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Autore: Valerie    16/01/2022    2 recensioni
Gibbs, che uomo enigmatico, si ritrovò a pensare, mentre cercava di scacciare quel senso di disagio che aveva sempre quando contrariava o feriva qualcuno e mentre ignorava di proposito il sospiro spazientito del compagno che riprendeva il cammino con l’auto. Il capo della squadra dell’NCIS era un tipo di poche parole, ma dagli occhi sempre vigili e scrutatori, aveva concluso. Non avrebbe mai dimenticato il loro primo incontro, erano atterrati a Washington solo da qualche ora, la pista che stavano seguendo sul caso Ventura li aveva portati in un capanno dismesso poco fuori città, si erano separati per perlustrare la zona e, dopo un po’ di tempo, nel silenzio più totale, aveva avvertito un fruscio alle proprie spalle, ma non prima di aver annusato nell’aria un leggero odore che era sicura di aver già sentito, un profumo, che solo dopo avrebbe ricondotto al pino silvestre. Non fece in tempo a voltarsi che si ritrovò con una pistola puntata alla tempia e un paio di occhi di ghiaccio che la fissavano. L’espressione dell’uomo era imperscrutabile, aveva un’aria austera, fredda, ferma
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Leroy Jethro Gibbs
Note: What if? | Avvertimenti: Non-con
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A Laura,
che condivide con me la passione
per l’affascinante Gibbs.
Grazie
 
 
 
 
 
Semper fidelis
 
 
 
Erano passati venti giorni dal loro arrivo a Washington e i membri della squadra Bravo della SSI non si erano ancora abituati alla manciata di gradi sotto zero che gelava loro le ossa, né tantomeno alla neve che ricopriva l’intera città da più di due settimane e che rendeva tutto così pallido e candido.
Quando invece avevano lasciato la capitale italiana, da cui provenivo, la loro città era avvolta da ventate umide e calde di scirocco; evento particolare in quel periodo dell’anno, anche per il clima mite che caratterizza i paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo.
-Fa davvero troppo freddo- esordì Riccardo mentre saliva sulla macchina che l’NCIS gli aveva fornito per gli spostamenti – E, come se non bastasse, le indagini sono ferme da due settimane- sbuffò sonoramente, mentre sfregava le mani per trovare un po’ di sollievo dal freddo pungente che avvertiva.
Olivia non rispose, ma il suo umore poteva dirsi interamente in sintonia con quello del suo collega.
Erano partiti da Roma sulle tracce di un narcotrafficante cui davano la caccia da almeno due anni, Leone Ventura. La loro strada si era quindi intrecciata con quella della squadra investigativa che si occupa dei crimini contro la Marina americana e il corpo dei Marines. Da più di una decina di giorni, però, lo scenario generale che erano riusciti a costruire dal loro arrivo a Washington sembrava essersi cristallizzato, così come il ghiaccio incrostato sui vetri dell’auto che in quel momento gli impediva di avere una buona visibilità e che ostinato non voleva saperne di cedere ai colpi delle spazzole del tergicristalli.
Era stato proprio all’inizio di quell’incarico che lei e Riccardo si erano conosciuti.
Lei veniva da qualche anno di lavoro in ufficio in cui si occupava prevalentemente di archivi e scartoffie, lui era da poco rientrato da una missione come infiltrato in un racket di prostituzione e droga.
Vista l’esperienza di Riccardo e la necessità di affiancargli un partner, Olivia era stata selezionata come la candidata perfetta.
Era stata entusiasta all’idea di prendere parte ad una vera e propria missione, d’altronde stare dietro ad una scrivania o in mezzo a degli scaffali impolverati non era il massimo della realizzazione.
Riccardo, che oltre ad avere qualche anno in più di esperienza, aveva anche qualche anno in più sulla carta d’identità, si era rivelato un ottimo compagno di lavoro. Tutto quello che lei aveva imparato, lo aveva fatto grazie a lui.
Certo, prima di addentrarsi in un’indagine così importante, Olivia era stata messa a dura prova con una lunga gavetta. Riccardo la portava sovente con sé durante sopralluoghi e interrogatori di minore spessore per farla assistere e farle prendere confidenza con il lavoro sul campo.
“Hai un buon intuito” le disse un giorno, dopo che lei ebbe notato un lieve cambiamento di versione in un interrogatorio da parte di uno degli uomini coinvolti nel racket. Si era chiusa un giorno intero in archivio per trovare il vecchio fascicolo che lo riguardava e lì aveva trovato qualcosa che non andava.
Da allora, ne era convinta, aveva fatto sicuramente molta strada, i casi erano diventati più complessi e, per alcuni aspetti, anche pericolosi. Aveva dovuto lasciarsi alle spalle la sua vecchia casa e i suoi familiari per una questione di sicurezza, si era quindi trasferita al centro di Roma e non si era dedicata molto alla vita sociale.
“Non sarà sempre così dura” le disse Riccardo una sera, dopo averla invitata a cena da lui, vista l’occupazione abusiva che gli scatoloni avevano operato nella piccola cucina di casa sua “O ci farai l’abitudine, o deciderai di cambiare settore”.
