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Autore: Sakuminitan    17/01/2022    5 recensioni
La vita di una ragazza alta poco meno di un pollice nell'Italia dei nostri giorni, tra quotidianità e desiderio di realizzare sé stessi.
Mise da parte il 'piumone', e giratasi di lato appoggiò i piedi direttamente sul 'pavimento'. Quello che per lei era un piumone è per noi solo un batuffolo quadrato di cotone, e quello che per lei era un pavimento è per noi la superficie fredda e legnosa di una scrivania. Camminò seccata, a passi veloci, in direzione della sorgente di quel frastuono infernale. Quella che si trovava davanti era un'enorme piattaforma rettangolare, giacente a pancia in su, nera ai bordi e dotata di una superficie scura e riflettente nel mezzo; la musica sembrava provenire da una piccola grata su uno dei bordi. In poche parole, era un telefonino.
(dal prologo)
Genere: Introspettivo, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3.

 

«Aiuto! Aiuto...!» Marina continuava a gridare in preda alla paura, ma la sua voce si faceva sempre più fievole man mano che realizzava cosa le era appena accaduto e dove si trovava. Era circondata da un ambiente buio su tutti i lati, a tratti maleodorante; e sedeva su una montagnola che da alcune parti pareva essere composta da cartone, altrove era più molliccia e da altre parti ancora fredda e dura come il metallo. L'ultima cosa che ricordava era l'essere finita nella paletta della madre dopo che questa l'aveva accidentalmente catturata con la scopa: per Marina non era difficile immaginare che al momento si trovava nella pattumiera della cucina. E le batteva forte il cuore per la paura, perché sapeva benissimo che da lì non sarebbe mai riuscita a scappare da sola.

All'interno della cucina l'atmosfera era soltanto leggermente più rilassata. La madre di Marina adocchiò nuovamente il corridoio, e cominciò a inginocchiarsi per poter guardare sotto la piccola copertura che ricopriva la minuscola corsia laterale—attaccata al muro—che Marina usava per spostarsi in casa di stanza in stanza. Sapeva che Marina reputava atteggiamenti del genere iperprotettivi e quasi paranoici, e non le sarebbero piaciuti (perché vedeva la cosa come se i suoi genitori non avessero in lei fiducia sufficiente neppure a credere che potesse camminare da sola in casa senza supervisione); ma i minuti passavano, e lei non compariva. E sotto la copertura non c'era nessuno.

«Non può essere che non ci sia» non riusciva a spiegarsi la sua assenza. «Sarà ancora in camera?»

«Non penso» Luca, il fratello minore, rispose con la sua tipica noncuranza per tutto ciò che riguardasse la sorella, «ti ho detto che l'ho incontrata in corridoio venendo qui.»

«E allora dov'è?» ribatté la prima, consapevole del fatto che la strada dalla sua camera alla cucina era praticamente tutta diritta e non c'erano luoghi per cui deviare il tragitto né ragioni per farlo. Alla madre non restò quindi che un possibile pensiero: Marina era già entrata in cucina, ma né lei né Luca se n'erano accorti. Fece quindi qualche passo attento per tornare all'interno della stanza, e posizionandosi accanto al tavolo guardò al pavimento della cucina: non la vedeva ancora.

Era pur vero che le probabilità che Marina fosse riuscita a oltrepassare la porta non vista erano pressoché nulle (per quanto lei volesse essere indipendente, suo padre e sua madre non le avrebbero mai dato tutta quell'autonomia in casa se non avessero la certezza di poter sempre tenerla d'occhio in qualsiasi momento); ma nonostante ciò quella appariva al momento come la spiegazione più probabile. Dopotutto nessuno a parte Marina sapeva della piccola fessura nel muro del corridoio che conduceva direttamente in cucina, nello spazio dietro la porta: e perciò a loro non restava che giustificare la cosa con una propria incredibile distrazione che aveva permesso alla piccoletta di attraversare l'uscio non vista.

D'un tratto Luca si alzò. Aveva finito di fare colazione, e fece per tornare in camera sua prima che la madre lo bloccasse mettendogli una mano sulla spalla. «Fa' attenzione!» lo ammonì, intimandogli di guardare per bene dove metteva i piedi. «Potrebbe essere entrata senza che la vedessimo...»

Luca diede una rapida occhiata alle mattonelle che lo separavano dall'uscita della stanza, e vedendole completamente sgombre si scrollò di dosso la mano della madre e a passi veloci si diresse verso il corridoio. «Sarà tornata in camera sua per qualche motivo» disse solo; e poi uscì.

 

Dentro la pattumiera restava intanto Marina, ancora immersa nell'oscurità. Grazie al silenzio attorno a sé riusciva finalmente a sentire la conversazione che i suoi familiari stavano avendo, e pur attutita dalla spessa parete in plastica è riuscita a capirne il senso. La madre aveva correttamente intuito che Marina era entrata in cucina, ed era solo questione di tempo prima che facesse il collegamento con la polvere che aveva gettato via solo pochi minuti prima e decidesse di guardare dentro il cestino della spazzatura. Doveva solo attendere, e quindi si sedette a gambe incrociate su quello che al tatto sembrava un cartone per il latte vuoto a ridosso di una delle pareti; aveva già deciso di spostarsi il più lontano possibile dal punto in cui era caduta (per quanto fosse possibile orientarsi al buio) per evitare la remota possibilità che sua madre potesse aprire la pattumiera e gettar dentro dell'altra spazzatura prima di arrivare a capire che la figlia si trovava lì dentro.

