Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Nina Ninetta    17/01/2022    5 recensioni
[Prima classificata e vincitrice del premio "Scontro Entusiasmante" al contest “La Dama del vento” indetto da Spettro94 sul forum di EFP”]
Dama del vento, presagio di morte, braccia ansiose di afferrare un’anima innocente e strapparla alla vita, è una maledizione che infesta ogni reame del Continente Abitato. La regina Deme ha convocato un potente mago dell’accademia affinché epuri questa minaccia una volta per tutte, assieme a una guarnigione scelta di guerrieri provenienti da ogni angolo del mondo. L'Arcimago Volkàn ha scelto il suo prediletto, ma qualcosa va storto e un altro mago prenderà il comando della missione, perlomeno all'inizio di questa avventura...
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



II.

 

 

Osihria, Palazzo reale, Sala del trono ₰
 
La sala del trono era stata adornata a festa. Pesanti drappeggi di velluto rosso coprivano le finestre, centinaia di candele ardevano lungo l’intero perimetro della stanza, ma il loro fuoco non bruciava a toccarlo, semplicemente illuminava e teneva lontani i demoni. Tavoli imbanditi di cibi tipici del Regno Magico erano stati adagiati nei quattro angoli della sala, al centro della quale si ergeva il trono reale. Questa volta, però, fu solo la regina Deme a presiedere alla grande cerimonia, organizzata in onore degli ospiti. Entrò scortata da due guardie magiche, scusandosi per l’assenza del re, ma la malattia quel giorno non gli aveva dato tregua.
Taliesin, il re, era nato sano e bello, tuttavia intorno ai quarant’anni aveva sviluppato una malattia ignota, che lo aveva ben presto costretto a un supporto quotidiano, anche solo per svolgere le mansioni più semplici e naturali. Suo padre, il re, era morto giovane, a causa di una caduta accidentale da cavallo durante una battuta di caccia, e il giovane Taliesin era salito al trono all’età di sedici anni. Aveva governato senza sposarsi per ben venti anni, per non spodestare la regina sua madre dal trono. Poi un giorno, una fanciulla dai lunghi e mossi capelli castani lo aveva ammagliato. Si trattava di Deme, la figlia quattordicenne del duca suo amico. Nonostante la differenza di età, il re l’aveva chiesta in sposa e Deme, la quale sentiva di esser nata per ricoprire un ruolo più importante di quello nobiliare che avrebbe ereditato, accettò, sebbene suo padre non fosse d’accordo.
Deme aveva così preso il posto della regina madre sul trono – morta pochi mesi dopo di crepacuore –, sedendo al canto di suo marito. Fin da subito, fu chiaro che lui acconsentisse a ogni suo capriccio, come si farebbe con una figlia viziata che tuttavia si adora. Peccato che la malattia di Taliesin fosse dietro l’angolo e, dopo appena quattro anni di matrimonio, lui divenne per tutti Taliesin l’Ammalato. Sembrava che questo fatto non dispiacesse alla regina, adesso davvero libera di fare tutto quello che voleva. Per il popolo, la malattia del re era stata provocata da Deme stessa, con un veleno magari, o un incantesimo magico. Ciò che la plebe non poteva sapere, invece, era la scarsa simpatia che correva tra la regina e l’Arcimago.
A tal proposito, proprio quest’ultimo era stato invitato a prendere parte alla festa in onore della missione da lei architettata, e quando la guardia la informò che Volkàn non si sarebbe presentato, Deme dovette ingoiare un rospo brutto e amaro. Aveva assicurato alla regina amazzone Charlotte e al reggente del Regno di Metallo Namor la presenza dell’Arcimago, il quale si sarebbe anche preoccupato di illustrare eventuali punti deboli del nemico e il percorso da seguire per far sì che uscisse allo scoperto, e invece adesso le toccava svelare a tutti la sua poca influenza su Volkàn. Senza contare che aveva mandato in missione un idiota di mago, il quale se ne andava in giro vestito come un giullare di corte. Lo studiò da lontano, accomodata sul suo trono, con la schiena dritta e il mento leggermente all’insù, come si addice a una vera regina. Il mago stava addentando una coscia di struzzo, mangiando direttamente sul vassoio, mentre nell’altra mano teneva un’intera bottiglia di sidro d’uva. Era volgare, in tutto. Nei modi di fare, di porsi, nel vestire. Per l’occasione aveva indossato una specie di copri abito azzurro, lungo fino alle caviglie; ai piedi calzava scarpe basse con la punta allungata, dello stesso colore pastello.
La regina di Osihria notò poi la sovrana di Scizia osservarla, mentre sorrideva di sottecchi.
