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Autore: My Pride    16/01/2022    1 recensioni
~ Raccolta Curtain Fic di one-shot incentrate sulla coppia Damian/Jon + Bat&Super family ♥
» 79. With all my life
Le note di Jingle Bells risuonavano a ripetizione negli altoparlanti del centro commerciale e diffondevano quell’aria natalizia che si respirava in ogni punto della città di Gotham, dai piccoli magazzini, negozi di alimentari e ristoranti ai vicoli che circondavano ogni quartiere.
[ Tu appartieni a quelle cose che meravigliano la vita – un sorriso in un campo di grano, un passaggio segreto, un fiore che ha il respiro di mille tramonti ~ Fabrizio Caramagna ]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bat Family, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Left the past behind Titolo: Left the past behind
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 2480
parole fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Bruce Wayne, 
Thomas Alfred Wayne-Kent (OC), Jonathan Samuel Kent
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life, Vagamente Malinconico, Fluff
Avvertimenti: Narratore inaffidabile, What if?, Slash
Maritombola #12: 05. “Questa città si affaccerà quando ci vedrà giungere” (Måneskin, Torna a casa)


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved
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    Con la testa che gli doleva, Damian aprì debolmente le palpebre e si guardò intorno, capendo di essere in una stanza in penombra illuminata da poche candele poste in punti strategici. Accigliato, si tirò su a sedere e imprecò nel sentire un dolore al fianco, e nell'abbassare il capo vide, con la poca luce fornita dalle fiammelle, un livido che si estendeva sul suo fianco nudo. Indossava solo dei pantaloni larghi con una fascia alla vita e, guardando meglio, si rese conto di avere anche dei parabraccia dorati ai polsi. Ma cosa...?
    Un vociare insistente oltre la porta richiamò la sua attenzione, e lui si voltò solo per sentire quel brusio diventare sempre più sconnesso, come se qualcuno si stesse allontanando con passi veloci. Imprecando per il dolore, Damian cercò di rimettersi in piedi e vacillò in quella direzione, sorreggendosi contro le pareti della piccola stanza in cui si trovava; quando arrivò alla porta e la spalancò, però, rimase senza fiato nel riconoscere la scalinata di pietra che portava all’altare su cui poggiava la riproduzione del globo terrestre, le fiamme nei bracieri danzavano in lingue di fuoco inquietanti che rendevano l'atmosfera irrespirabile. E lì, in ginocchio con la schiena rivolta al simbolo degli Al Ghul, c'era Thomas con indosso il mantello per l'iniziazione all'Anno di Sangue.
    Damian si portò una mano alla bocca, disgustato e inorridito. Lo stomaco gli si contorse e represse un conato di vomito, non riuscendo a muovere un singolo passo per strappare suo figlio dal rito che si stava svolgendo dinanzi ai suoi occhi. Il rosso delle fiamme rendeva l'atmosfera soffocante e terribile, il brusio degli adepti mentre mormoravano la gloria degli Al Ghul era una nenia che sembrava ferire le orecchie, e Damian provò ad aprire la bocca e ad urlare di smetterla, di lasciar stare suo figlio, poiché a nove anni non avrebbe dovuto subire ciò che aveva dovuto subire lui. Non voleva che Thomas vivesse l'orrore e la tragedia, che il sangue gli sporcasse le mani, che le torture che lui stesso aveva dovuto subire da bambino si riversassero ad indurire quel suo volto fanciullesco e che la sua innocenza venisse strappata via allo stesso modo in cui era successo a lui, e men che mai voleva che suo figlio sapesse ciò che voleva dire uccidere.
    Gridò il nome di Thomas, quello di sua madre dritta e fiera accanto a lui, e imprecò anche contro suo nonno, il quale aveva appena dipinto sul viso di Tommy una lunga scia di sangue che gli nascondeva completamente gli occhi. Perché sua madre stava permettendo questo? Perché lasciava che suo nonno trattasse in quel modo suo nipote? Damian si rifiutava di credere che sua madre, la quale aveva cercato davvero di chiedere una redenzione, avesse tradito la sua fiducia solo per consegnare suo figlio nelle sporche mani di Ra's Al Ghul e continuare, seppur in linea di sangue non diretta, l'orribile follia della conquista del mondo.
    Thomas si alzò in quello stesso momento e guardò dritto davanti a sé per fissarlo, come se fosse l'unico, in quella stanza, che potesse vederlo. Le due iridi, una azzurra e una marrone, lo guardarono con un'attenzione tale che non si sarebbe mai aspettato, l'espressione sul suo viso sembrava completamente trasformata in pietra mentre il sangue cominciava a colare lungo le sue guance, quasi stesse piangendo lacrime rosse.
