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Autore: Funlove96    16/01/2022    0 recensioni
Questa fanfiction è un regalo di compleanno per una mia cara amica, ed è ispirata ad alcuni dei suoi disegni. Buona lettura, spero possa piacere^^
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Coppie: Shicca, Wermit, accenni di Creedmura.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermit, Shiki/Rebecca, Sorpresa, Weisz Steiner
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Questo è un regalo di compleanno per una mia carissima amica, nonché idea scaturita dai suoi disegni (questi per la precisione). Buon compleanno Asia, spero ti piaccia tesoro❤️



Coppie: Shicca, Wermit, accenni di Creedmura.



~Way back home~





"Porta via questa robaccia!" esclamò al limite della sopportazione, scaraventando il vassoio a terra con un movimento del braccio e facendo schiantare al suolo il boccale che vi era posato sopra, osservando per un poco quel vino tanto disgustoso che aveva appena bagnato le sue labbra mentre questo si spargeva ai suoi piedi, colorando il pavimento di un rosso sanguigno, che la innervosì ancora di più se possibile...

"Pulisci e vattene!" sbraitò al povero servitore spaventato, che subito si accasciò a terra, mentre lei si apprestava ad uscire dalla sala del trono, incrociando il ghigno del ragazzo che se ne stava poggiato alla parete, in attesa che lei si decidesse a ragionare...
"Dovresti essere un po' più gentile, in fondo avevi chiesto il vino e te lo hanno portato..." la canzonò mentre l'affiancava lungo il tetro corridoio che conduceva alle prigioni.
Non era un vero e proprio rimprovero, lui stesso si divertiva a spaventare i servitori quando si annoiava, ma ultimamente la donna perdeva un po' troppo spesso la calma e il clima era irrespirabile anche per lui, che pure vi era abituato a stare lì. Non era la sua dimora ma ci andava spesso a trovarla laggiù, sebbene stavolta vi fosse stato portato da avvenimenti ben più seri che la semplice cortesìa.
"Va all'inferno Shiki!" sbraitò nuovamente stringendo i pugni, più per non cadere nella tentazione di strangolarlo che per tenersi la lunga tunica nera. "In effetti ci sarei già cara sorella..." rispose il moro con un evidente ghigno stampato sulle labbra, fermandosi nel bel mezzo del corridoio quando lo fece lei, che lo fulminò con lo sguardo, riuscendo a fargli abbassare la mano già a mezz'aria e in rotta verso il suo capo, pronta a scompigliarle affettuosamente i capelli oltre che accentuare la scarsa altezza della donna che, sebbene fosse la maggiore tra i due, gli arrivava a malapena al mento. Se c'era una cosa che l'azzurra non soportava di lui, era il suo modo di trattarla come una mocciosa, quasi come se non avesse ben duecento e passa anni più di lui.
"Non guardarmi così..." sapeva che la sua visita, per i motivi che conoscevano ormai tutti, non era gradita, ma non era a causa sua che erano in quella situazione e questo sua sorella lo sapeva benissimo, lo capiva dalla rabbia che lei stessa stentava a trattenere. Non era mai stata impulsiva ed era l'unica che mai aveva creato problemi -al contrario di lui, che aveva costretto Zeus ad intervenire, e non che fosse stato un male alla fine...-, un po' perché non le piaceva perdere tempo in sciocchezze, come lei stessa definiva gli scandali amorisi creati dai loro fratelli e sorelle nell'Olimpo, e un po' perché la sua stessa vita non le permetteva di pensare a nulla che non fosse torturare anime...