«Charlotte, qualcosa ti diverte particolarmente?». L’apostrofò e il silenzio cadde nell’intera sala.
«A dire il vero sì, Deme.» Charlotte indicò i presenti con superficialità. «Re Taliesin non c’è, l’Arcimago Volkàn neanche. Mi chiedo a chi dovrei affidare le mie guerriere. A te?» Ridacchiò. «Perdonami, ma non sei proprio nota per le tue abilità strategiche. Per altre sì, ma per la guerra…» scosse il capo.
Deme strinse entrambi i braccioli del trono con le mani, mordendosi il labbro inferiore per la rabbia. Se avesse potuto, avrebbe zittito quella vecchia megera con un solo cenno alle sue guardie magiche, ma non poteva. L’accordo firmatario tra i regni glielo impediva, senza contare che aveva bisogno delle sue amazzoni per portare a termine la missione. Erano donne addestrate alla guerra, senza scrupoli né pietà, non si sarebbero fatte intimidire da una maledizione qualunque, inoltre avevano la grande caratteristica di essere leali, sempre. Non avrebbero tradito la causa per cui erano state chiamate a combattere.
«Il re è molto malato. L’Arcimago invece è stato trattenuto da un contrattempo.»
«Oh sì, sì. Lo capisco. Quello che non capisco è chi guiderà questa spedizione?»
«Volkàn ci ha affidato il suo uomo più potente…»
«Quello lì?» Charlotte indicò Seth più indietro. «Ma lo avete visto?»
Seth si pulì la bocca unta, bevve un lungo sorso di sidro e adagiò la bottiglia sul tavolo prima di avanzare, senza smettere mai quel sorriso sornione.
«Lo so, non vi aspettavate un mago affascinante come me, magari avreste preferito un vecchio decrepito con il mantello grigio e la barba bianca, che a stento si reggeva sul bastone», imitò un’andatura claudicante. «Anche io avrei immaginato una squadra diversa, perché a guardavi bene, senza offesa, non sembrate una gran cosa».
Uno dei gemelli del Regno di Metallo fece schioccare le dita, pronto ad accanirsi contro il mago, ma il suo re lo fermò sbarrandogli la strada con un braccio.
«I tre guerrieri lì, tolto quello alto e grosso che sembra tutto muscoli e niente cervello, mi danno l’impressione di due cani pronti a ringhiare contro un micio indifeso, ma cosa farebbero dinnanzi a una bestia?» Seth si voltò poi verso l’arciere, il principe del Regno del Vento.
«Da’miàn – ti chiami così, giusto? – il dodicesimo di dodici figli e bla bla bla... Probabilmente è qui solo per dimostrare a paparino che anche lui vale qualcosa, che potrebbe sedere sul trono senza problemi.» Il mago sollevò le spalle in un cenno di superficialità. «Non te la prendere a male, arciere, ma resti l’ultimo della casata comunque».
Da’miàn di Delundel ingoiò amaro, se solo si fossero trovati in territorio franco lo avrebbe già trapassato con una freccia da parte a parte.
«E voi, mia regina di Scizia…» Seth mimò un leggero inchino rivolgendosi a Charlotte, alta probabilmente più di lui. «Scendete in guerra con uno stuolo di fanciulle allenate alla lotta estrema, pronte a tutto pur di non disonorare voi e il credo delle amazzoni. Forti, possenti…» per un attimo i suoi occhi vispi e castani indugiarono su Becky, il generale amazzone dalla chioma scarlatta, «… bellissime».
«Dove volete arrivare, mago?» gli chiese Charlotte.
«Quanto potranno durare? Quanto potremmo resistere, tutti insieme? Quali sono le motivazioni che vi spingono alla ricerca della Dama del Vento?»
«Liberare il mondo noto da questa maledizione che ci affligge», intervenne la regina Deme, una spiegazione che oramai aveva memorizzato come un mantra.
Seth scoppiò in una risata forzata e lunga, da folle.
«Questa è bella!» esclamò. «Non ci muove lo stesso principio, ma il risultato che vogliamo raggiungere è il medesimo. Basterà a tenerci uniti? Prendete il principino, là, e le amazzoni… due popoli agli antipodi, nessuno accetta l’esistenza dell’altro. Le amazzoni non vogliono uomini nelle proprie terre, e i discendenti degli elfi vietano la presenza di una di loro nei propri confini. Quanto durerà questa tregua dissimulata?».
«Il mio popolo vuole liberarsi della Dama del Vento proprio quanto il Regno di Metallo e il Regno Magico. Ciò che muove le amazzoni non è affar mio» disse Da’miàn.
«Ehi, cosa stai insinuando, arciere d’infamia?» Fu Rhia a parlare e Seth la indicò con un largo sorriso sulle labbra, di soddisfazione.
«Visto? Era proprio di questo che parlavo!» Si lisciò i lunghi capelli mossi oltre la nuca. «Voi conoscete la storia della Dama del Vento?»
«Si è detto tanto sul suo conto» rispose Deme, la conversazione aveva preso una piega che non le piaceva affatto.
