doveva farlo in particolare a suo nome, perché era stato proprio lui a mangiare tutto il glucosio che lei aveva ricevuto, totalmente sprezzante del grande pericolo al quale stava andando incontro.

Se i globuli rossi avessero continuato a lasciare nei reni quell’eccessiva quantità di glucosio, i reni sarebbero collassati; se gli eritrociti, invece, l’avessero assorbito eccessivamente, loro sarebbero diventati cenere.

In entrambi i casi, ci sarebbe stato un enorme sacrificio... e lei, in particolare, non voleva più che in quell’ambiente di lavoro avvenissero altri sacrifici. Per fortuna l’assunzione di insulina aveva migliorato la situazione generale, per cui quel «Grazie» che voleva dire, quasi urlare ad alta voce avrebbe avuto un significato diverso.

Grazie per non aver gettato la spugna. E grazie per essere ancora vivo.

Ma erano trascorse diverse ore, giorni, e lei aveva iniziato a preoccuparsi. Ogni giorno, i reni erano attraversati da migliaia e migliaia di globuli rossi. Era vero che le possibilità di incontrare di nuovo proprio quel globulo rosso non erano alte, però lei ne era certa: prima o poi, loro due si sarebbero rivisti.

Ma... quando?

In quel momento la ragazza diede un profondo sospiro. Dopo aver ripulito l’ultimo globulo rosso posò il soffione della doccia al suo posto e tornò all’ingresso, dove iniziò ad accogliere gli altri lavoratori che avevano bisogno di essere risollevate dalle fatiche del loro quotidiano lavoro.

Prima o poi tornerà qui... ne sono certa...

Con un sorriso osservò a uno a uno i globuli che stavano arrivando in quel luogo. A un tratto i suoi occhi si spalancarono: tra la miriade di gente che si stava avvicinando in quel punto, agli occhi della ragazza erano spiccate due figure. Nascosti dai loro berretti rossi, un giovane dai capelli corti e corvini e un altro dai capelli argentei raccolti in una coda si stavano avvicinando a lei.

Le venne da sorridere, perché in realtà conosceva molto bene quei due eritrociti. Erano i due amici di quel globulo rosso che l’aveva salvata, e il vederli di nuovo in quel luogo aveva riempito il suo cuore di gioia.

 

Stanno bene... stanno bene, grazie al cielo!

 

Era vero: nel loro piccolo gruppo mancava all’appello proprio quel globulo rosso che voleva ringraziare, ma in un primo momento lei non pose il problema del perché della sua assenza. Spesso i gruppi di lavoro si dividevano a seconda dei percorsi che ciascuno doveva intraprendere, e di certo loro due non costituivano un’eccezione.

Se doveva ammettere la verità, a lei era dispiaciuto non aver visto insieme a loro quella persona che stava aspettando... ma pensò che, se quei due stavano bene, di certo anche lui doveva esserlo. In quel momento, si sarebbe accontentata di ricevere da loro qualche sua notizia: le sarebbe bastato solo questo.

In lei la trepidazione crebbe di secondo in secondo, man mano che la distanza tra loro diminuiva sempre più. Ogni passo che quei due ragazzi facevano nella direzione dell’ingresso del tempio era per lei un passo in più verso quella meravigliosa notizia che tanto attendeva, mentre lei, da parte sua, non vedeva l’ora di dire a loro quella frase che aveva in mente dal momento in cui aveva salutato quel globulo rosso.

Ad un tratto li vide fermarsi e scambiare due parole tra loro. Il loro breve dialogo le sembrò eterno, un’attesa che, se prolungata di qualche minuto, sarebbe potuta diventare piuttosto snervante; per fortuna i due ripresero a camminare subito dopo, e quando furono a pochi passi da lei, la ragazza si preparò ad accoglierli con la sua solita gentilezza.

«Benvenuti. Prego, da...»

Le parole le morirono in gola non appena aveva visto il giovane dai capelli raccolti in una coda passarle accanto in silenzio, senza nemmeno rivolgerle un cenno di saluto e con la testa china. Il suo sguardo sembrava colmo di mortificazione, come se gli fosse successo qualcosa di grave, quasi di terribile.