-Sei pensierosa- notò d’un tratto lui, riportandola al presente.
-Un po’…- rispose sincera lei voltandosi a guardarlo.
-E cosa ti impensierisce?- le chiese guardandola a sua volta, ma di sfuggita, per non perdere il controllo dell’auto.
-Questa situazione di stallo- rispose – Che collide totalmente col mio desiderio di chiudere il caso e tornare a casa-
-Solo questo?- incalzò ancora l’uomo -Non c’è altro che vuoi buttare fuori? Per dire, che ne so, la voglia di cambiare settore all’interno della SSI?-
Olivia sospirò ma non rispose, spostando lo sguardo verso il finestrino.
-Olly…-
-Ric, so cosa vuoi dirmi, dici sempre la stessa frase, ogni singola volta che prendiamo l’argomento. Motivo per cui non ne voglio parlare- tagliò corto.
Riccardo rallentò l’andamento dell’auto fino a fermarla.
-Senti…- prese fiato prima di parlare, mentre guardava la strada imbiancata davanti a sé -…so di essere di parte, di sentirmi a mio agio nei panni dell’agente sotto copertura. Sono consapevole anche che a me non pesi più di tanto, a differenza tua, e non te ne faccio una colpa, speravo solo che cambiassi idea- ammise sospirando e voltandosi finalmente a guardarla -Vorrei dirti che sarò felice per te, qualsiasi scelta tu faccia, ma sarei un bugiardo. Mi dispiacerà quando te ne andrai, però, se è quello che vuoi davvero…-
Olivia sapeva che non avrebbe dovuto parlare, sapeva che quello rimaneva per loro un tasto più che dolente.
Avevano passato così tanto tempo insieme negli ultimi due anni, che non ricordava quasi più come fosse la sua vita pima di incontrare Riccardo e di riempirla di tutte quelle abitudini che lo coinvolgevano.
Amava lavorare con lui, avevano sviluppato una complicità tale da farli sentire a casa ovunque ci fosse l’altro.
Lei non voleva rinunciare a Riccardo, voleva solamente riappropriarsi di tutta quella parte di vita che aveva dovuto mettere in standby per quel genere di lavoro.
Voleva dedicarsi all’investigazione, certo, ma voleva prendersi una pausa da tutto quello che riguardava l’infiltrazione e le missioni sotto copertura.
-Cerchiamo di sbrigarci- disse semplicemente lei evitando maldestramente l’argomento. Non voleva arrivare in ritardo all’appuntamento con Gibbs e il direttore Vance.
Gibbs, che uomo enigmatico, si ritrovò a pensare, mentre cercava di scacciare quel senso di disagio che aveva sempre quando contrariava o feriva qualcuno e mentre ignorava di proposito il sospiro spazientito del compagno che riprendeva il cammino con l’auto.
Il capo della quadra dell’NCIS era un tipo di poche parole, ma dagli occhi sempre vigili e scrutatori, aveva concluso.
Non avrebbe mai dimenticato il loro primo incontro, erano atterrati a Washington solo da qualche ora, la pista che stavano seguendo sul caso Ventura li aveva portati in un capanno dismesso poco fuori città, si erano separati per perlustrare la zona e, dopo un po’ di tempo, nel silenzio più totale, aveva avvertito un fruscio alle proprie spalle, ma non prima di aver annusato nell’aria un leggero odore che era sicura di aver già sentito, un profumo, che solo dopo, avrebbe ricondotto al pino silvestre. Non fece in tempo a voltarsi che si ritrovò con una pistola puntata alla tempia e un paio di occhi di ghiaccio che la fissavano. L’espressione dell’uomo era imperscrutabile, aveva un’aria austera, fredda, ferma.
Alla fine, aveva messo lei e Riccardo su due macchine diverse e durante tutto il tragitto non aveva fatto altro che scrutarla, quasi volesse leggerle dentro.
Era rimasto distaccato per tutto il tempo, fino a che, una volta alla base dell’NCIS, non si era sincerato della loro identità.
In quei giorni aveva potuto vederlo all’opera con la sua squadra e, pur rimanendo un tipo di poche parole, era palpabile la sintonia che lo legava ai suoi agenti.
Non poteva essere diversamente, in quel lavoro devi poterti fidare delle persone con cui lavori. Fedeltà e lealtà sono il collante di una squadra operativa di qualità e Gibbs doveva saperlo molto bene.
‘Fossi stato un criminale, saresti potuta essere morta’ le aveva detto una volta appuratosi che fosse realmente un’agente della SSI ‘Farai bene ad essere più cauta, la prossima volta’ aveva concluso in un sussurro avvicinandosi al suo orecchio.
Non poté fare a meno di rabbrividire in quell’occasione. Forse perché un po’ aveva ragione, forse perché un po’ si era fatto troppo vicino.
-Trovo un parcheggio per la macchina e ti raggiungo- le disse Riccardo una volta arrivati a destinazione.  Allora scese dall’auto e si infilò nell’ascensore.