«Oh, sicuramente il popolo ignorante e rozzo ne ha inventate di ogni sul suo conto, ma la vera storia qual è?». Non ottenendo alcuna risposta, proseguì nel racconto. «Si dice che fosse la figlia illegittima di un’amazzone e un elfo. Due etnie in lotta dalla nascita del mondo noto, una devota alla ragione, alla conoscenza filosofica; l’altra alla guerra. Eppure, due giovani si innamorarono, non ci è dato sapere se fu la bella amazzone a essere salvata ai piedi delle Montagne Ululanti, oppure fu il giovane elfo a essere portato in salvo dai territori di Scizia. Ciò che è certo è che il loro amore diede alla luce una splendida bambina, dai capelli neri e poteri eccezionali, un essere così potente da essere affidato fin da subito all’Accademia magica. Ci avrebbero pensato i maestri magi a crescerla e a tenere sotto controllo un potere illimitato».
Nella sala del trono era calato il silenzio. Tutti i presenti conoscevano quella storia, ma Seth sapeva narrarla con trasporto e temevano il passo successivo del racconto.
«Si è ipotizzato che i rapporti tra amazzoni e arcieri siano vietati proprio perché nascerebbero esseri troppo potenti», il guerriero gentiluomo Drew fu l’unico a parlare, alleggerendo la tensione.
«Allora non sei solo muscoli, dolcezza» Seth gli strizzò l’occhio e l’omone ricambiò mandandogli un bacetto. Qualcuno sorrise. «La bambina crebbe rinchiusa nelle torri di cristallo, ignara delle sue enormi capacità magiche, trattenute da un’antica runa che i maestri magi le avevano tatuato sulla coscia appena era stata affidata loro. La runa di contenimento funzionò fino a un certo punto…». Il mago si arrestò, l’atmosfera era di nuovo diventata pesante. «La Dama diventò una splendida donna e ben presto lasciò l’accademia per maritarsi con un giovane guerriero conosciuto durante una missione di routine. I due si innamorarono e presto si sposarono, nulla ostacolò il loro matrimonio, non ce n’era motivo. Dopo un anno nacque una meravigliosa bambina, molto somigliante alla madre, con lunghi riccioli scuri e occhi dello stesso colore delle foglie primaverili. Ahimè, – adesso arriva la parte triste – alcuni briganti attaccarono il piccolo villaggio in cui vivevano. A nulla servirono i pochi poteri magici di cui la Dama disponeva, la runa era troppo vigorosa per spezzarla da sola. Dopo saccheggi e razzie la legarono al tronco di un albero e uccisero la sua bambina proprio davanti ai suoi occhi, trapassandola da parte a parte con uno stiletto. Il dolore e l’angoscia furono così grandi, così smisurati, che la Dama urlò con tutte le sue forze, un grido straziante. I lunghi capelli corvini si stinsero, perdendo ogni colore, la runa tatuata sulla coscia letteralmente si frantumò, e un potere immenso si espanse dalla sua persona, simile a un’onda, scaraventando a chilometri di distanza – o almeno questo è ciò che raccontano i libri – i briganti e il villaggio intero. Non si salvò nessuno, neanche un sopravvissuto. La Dama con il suo potere uccise un’intera comunità; marito e famiglia di quest’ultimo; amici e anziani; donne e bambini. Li sterminò tutti!
Ecco perché ogni notte la Dama del Vento soffia sui villaggi e sulle case il proprio alito mortale, portando con sé anime quiete, vendicandosi del dolore che lei stessa ha provato, affinché altre madri capiscano il proprio strazio e altre bambine smettano di vivere, come la sua». Seth finalmente si arrestò dal raccontare, il sorriso era ormai svanito dal volto degli ospiti. «Si dice che possa assumere qualsiasi forma voglia: aria, acqua, belve feroci o docili animali, avvenenti donne o anziani saggi. Infine, chi divorerà il suo cuore si trasformerà nell’essere più potente che sia mai esistito, pari a un dio immortale…» scrutò i suoi potenziali compagni di squadra, poi proseguì. «Quindi approfittate di questa nottata per capire veramente perché siete qui, chiedetevi “cosa mi spinge a intraprendere questo viaggio dall’esito incerto”?».
Per un po’ nessuno osò rispondere e la regina Deme prese la parola.
«Non c’è bisogno di meditare ulteriormente. La Dama va fermata, proprio per tutto quello che hai raccontato, mago. Domattina ci ritroveremo all’alba, nella sala della guerra, decideremo insieme la strada da percorrere e la strategia da adottare». Quindi si alzò, muovendosi a fatica nell’ingombrante abito da regina.
«Domani l’Arcimago ci onorerà della sua presenza?». Le chiese Charlotte prima che Deme potesse sparire oltre il portone a est.
«Forse», rispose solo quest’ultima, lanciando un ultimo sguardo alle sue spalle, sperando di incrociare quello del reggente del Regno di Metallo.
 