"Hermit..." bastò quello a far sì che ella lo guardasse negli occhi scuri, mortalmente seri, caratteristica davvero poco comune per il fratello. "Demetra ha iniziato a fermare i raccolti, la primavera tarda ad arrivare, i mortali sono sull'orlo della disperazione e Zeus è furioso..." la guardò dritta negli occhioni azzurri, facendole capire meglio una situazione che ella stessa conosceva già alla perfezione. "In tutto questo il fatto che tu non liberi quel ragazzo non contribuisce a far altro che peggiorare il tutto..." finì, ricevendo uno sbuffo infastidito poco prima di ricominciare a camminare. Non glielo diceva era farla sentire in colpa, lui stesso non gliene dava e sapeva che mai la donna avrebbe fatto qualcosa per ferire le poche persone a lei care, ma la situazione era davvero critica e dovevano risolverla il prima possibile, uno dei primi passi per farlo era parlare chiaro, solo lui poteva farlo senza essere incenerito e solo a lui sia sorella dava ascolto.
L'imperatrice -imperatore per i più, soprattutto i mortali che poco avevano accesso al loro mondo- dell'Ade era difficile da far ragionare, lui stesso si era ritrovato ad arrendersi di fronte alla cocciutaggine della sorella, ma stavolta non poteva proprio farlo.
Non gli piaceva impicciarsi degli affari di Hermit, erano problemi suoi come governava gli inferi e si arrabbiava molto se qualcuno veniva a sindacare su come fare o meno il suo dovere -e la comprendeva, lui stesso diveniva una furia se qualcuno osava dirgli come tenere a bada i suoi oceani-, ma stavolta c'era il serio rischio di una carestìa che, per come erano fatti gli umani, avrebbe portato solo a ulteriori guerre. Nel mondo era già in corso una forte crisi e i mortali iniziavano a reagire a ciò nelle maniere più disparate: Da chi si affidava agli dèi con ancora più veemenza, offrendo sacrifici che speravano propiziatori, a chi invece li incolpava -e non aveva tutti i torti in effetti data la situazione-, mancando loro di rispetto in più e più modi, arrivando a deturpare persino i templi a loro dedicati.
A Shiki non importava granché dei luoghi di culto che nei secoli avevano costruito per lui, gli umani non gli erano mai particolarmente piaciuti in fondo, e poco gli importava cosa facessero o meno per farsi benvolere da lui -almeno fino a poco tempo prima-, poiché alla fine far sì che i mari stessero buoni e fossero sempre prolifici per la pesca, da parte sua, altro non era che mero dovere, qualcosa che era destinato a fare perché deciso da suo fratello, senza che lui avesse molta voce in capitolo. Come sua sorella del resto, costretta a governare un mondo senza luce, seduta sul suo trono in attesa solo di punire le anime di chi, in vita, si era macchiato di gravi crimini. Quando però aveva conosciuto Rebecca, il dìo dei mari era cambiato, la bella Oceanina gli aveva insegnato che non tutti i mortali erano malvagi, facendogli aprire gli occhi su chi non meritava gli inferi, anime che mai sua sorella avrebbe visto, poiché troppo pure per l'Ade. Se aveva iniziato a farsi stare simpatici i mortali era solo grazie a Rebecca, e solo per lei adesso era sceso fin lì, cercando di convincere sua sorella a liberare quel ragazzo che alloggiava nelle prigioni ormai da due mesi...
"Demetra dovrebbe ricordare che non è l'unica a poter radere al suolo interi campi di grano con solo uno schiocco di dita!" grugnì ancora più nervosa affrettando il passo. Adesso anche quella dèa di quart'ordine di sua sorella si metteva a infastidirla, incredibile...