    «Per te, padre», sussurrò, accettando la spada che gli veniva offerta, e Damian sbiancò nel rendersi conto che quella spada l'aveva consegnata lui stesso. In piedi davanti a suo figlio, con indosso le vesti della Testa del Demone, stava diventando giudice e carnefice dell'infanzia rubata di Thomas. E la cosa peggiorò quando la sua bocca si aprì contro la sua volontà, pronunciando una frase che non avrebbe mai voluto neanche lontanamente pensare.
    «Rendimi fiero, figlio. Rendi fieri tutti gli Al Ghul, conquista il mondo, conquista Gotham. Questa città si affaccerà quando ci vedrà giungere», affermò con voce aliena, quasi provenisse da recessi della sua memoria o da qualcuno che non era lui, e non poté fare altro che pronunciare quelle parole mentre le grida a cui voleva dar vita venivano ingoiate nella sua gola, senza avere possibilità di uscire.
    Un boato di urla di guibilio si sollevò intorno a loro mentre gli assassini e i nuovi adepti pronunciavano il nome di Thomas, e Damian sgranò gli occhi nel vedere alcuni di loro sollevare un enorme pezzo di stoffa su cui spiccava il nome “Hafid Al Ghul”, nome che Damian aveva sempre sperato di non rivedere mai. Il nome con cui era stato conosciuto all’interno della Lega degli Assassini.
    «Lunga vita al Demone!» Al coro di voci fece eco il battere possente di pugni contro il petto e spade sguainate, e Damian inorridì maggiormente nel rendersi conto che persino Thomas gli stava rendendo omaggio, in ginocchio e con la lama conficcata nel terreno sottostante.
    «Ora vai», disse ancora con voce non sua. «L’Anno di Sangue ti attende. Torna vittorioso… o muori provandoci».
    Thomas si batté ancora una volta il pugno sul petto, poi si sollevò il cappuccio sul capo. «Come desideri, padre», sentenziò, incamminandosi fiero e spavaldo oltre quelle scale sotto lo sguardo sconcertato di Damian, per quanto non avesse mosso un muscolo per fermarlo né tanto meno avesse parlato.
    Era come se fosse uno spettatore che osservava ciò che gli accadeva intorno senza poter far niente per cambiare il corso degli eventi, fissando la schiena di Thomas che si allontanava senza poterlo fermare. No, no, no. Come un lampo, vide le immagini della sua iniziazione passargli davanti agli occhi, la tortura a cui era stato sottoposto e le dure prove che lo avevano reso indifferente al dolore del mondo, e suo figlio stava per subire la stessa sorte. Thomas stava per imbarcarsi in una missione suicida e lui non stava facendo niente per fermarlo. Dov’era Jon? Perché stava succedendo tutto questo?
    Quando si voltò e si vide specchiato nella lama della propria spada, Damian sentì lo stomaco in subbuglio e fissò quel volto scavato e pallido e quegli occhi verdi che ricambiavano il suo sguardo, deglutendo sonoramente quando un luccichio alle sue spalle richiamò la sua attenzione; spostò un po’ la lama con mano tremante, senza voltarsi, urlando a squarciagola nel rendersi conto che la testa riflessa sull’acciaio e conficcata su una picca, con gli occhi azzurri spalancati e dilatati, era quella di Jon. Gridò talmente tanto che gli si seccò la gola, la sentì andare a fuoco e quasi perse la voce, urlando ancora e ancora il nome di Thomas e Jon senza che nessuno lo sentisse. Era davvero finita? Era davvero quello il destino di suo figlio e suo marito? No, non voleva. E quindi urlò ancora con quel poco fiato che aveva in corpo, singhiozzando e farfugliando mentre annaspava e cercava inutilmente di riprendere aria.
    «Damian! Stai bene?!»
    La voce di Jon si fece spazio in quell’oscurità fatta di fiamme e sangue, strappandolo da quell’incubo in cui stava affogando; aprì gli occhi così di scatto che per un attimo si guardò intorno freneticamente, infilando una mano sotto al cuscino del divano per afferrare un coltello immaginario che non trovò. E Jon, accorgendosi del gesto, gli poggiò delicatamente una mano sul polso, massaggiandolo.
    «Ehi, hayati… va tutto bene, sei a casa. Sei al sicuro», sussurrò, ripetendo quelle parole come una nenia, lo sguardo fisso sugli occhi sbarrati del marito.