 

 

 
Una leggera pioggia aveva iniziato a cadere da quando il sole era tramontato oltre le Montagne Ululanti a nord. Le vie della capitale Osihria si erano svuotate, le bancarelle del mercato rionale avevano chiuso i battenti da diverse ore e i camini fumavano per tenere al caldo le famiglie.
I corridoi del castello erano silenziosi a quell’ora della notte che precede il momento più buio, quando anche la luna è in fase calante. Le fiamme delle torce ai muri disegnavano ombre inquietanti che sembravano allungare le proprie dita per afferrare l’anima rinchiusa nei ritratti che abbellivano le pareti di crudo mattone.
Il reggente di Kratøos scrutava i volti dei re che avevano seduto sul trono del Regno Magico, antenati di Taliesin l’Ammalato. Si chiese se anche lui un giorno fosse finito con il suo bel viso impiantato sopra una tela, con lo sguardo ammiccante e fiero a osservare la gente passare dinnanzi a lui, senza far più parte della vita vera.
Non voleva finire così, come quei vecchi re abbandonati in un quadro impolverato, il suo regno non sarebbe finito… mai.
I gemelli Jey e Joy lo seguivano qualche passo più indietro, muovendosi in simultanea, quasi fossero l’uno il riflesso dell’altro. Sapevano dove li stava conducendo lo zio, il loro re, ma non avevano posto alcuna domanda al riguardo, né fatte successivamente.
Finalmente Namor si fermò davanti una porta di semplice manifattura, la quale sarebbe potuta essere scardinata con due spallate ben assestate. Probabilmente, quella era stata la stanza di una cameriera – e forse lo era ancora – al servizio di sua maestà. Namor rimase qualche secondo a fissare il vuoto, ma non indeciso sul da farsi, piuttosto sembrava ripassare a mente quello che presto sarebbe accaduto, o magari le battute da pronunciare, infine si rivolse ai nipoti:
«Restate di guardia», disse solo e senza attendere oltre aprì la porta ed entrò.
L’interno della stanza era male illuminato, poche candele consumate erano state disposte su un antico mobile di legno massiccio, rovinato dalle tarme; il letto, messo perpendicolare alla parete di sinistra, era scarno, ma con lenzuola pulite e una calda coperta piegata e sistemata all’angolo più in basso; al lato opposto c’era invece una toiletta in ferro battuto, arrugginita in più punti, con diversi cosmesi adagiati sulla superficie, segno che quella era effettivamente una stanza che veniva ancora ora utilizzata da una donna. Di certo non da colei che gli dava le spalle.
Deme era in piedi davanti alla piccola finestra a due ante che affacciava sul frutteto del castello, da quell’angolo di palazzo si poteva notare anche una porzione di cristallo dell’Accademia. Splendente come sempre, sia che ci fosse il bel tempo, sia che piovesse.
«Tina gode davvero di un bel panorama» disse, continuando a tenere l’attenzione fissa davanti a sé. Tina, evidentemente, era la cameriera che soggiornava in quella stanza.
«Mai quanto il mio». Namor osservò le trasparenze della veste che la regina aveva calzato per l’occasione. Si trattava di una modesta camicia da notte, lunga fino alle caviglie, di un tenue color sabbia, dal tessuto tanto leggero da lasciar intravedere ogni forma celata al di sotto dell’inconsistente seta. I lunghi capelli castani coprivano con le loro onde l’intera schiena, lasciando però scoperto il bacino e le gambe.
Deme finalmente si girò verso di lui, il quale non riuscì più a resistere alla visione della regina, il cui corpo giovane e perfetto sembrava richiamarlo, simile a un corno di guerra. I seni della donna spiccavano sodi al di sotto del tessuto, come pesche appena sbocciate; la rigogliosità tra le gambe era un invito alla sua mascolinità che non tardò a farsi sentire. Con due falcate la raggiunse, prendendo a baciarle il collo, scendendo fino al centro, fra i due seni. Lei gli sciolse i capelli che solitamente portava legati, erano neri e folti e vi si aggrappò con forza quando le sollevò l’orlo dell’abito fino all’inguine.
«Dobbiamo fare in fretta, mio re, non abbiamo molto tempo…» Deme serrò le labbra per non urlare il suo piacere. «La cameriera è nelle cucine a preparare la colazione…».