Stava per uscire, una volta arrivata al piano, quando, aperte le porte, si ritrovò davanti Gibbs che le sbarrava la strada.
-Cercavo proprio te- esordì entrando a sua volta nell’ascensore.
-Siamo in ritardo?- fece lei scattando sull’attenti. L’ultima cosa che voleva fare era infastidire quell’uomo o farsi riprendere da lui.
-Dov’è Riccardo?- chiese lui di rimando, ignorando la domanda che Olivia gli aveva appena porto.
-A cercare un parcheggio- rispose lei.
-Abbiamo una probabile localizzazione di Ventura, lo avviseremo strada facendo- le spiegò brevemente.
La donna ebbe un capogiro per la botta di adrenalina improvvisa. Finalmente avevano una nuova pista.
-Quel maledetto ha usato un cellulare usa e getta. Tenevamo sotto controllo alcuni dei suoi scagnozzi e, poco fa, uno di loro ha effettuato una strana chiamata ad uno di questi numeri con valenza temporanea. McGee e Abby hanno cercato di decodificare il linguaggio in codice. Pensiamo abbia un appuntamento al porto con un compratore fra circa venti minuti- le spiegò lui una volta saliti in macchina.
-Ziva e Di Nozzo?- chiese lei notando l’assenza dei due agenti.
-Sono impegnati in un’indagine per omicidio. Chiama Riccardo- tagliò corto Gibbs.
-Ci sto provando, ma non risponde- disse Olivia, che nel frattempo aveva già digitato il numero del suo collega.
-Continua a provare- aggiunse lui -Una volta lì infileremo i giubbotti anti proiettili e tu farai esattamente come ti dico- concluse poi in modo perentorio.
-Seguo questo criminale da due anni. So come gestire un’operazione- fece risentita lei.
-Ma questo è il mio territorio ed è la mia indagine. Quindi ti atterrai ai miei ordini- concluse bruscamente, sottolineando tutti quei possessivi.
Doveva rimanere calma e concentrata. Non controbatté nulla, ma aveva il sangue che le ribolliva nelle vene.
Per quanto cercasse di dirsi che non fosse una questione di orgoglio, in realtà era proprio quello il punto.
Leroy Jethro Gibbs le aveva puntato una pistola alla tempia, per poi canzonarla sonoramente per l’accaduto. La verità era che la cosa le bruciava da morire, si era fatta cogliere in flagrante in modo così sciocco che adesso lui non mancava di sottolineare quanto fosse poco affidabile il suo modus operandi.
Si sentiva oltremodo nervosa e, come se non bastasse, quell’idiota di Riccardo aveva il telefono staccato.
Dove diavolo si era andato a cacciare? Lo avrebbe ucciso lei con le sue stesse mani se solo fosse stato nei paraggi.
 
 
*
 
 
Olivia continuava a fissare lo schermo del macchinario a cui Riccardo era attaccato. La linea del suo elettrocardiogramma le sembrava pulsasse così lentamente che aveva il terrore potesse appiattirsi da un momento all’altro.
-Olivia, vai a casa- una voce che ormai le era diventata familiare le giunse alle orecchie.
Non si girò neppure a guardare la figura di Gibbs che si avvicinava lenta. Era chiusa in quell’ospedale da giorni.
Capì che si era fermato a pochi passi da lei quando il suo caratteristico profumo di legno di pino arrivò a solleticarle il naso.
“Avrà scorte di profumo” le aveva sussurrato Riccardo una volta “Arriva prima il pino silvestre che lui”.
Non poté fare a meno di ridere in quell’occasione, rischiando di farsi andare il caffè di traverso.
Ora però non le veniva più da ridere, anzi, tutt’altro, trovava quell’odore forte e fastidioso.
-Ho fatto tutto ciò che mi hai ordinato- disse d’un tratto, pur continuando a fissare il collega inerme al di là del vetro.
Non faceva che torturarsi: aveva eseguito gli ordini, tutto quello che Gibbs le aveva intimato di fare. Non aveva preso iniziative di alcun genere. Com’era accaduto che Riccardo si ritrovasse con tre pallottole in corpo e un trauma cranico?
Com’era accaduto che a sparargli fosse stata proprio lei?
-Non è stata colpa tua- le disse l’uomo, e a lei scappò una risata fredda e vuota.
-La balistica sosterrebbe il contrario- rispose voltandosi finalmente a guardarlo.
-Sai bene che è stata legittima difesa-
Legittima difesa.
Le veniva da piangere dalla rabbia.
Era così assurdo, tutto incredibilmente surreale.
Erano arrivati al porto in pochissimo tempo quel giorno della soffiata su Ventura e, cosa assai strana, trovarono la macchina guidata da Riccardo già lì.
-Sei riuscita a metterti in contatto con lui? Gli hai mandato un messaggio?- le aveva chiesto Gibbs rabbioso. Ma, no, lei non era riuscita in alcun modo ad avvertirlo, e sapevano di per certo che neanche McGee, dalla base operativa, era riuscito a contattarlo.