«Cosa... cosa gli è preso?» chiese con stupore al ragazzo dai capelli corvini, che nel frattempo si era fermato di fronte a lei.

L’altro iniziò a parlare con tono impassibile. «Ora ti spiego. Ti dispiace se posso servirmi da te, per oggi?»

Gli occhi della ragazza brillarono di gioia. Lei non stava aspettando altro: ci teneva a parlare con uno di loro, e così avere un’ulteriore conferma che tutto stesse procedendo per il meglio.

«Nessun problema, seguimi.»


Come spesso accadeva in quel luogo di lavoro, le operazioni di filtraggio si stavano svolgendo in silenzio.

La ragazza fece una gran fatica a non rivolgergli la parola, mentre passava il getto d’acqua proveniente dal soffione della doccia sul corpo di quel giovane eritrocita. Non lo conosceva molto bene, ma a primo impatto le era sembrato una persona molto riservata; anche per questo motivo, di tanto in tanto, il suo sguardo si era rivolto in ogni angolo della sala dove si trovavano. Sorrise nel vedere come la situazione sembrava essere migliorata dopo l’arrivo dell’insulina: ogni globulo rosso era più rilassato, e si stava godendo il processo di ripulitura del sangue senza chiedere a chi gli stava dinanzi di smaltire il glucosio in eccesso.

Mentre i suoi occhi facevano il giro della sala, d’un tratto la ragazza notò qualcosa che contrastava del tutto con l’atmosfera generale. Si trattava dell’altro amico di quel globulo rosso che avrebbe voluto ringraziare di persona, lo stesso che pochi minuti prima sembrava non aver notato la sua presenza. In quel momento quel giovane si trovava dalla parte opposta, e lei aveva notato che egli stava compiendo ripetutamente un gesto ben preciso: si stava asciugando gli occhi, nonostante il getto d’acqua non avesse colpito ancora il suo volto.

Nonostante la lontananza, non le era stato difficile capire il perché di quel gesto. Forse, gli era davvero successo qualcosa di grave e si stava sentendo triste, al punto di piangere di fronte a tutti...

Subito la ragazza spostò lo sguardo sull’eritrocita del quale si stava occupando, spense il soffione e lo rimise al suo posto. «Fatto!» iniziò a dire, ponendo l’asciugamano nelle mani dell’altro che le aveva rivolto un piccolo sorriso.

«Grazie.»

La ragazza ricambiò quel sorriso e lo osservò mentre si asciugava il volto. «Se non è una cosa troppo personale...» disse, «vorrei sapere cosa è successo al tuo compagno. Mi sembra molto triste, e mi farebbe piacere aiutarlo in qualche modo... ecco, a tal proposito, devo ancora ringraziarvi per tutto quello che voi due... e anche il vostro amico che oggi non è qui... insomma: per quello che tutti voi avete fatto per noi!»

In quel momento udì un sospiro provenire dalla bocca dell’eritrocita, che aveva ancora il volto nascosto tra le pieghe dell’asciugamano. Il giovane aveva fermato bruscamente il suo movimento, ragione per la quale la ragazza aveva pensato di essere stata troppo inopportuna con lui.

«Mi... mi dispiace...» concluse lei, abbassando leggermente la testa. «Non volevo entrare nelle vostre faccende private, io–»

«Per favore, dammi la giacca.»

«A-Ah! Sì, scusami: arriva subito!»

La ragazza prese la giacca che aveva riposto sull’appendiabiti che si trovava alle sue spalle e gliela aveva restituita, mentre aveva messo l’asciugamano in una cesta che era al suo fianco.

Dopo essersi vestito, il giovane dai capelli corvini le rivolse nuovamente la parola. «Ho bisogno di parlarti, perché è una cosa che riguarda anche te. C'è un posto dove possiamo appartarci, senza che nessuno ci senta?»

Quell’insolita richiesta da parte del globulo rosso la colse di sorpresa. Nessuno, prima d’allora, le aveva chiesto di parlarle in privato: fino a quel momento gli eritrociti erano giunti lì per due motivi, ripulirsi dagli scarti metabolici e smaltire il glucosio in eccesso.