Namor tornò in piedi, era davvero molto bello, pensò la regina, meravigliandosi che non avesse una moglie, né tantomeno dei figli. Le malelingue dicevano che fosse sterile, perciò nessuna donna lo voleva sposare, i più maliziosi affermavano che gli piacessero gli uomini. Ma Deme avrebbe potuto disdire quest’ultima maldicenza in breve tempo.
La loro storia clandestina era cominciata qualche anno addietro, sebbene l’attrazione si fosse palesata fin da subito.
Quando uno dei sovrani convolava a nozze, erano soliti invitare i reggenti dei regni amici. Il matrimonio fra lei e Taliesin era stata dunque la prima occasione in cui si erano presentati. Deme, nel suo splendido abito azzurro – il colore delle nozze del Regno Magico che richiamava appunto l’Accademia di cristallo –, aveva avvertito una strana sensazione alla bocca dello stomaco quando il principe del Regno di Metallo si era inchinato per baciarle il dorso della mano. Namor aveva accompagnato suo padre, l’allora re di Kratøos, e sarebbe diventato sovrano qualche anno dopo. Era bello già da ragazzo, con la pelle del viso sbarbata e i capelli che gli arrivavano appena appena alla nuca, ma erano gli occhi la parte più affascinante di lui. Occhi neri, profondi, accompagnati da una voce calda e suadente, che sembrava avvolgere chiunque l’ascoltasse.
I due avevano avuto altre occasioni per incontrarsi, e sebbene Deme provasse sempre un certo disagio a stare nella stessa stanza con lui, il re del Regno di Metallo al contrario sembrava non accorgersi affatto di quel suo imbarazzo, né dava l’impressione di interessarsi a lei oltre gli accordi tra i due regni.
Poi Taliesin si era ammalato e qualcosa era cambiato. Durante il matrimonio del terzo figlio del re di Eos, capitale del Regno del Vento, Deme aveva presenziato da sola alla cerimonia, accompagnata da uno stuolo di guardie magiche, il cui compito era quello di scortarla durante il viaggio. Per tutto il tempo della celebrazione, Namor non le aveva tolto un attimo gli occhi di dosso, risultando alquanto irrispettoso nei confronti di una regina. Quest’ultima non aveva tardato a farglielo notare quando si erano ritrovati da soli sul terrazzo del palazzo reale di Eos. Erano lontani i tempi in cui un suo sguardo le procurava le farfalle nello stomaco, facendole risultare difficile anche solo parlare senza balbettare. Era una regina ormai, con delle responsabilità maggiori dal momento che doveva sopperire alla mancanza del re suo marito. Namor non l’aveva neanche ascoltata, interrompendo il suo monologo con un bacio – dopo essersi accertato che nessuno li vedesse. Il giorno della partenza aveva invitato la regina di Osihria e la sua truppa militare a fermarsi per una sosta al castello di Kratøos:
«Il viaggio è lungo ed estenuante, inoltre è raccomandabile non muoversi durante le ore notturne».
Deme aveva accettato, a suo rischio e pericolo, poiché sapeva benissimo a cosa sarebbe andata incontro quella notte.
Una volta, dopo aver fatto l’amore, mentre erano sdraiati sul letto e lei gli teneva la testa sull’addome, aveva osato chiedergli perché non avesse una moglie. Namor aveva semplicemente risposto che non aveva bisogno di una donna per regnare.   
«Neanche di una prole? Chi ti succederà sul trono, quando non ci sarai più?»
«Mangerò il cuore della Dama del Vento» aveva risposto il sovrano serio e Deme era sembrata allertarsi. Aveva alzato il capo per guardarlo negli occhi:
«Davvero?»
«Immagina», aveva continuato lui, «io potrei vivere per sempre, regnare su queste terre, avrei immortalità e potenza dalla mia parte. Tu…» le aveva accarezzato il viso, soffermandosi sulle rughe intorno alla bocca, «… beh, tu potresti essere bella e giovane per l’eternità.»
«Anche io dovrei mangiarne un pezzo?»
«No, ti farei un incantesimo.»
«E sarei la tua regina?»
Namor le aveva dato un bacio sulla fronte e lasciato che lei tornasse ad adagiarsi su di sé. Nessuno dei due aveva più toccato l’argomento, neanche quando Deme lo aveva convocato per esporgli il suo piano di uccidere la Morte di Bianco Vestita.
 