Si erano allora vestiti di tutto punto e poi si erano inoltrati nei corridoi fra in container.
Il cuore le martellava così forte nel petto in quell’occasione che avrebbe giurato potesse scapparle dalla gabbia toracica da un momento all’altro.
Si era sentita confusa. Gibbs aveva messo su un’espressione tirata e sospettosa. Non poteva davvero credere che il suo partner centrasse qualcosa. Doveva pur esserci una spiegazione, ma più ci rimuginava sopra, più non riusciva a trovarne una.
Fu lei a trovare per prima Riccardo. Lo vide che dava un’occhiata ad un cellulare che non era il suo, mentre gli si avvicinava alle spalle.
-O…Olivia…- le aveva detto disorientato nel voltarsi e nel vederla. Aveva un’aria circospetta e colpevole.
-Cosa ci fai qui?- gli chiese lei in modo secco, senza troppi convenevoli. Si era sentita tesa in ogni fibra del suo essere, come se fosse stata sul punto di scoprire una verità che le avrebbe sconvolto l’esistenza.
-Io…sono salito in ufficio…e McGee mi ha detto che avevano trovato una nuova pista…-
-Non mentirmi, Ric!- lo aveva ammonito lei con un tono di voce basso e vibrante. Avrebbe ringhiato se ne fosse stata capace -Tu non sei mai arrivato all’NCIS…lo so di per certo- fece una pausa -Perché, se noi riceviamo una soffiata su di un incontro fra Ventura e un compratore, spunti fuori tu?-
Riccardo non rispose.
-Oh mio Dio…sei tu il compratore- spalancò gli occhi per la presa di consapevolezza che la investì come un fiume in piena.
Lui si scurì in volto e fece una smorfia di dispiacere.
-Non doveva andare così, Olly- le disse quasi a mo’ di scusa.
Quel nomignolo le causò un conato di vomito. La sensazione terribile del tradimento le bruciava ogni singola parte del corpo. Non riusciva neanche a respirare a pieni polmoni.
-Come? Perché?- cercò di chiedergli senza formulare una vera e propria domanda.
Tutto quello non aveva senso. Solo poche ore prima erano nella stessa auto a dirsi che l’indagine non procedeva, che lei non vedeva l’ora di concluderla e di tornare a casa…e poi?
Chi era l’uomo che aveva davanti? Lo sconcerto nei suoi occhi doveva essere così evidente che di fronte ad esso anche Riccardo tentennò.
-Non sai cosa vuol dire essere un agente sotto copertura per così tanto tempo- le aveva detto con tono di voce esasperato -Vivere fra quei criminali, respirare, masticare costantemente il loro modo di pensare, di vedere e fare le cose…-
-Cosa stai dicendo?- lo interruppe lei incredula -Noi li arrestiamo i criminali! Non ci uniamo a loro!- lo sconcerto aveva ceduto il posto a disgusto misto a rabbia -Cosa ne è stato di tutte quelle parole sulla lealtà? Sulla capacità di distaccarsi dal contesto in cui si opera la copertura? Che ne è stato dell’uomo che mi ha trasmesso la passione per la legalità, per l’onestà, per la difesa del nostro paese?- ora era lei a sembrare esasperata.
-Dolce Olivia, ragazza dalla veste senza macchia…- disse scuotendo la testa e guardandola con un sorriso triste.
Non riusciva a capire, davvero non riusciva a mettere insieme i pezzi. Cosa lo aveva cambiato? Era per soldi che lo faceva? O forse lo ricattavano?
Fece un passo verso di lui, come se quel gesto potesse portarla ad avvicinarsi di più anche alle sue ragioni e a cercare di comprenderlo.
Probabilmente fu lo shock a rallentarle i riflessi e a farle abbassare la pistola verso terra, ma tanto bastò perché fosse Riccardo a puntarle la sua contro.
Olivia si immobilizzò sul posto. Non poteva essere vero, non poteva. Sentì il cuore spezzarsi nel petto. Non sarebbe stata capace mai di dare voce a quella terribile sensazione che le invadeva il torace, lo stomaco, fino ad irradiarsi per le braccia e le gambe.
L’avrebbe uccisa?
-Metti giù l’arma- La voce di Gibbs ebbe l’effetto come di un vetro andato in frantumi. Stracciò quell’ultimo velo sottile che la separava dalla cruda verità.
Quello che venne dopo fu un susseguirsi di movimenti rapidi e istintivi. Ricordava Riccardo che si voltava spaventato verso l’uomo e apriva il fuoco, lei che alzava l’arma e…
Sapeva bene come fisicamente Riccardo fosse finito in quel letto d’ospedale, ma non riusciva ancora a spiegarsi come fosse riuscito a mentirle tutto quel tempo e, soprattutto, come lei avesse fatto a non accorgersi di niente.
Avevano passato fianco a fianco gli ultimi due anni della loro vita. Erano stati in missione insieme, si erano coperti le spalle a vicenda. Come era potuto succedere?