    Damian stesso faticò a calmarsi, il respiro ansimante e l’ansia che gli attanagliava il petto, e si rese conto che c’erano altre mani che lo toccavano e un’altra voce che provava a rassicurarlo solo quando, ristabilizzato in parte il suo battito cardiaco, notò anche Thomas con la coda dell’occhio. Lo attirò a sé così in fretta che il ragazzo si lasciò scappare un’esclamazione improvvisa, la quale venne ben presto soffocata contro il petto di Damian che, impaurito, aveva cominciato a passare spasmodicamente le mani fra i capelli del figlio.
    «Stai bene, baba?» chiese Tommy nonostante fosse letteralmente premuto contro la stoffa del maglione, e Damian annuì debolmente, sentendo Jon accomodarsi al suo fianco per avvolgergli un braccio intorno alle spalle.
    «Io… io…» Damian si umettò le labbra più volte, la voce ridotta ad un soffio isterico. Cercò in tutti i modi di scacciare dalla sua testa le immagini che aveva visto, l'incubo che gli aveva mostrato i peggiori orrori che avrebbe mai potuto pensare e che lo aveva torturato nel profondo, non volendo sovrapporre i volti preoccupati di Jon e Thomas a quelli che aveva visto quando il suo cervello lo aveva intrappolato in quella che era una delle sue paure più profonde. E a quel pensiero si ritrovò ad avvolgere un braccio intorno ai fianchi di Jon, tenendo contro di sé i due uomini della sua vita. Era a casa sua, col suo compagno e suo figlio, e si era solo addormentato sul divano dopo una lunga giornata di lavoro. Non era alla Lega. Non più. «Adesso… adesso sì».
    Jon e Tommy si lanciarono solo una rapida occhiata, ma non fecero ulteriori domande. Si strinsero semplicemente a Damian, desiderosi di dargli tutto il calore di cui sembrava necessitare, e fu soprattutto Jon a guardare il compagno con attenzione, consapevole che avesse avuto uno dei suoi incubi. Erano anni che non accadeva, e Jon sapeva che, se lo avesse forzato a parlarne, si sarebbe semplicmente chiuso maggiormente in se stesso. Quindi rimasero così, gli uni abbracciati agli altri, finché non fu Jon stesso a consigliare di andare a letto.
    Seppur tergiversando per un momento, Damian aveva annuito e li aveva lasciati andare a malincuore, anche se alla fine si erano ritrovati tutti e tre, Asso incluso, a condividere il letto. Thomas aveva giustificato la cosa dicendo che voleva solo assicurarsi che il suo baba stesse bene e che se ne sarebbe tornato a letto solo quando si sarebbe addormentato, ma alla fine era stato lui il primo a crollare, ronfando contro il braccio di Jon; quest'ultimo l'aveva lasciato fare con uno sbuffo divertito e aveva lanciato uno sguardo a Damian, il quale si era sforzato di sorridere un po' prima di accoccolarsi a sua volta contro di lui.
    Quando anche Jon si era addormentato, però, era scivolato silenziosamente via dal letto ed era sceso al piano di sotto, zoppicando fino al portico per sedersi sul dondolo con un lungo sospiro. Quell'incubo era ancora lì a tormentare la sua mente, ma sembrava che stesse cominciando a svanire mentre inspirava fino in fondo il piacevole odore della campagna che lo circondava. Non era più Hafid. Non lo sarebbe stato mai più. Ciò che aveva sognato era solo frutto delle sue paure, qualcosa che non sarebbe mai successo e che non avrebbe intaccato la felicità che aveva conquistato con così tanta fatica.
    «Ehi... ti piace proprio stare qui fuori a pensare, mhn?»
    La voce di Jon richiamò la sua attenzione e Damian gli scoccò una rapida occhiata, limitandosi semplicemente ad annuire senza proferire parola per tornare a fissare i campi davanti a sé immersi nel buio e nella quiete. C'era solo la luce della luna e delle stelle ad illuminare i profili delle fattorie distanti, e Jon si sedette accanto a lui sul dondolo, cingendogli le spalle con un braccio per guardare a sua volta lo spettacolo che aveva davanti.
    «Vuoi parlarne?» chiese infine dopo minuti interminabili di silenzio, e Damian tacque ancora per un lungo attimo prima di passarsi una mano fra i capelli.
    «...ho sognato che costringevo Thomas all'Anno di Sangue».
    Jon si accigliò. «Cosa?»