Si era sempre eretta su un invisibile piedistallo perché, di tutti loro, dopo che Zeus li aveva liberati dal padre, iniziando a mettere legge sotto il debito che avevano nei suoi confronti, il destino peggiore era toccato ad Hermit, relegata in quel luogo dove ogni più piccola forma di vita moriva...
Se l'imperatrice dell'Ade non aveva scatenato le forze degli inferi era solo perché era consapevole che avrebbe fatto del male a diverse creature, e di conseguenza anche a suo fratello e alla sua consorte, tra i pochi esseri in grado di poter vantare un posto speciale nel cuore che lei, forse, neanche aveva più. Un cuore martoriato dalla cattiveria dei mortali che ella stessa puniva, prosciugato di tutto ciò che poteva provare, reso così piccolo da essere di poco più grande di un chicco d'uva, incapace di provare nulla che non fosse rabbia e disgusto verso quell'umanità che pian piano lo aveva rimpicciolito sempre di più, fin quasi a farlo scomparire...

"Hermit, ti prego..." e se persino il temuto Poseidone arrivava a pregarla la situazione era davvero grave, e non che lei non lo sapesse. Ma nulla poteva farci se quell'essere, senza un briciolo di buon senso evidentemente, aveva mangiato i semi di melograno, condannandosi da solo a rimanere nell'Ade per sempre...
Quella era una regola imposta da Zeus stesso e lei nulla poteva fare in merito: Chiunque mangiasse le cibarie appartenenti agli inferi era destinato a restare lì per l'eternità. "Vorrei accontentarti fratello ma..." e diceva davvero, sapeva cosa stava succedendo alla natura e voleva davvero che Rebecca smettesse di star male -nel suo stato non poteva sopportare il protrarsi dell'inverno ancora a lungo-, ma non aveva nessun potere su quella questione. Solo Zeus poteva annullare le sue stesse leggi e sapevano tutti che lo faceva solo se ciò gli permetteva di aprire le gambe di qualche bella donzella e infilarcisi dentro, esattamente come il depravato che era sempre stato...
"Vedi se riesci a portarlo via tu visto che non può abbandonare questo posto adesso..." disse ormai arresa, sperando davvero che suo fratello potesse fare qualcosa e, per la prima volta, di sentire un ordine proveniente da Zeus stesso, fermandosi per aprire la cella che tratteneva il ragazzo.
Non era neanche chiusa a chiave, non serviva dal momento che, se anche Weisz -Persefone per i più, dato che quasi nessuno conosceva le sue sembianze e tantomeno il nome del figlio della dèa della natura, che lo teneva celato il più possibile per mantenerlo puro alla corruzione del mondo, non riuscendovi molte volte- avesse voluto andarsene, gli inferi non lo avrebbero lasciato uscire e nemmeno lei poteva forzarne i cancelli in quella situazione. Quello stolto aveva mangiato i semi di melograno ben sapendo cosa avrebbe comportato tale azione e, per Zeus, mai aveva visto qualcuno con cotanto coraggio -o stupidità nel suo caso, era fermamente convinta Hermit- da voler rimanere in un posto come quello...

Egli se ne stava seduto a terra, ghignando nel vedere i due avvicinarsi e il viso del moro stupirsi nell'intravederne le sembianze mutate. Aveva la parte sinistra del corpo, dal volto ai piedi, contaminata dalla condanna che si era autoinflitto, rendendo la sua pelle bluastra, esattamente come era quella della regina degli inferi...

"So già tutto sorella..." sorvolò su ciò che, in fondo, aveva immaginato sarebbe accaduto. "È per questo che sono venuto..." continuò Shiki -aveva insistito col fratello per poter andare lui nell'Ade, costringendo così Hermes a restare sulla soglia, aspettando di condurre fuori lui e Weisz. E a giudicare dallo stato d'ira della sorella, aveva decisamente salvato quel poveraccio dall'essere bruciato vivo al minimo accenno di parola- per poi rivolgersi al ragazzo. "Zeus ha deciso che resterai negli inferi." gli riferì il verdetto del fratello, vedendolo poi alzarsi, noncurante di aver appena ricevuto quella che era una vera e propria condanna per i più.
E a Weisz non poteva importare di meno in effetti...