Avrebbe voluto chiederglielo, sarebbe voluta entrare in quella stanza e scuoterlo per le spalle fino a farlo svegliare. Voleva sapere il perché.
-Mi hai salvato la vita- Gibbs la riportò al presente -Riccardo sapeva a cosa andava incontro-
Olivia lo guardò a lungo senza dire niente, mentre l’uomo sosteneva fermamente il suo sguardo.
-Vorrei davvero che questo mi aiutasse a sentirmi meglio, ma…non mi riesce- disse finalmente con un filo di voce.
Avrebbe voluto piangere, ma per orgoglio non lo fece. Semplicemente si voltò e se ne andò. Non riusciva a farsi guardare da quegli occhi così penetranti. Non voleva le leggesse dentro, come era solito fare grazie a chissà quale dote da mentalista.
Uscita dall’ospedale non seppe esattamente cosa fare. Non voleva, in realtà non poteva, tornare all’appartamento che avevano assegnato a lei e Riccardo. Tutto ciò che vi era all’interno era stato posto sotto sequestro e lei era stata temporaneamente sollevata dall’indagine. La cosa avrebbe dovuto quantomeno ferirla a livello professionale, ma in realtà non poté fare a meno di sentirsi sollevata a riguardo.
Aveva bisogno di tempo per metabolizzare.
-Olivia- di nuovo la voce di Gibbs le giunse alle orecchie e lei non poté fare a meno di sospirare-Ti accompagno a casa- le disse.
-Io non ho una casa- rispose lei.
 
 
*
 
 
Percorsero qualche chilometro in macchina prima di arrivare a destinazione. Durante il tragitto, Gibbs la informò che Ventura era nuovamente fuggito. Probabilmente, una volta arrivato nei pressi del porto, il rumore degli spari lo aveva indotto a scappare.
Non si meravigliò di quell’accaduto, eppure si mostrò insofferente all’argomento.
Rimase con lo sguardo puntato sul finestrino, intenta ad osservare il passaggio veloce di case e palazzi ingrigiti dal riflesso di un pallido sole invernale.
Gibbs la guardò di sfuggita. Aveva i capelli di un castano scuro raccolti in una cipolla disordinata che le lasciava scoperto il collo sottile e una nuvola scura di pensieri che le assediavano la mente.
-Ma questa non è…- non riuscì a chiedere Olivia, scorgendo l’abitazione dell’agente speciale.
La sorpresa evidente di lei fece sorridere l’uomo mentre scendeva dalla macchina.
-Casa sicura- disse lui a mo’ di spiegazione, procedendo verso gli scalini che portavano al portone.
-Sono passata da sospettata a vittima sotto scorta?- gli chiese alzando un sopracciglio.
-No, semplicemente non ti hanno ancora assegnato un nuovo alloggio e Abby mi ha praticamente imposto di ospitarti. La pena sarebbe stata l’ammutinamento-
Olivia non poté fare a meno di sorridere, la prima volta dopo giorni. Non faticava ad immaginare Abby preoccuparsi per lei e costringere il suo capo ad ospitarla.
-Avrei potuto prenotare una camera d’albergo- cercò di replicare.
-Tutta sola in una camera d’hotel a rimuginare sull’accaduto? Non era fattibile. Sai quanto può essere terribile Abby quando si mette in testa una cosa?- le chiese voltandosi a guardarla dopo aver fatto scattare le chiavi nella serratura della porta.
Lei fece cenno di no con la testa.
-Mi auguro tu non faccia mai questa esperienza, ma se mai dovesse succedere, ricordati che il caf-pow è sempre la soluzione a tutto-
-Ne prenderò nota- rispose sorridendo.
Era la prima volta che vedeva Gibbs comportarsi in modo così gioviale con qualcuno che non fosse Abby.
Con lei aveva un rapporto particolare, quasi paterno. In più di qualche occasione li aveva visti lavorare con una sintonia tale da fare invidia.
Ammirava molto Abby, non a caso Gibbs aveva un’alta considerazione di quella ragazza. Era intelligente, perspicace, intuitiva, eccentrica, sensibile. Era praticamente un concentrato di qualità.
-Tu puoi dormire qui- le disse d’un tratto l’uomo mostrandole la camera da letto e interrompendo i suoi pensieri.
Olivia non poté non replicare -Ma è la sua stanza! Io posso dormire sul di…-
-L’ammutinamento…ricordi?- la interruppe lui.
Sorrise di nuovo, in modo sincero. Avrebbe dovuto ringraziare Abby, l’indomani, per tutta quella premura nei suoi confronti.
Gibbs le lasciò del tempo per sé, che lei decise di prendersi per fare una lunga doccia.
Era rimasta tre giorni in ospedale, davanti a quella stanza. I muscoli del suo corpo erano tesi e indolenziti, tanto da sentire dolore al massaggiarli mentre si insaponava.
Si vestì con una vecchia tuta che l’uomo le aveva dato giusto per indossare degli indumenti puliti. Non aveva potuto portare via neanche i vestiti dal suo vecchio appartamento.