Quella, invece, era la prima volta che qualcuno le stesse chiedendo uno scambio di parole, a tu per tu, come se fossero stati amici di vecchia data.

Nonostante i suoi dubbi iniziali, la ragazza pensò che non sarebbe stato opportuno rifiutare: per sua natura doveva soddisfare ogni richiesta degli eritrociti, al fine di ripulirli completamente dalla sporcizia che li ricoprivano. D’altro canto, anche se avesse avuto la facoltà di farlo, in quel momento lei non volle assolutamente rinunciare a quella possibilità di dialogo: doveva ancora confidargli ciò che il suo cuore avrebbe voluto urlare al mondo intero, per andare incontro a quel finale felice che tanto aveva desiderato.

«Non appena vi rivedrete, per favore digli che lo sto aspettando. Voglio ringraziarlo di persona per ciò che ha fatto per me...» avrebbe voluto dire da quando aveva visto quel giovane insieme al suo amico arrivare in quel luogo, e quella sua richiesta stava cadendo a fagiolo.

«Certamente» rispose con un tono sereno, «c’è lo spazio che di solito usiamo per le riunioni: è a due passi da qui. Prego, seguimi.»

Dopo aver fatto cenno a una delle sue compagne che si sarebbe allontanata per qualche minuto, la ragazza uscì dalla stanza, seguita dall’eritrocita. Svoltato l’angolo del corridoio, aprì la porta scorrevole della prima stanza sulla destra e così entrarono nel luogo che aveva prima indicato.

I due rimasero in silenzio, guardandosi negli occhi. Solo allora lei notò negli occhi dell’eritrocita lo stesso sentimento di tristezza che aveva visto nello sguardo del suo amico, e a quel punto iniziò a pensare al motivo per il quale i due sembravano essere così giù di morale.

Quando quel globulo rosso riprese a parlare, fu solo allora che lei si rese conto della gravità della situazione, del perché ciò che le stava dicendo la riguardavano da vicino.

Così da vicino, fin troppo da vicino.

La ragazza rimase con gli occhi fissi sul suo interlocutore, senza muovere un muscolo. Ogni parola che giungeva alle sue orecchie stava avendo la stessa potenza di una lama di cristallo di acido urico... anzi, forse anche di più, perché a quello lei era riuscita a sopravvivere, ma di fronte a tutte quelle affermazioni ne era certa: non sarebbe rimasta in vita per molto tempo.

No... no...

Il suo fiato si dimezzò, e lei iniziò a sudare freddo. Si sentì sempre più debole, mentre il suo volto pallido era diventato grondo di lacrime che stavano cadendo dagli occhi in modo incontrollato.

Non è vero...

Quella terribile verità le era piombata addosso senza lasciare alcuna possibilità di scampo. Stava divorando la sua anima fino nelle profondità, come un batterio che aveva distrutto i suoi tessuti: per quanto lei avrebbe potuto convincersi che forse si trattava di uno scherzo di cattivo gusto, che forse qualcuno le avrebbe dato un pizzicotto e così si sarebbe svegliata da quell'incubo - perché si trattava di un terribile incubo - la verità era sempre lì, che la sovrastava e le stava facendo venire delle forti vertigini.

«... è... è un incubo... vero? Lo... lo è...» riuscì a dire, prima di perdere i sensi tra le braccia dell’eritrocita.




Nonostante tutto, la ragazza decise di riprendere subito il suo lavoro.

Il mondo stava andando avanti anche se lei si era allontanata dai suoi doveri per qualche minuto, per cui non ci sarebbe stato del tempo ulteriore per fermarsi ancora, per lamentarsi.

Il lavoro era lì, pronto ad attenderla. Inesorabile, insostituibile come lei.

Se lei si fosse fermata per qualche minuto ancora, avrebbe scaricato sulle sue compagne un peso non indifferente. Per cui, a quel punto le era rimasto solo una cosa da fare: stringere i pugni e i denti, ricacciare le lacrime che continuavano a uscire dagli occhi e andare avanti.