Aveva mangiato quei semi ben consapevole di cosa stesse facendo e si stava divertendo un mondo a vedere il caos generato giorno dopo giorno dall'ira materna. La stizza, per nulla celata, nel volto bluastro di Hermit poi, era davvero impagabile. Provava uno strano senso di soddisfazione nel vederla rabbiosa, e se la sarebbe goduta ancora di più se il volto della donna avesse lasciato un po' più di spazio al rossore delle gote, che invece a malapena si intravedeva dallo scuro colore della pelle. Una tonalità così lontana da quella perlacea, talvolta appena rosea, che contraddistingueva le bellezze che popolavano sia l'Olimpo che la Terra...
Era stata una sorpresa non da poco ritrovarsi davanti una ragazzina che, sebbene avesse diversi secoli sulle spalle, gli arrivava a fatica all'altezza del mento, e non il perfido omone barbuto che decantavano tutti essere il sovrano degli inferi, e lo sproloquio da donnicciola isterica che gli aveva dedicato appena arrivato lì gli aveva fatto venire il mal di testa. Gli aveva urlato addosso che era un depravato, e in una maniera così violenta che anche il Cerbero ebbe timore della sua padrona, tanto da starsene buono dinnanzi all'entrata degli inferi senza proferire alcun verso, mentre ella faceva tremare l'intera sala del trono tanta era la rabbia che gli stava gettando addosso, facendogli temere quasi che il soffitto in pietra sarebbe potuto crollare a momenti. All'inizio non capiva perché se la prendesse tanto con lui, la cui unica colpa era stata il consigliare all'amico fidato su come conquistare una donna, ma poi, coi giorni passati in quella cella, aveva iniziato a comprendere, fino ad arrivare ad incuriorsi a tal punto da addentare i frutti di quel melograno -unica cosa a lui disponibile in quel lungo e lugubre corridoio che lo conduceva alla sala del trono, dove era stato chiamato a presentarsi dalla sovrana- così che fosse impossibile pure per la dèa cacciarlo da lì. Voleva conoscere tutte le sfumature dell'Ade che ancora gli erano occulte, prima fra tutte la donna dai lunghi capelli azzurri e la pelle bluastra, che definire cadaverica era dire poco, la quale si discostava dallo splendore degli occhioni color cielo -così discordanti dall'ambiente in cui si trovavano, splendenti per certi versi, ma di una luce che sembrava così debole e fioca da essere quasi inesistente. Ma lui l'aveva vista, quella luce, ne era certo- solo perché molto più spento e scuro. L'unico fastidio erano le urla continue dei condannati, povere anime, come le aveva definite erroneamente il biondo...

"Povere anime?" gli aveva urlato sentendolo dire quelle stesse parole. "Quelle povere anime, come le chiami tu, hanno saccheggiato, rubando alla povera gente, ucciso senza pietà, e fatto del male in tutti i modi in cui ne hanno avuto possibilità in vita!" lo sguardo rabbioso che gli aveva dedicato nel dirlo, Weisz poteva giurare di non averne mai visto uno così in vita sua. Dire che era furiosa era poco, e il biondo stentava a credere che una sola frase avesse potuto scatenare tanta ira nella donna di fronte a lui. "Meritano ogni singola tortura che gli viene inflitta!" finì prima di andarsene, seguita dal fedele Cerbero, il quale sembrava quasi voler tranquillizzare la padrona, restando ovviamente a debita distanza per la propria sicurezza, prima di tornarsene all'ingresso dell'Ade, obbedendo al muto ordine che ella gli aveva dato, lasciando così Weisz da solo in quella cella, circondato da quelle dove giacevano le anime in cerca di perdono senza accorgersi che era troppo tardi perché potesse esser loro data la grazia tanto sperata...

"Per sei mesi l'anno tornerai da tua madre e per i restanti sei rimarrai qui a governare gli inferi." "Non può farlo!" si oppose la donna, frapponendosi tra i due e fronteggiando il fratello con le mani posate sui fianchi, che a Weisz ricordò molto la postura materna quando ella si arrabbiava perché aveva rovinato ancora una volta i campi col suo vizio di raccogliere fiori da donare alle donzelle. "Non appartiene a questo posto, deve andare via!" da quando era arrivato non aveva fatto altro che farla arrabbiare con le sue provocazioni e i suoi stupidi sorrisetti, senza contare che la Terra rischiava di distruggersi. Per loro non era un gran problema, potevano creare un mondo del tutto nuovo, ma quel moccioso irrispettoso lo voleva fuori dal suo regno, e subito anche!
Non aveva fatto i conti col carattere del giovane quando lo aveva tirato giù negli inferi. Era stata accecata dall'ira scaturitale quando lo aveva visto strappare quel narciso dalla Madre Terra, e il ghigno sul suo volto, totalmente indifferente al dolore inflitto a quella piccola vita, l'aveva fatta così infuriare che aveva finito per aprire una voragine che lo aveva risucchiato lì, facendolo cadere ai suoi piedi, quasi ustionandolo nell'impatto col pavimento, bollente a causa della sua rabbia...