Dire che si sentisse totalmente a suo agio, in quella situazione, sarebbe stato decisamente azzardato. In realtà, più scorreva il tempo, più Olivia iniziava ad avvertire una sensazione fastidiosa, come se fosse totalmente fuori luogo e inconveniente che si trovasse lì.
Si guardò allo specchio, la tuta grigia che indossava le stava chiaramente larga e lunga. Cercò di fare un risvolto al pantalone che, altrimenti, avrebbe toccato per terra. Quando si ritirò su, si diede un’ultima occhiata prima di scendere al piano di sotto. Notò allora un piccolo dettaglio a cui prima non aveva fatto molto caso: sulla felpa, a sinistra, all’altezza del petto, proprio dove sarebbe dovuto esserci il cuore (almeno per uno della statura di Gibbs), vi era ricamata una scritta in lettere d’orate che formavano la parola “Navy”.
Non era un caso che fosse stata messa proprio in quel punto.
Sorrise tristemente.
Forse era così che doveva andare, prendere una strada e dedicarle tutto, anima e corpo.
Avrebbe dato non so cosa per avere la stessa determinazione. Lei che, invece, si era ritrovata col mondo sottosopra e l’incapacità di fare qualsiasi scelta.
Toc.Toc.
Un leggero bussare alla porta attirò la sua attenzione.
-Posso?- le chiese Gibbs aprendo leggermente la porta della stanza.
Olivia annuì cercando di sorridere.
-Ho preparato la cena, quando vuoi…- le disse fermandosi sull’uscio, non riuscendo ad evitare di scrutarla dalla testa ai piedi.
Non poté fare a meno di notare quanto quell’abbigliamento, seppur largo, le donasse. Lo stile sportivo, i capelli sciolti sulle spalle, il viso struccato, era come se la vedesse davvero per la prima volta.
-Sì- disse lei scuotendolo dai suoi pensieri -Ci sono…-
 
 
*
 
 
Era circa un’ora che non faceva altro che girarsi e rigirarsi nel letto. A cena, lei e Gibbs avevano spiluccato qualcosa da un piatto preparato alla bell’e meglio, in totale silenzio, e poi si erano congedati per andare a dormire.
In realtà era stata schiva. Una volta finito di bere l’ultimo sorso d’acqua presente nel suo bicchiere, era praticamente scappata in camera con la scusa di essere molto stanca.
Stanca lo era davvero, oltre che molto a disagio.
Impiegò pochissimo ad addormentarsi, una volta poggiata la testa sul cuscino. Dopo aver dormito due notti in ospedale su quelle sedie scomodissime della sala d’aspetto, quel materasso le sembrava fatto di soffici batuffoli di piume angeliche. Eppure, nonostante tutto, dopo un paio d’ore di sonno tormentato si era svegliata.   
Decise di alzarsi quando, per la quindicesima volta in tre minuti, si girò nuovamente fra le lenzuola.
Scese piano le scale, intenta ad andare a rubacchiare un bicchiere di latte dal frigo. Era una cosa che faceva da quando era piccola, sua nonna materna le aveva tramandato questa abitudine.
“Quando non riesci a dormire, bevi un bel bicchiere di latte, vedrai che ti aiuterà a prendere sonno” le ripeteva spesso.
Di certo non aveva nulla di fondato quel rimedio, ma l’effetto placebo sembrava garantito.
Passò davanti al divano del salotto e, incuriosita, decise di affacciarsi oltre la spalliera per dare un’occhiata al glaciale Gibbs. Chissà se anche mentre dormiva manteneva quel cipiglio austero.
Fece il più piano possibile, l’ultima cosa che avrebbe voluto era farsi beccare in flagranza di reato. Non sarebbe sopravvissuta alla vergogna.
Allungò il collo quanto bastava per arrivare a scorgere i cuscini su cui l’uomo doveva essere disteso ma, con suo sommo stupore, Gibbs non era affatto lì.
Si girò intorno perplessa, a quanto sembrava non era l’unica a soffrire d’insonnia.
Si diresse verso l’ingresso e notò, solo allora, una porta socchiusa da cui proveniva una flebile luce.
La aprì piano e vi si affacciò incuriosita. Delle scale scendevano verso quello che aveva tutta l’aria di essere un seminterrato.
-Vieni pure- la voce di Gibbs la raggiunse dal basso.
Era incredibile come quell’uomo fosse attento a tutto, rumori, vibrazioni, spostamenti d’aria, a volte era davvero sbalorditivo, o altamente inquietante, Olivia non sapeva decidere.
-Non riuscivo a dormire…- gli disse mentre scendeva le scale, ma si bloccò nel vedere quello a cui l’agente speciale si stava dedicando.
-E’ meravigliosa! – esclamò estasiata alla vista di quella che sembrava essere la struttura di una barca.
-Già, piace anche a me- le rispose lui, fissandola intensamente e mettendola leggermente a disagio.
Olivia abbassò gli occhi imbarazzata. Perché doveva sempre fissarla in quel modo?