Proprio come aveva detto la sua amata Decana: continuare a lavorare, e farlo senza lamentarsi.

Senza versare una lacrima.

Senza urlare dal dolore.

Era così che stavano le cose, e così dovevano continuare a esserlo... fino al giorno in cui, anche lei, avrebbe chiuso gli occhi per sempre.

Avrebbe continuato a soffrire dentro di sé, mentre ripeteva le stesse azioni per infinite ore: accogliere i globuli rossi all'ingresso, prendere il soffione della doccia e iniziare a ripulirli, riporre il soffione al suo posto e dare a loro l’asciugamano. E così via, in un ciclo interminabile dove, a differenza di alcuni dei loro colleghi, non esistevano intere ore di riposo.

Questa era la vita dei Glomeruli, la sua vita.

Una vita che in quel momento le stava ricordando qualcosa in più. Ogni gesto che stava compiendo, ogni angolo di quel luogo di lavoro le stava ricordando quella persona che solo con la sua presenza le aveva cambiato la vita, e ogni ricordo era più doloroso del precedente.

In quel momento la ragazza fece un’enorme fatica ad accogliere i numerosi globuli rossi all'ingresso con un impeccabile sorriso, a continuare a mantenere quell’atteggiamento durante le operazioni di filtraggio, a non versare una singola lacrima quando porgeva a loro l’asciugamano.

Più volte fu sul punto di cedere, ma non poteva permettersi di farlo, non doveva farlo per fare in modo di svolgere il suo lavoro al massimo delle proprie capacità.

Eppure... sentì la sua anima ridursi sempre più a pezzi di fronte a ogni eritrocita del quale si prendeva cura. Non sapeva per quanto ancora avrebbe resistito: a ogni gesto sentiva che le sue forze la stavano abbandonando, trascinandola lentamente verso la morte.

In fondo non le sarebbe dispiaciuto più di tanto, se ciò le avrebbe permesso di risvegliarsi da quell’incubo per ricongiungersi con il suo amato.

Subito dopo essersi congedata da un altro globulo rosso, la sua vista iniziò ad annebbiarsi. La ragazza si appoggiò a una delle pareti che correvano lungo la sala, portandosi una mano sulla fronte.

Devo resistere... finché nel mio corpo c'è un alito di vita, devo resistere per le mie compagne...

 

«No, così non va affatto bene. Devi riposarti.»

 

Due braccia che la sorressero, e una voce amica.

Lei si voltò con grande fatica, e incrociò lo sguardo colmo di preoccupazione della sua collega di lavoro. Quella ragazza era sempre stata una sua cara compagna di vita: erano cresciute insieme, fianco a fianco, come se fossero state sorelle; una definizione non del tutto lontana dalla realtà, dato che erano nate in due luoghi vicini tra loro nello stesso rene.

Quella giovane la conosceva da sempre, e aveva sempre la parola giusta nel momento giusto. «Su, ti accompagno in stanza. Riesci a fare due passi?»

Lei scosse la testa con un sorriso. «P-Posso ancora lavorare, n-non preoccuparti...»

«No. Non puoi lavorare in queste condizioni.»

L’amica la accompagnò verso l’uscita e la fece sedere su una delle panche del vicino spogliatoio; poi anche lei si accomodò e iniziò ad accarezzarle le spalle per confortarla.

«Penserò io al tuo lavoro» le disse con dolcezza. «Non sarà un problema per me, l’importante è che tu stia meglio. Dobbiamo prenderci più cura di noi stesse, in questo momento difficile: non possiamo permetterci di perdere altre compagne...»

Perdere...

Dagli occhi della ragazza iniziarono a cadere alcune lacrime. Non riuscì più a resistere: lasciò che il grande dolore che stava provando – e che al contempo la stava divorando – fuoriuscisse da lei come un fiume in piena.

«Io...» singhiozzò, «io non voglio più... non voglio più perdere nessuno... nessuno!»