"Basta cogliere un fiore Seiji!" aveva detto all'amico, il quale da un po' di tempo era triste perché non sapeva come far comprendere i suoi sentimenti all'amata -una donna bellissima, dai lunghi capelli neri coi riflessi violetti, pelle candida e un viso innocente tale da far invidia ad Afrodite stessa-, e così Weisz, la cui unica esperienza in amore era quella di sedurre fanciulle a destra e a manca, aveva provato a dargli qualche ragguaglio su cosa fare. L'amico, sotto suo consiglio, aveva colto dei mughetti, creando un piccolo mazzolino che Weisz aveva pensato di abbellire mettendoci al centro un narciso ma, una volta che le radici del fiore erano venute via, una enorme voragine gli si era aperta sotto i piedi lasciati mezzi scoperti dai sandali, facendolo precipitare per diversi metri e sbattere il bianco sorriso dritto sulla pietra bollente, e una volta alzatosi, scottato dall'elevato calore, si era ritrovato in quel posto tetro, circondato dalle urla dei condannati e con una ragazzina a guardarlo come se volesse ucciderlo...

Hermit lo avrebbe volentieri ucciso, fulminandolo oppure bruciandolo vivo, c'erano tanti modi e a lei non faceva differenza usarne uno piuttosto di un altro. Ma poi, con molta probabilità data la sua vita abbastanza dissoluta, se lo sarebbe ritrovato lì per l'eternità, e a poco sarebbe valsa la soddisfazione di torturarne l'anima se fosse stato fastidioso come in vita...
In un certo senso se lo era ritrovato comunque lì a infastidirla per sempre...

"Ma Demetra..." "Per me va bene, soprattutto se farà star buona mia madre..." il giovane interruppe la sua opposizione, certamente atta a far notare al dìo dei mari che la Madre Terra e regina della natura non avrebbe gradito comunque non avere suo figlio con sé tutto il tempo. Anche Weisz era poco entusiasta della decisione di Zeus, ma per motivi decisamente opposti a quelli della regina, che intanto stava discutendo col fratello nel tentativo di convincerlo a portarselo via senza farlo più tornare.

Sua madre era sempre stata così, cercava di fargli mettere la testa a posto, voleva che lui divenisse un dìo, per questo si arrabbiava molto quando lo vedeva perdere tempo con qualche fanciulla anziché pensare a onorare gli dèi e aiutarla nel far rifiorire la natura. Ma tante volte ella aveva dovuto arrendersi al carattere del figlio, che aveva preso da Zeus da quel punto di vista, poco ma sicuro. Quella sentenza non andava esattamente incontro ai suoi desideri ed era certo non andasse a genio neanche alla madre, ma Zeus non lo aveva bandito completamente dagli inferi e questo andava decisamente a suo vantaggio. Quando Weisz si metteva in testa una cosa era impossibile persuaderlo ed era certo che la madre avrebbe provato a fargli cambiare idea per non farlo ritornare negli inferi. Con l'imposizione di Zeus però non aveva molta voce in capitolo neanche lei e il ragazzo era abbastanza certo che ella non volesse incappare nell'ira del padre degli dèi. Se poi si considerava il fatto che il suo desiderio di farlo divenire un dìo, in un certo senso, era stato esaudito ora che era a tutti gli effetti il dìo dell'oltretomba, forse sarebbe stato più facile per la dèa arrendersi a ciò che era stato deciso. Presto o tardi lo avrebbe fatto...
"Ormai tu appartieni anche agli inferi Weisz, e come sovrano li governerai per metà dell'anno, durante i mesi freddi, mentre nei mesi caldi starai accanto a tua madre e l'aiuterai coi suoi doveri di dèa della natura..." Shiki spiegò ciò che Zeus gli aveva riferito. Il fratello era giunto a quella decisione in modo tale da accontentare tutti senza contravvenire alle sue stesse leggi, e più che altro perché non gli dessero più noia...
"Zeus ha già persuaso Demetra." disse alla sorella, che dovette arrendersi per forza a ciò che era stato deciso, incrociando le braccia in segno di stizza. "Vieni con me, i cancelli si apriranno per lasciarti passare..." aggiunse il moro uscendo dalla cella. Voleva andare via in fretta e non perché non gli piacesse quel luogo...
Ci andava ben volentieri a trovare la sorella quando non aveva troppo da fare, e non soffriva certo né il caldo né l'odore di zolfo che si respirava costantemente lì, sapendo orientarsi alla perfezione per non cadere in uno dei fiumi di lava che costeggiavano i lunghi corridoi di pietra. Ma quella situazione stava facendo del male alla sua regina e lui non poteva sopportare l'idea di perderla -di perderli...- per tutto il trambusto che si era venuto a creare, e se si era recato di persona negli inferi era perché certo che Hermit sarebbe stata più propensa a collaborare con lui che con Hermes, così da poter risolvere la situazione e far star meglio Rebecca e il figlio che ella portava nel grembo...
A quel punto non gli importava più di poter assistere alla venuta al mondo di suo figlio, voleva solo che lei smettesse di contorcersi dal dolore di un parto che tardava ad arrivare per via del fragile stato di salute in cui la consorte versava, il tutto a causa delle temperature troppo rigide che gelavano le acque...
Di fatto, a lui non importava del destino degli umani, sebbene gli dispiacesse per alcuni di loro, in quel momento gli interessava solo la salute della compagna e del figlio ed era per quel motivo che aveva convinto il fratello a farlo andare nell'Ade. Hermit si sarebbe persuasa più facilmente a lasciar andare il giovane, nonostante poi avesse scoperto che la regina stessa non desiderava la sua presenza. Da quel poco che aveva potuto vedere, il suo modo di fare arrecava non poco fastidio alla sorella, mentre a lui, quel ragazzo che era andato volontariamente incontro ad un destino che nessuno -nemmeno la stessa imperatrice degli inferi- desiderava, stava addirittura simpatico per l'ardire che aveva nello sfidare la dèa.