Il monarca di Kratøos la voltò di schiena, sollevandole l’abito da notte fino al bacino, entrandole dentro con movimenti lenti e cadenzati, come sapeva le piacevano. Deme si puntellò sul davanzale della finestra con un gomito, la mano libera aperta contro i vetri bagnati di condensa. Si godé il momento, inebriandosi di piacere, mentre osservava il panorama davanti a sé e pregustando il sapore del cuore della Dama del Vento che l’avrebbe resa bella e giovane per l’eternità.
 
 
 
 
Osihria, Sala della Guerra
 
Un grosso tavolo di legno massiccio occupava il centro della camera, le cui pareti erano adornate da vecchie mappe ritraenti il Continente Abitato. Ognuna di esse riportava un aggiornamento riguardante il mondo conosciuto: nuovi confini; territori ancora inesplorati; piccoli villaggi sorti nel corso dei secoli; rotte commerciali e strade battute.
Un’altra cartina geografica era stata dispiegata lungo il tavolo, così grande che tutti i presenti potevano leggerne i nomi delle città riportate e i confini dei relativi regni.
Il vecchio Arcimago non si era palesato neanche per la riunione strategica, nonostante la regina Deme gli avesse fatto recapitare l’ennesimo invito a partecipare per decidere il piano da adottare in quella missione. Avrebbero avuto bisogno di lui come l’acqua nel deserto: Volkàn conosceva il mondo meglio di chiunque altro in quella sala, perché era il più anziano e soprattutto avrebbe potuto consigliare la migliore strategia per scovare e affrontare la Dama del Vento.
Taliesin l’Ammalato sedeva al canto di sua moglie, la testa ripiegata su se stessa e lo sguardo perso nel vuoto. Ogni tanto aveva un sussulto, Deme allora gli rivolgeva un’occhiata furtiva, per assicurarsi che non soffocasse con la sua stessa bava.
La regina del Regno Magico aveva studiato un piano d’azione con il generale delle guardie magiche imperiali. In realtà, era stata una specie di chiacchierata, quando durante un viaggio gli aveva domandato la strada più veloce e sicura per raggiungere la città di Vanesia, ai confini del Continente Abitato. Adesso la stava illustrando ai presenti, facendolo sembrare il piano di Volkàn. Si alzò, afferrando una sottile asta di legno alle sue spalle, quindi indicò con la punta la capitale Osihria, al centro della cartina geografica.
«Voi siete qui. Raggiungerete la Roccaforte Inespugnabile, porta d’ingresso per il Regno di Metallo, dove sono sicura non avrete problemi di lasciapassare…», la regina lanciò un’occhiata a Namor, seduto alla sinistra di suo marito.
«Assolutamente, i miei uomini saranno debitamente informati del vostro arrivo. Lì troverete buon ristoro per passare la notte e rifocillarvi, in vista del lungo viaggio per le terre aspre del mio regno», promise lo stesso re di Kratøos.
«La vostra prossima meta sarà poi il Regno del Vento…»
«Ehi, le mie ragazze non possono mettere piede lì!». La interruppe Charlotte.
«Lo so, e non lo faranno. Dovranno solo varcare le Montagne Ululanti per raggiungere la città di Vanesia.»
«Vanesia? La città della pioggia perenne?» Chiese Drew.
«Che c’è guerriero? Hai paura che ti si arrugginisca lo spadone?» Seth rise sguaiato, sopra le righe come era suo solito, ma nessuno gli diede peso.
«Esatto: Vanesia! Qui noleggerete una nave per raggiungere la Foresta di Nebbia», continuò Deme.
«Il Regno del Vento dispone di due velieri che occupano una parte del porto, non avremo problemi a imbarcarci» fece sapere Da’miàn.
«Dobbiamo lasciare il Continente Abitato?» Questa volta era stata Becky a interrompere la regina di Osihria. «Il Continente Nebbioso è pericoloso, sapete cosa si dice di quella nebbia? Che sia stregata! Che causi allucinazioni così reali che le persone credono di vivere davvero quello che vedono, nessuno ha mai fatto ritorno da quel bosco fitto e pericoloso!» Poi si voltò verso la sua regina, seduta fra lei e Rhonda, battendo entrambi i palmi sul tavolo. «Charlotte, ne vale davvero la pena combattere questa guerra? Rischiare la vita per una causa che non ci tocca da vicino?»
La regina delle Amazzoni la guardò e rispose con un rigido sì.
Becky tacque, pensierosa.