La sua compagna la abbracciò, lasciando che lei posasse la testa sulle sue ginocchia tra i singhiozzi che sembravano non avere fine. «Ed è proprio per questo che dobbiamo aiutarci a vicenda...» le confidò, mentre le accarezzava la testa. «Nemmeno io voglio perdere qualcuno a me caro... soprattutto te. Non so se riuscirei ad andare avanti senza vederti dall’altra parte del luogo dove lavoriamo...»

Le carezze scesero sulle guance, asciugando i fiumi di lacrime che stavano scorrendo. Con delicatezza, la sua amica le sollevò il mento, al punto da far incrociare nuovamente i loro sguardi. «Promettimi che ora andrai a riposarti» disse con commozione. «Come faremo se anche tu ci lasci? Abbiamo già perso la nostra amata Decana, non vogliamo perdere anche te...»

Lei spalancò gli occhi. In quel momento, allora più di prima, si era resa conto di essere diventata un punto di riferimento per tutti loro: dopo la scomparsa della Decana, era stata lei a prendere sulle sue spalle l’enorme eredità lasciata dalla anziana, portando avanti la sua memoria senza mai smettere di lavorare, proprio come lei aveva sempre insegnato.

Eppure, in quel momento le era stato richiesto l’esatto opposto: non lavorare. Era una richiesta delle sue compagne che non volevano più assistere ad un’altra tragedia, perché di tragedie ne avevano già vissute troppe, e il perdere anche colei che prima di tutto era una loro cara amica sarebbe stato l’ennesimo colpo al cuore. Quell’insolita richiesta era la manifestazione di un principio al quale le lavoranti di quel luogo erano sempre state fedeli: lavorare sempre insieme, perché ciascuna di loro aveva bisogno dell’altra, perché anche una singola dipartita avrebbe inciso sull’intera efficienza del luogo dove dimoravano.

E lei... non voleva deludere le loro speranze.

A fatica si alzò in piedi, reggendosi al muro che si trovava di fianco. Guardò l’amica negli occhi e le disse, con sguardo colmo di determinazione: «Te lo prometto... ma a una condizione.»

«Quale?»

«Non appena qualcuna di voi si sentirà stanca, corri subito a chiamarmi. L’ultima cosa che voglio è che voi vi spaccate la schiena per me: non ve lo meritate.»

Dopodiché si asciugò le lacrime, mentre l’amica le diede un cenno di approvazione. «Vuoi che ti accompagno?» le chiese.

Lei scosse la testa. «Posso farcela. In fondo... devo sopravvivere

 

 

Già... ma aveva davvero pensato quelle parole?

Con la schiena contro il letto, gli occhi fissi sulla copertura in legno della sua stanza, lei scosse ripetutamente la testa: questa volta la determinazione che aveva illuminato il suo volto pochi minuti prima sembrava essere completamente svanita, lasciando di nuovo spazio al profondo dolore che, in realtà, non aveva mai smesso di divorarla.

Di scatto la ragazza affondò la testa contro il cuscino, liberando ancora una volta le lacrime dai suoi occhi lucidi. Lo fece perché avrebbe voluto urlare – e così aveva fatto subito dopo – ma senza disturbare il lavoro delle sue compagne: le sue urla, soffocate dalla fodera del cuscino, stavano uscendo senza sosta dalla sua bocca, mentre le sue lacrime inumidivano quello spazio di intimità che, nel giro di un attimo, era diventato di profonda solitudine.

Lei avrebbe voluto cancellare ogni cosa che fino a quel momento era accaduta nella sua vita. Avrebbe voluto lavorare come Glomerulo, e basta: svolgere ogni giorno i suoi doveri, senza pensare ad altro. Ma lei, così come chiunque in quel mondo, non era solo parte essenziale di un sistema più grande di lei: aveva dei sentimenti, provava delle emozioni, e soffriva come tutti stavano soffrendo in quel mondo. Le sarebbe bastato cancellare quest’ultimo punto per essere solo un corpuscolo senz’anima, che agiva meccanicamente senza dover più preoccuparsi di chi viveva e di chi moriva.

Strinse le lenzuola, senza smettere di urlare. Da quel momento in avanti avrebbe dovuto imparare a convivere con quel lancinante dolore che stava avvertendo all’altezza del petto, e in quel momento sapeva che forse sarebbe stato impossibile, ma doveva farlo.