Shiki sarebbe rimasto volentieri a guardarli litigare, sebbene si trattasse soltanto di Hermit che sbraitava e Weisz che si divertiva a farla arrabbiare più di quanto già non fosse, rischiando di farsi molto male se la sorella avesse perso quel poco di pazienza che ancora -miracolosamente- aveva. Ma doveva assolutamente mettere fine a quel disastro e tornare al capezzale della moglie, ed era così vicino al farlo che non gli andava di perdere altro tempo standosene a guardare una Hermit fumante di rabbia che li precedeva affrettando il passo per raggiungere le sponde dell'Ancheronte, meno ancora Weisz che si fermava appena arrivati lì solo per salutare il Cerbero, il quale lo fece avvicinare senza problemi, facendosi carezzare il nero pelo e sussurrare qualcosa all'orecchio di una delle tre teste -a quanto pareva quei due erano divenuti amici, e poco male, pensava Shiki, soprattutto dato che quella sarebbe stata la dimora del giovane da quel momento in poi-, richiamandolo non appena fu il momento di salire sull'imbarcazione dove li attendeva Hermes.
Shiki -a differenza di Weisz che rimase a guardarla fin quando non fu troppo lontana per poterla vedere nitidamente- non si voltò a guardare Hermit, sapendo che l'unica cosa che avrebbe visto sarebbe stata la dèa che, una volta che l'imbarcazione fu troppo lontana per distinguerne bene la sagoma tra il fumo dello zolfo che aleggiava, tornava al suo trono, non prima di essersi avvicinata al Cerbero per carezzarlo affettuosamente, quasi a chiedergli scusa dell'ira che aveva afflitto il luogo negli ultimi tempi, e che aveva fatto sentire l'amato amico stranamente a disagio rispetto a ciò a cui era abituato. Il cane si fece carezzare tranquillo, leccandole una mano, mentre una delle altre teste si sporgeva per far cadere qualcosa in essa. Dei petali mezzi raggrinziti di un narciso, lo stesso che il ragazzo aveva raccolto poco prima di finire lì...

Si passò i petali tra le mani, carezzandogli delicatamente, mentre ne intravedeva i contorni attraverso le lacrime che si stavano affacciando agli occhioni azzurri. Il Cerbero si strusciò sulla tunica violetta dai ricami dorati che ricopriva il munito corpo della donna, facendole abbassare lo sguardo sul cane che cercava di consolarla, avendone avvertito lo stato d'animo, gemello del proprio...
"Tornerà presto vedrai..." gli sorrise appena sussurrando quelle parole, forse più per darsi forza da sola che per darne alla bestia accucciata ai suoi piedi lasciati mezzi scoperti dai sandali dorati.