-Vuoi qualcosa da bere?- le chiese dirigendosi verso il bancone da lavoro presente nella stanza e rovesciando il contenuto di due bicchieri dal fondo spesso -Ho dell’ottimo Whisky di annata-
Sorrise fra sé e sé, era scesa alla ricerca di un po’ di latte e si ritrovava con del Whisky. Pensò che una piccola rivisitazione alla ricetta della nonna non sarebbe stata poi tanto male. Un super alcolico le avrebbe conciliato decisamente meglio il sonno.
-Sì, grazie- rispose avvicinandosi a sua volta al bancone.
Si guardò un po’ intorno e non poté non notare la grande quantità di materiali sparsi ad ogni angolo della stanza, tra cui lunghe tavole di legno grezzo. Quasi non le scappò una risata quando notò uno scatolone ormai vuoto la cui etichetta recitava ‘legno di pino silvestre’.
-Cos’è che non ti fa dormire?- le chiese lui porgendole il bicchiere con il liquido ambrato.
Olivia si voltò e trattenne il fiato per un secondo, come l’attimo prima di un balzo. Forse avrebbe potuto dare finalmente voce a tutto quello che la tormentava.
Guardò l’uomo che aveva di fronte per qualche secondo, prese il bicchiere dalle sue mani e le loro dita si sfiorarono appena. Bevve un lungo sorso di Whisky e poi si decise a dare finalmente una risposta a quella domanda.
-Credo di aver sbagliato tutto- disse con un sospiro -Forse non sono portata per questo lavoro-
Gibbs non rispose, semplicemente si appoggiò al bancone di ruvido legno mentre la guardava, invitandola tacitamente a continuare.
-Ho lavorato per due anni fianco a fianco di un uomo di cui mi fidavo ciecamente, non ho messo in dubbio mai la sua lealtà, neanche per un attimo. Passo in rassegna i mesi, i giorni, le ore vissute insieme, cercando di trovare un qualche elemento che mi faccia dire ‘Ma certo! Come ho fatto a non accorgermene!’, eppure non riesco a trovarlo. Riccardo era il mio partner, ci siamo sempre coperti le spalle a vicenda. Saremmo morti l’uno per l’altra e…com’è finita? Io ho rischiato di ucciderlo. E non è detto che alla fine non riesca nell’intento- mano a mano che tirava fuori le parole che sembravano essersi congestionate al centro del suo petto, gli angoli degli occhi iniziavano a bruciarle e ad inumidirsi.
-Certe persone sono molto brave a dissimulare, Olivia. Non fartene una colpa-
Avrebbe voluto aggrapparsi a quelle parole con tutta sé stessa. Però c’era qualcosa che disturbava il senso di rassicurazione che avrebbe dovuto avvolgerla.
-La verità è che la responsabilità è tutta mia- disse mentre una lacrima le rigava il volto - Se solo non avessi abbassato la pistola, se solo avessi tenuto Riccardo sotto tiro, forse non sarebbe andata così. Non avrei messo in pericolo la tua vita…- fece una pausa per riprendere fiato -…e non sarei stata costretta a… a sparargli. Mio Dio, mi dispiace così tanto. Non so come scusarmi- concluse portando la mano libera ad asciugarle il viso.
Gibbs rimase sorpreso nel sentirla rivolgersi a lui in modo così colloquiale, non gli aveva mai dato del tu prima di allora.
-Regola sei: non chiedere mai scusa, è segno di debolezza- le disse prendendole il bicchiere dalla mano e riempiendolo ancora un po’.
Le regole di Gibbs, Olivia aveva avuto occasione di conoscerne qualcuna in modo sporadico in quel mese che era stata a lavoro all’NCIS. Di Nozzo le aveva fatto un rapido excursus sulla genesi di quell’elenco e le aveva spiegato quanto tutti loro cercassero di far fede a quelle semplici norme che, avevano appurato nel tempo, rendevano più funzionale il loro lavoro.
Lei però non era totalmente d’accordo.
-Odio dover ostentare qualcosa che non sono-  controbatté sorseggiando lungamente il nuovo Whisky -Io non sono forte e ferma come può esserlo Ziva, o impenetrabile e distaccata come lo sei tu. E sinceramente non mi importa esserlo, non è una colpa essere fragili. Se tu ti dessi l’opportunità di esserlo, una volta ogni tanto, scopriresti che in realtà la debolezza può tramutarsi in risorsa –
Sta volta fu lei a sostenere il suo sguardo. Iniziava a sentirsi accaldata, e tutte le remore che aveva avuto nel parlare in quei lunghi giorni la stavano pian piano abbandonando.
-Non si tratta di non concedersi di essere deboli, ma di non dipendere dal giudizio altrui. Devi saper tenere insieme i pezzi, nonostante gli errori commessi, altrimenti questi ti distruggeranno- le disse lui non scomponendosi minimamente.
-Riccardo può perdere la vita a causa mia. E’ il mio giudizio a distruggermi, non quello degli altri- rispose seccamente lei.