Da Glomerulo, doveva farlo. In caso contrario, a rimetterci sarebbero state le sue compagne.

Non posso… non riesco a dimenticare tutto. Ti prego, aiutami. In qualche modo aiutami ad alleviare le mie sofferenze…

 

 

 

«Ti ringrazio per tutto quello che avete fatto per lui.»

Qualche tempo dopo, la ragazza incontrò quell’eritrocita che era stato messaggero di quella triste notizia. Anche quel giorno c’erano stati pochi scambi di battute tra loro, e al termine del processo di ripulitura dalle labbra di quel globulo rosso era uscito un semplice «Grazie» accompagnato da un mesto sorriso.

Mentre lui stava indossando la giacca, lei richiamò nuovamente la sua attenzione. «Hai un minuto? C’è una cosa che voglio darti... anzi, che voglio darvi

L’eritrocita annuì, e la seguì fino al luogo dove egli le aveva dato la notizia della scomparsa del suo caro amico. Entrati in quella sala, la ragazza si avvicinò al piccolo tavolo in legno che si trovava al centro della sala: era completamente spoglio, ma su di esso vi era un bouquet di fiori, tra i quali spiccavano dei candidi gigli.

Lo prese in mano e, tornata dall’eritrocita, glielo porse. «Questo è per il vostro amico. Vorrei tanto portaglielo io, però... sai...»

«Capisco. Non preoccuparti.»

Il globulo rosso prese il bouquet e la guardò negli occhi. Il suo sguardo era colmo di commozione: era evidente che quel gesto gli aveva fatto molto piacere. «Sai...» iniziò, rivolgendo gli occhi sui fiori che spiccavano da quel mazzo, «sono certo che gli piaceranno molto. Specie se... se si tratta di un regalo da parte tua: già immagino la sua gioia...»

L’eritrocita si asciugò gli occhi lucidi e proseguì: «Ti chiedo scusa. Stavo dicendo che farò come mi hai richiesto.»

«Grazie. Grazie davvero...»

La ragazza gli rivolse un inchino e voltò subito le spalle, trattenendo il più possibile i singhiozzi. «Grazie di tutto...»

Quando sentì i passi dell’eritrocita allontanarsi da lei e la porta della sala chiudersi per la seconda volta, lei lasciò cadere le lacrime, che caddero sul pavimento come gocce di pioggia.

In cuor suo iniziò a chiedersi se avesse avuto senso un gesto del genere. Sapeva che qualsiasi genere di cellula – a cominciare proprio dalla sua amata Decana – non poteva più rigenerarsi una volta morta: per loro non esisteva un concetto equivalente a qualcosa come una rinascita.

Per cui... quel globulo rosso così forte e coraggioso avrebbe potuto davvero vedere tutto questo? Tornare in quel luogo e ammirare quello splendido mazzo di fiori che lei aveva preparato appositamente per lui?

In quel momento le sarebbe bastato anche solo un piccolo segnale per sentirsi più risollevata, per sapere che lui fosse ancora presente in quel mondo, anche se lei non avrebbe potuto vederlo.

Ma quel segnale non arrivò. Forse non sarebbe mai arrivato.

Lei si sedette a terra e scoppiò a piangere.

 

 

 

La ragazza sorrise nell’osservare la sala piena di persone dai volti sereni. Le sue compagne sembravano essere più determinate del solito, mentre i globuli rossi non smettevano di raccontare a loro tutto ciò che di bello era accaduto nel corso della loro giornata lavorativa.

Tutti erano felici e sereni. Dopo tanta sofferenza il loro mondo era diventato migliore: dalle parole di quegli eritrociti lei aveva immaginato vasi sanguigni sempre più puliti di giorno in giorno, le normali cellule più rilassate e disponibili a un cordiale scambio di parole con quegli instancabili fattorini, e gli altri organi che brillavano di una luce mai vista prima.

Le sembrava di essere tornata ai tempi nei quali era piccina, di quando, con occhi da bambina, osservava proprio quell’ambiente lavorativo e non vedeva l’ora di aiutare l’amata Decana e le sue compagne.