Non sapeva darsi una spiegazione all'inquietudine che aleggiava nel suo animo, erano quasi tre secoli che lo vedeva ardar via per poi tornare, eppure, da qualche tempo a quella parte, non riusciva a passare quei mesi di lontananza serenamente, nemmeno gettandosi a capofitto nei suoi impegni, che pure erano stati un buon conforto i primi tempi.
Strinse al petto i petali che, come ogni anno, Weisz le aveva lasciato, mentre con la mano libera teneva la lunga tunica, per dirigersi verso la sala del trono, posando delicatamente il povero narciso, ormai quasi irriconoscibile per i mesi passati negli inferi -oltre che per il fatto che era già appassito quando era stato colto-, laddove era solito sedersi il biondo, proprio accanto a lei.
Gettò un veloce sguardo sulle pergamene ammassate lì accanto, sbuffando tornando a sedersi, per niente vogliosa di spulciare ancora i nomi dei condannati, segnati con una grafia quasi impeccabile, sporcata appena da alcune macchie d'inchiostro qua e là...

L'inchiostro sparso qua e là impediva di leggere correttamente le pergamene, su cui aveva segnato, su ordine della madre, i nomi e il numero esatto dei fiori che vi erano in ogni singolo campo che era stato costretto ad attraversare in giro per il globo...
Gli dolevano ancora i piedi e non faceva altro che sbuffare per come sua madre lo schiavizzasse ogni singola volta che tornava. Secondo Demetra, adesso che era un dìo a tutti gli effetti, doveva conoscere ogni singola forma di vita che popolava il mondo, anche la più piccola, e la dèa utilizzava questa scusa per farlo viaggiare a destra e a manca sulla Terra, passando a lui un compito che lei aveva portato a termine da sola per diversi secoli...

Se ne stava seduto sulle sponde di un lago, cercando di non pensare al dolore che gli affliggeva gli arti inferiori, ormai liberi dai sandali, riponendo nella casacca bianca dai richiami dorati la pergamena malamente piegata, mentre poco lontano da lui un gruppetto di donzelle passeggiava tranquillo.
Deviò lo sguardo sul piccolo prato dove era seduto, preferendo di gran lunga guardare i narcisi -non era un caso che avesse deciso di andare a riposarsi proprio lì-, ormai già sul punto di appassire a causa del freddo in arrivo. Un tempo ne avrebbe raccolto uno e si sarebbe avvicinato a quelle fanciulle con fare poetico, adesso però l'unica cosa a cui riusciva a pensare era che mancavano appena cinque giorni all'imminente ritorno nell'Ade, e non riusciva a non sorriderne mentre sporgeva la mano sinistra -quella che si mostrava, come il braccio del resto, di colore bluastro, quasi cadaverico- in avanti verso uno dei narcisi. Di tutti quello era il più malridotto, e forse per questo lo aveva adocchiato, vedendolo chinarsi in avanti, quasi come ad inchinarsi a lui, che delicatamente scavò nel terreno, tirandone lentamente fuori le radici, ricoprendo la buca che aveva creato mentre lo sguardo azzurro non si staccava dalla pianta, che in breve finì accuratamente riposta in un fazzoletto e poi nella casacca, decretando che sarebbe stato il dono con cui si sarebbe presentato al cospetto della regina degli inferi, quasi in segno di scuse per l'obbligata assenza...