«Ehi, tesoro, dimentichi che hai dalla tua parte il mago più potente dell’Accademia, il prescelto di Volkàn!» Seth le strizzò l’occhio e Becky storse il muso, infastidita.
«Regina Deme» fu di nuovo l’arciere Dà’miàn a interrompere quella farsa, «perché dovremmo recarci nella Foresta di Nebbia? Pensate che la Dama del Vento possa nascondersi lì?».
Deme tornò a sedersi, cercando con attenzione le parole da usare. L’Arcimago le aveva detto qualcosa circa una donna, imparentata con la Morte di Bianco Vestita, ma adesso non rammentava l’intera faccenda. Ancora una volta, fu il mago Seth a spiegare la situazione:
«Per tutti i maghi dell’Accademia, ma non sapete proprio niente! Che ignoranti! Con chi mi toccherà viaggiare!» Si dondolò sulla sedia, un sorriso beffardo gli arricciava le labbra sottili, fingendo di soppesare l’idea di raccontare la storia della Dama del Vento, infine cominciò:
«La nostra cara Dama fu accudita dalla nonna paterna fin quando nascondere la sua natura era ormai diventato impossibile. Fu la nonna a portarla dai maghi e a chiedere loro che se ne occupassero, o meglio…» Seth sollevò un indice, «che la aiutassero a controllare il suo enorme potere. La Dama, diventata adulta, non dimenticò la cara nonnina e dopo il fattaccio – l’uccisione della figlia e bla bla bla – tornò a prendere la vecchia, l’unica persona che le era rimasta cara, e la portò nella Foresta di Nebbia, facendole un incantesimo di immortalità. Si dice che la nonnina sia ormai centenaria e che la Dama torni a farle visita di tanto in tanto». Il mago guardò la regina Deme direttamente negli occhi: «È per questo che la nostra ultima meta è il Continente Nebbioso: dobbiamo scovare la cara nonnina, minacciarla di morte, in modo che la Dama corri in suo aiuto e a quel punto per lei sarà troppo tardi, sarà finita nella nostra trappola!».
Nessuno dei presenti conosceva il vero potere magico di quel mago strambo e stravagante, ma di sicuro era scaltro. E ben informato.
«Ci sono domande?» Chiese la regina Deme.
«Si…» era stato Drew a parlare, «come la ammazziamo? La Dama del Vento non ha forma, non ha un corpo fisico, lei è aria. Un soffio di vento…»
«Questo sta a voi capirlo.» Deme strinse con forza i braccioli delle sedie, se l’Arcimago fosse stato lì avrebbe saputo rispondere, invece si doveva limitare a restare sul vago. «La partenza è fra pochi minuti, approfittatene per fare le ultime commissioni e risolvere eventuali problemi. Nelle scuderie troverete un carro pronto per voi e destrieri. Se vi serve altro fatemelo sapere e provvederò a esaudire ogni vostra richiesta.»
«Dov’è l’esercito che ci avevi promesso?» Le chiese Charlotte.
«Sono loro l’esercito: i migliori uomini dei quattro regni. Non servono orde di combattenti, bastano i più forti.» Era una menzogna, ma la regina di Osihria sperò di apparire il più convincente possibile. Ancora una volta Volkàn le si era messo di traverso, quando aveva respinto la richiesta di cento soldati magici da inviare in missione. Sebbene le guardie imperiali rispondessero al re di Osihria, restavano maghi al servizio dell’Accademia e senza il consenso dell’Arcimago non erano tenuti a partecipare alle guerre del Regno Magico.
«Bene. Le ragazze che partiranno saranno Rhia, Shayna e il mio generale Becky. Ci vediamo alle scuderie». Charlotte si alzò e lasciò la sala, seguita a ruota dalle sue guerriere amazzoni.
Lungo il corridoio Beanka fiancheggiò la sua regina, contrariata per essere stata esclusa dalla squadra. Charlotte si fermò, la sovrastava in altezza, ma di certo non in fisico.
«Per te ho un’altra missione: resterai qui, a Osihria, e veglierai sulle mosse di quella arpia. Non mi fido di lei. Uccidere la Dama del Vento, che sciocchezza! Sta tramando dell’altro e tu, cara Beanka, scoprirai cosa. Rhonda tornerà a Scizia con me, le altre partiranno con il resto del gruppo. Andate a prepararvi adesso, riposate, mangiate. Ne avrete bisogno».
Le ragazze si mossero all’unisono, come perfetti soldati, ma quando Shayna passò al fianco della sua regina, questa la fermò per un polso, sussurrandole di ricordare il loro patto: qualsiasi cosa fosse accaduta, avrebbe dovuto prendere il cuore della Morte di Bianco Vestita e portarglielo. Shayna annuì, accennò un inchino e si allontanò.
 