    «L'Anno di Sangue», ripeté nell'inspirare pesantemente dal naso, abbandonando una mano sulla protesi scoperta. «Un anno trascorso per prepararsi a guidare gli Al Ghul verso il potere e il dominio del mondo». Damian sentì gli occhi di Jon su di sé e fu incerto sul raccontare, poi le dita della mano di Jon si intrecciarono con le sue, dandogli la forza di continuare. «Ogni giorno una nuova prova, una nuova lezione e un incarico da assassino da completare. Ogni incarico un trofeo da conquistare».
    «D...» La presa di Jon si fece più salda, ma Damian sollevò immediatamente una mano per fermare ogni parola che sarebbe potuta uscire dalle sue labbra.
    «No. Fammi finire», sentenziò. «Lo so, lo so che non sono più quella persona. Quand'ero ragazzino, prima che ti conoscessi, ho cercato la redenzione per ciò che avevo fatto, liberandomi io stesso di quel fardello e di quelle catene che mi avvolgevano il collo». Si passò una mano fra i capelli, strizzando gli occhi per un momento. «Eppure... eppure ho sognato che costringevo nostro figlio a fare lo stesso. Cercavo di urlare e di far finire tutto, ma era come se il mio corpo si muovesse da solo e... e gli ho detto di rendere fieri gli Al Ghul».
    Jon si irrigidì, ma rinserrò la presa per stringere maggiormente la mano nella sua. «Era solo brutto sogno, D, non--»
    «Tu eri morto», sentenziò ancora, cominciando a respirare pesantemente. «Eri morto e forse ti avevo ucciso proprio io, oppure Thomas, io non… non so cosa…»
    «D, ehi, D». Jon lo afferrò subito per le spalle, costringendolo a guardarlo. «Respira. Stai iper-ventilando. Respira», lo guidò nel cominciare a farlo con lui, inspirando a fondo e rilasciando aria, vedendo Damian fare lo stesso anche se con fare incerto. Fu solo quando si calmò che Jon lo abbracciò di nuovo, carezzandogli la schiena mentre lo premeva contro di sé. «Era un incubo, hayati. Solo e unicamente un incubo».
    Seppur ancora un po’ agitato e col cuore che riprendeva lentamente il normale battito, Damian artigliò la camicia di Jon, beandosi del calore del suo corpo e della consapevolezza della sua presenza viva e costante. Quel sogno era stato così realistico che per un momento aveva davvero temuto che fosse vero, e il mal di testa non aiutava di certo a calmarsi in fretta come avrebbe voluto. Ben presto il tocco caldo della mano di Jon lo rasserenò, e Damian trasse un lungo sospiro, col viso nascosto nell’incavo della sua spalla.
    «Grazie, J», disse infine. Ne aveva davvero bisogno e, anche se non lo disse, dal modo in cui Jon gli sorrise fu abbastanza ovvio che lo sapesse. «Torniamo dentro», lo invitò, certo che stavolta sarebbe riuscito ad affrontare il resto della serata. Stare in loro compagnia avrebbe anche aiutato.
    Jon sorrise e fu il primo ad alzarsi, allungando una mano verso di lui per aspettare che la afferrasse; quando lo fece, intrecciò le dita con quelle di Damian e lo guidò dentro lui stesso, stringendolo per fargli sentire che era lì, era vivo, e che niente di ciò che aveva sognato sarebbe successo davvero.
    Si sarebbero lasciati alle spalle quell’incubo e tutto il dolore che aveva portato con sé
.





_Note inconcludenti dell'autrice
Vediamo. Ci sarebbero un sacco di cose da dire su questa storia, ma... non saprei esattamente da dove cominciare.
Damian da bambino è stato costretto ad affrontare una prova che si chiamava l'Anno di Sangue e, come spiegato da lui nella storia, erano prove mortali che avrebbero dovuto addestrarlo per un anno intero a diventare l'araldo del demone, il capo supremo che un giorno avrebbe guidato la Lega. E quindi... beh, tira qui, tira lì, alla fine quel passato è tornato e ha cercato di intrappolarlo in un incubo che ha visto suo figlio (il suo amore, il suo tesoro, la sua luce) e suo marito vittime degli Al Ghul e di ciò che era stato. Damian, tesoro, mangia meno pesante la sera!
Ovviamente la nota finale un po' fluff non poteva mancare, perché altrimenti che raccolta fluffuosa sarebbe? E Damian in fin dei conti ha bisogno di sapere che, nonostante il suo bruciante passato, ha un futuro luminoso davanti a sé
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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