Con gli occhi lucidi non riusciva a smettere di sorridere. Tutto sembrava essere tornato come prima, e ora toccava a lei offrire quella gentilezza di cui i globuli rossi avevano bisogno, e da essi ricevere altrettanto per alimentare quell’energia che tutti utilizzavano per il loro lavoro senza sosta. O quasi, considerando il fatto che a differenza di prima ciascuna di loro aveva a disposizione qualche minuto in più per fermarsi e godere di quello spettacolo.

Lei tornò all’ingresso di quel gigantesco tempio, accogliendo gli eritrociti che avevano bisogno di essere ripuliti.

«Benvenuti, da questa parte. Prego, entrate e datevi una ripulita» disse con un raggiante sorriso.

 

 

Si affacciò dalla balconata che dava sull’ingresso. Aveva qualche minuto di pausa, per cui ne aveva approfittato per ammirare il viavai dei globuli rossi dal punto più alto del tempio: anche quel luogo, ricostruito dopo i pesanti bombardamenti conseguiti alla guerra contro le cellule tumorali, sembrava essere tornato come prima. L’ingresso era stato completamente ripulito dalle macerie, e quell’atrio pullulava della presenza di centinaia di globuli rossi, alcuni dei quali erano in sosta presso i tavoli posizionati ai lati, gustandosi il loro pranzo fatto interamente di glucosio.

Mai come allora lei stava amando il proprio lavoro. Accogliere gli eritrociti, ripulirli dagli scarti metabolici e salutarli mentre loro non smettevano di ringraziare lei e le sue compagne: i loro sorrisi erano ciò di cui lei aveva bisogno, per andare avanti con maggiore forza.

Per farlo anche per chi non c’era più, che non avrebbe mai voluto vederla con uno sguardo triste. Andare avanti anche per lui, che avrebbe voluto vivere quel mondo colmo di gioia che sperava di poter vedere con i propri occhi.

Scommetto che anche tu avresti voluto vedere tutto questo... è davvero diventato uno splendido mondo, non trovi?

«È ora di andare» disse la sua migliore amica, comparsa alle sue spalle. «Si ricomincia!»

La ragazza si voltò e iniziò a correre verso di lei, felice come non mai. «Arrivo!»

Scese nell’ampio salone, le due compagne si separarono. «Ora devo andare all’ingresso per accogliere gli altri globuli rossi, ci vediamo più tardi!»

«Va bene, buon lavoro!»

La giovane osservò l’amica allontanarsi da lei, dopodiché tornò alla sua postazione. Sistemò il soffione della doccia, che qualcuna delle sue compagne aveva inavvertitamente lasciato fuori posto.

«Ecco fatto!» esclamò orgogliosa, portandosi le mani sui fianchi.

Non appena si voltò per dare il benvenuto al primo eritrocita che nel frattempo si era avvicinato a lei, i suoi occhi si spalancarono. Più volte sbatté le palpebre, cercando di capire se ciò che stava vedendo fosse stato frutto dell’illusione o di un sogno a occhi aperti.

Di fronte a lei vi era un globulo rosso, ma non uno qualunque. Corti capelli rossicci e mossi, di corporatura robusta e più alto di lei, quasi al punto di sovrastarla: sembrava lo stesso globulo rosso che quel giorno ormai lontano l’aveva salvata, ma ciò non poteva essere possibile perché lui non esisteva più... giusto?

All’improvviso, lei aveva capito cos’era successo. Quando era piccola, la sua amata Decana aveva raccontato a lei e alle sue compagne dello straordinario ciclo vitale dei globuli rossi: nascevano, vivevano e poi morivano, per poi rinascere... rinascere, per ricominciare dall’inizio e vivere tutto ciò che di bello sarebbe accaduto durante il loro lavoro.

Quei globuli rossi avrebbero potuto vivere quel mondo pacifico che avevano sempre sognato di vedere con i loro occhi. Il loro sacrificio non era stato vano: ciascuno di loro era stato ripagato con il dono di una seconda possibilità, quella di vivere un futuro migliore di quel terribile passato senza speranza che avevano affrontato.