Marina tese l'orecchio. Sentiva la madre camminare a passi lenti e misurati, certamente spaventata all'idea che la minuscola ragazza potesse spuntarle davanti all'improvviso prima che lei avesse il tempo di arrestarsi. Il silenzio era tale che Marina provò anche a urlare per attirare l'attenzione della madre: ma da quella distanza la sua voce poteva suonare al massimo come uno squittio indistinguibile, e con la parete della pattumiera a fare da ostacolo le sue parole erano praticamente impercettibili alle orecchie di chiunque.

La madre continuava a guardarsi intorno—principalmente a terra—ma di Marina non c'era ancora nessuna traccia. A un certo punto pensò che forse Luca aveva ragione, e magari la figlia era semplicemente tornata in camera. Ma perché? Dopotutto non lo aveva mai fatto, e la colazione la stava aspettando. Era immersa ancora in questi pensieri quando qualcosa schizzò sulle piastrelle davanti ai suoi piedi. Solo per un attimo sorrise, pensando che fosse Marina: ma un decimo di secondo bastò per rendersi conto che si trattava di un animale. Era un ragno, possibilmente quello che aveva intessuto la ragnatela che lei stessa aveva precedentemente disfatto. A quanto pareva, era riuscito a sopravvivere alla sua scopa...

S'illuminò. «La scopa!» si disse impaurita, realizzando in un sol colpo che se davvero Marina aveva già raggiunto la cucina senza che nessuno la vedesse allora poteva essersi trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Si gettò sulla scopa (ora appoggiata al muro), ma fra le setole non trovò niente; guardò alla paletta, ma era vuota anch'essa; non restava allora che un unico posto. Con le gambe un po' tremanti si diresse verso la pattumiera, e la aprì. La luce delle finestre si versò tutta all'interno, quasi accecando la piccoletta. E infatti eccola lì, seduta a un angolino su un cartone del latte traballante: era tutta impolverata, ma era proprio Marina.

«Gioia!» la madre gridò sollevata, e Marina dovette mettersi le mani alle orecchie per non finirne assordata. Un secondo dopo la sua vista era già oscurata da un paio di dita gigantesche che subito la afferrarono—pollice sull'addome e indice sulla schiena—e la sollevarono delicatamente. Quando Marina si guardò nuovamente intorno si trovava sull'enorme palmo della mano della madre, la quale la osservava con occhi grandi e luccicanti di felicità.

«Mamma!» la felicità era ovviamente reciproca, e Marina corse in direzione del mignolo per abbracciarlo: persino questo era molto più grande di lei, ma era il massimo che potesse fare per esprimere la propria contentezza e la propria gratitudine per essere stata salvata.

«Mi dispiace, davvero!» la madre si prese comunque la responsabilità dell'accaduto. «Non so come ho fatto a non vederti! Ho controllato la porta tutto il tempo...»

La micro-ragazza ebbe un piccolo sussulto. Avrebbe dovuto rivelarle del passaggio che aveva utilizzato per entrare in cucina senza passare dalla porta? Da una parte questo avrebbe messo la madre in pace con sé stessa, visto che non si era lasciata sfuggire nulla e la colpa sarebbe stata unicamente del comportamento irresponsabile della figlia; dall'altra parte, però, temeva la reazione e il biasimo della madre se avesse confessato. Marina tentennò. Congiunse le mani, e sarebbe apparsa visibilmente nervosa se solo fosse stato possibile vedere nei dettagli il suo volto millimetrico. Non ce la faceva a mentire.

«No, è... stata colpa mia» disse. «C'era... c'era un buco nel muro. Volevo vedere dove portava, e sono... finita sotto il mobile. Poi... poi sono rimasta lì, finché...»

La madre la interruppe. «Non avrei mai usato la scopa se avessi saputo che eri lì sotto!» disse con un tono e un volume a metà strada fra la semplice constatazione e il rimprovero. Marina non replicò, perché sapeva di essere nel torto.

«Scusami. È stata... colpa mia.»

Si sentì abbassare velocemente, e vide che la mano su cui stava si era appoggiata al tavolo. Capendo l'antifona, Marina scese e toccò terra sulla superficie legnosa proprio accanto alla gigantesca ciotola da cui il fratello, prima, aveva mangiato la propria colazione.

Marina temette che stesse per arrivare una punizione. Quella sera contava di uscire coi propri amici, qualcosa che nelle ultime settimane non aveva fatto: ma dopo quanto appena successo non era più così scontato che la madre le concedesse il permesso di andare con loro. Marina odiava come nonostante avessero tutti la stessa età—andavano tutti all'ultimo anno delle superiori—lei fosse ancora l'unica che doveva dipendere dal permesso dei genitori per questioni del genere. Eppure dentro di sé Marina non rimpiangeva o rinnegava ciò che aveva fatto quella mattina. Molto della vita le era precluso a causa delle due dimensioni: per ovvi motivi non aveva mai potuto avere un cane o un gatto da compagnia, e non si sentiva di aver sbagliato del tutto solo per aver provato ad avere un ragno come sostituto.

Certo si sentiva in colpa per aver fatto preoccupare la madre, e ora questa la guardava dall'alto in basso con aria severa mentre si preparava a dire qualcosa; ma non ci stava a farsi negare la serata con gli amici. E se la discussione fosse andata a parare là, era pronta a difendere la sua uscita con loro con le unghie e con i denti.

   
 
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