-Forse hai ragione…- fece Gibbs portandosi per la prima volta il bicchiere alle labbra -…forse non sei tagliata per questo lavoro-
Se le avesse dato uno schiaffo probabilmente le avrebbe fatto meno male.
Perché la cosa la feriva così tanto? Era stata lei a pronunciarle per prima, allora perché, se quelle stesse parole uscivano dalla sua bocca, le bruciavano addosso come fuoco vivo?
Si vergognava così tanto adesso. Lei che da quell’uomo desiderava solo ammirazione.
Leroy Jethro Gibbs era la quintessenza dell’efficacia. Era un leader, aveva intuito, sapeva usare egregiamente la logica e la psicologia, era affascinante, e mai come in quel momento lei si sentiva attratta da lui.
Tanto voleva fuggirgli, tanto voleva che lui la vedesse davvero.
Forse la stava solo provocando, forse voleva che reagisse, ma in quel momento faceva fatica anche solo a guardarsi allo specchio.
-Posso avere altro Whisky?- gli chiese porgendogli il bicchiere dopo aver bevuto l’ultimo goccio rimasto, evitando di chiedergli il perché dicesse così.
Gibbs inclinò la testa di lato e alzò un sopracciglio.
-Dopo vado a dormire, promesso-
L’uomo sospirò sonoramente, ma acconsentì a concederle un altro po’ del superalcolico.
-Dopo avrai bisogno di una mano per salire le scale- le disse mentre riempiva per l’ultima volta il suo bicchiere.
-Dovessi rimanere a dormire per terra, non ti darò questa soddisfazione- controbatté in evidente stato di euforia.
L’uomo non poté fare a meno di ridere -Voglio proprio vedere-
Una volta finito di sorseggiare il Whisky, poggiò il bicchiere sul bancone e si voltò verso l’uscita del seminterrato.
Si sarebbe sfilata il cuore dal petto più che ammettere che le girava la testa anche per fare un semplice passo su superficie piana.
Respirò profondamente e cercò di mantenere il più possibile contegno ed equilibrio. Arrivò a fatica alle scale, speranzosa nel fatto che reggersi alla ringhiera le avrebbe conferito un andamento più stabile.
-Vado a prenderti una coperta?- le chiese Gibbs in modo provocatorio.
Lei si girò appena, giusto per fulminarlo con lo sguardo.
Mise il piede sul primo scalino e con una mano si aggrappò più o meno saldamente alla ringhiera, tirandosi su malamente.
Quella scena doveva essere totalmente patetica, ma Olivia non poteva rendersene conto.
Mise il piede sul secondo gradino, almeno era quello che pensava di fare, mentre andava a vuoto rischiando di capitolare elegantemente a faccia avanti.
-Ehi,ehi,ehi…- fece Gibbs afferrandola per la vita ed evitandole di cadere -Mi sembra proprio tu non sia in grado di fare neanche un passo da sola- in quel modo la schiena di Olivia aderiva completamente al suo petto -Puoi sempre accettare che ti dia una mano e lasciare che ti accompagni in camera- aggiunse.
Forse doveva semplicemente darsi per vinta e, forse, non le importava più di tanto farlo. Era brilla e sentiva la testa leggerissima. In realtà il mondo intero sembrava leggero, persino la sua vita. Il dolore e il senso di colpa era totalmente svaniti.
-Leroy Jethro Gibbs- disse in modo solenne, senza neanche voltarsi verso di lui per evitare di avere un capogiro -Mi dichiaro sconfitta, nel corpo e nell’orgoglio. Ammetto di necessitare del tuo aiuto-
Concluse chiudendo gli occhi e sospirando.
Non fece neanche in tempo a finire la frase che si sentì presa sotto le ascelle e sotto le gambe. Istintivamente portò la testa al petto asciutto dell’uomo e si lasciò cullare dai movimenti del suo corpo mentre risaliva le scale del seminterrato.
-Non dirai a nessuno di questa cosa, vero?- lo implorò Olivia trattenendolo per una mano, dopo che lui l’ebbe adagiata con delicatezza sul letto.
Gibbs non poté fare a meno di sorridere, mentre le si avvicinava e si accucciava di fianco a lei.
Aveva gli occhi abbottonati, un po’ per il sonno che finalmente sopraggiungeva e un po’ per l’alcol che ancora le circolava in corpo.
-Non una parola- le sussurrò all’orecchio, e fu proprio mentre il suo respiro le solleticava la pelle che lei ebbe lo slancio di avvicinare le proprie labbra alle sue.
Fu un semplice e fugace sfiorarsi. Così veloce, che l’uomo si chiese se fosse veramente successo.
Rimase a guardarla per qualche secondo, mentre la vedeva riaffondare con la testa sul cuscino.
Finalmente gli occhi erano chiusi, il respiro le si faceva più lento e il viso si andava distendendo in un’espressione più rilassata.
Le tirò su la coperta e, prima di uscire, si abbassò di nuovo su di lei per lasciarle impresso un bacio fra i capelli.
 
   
 
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