 

 
L’imperatore di Kratøos montò sul proprio cavallo, un purosangue corvino come il colore dei suoi capelli, quindi rivolse lo sguardo verso l’alto, in direzione della sala del trono, dove sapeva che la regina Deme era in attesa di vederli partire, al di là dell’ampia finestra del castello, poi con un colpetto al fianco del destriero si posizionò a capo della compagnia, al canto di Charlotte.
Quando ormai avevano lasciato la capitale del Regno Magico, Namor parlò alla regina delle Amazzoni:
«Non vedo una delle tue guerriere, mia signora.»
«Attento come sempre, Namor. Beanka ha dei parenti qui a Osihria, mi ha chiesto di intrattenersi qualche giorno per rendere loro omaggio.»
«Siete più clemente di quello che si dice.»
Charlotte rise, i suoi lunghi capelli biondi emanarono un riverbero di sole.
«Oh, Namor, non crederete a tutto ciò che Deme vi dice, vero? Siete troppo sveglio e perspicace».
Il re del Regno di Metallo tenne fisso lo sguardo davanti a sé, sapeva che Charlotte si stava riferendo alla sua storia clandestina con la regina del Regno Magio, moglie di Taliesin l’Ammalato. In realtà, sembrava lo sapessero tutti, anche gli abitanti di villaggi lontani, evidentemente così clandestina, come loro la credevano, non doveva esserlo.
Proseguirono ad andatura costante per tutto il giorno. Nessuno si lamentò, in fondo erano guerrieri, abituati alla lotta e alle guerre, una lunga cavalcata nelle verdeggianti pianure del Regno Magico non poteva sfiancarli.
Raggiunsero i confini dell’impero quando mancavano poche ore al tramonto. In lontananza si poteva già notare il bivio che avrebbe condotto Charlotte e Rhonda al proprio regno.
«Scorterò la compagnia fino alle mura di Kratøos» la informò Namor, senza che la regina di Scizia glielo avesse chiesto. «Buon rientro, mia signora.»
«Bene. Vi auguro buon viaggio» Charlotte si voltò indietro, lanciando un ultimo sguardo d’intesa a Shayna, poi spronò il proprio cavallo a macchie bianche e nere, galoppando con il suo generale Rhonda in direzione del Regno di Scizia.


 

₪ ₰ ₭ ẟ Ỽ ₼ 

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Nina Ninetta