E lo stesso era accaduto con lui, con quell’eritrocita dal cuore d’oro che si era sacrificato per tutti loro.

Lacrime di gioia iniziarono a scorrere dagli occhi della ragazza e ben presto divennero un pianto liberatorio, così forte al punto che quel globulo rosso si preoccupò per lei.

«Q-Qualcosa non va?» le chiese quel giovane. «Se è successo qualcosa ti lascio in pace: posso farmi ripulire da un’altra persona, per me non ci sono problemi–»

«N-No.»

Lei scosse la testa e si asciugò gli occhi ancora grondi di lacrime. «È che sono molto felice che la situazione sia migliorata così tanto...»

«Questo mondo faceva davvero così schifo?» Il globulo rosso spalancò gli occhi per la sorpresa. «Caspita: è il mio primo giorno di lavoro e tu sei già la sesta persona che me lo dice: direi che io e i miei amici siamo stati fortunati a nascere in questo periodo!»

«Non sai nemmeno quanto... per questo sono felice che tu sia qui!»

La ragazza gli donò un sorriso raggiante. Nonostante fosse evidente che lui non si ricordava nulla del suo passato, lei era pronta a riprendere da dove avevano lasciato: non avrebbe mai avuto la possibilità di ringraziare quel globulo rosso per ciò che il suo predecessore aveva fatto nei suoi confronti, tuttavia avrebbe potuto iniziare una nuova relazione insieme a lui. Si sentì più serena e più forte: forse un giorno lei gli avrebbe raccontato della storia del suo predecessore, o forse l’avrebbe conservato con cura nel suo cuore perché non avrebbe voluto risvegliare dei ricordi dolorosi in lui, ma la giovane aveva capito che presto o tardi l’imbarazzo tra loro sarebbe svanito del tutto, lasciando spazio a nuovi sentimenti ricchi di profondo rispetto e affetto reciproco.

Lo guardò nuovamente negli occhi e gli chiese: «Posso... posso sapere il tuo nome? Non so perché, ma ho la sensazione che noi due ci incontreremo spesso: mi sei molto simpatico!»

Il globulo rosso fu molto sorpreso per quella domanda, ma dopo un momento di silenzio restituì quel dolce sorriso che lei gli aveva rivolto.

«Certo, anche tu mi sembri una persona molto simpatica! Il mio nome è...»

 

 


 

[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]

Questa è una storia scritta molti mesi fa... però ho scritto le ultime battute solo qualche settimana fa. Questo perché ogni volta non avevo mai avuto le energie necessarie per rendere per bene ciò che avevo nella mia mente: a dire il vero ancora oggi la resa di quest'ultima parte non mi convince del tutto, ma ho deciso di concludere la storia una volta per tutte. "Via il dente, via il dolore", dicono! :D

A proposito di dolore... quale miglior modo per iniziare l'anno nuovo se non con una bella dose di angst? Eheheh, benvenuti nella storia di uno dei miei personaggi preferiti di Cells at Work! BLACK, Glomerulo: così dolce quanto adorabile, questo personaggio ha una storia dove la sofferenza la fa da padrona- ma, dopo il capitolo 48 del BLACK, abbiamo ragione di credere che anche lei abbia finalmente avuto un finale felice... :')

Dunque, benvenuti nei miei personalissimi headcanon su questo personaggio, che comprendono il fatto che:

- il mazzo di fiori che vediamo all'inizio del capitolo 37 è stato donato da lei (o SS1104, penso anche a lui... però a me piace essere romantica quindi ho pensato a lei, LOL);

- dopo il capitolo 48, lei riesce a ricongiungersi con un QJ0076 reincarnato (e qui urlo di gioia perché, a distanza di due anni dall'ultima storia che ho scritto su questi personaggi, finalmente abbiamo il nome di questo globulo rosso. Era ora che avessimo anche i nomi del trio del secondo corpo, ahahah!)

Per il resto, non ho altro da aggiungere. Come sempre vi ringrazio per essere giunti fino a qui, alla prossima!

--- Moriko

 

 

   
 
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