All'inizio non sapeva spiegarsi il perché di quel gesto, divenuto abitudine, e da tempo aveva smesso di cercare di capirlo, dicendosi che tanto sarebbe passato col tempo, che un bel giorno se ne sarebbe dimenticato e che avrebbe semplicemente smesso, ma così non era stato, e dopo tanti secoli non poteva fare a meno di cercare un campo dove vi fossero dei narcisi, con l'intenzione di coglierne uno per portarlo all'imperatrice dell'Ade, donandoglielo però solo quando ripartiva per raggiungere di nuovo la madre...
La prima volta aveva pensato che fosse doveroso, da parte sua, fargliene dono, con l'intenzione di porre rimedio al loro primo e disastroso incontro, avendo riflettuto e, forse, capito da dove venisse la rabbia che la donna gli aveva riservato appena arrivato lì, sebbene poi non aveva avuto il coraggio di darglielo fin quando non era arrivato il momento di separarsi di nuovo. Non aveva detto nulla, non sapeva nemmeno cosa dire, le aveva semplicemente preso le mani tra le proprie, lasciandovi i petali mezzi distrutti e guadagnandosi uno sguardo stranito colorato appena dal rossore che faticava a mostrarsi sulle gote bluastre...
Non sapeva esattamente perché aveva continuato poi, sapeva solo che preferiva lasciarla così, che l'ultimo ricordo di entrambi fosse quello di un dono, un muto gesto che diceva che egli avrebbe sempre trovato la strada per tornare in quella che era a tutti gli effetti, al pari -se non di più forse- di quella materna. Così era andato avanti per quasi tre secoli, e fermare adesso quella piccola abitudine -la quale, forse, poteva essere considerata stupida o addirittura insignificante da alcuni- gli sembrava una sciocchezza. Le si era avvicinato tanto nel tempo, divenendo una delle poche persone che poteva vantare -almeno lo sperava- un posto di riguardo nel cuore della regina dell'Ade, e anche lei aveva preso posto in quel muscolo in mezzo al petto che più volte ai mortali e agli dèi faceva perdere la ragione. Forse lui la ragione non l'aveva persa solo perché, in fondo, non l'aveva mai avuta, e ringraziava oggi quel gesto sconsiderato di qualche secolo prima che lo aveva portato a legarsi a quel luogo infimo che era l'Ade, perché non riusciva davvero ad immaginare la sua vita senza quella donna che a malapena gli arrivava al mento, dal fisico piacente ugualmente a quello di Afrodite, se non di più forse...
Ritirò subito quel pensiero e non perché non corrispondesse al vero -per lui Hermit era assai più bella di tutte le fanciulle che aveva incontrato prima di lei-, ma perché sapeva quanto Afrodite fosse suscettibile, e ricordava la punizione che ella stessa aveva dato tempo prima alla ninfa di cui il suo caro amico si era innamorato, trasformata in statua solo perché Seiji aveva osato farle quel particolare complimento ad alta voce, e seguita senza remore dal moro che, soprattutto dopo aver scoperto di essere ricambiato, era ancora meno propenso a lasciare l'amata a quel tremendo destino, sfidando apertamente l'ira della dèa.
In cuor suo, Weisz sperava vivamente che i due, ormai divenuti statue segnate dal tempo, potessero vivere il loro amore serenamente almeno adesso...

Scosse la testa scacciando quei pensieri, e guardando il cielo scuro si accorse che era già sera, alzandosi per tornare a casa da sua madre, sperando che non gli desse troppi incarichi in quegli ultimi giorni. Era pur sempre colei che gli aveva dato la vita e le voleva bene nonostante l'astio con cui parlava dell'imperatrice dell'Ade, cosa che lo mandava su tutte le furie, arrivando a minacciare la donna di andarsene e non tornare mai più se solo si fosse azzardata ad apostrofare Hermit con qualche altro epiteto poco gentile. Era sua madre e l'amava, ma nel suo cuore risiedeva anche un'altra donna, molto più dolce e fragile di ciò che ella stessa dava a vedere, e lui non avrebbe permesso a nessuno, anche la sua stessa genitrice di mancarle di rispetto.
Una volta l'amico Seiji aveva provato a spiegargli cosa provasse per la bella Homura -questo il nome della ninfa che gli aveva rubato il cuore- e Weisz non sapeva se ciò che provava nei confronti della bella imperatrice degli inferi fosse paragonabile a quello, sapeva solo che stava bene in sua presenza e che ormai era arrivato a contare i giorni che lo separavano dal ritorno nell'Ade. E ormai mancavano appena quattro giorni al suo ritorno negli inferi, pensava mentre indossava di nuovo i sandali, incamminandosi poi verso casa, dove sua madre lo aspettava, pronta all'ennesimo rimprovero da fargli, mentre mancava sempre meno al suo ritorno negli inferi, in quella che era a tutti gli effetti la sua dimora...



Angolo autrice.
Ed eccoci giunti alla fine di questa piccola one shot. Tantissimi auguri amica mia, ti meriti tutto l'amore di questo mondo🥰
   
 
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