Anime & Manga > Occhi di gatto/Cat's Eye
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Autore: crisalide_bianca    17/01/2022    1 recensioni
Dopo essersi allontanate dal Giappone per mesi, nuove scoperte e nuovi pericoli chiamano in madrepatria le sorelle Kisugi. Hitomi, Rui, e Ai (la banda Occhi di gatto) hanno infatti trovato una nuova pista nella ricerca del padre scomparso, ma gli artefatti rischiano di andare perduti per sempre a causa di un nuovo, temibile nucleo criminale. Personaggi e dipinti inediti si uniranno alla storia originale di Tsukasa Hōjō per dare vita al seguito delle avventure delle ladre più famose degli anni '80.
Essendo una storia ispirata al manga e non alla serie animata, i nomi dei personaggi saranno quelli originali in giapponese.
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kelly Tashikel, Matthew Hisman, Nuovo personaggio, Sheila Tashikel, Tati Tashikel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Premessa
La storia che segue è ispirata al famoso manga di Tsukasa Hōjō, noto al pubblico italiano grazie all’anime “Occhi di gatto”, il quale racconta di tre sorelle che, alla disperata ricerca del padre scomparso, rubano le opere appartenenti alla collezione dello stesso. I prossimi capitoli si rifanno ai disegni fumettistici originali e preserveranno i nomi giapponesi dei personaggi (quindi “Sheila, Kelly e Tati Tashikel” saranno rispettivamente chiamate “Hitomi, Rui e Ai Kisugi”, “Matthew Hisman” sarà “Toshio Utsumi”,  “Alice Mitsuko” invece sarà “Mitsuko Asatani” e così via). Tutto quello che verrà scritto non è un racconto canonico del mangaka che diede i natali all’opera, bensì frutto di una fantasia che punta a dare una continuazione al racconto delle tre sorelle ladre della nostra infanzia, seguendo un filo conduttore leggermente diverso dal finale scritto dall’autore e totalmente distante dalla conclusione della serie animata.

Capitolo 1
-“Non potrei sopportare un minuto di più qui seduta, che nervi!”. Lamentò Ai, distendendo gli arti alla ricerca di un qualche sollievo.
-“Non ti agitare, l’atterraggio dovrebbe cominciare a momenti.”
-“Ho la schiena a pezzi…” Continuò, abbassando il tono della voce.
Rui si girò verso Ai con sguardo di rimprovero, per poi tornare a leggere il suo manuale di arte occidentale, le cui pagine si contavano in una mano per arrivare alla fine. Senza alzare gli occhi, si riferì a Hitomi.
-“Più di dieci ore di volo e non ti ho sentito fiatare, nemmeno una parola. Non è da te. Cosa ti turba?” Sospirò, dopo un attimo di silenzio. “Stai pensando a Toshio, non è così?”
-“Come fai a… No, non ci sto pensando.” Dopo un secondo di riflessione ci ripensò. “È solo che sarà strano rivederlo dopo tutto questo tempo; non so come la prenderà, forse mi farà troppe domande, e se poi…”.
-“Se, forse, magari… Non sono proprio parole che ti si addicono, Hitomi. Questa permanenza negli USA ti ha cambiato molto.”
-“No, non è stato il viaggio, è questo ritorno che mi mette in difficoltà. Tu credi che abbia mantenuto quella promessa?” Alla domanda rispose Ai.
-“Chi, Toshio? È sempre stato innamorato di te alla follia! Anche se non sei stata molto carina, gli hai detto che forse non saresti più tornata. Non potresti biasimarlo se…”
-“Non potevo lasciarlo sospeso nel nulla, capiscimi. E poi quella promessa me l’ha fatta lui senza che gli chiedessi nulla. Chissà se mi ha davvero aspettata così a lungo…”. Respirò profondamente. La sorella maggiore le mise una mano sulla sua per consolarla.
-“Quattro mesi non sono un’eternità. Vedrai che ti ha aspettato.” Rui sorrise dolcemente. “Sii contenta, siamo quasi a casa”.
L’aereo di linea atterrò nel tardo pomeriggio all’aeroporto di Tokyo, dopo un ‘attraversata che sembrò nettamente più pesante del volo di andata. Stesso viaggio a ritroso, ma i bagagli erano colmi di molti più pensieri e dubbi sul futuro. Le tre sorelle erano state ospitate in un appartamento negli Stati Uniti da Sadatsugu Nagaishi, amico di lunga data del loro padre e della famiglia Kisugi, dal quale ricevettero anche le notizie dal Giappone che le convinsero a tornare in madrepatria. Grazie alle ricerche mai interrotte del signor Nagaishi e Rui, le tre sorelle scoprirono un nuovo ramo di opere d’arte, una sorta di appendice secondaria della collezione intitolata al loro padre scomparso, Micheal Heinz. Molti di questi artefatti si erano fortunatamente conservati nei maggiori musei giapponesi, dopo esser tornati alla luce grazie ad un privato che li mise a disposizione delle gallerie. Ma a questa scoperta si unì un nuovo ostacolo: alcuni dei quadri ricercati erano infatti in pericolo ed era fuori discussione lasciarli nelle mani sbagliate. Dipinti praticamente ignoti all’opinione pubblica, ma con buon apprezzamento da parte della critica contemporanea, avrebbero dato in mano a trafficanti e criminali un grande potenziale guadagno pressoché irrintracciabile. Fosse stato l’unico motivo del ritorno delle sorelle Kisugi in Giappone, sarebbe più che bastato.
Nel frattempo il bar “Occhi di Gatto” era esattamente come lo avevano lasciato: le sedie impolverate appoggiate ai tavoli, gli sgabelli al bancone e i quadri coperti da teli. C’era tanto da fare e poco tempo per realizzarlo. Le ragazze volevano infatti tornare alla loro normalità di un tempo, diurna, ma soprattutto notturna.
-“Ai, comincia a dare una sistemata al locale, dobbiamo metterlo a nuovo il prima possibile.” Esordì Rui.
-“Subito? Sono distrutta da questa odissea!” La sorellina non era dello stesso avviso.
-“Sì, subito. Basta una pulizia generale, al resto penseremo domani. Poi chiamerò il signor Nagaishi per sapere di più sul colpo che dovremo fare.”.
-“Non può aiutarmi anche Hitomi, scusa?” Rispose stizzita la sorella minore. Rui si girò verso Hitomi e le appoggiò una mano sulla spalla.
-“Lei ora deve andare da una persona.”
-“No, Rui, ha ragione Ai, non voglio andare da–“
-“Devi andare da lui. Qui ci pensiamo noi.” Le strizzò l’occhio e sorrise. Provò a ricambiare.
-“Va bene, ora vado.”
Era ormai quasi orario di cena ed a Hitomi sembrava quasi strano andare da Toshio senza portagli qualcosa da mangiare. Pensò a quando gli portava i cestini del pranzo a lavoro, nel distretto, o di sera, appunto, come in quel momento: non amava cucinare, ma farlo per Toshio era un modo per prendersi cura di lui con un geto, che valeva di più delle parole dolci che lei difficilmente regalava. Era tutto così diverso, continuava a pensare, mentre a piedi si dirigeva verso casa sua: quell’appartamento angusto che le piaceva molto le dava una sensazione di calore indescrivibile, ma forse era la presenza del suo amato a darle quella percezione. Non importava quali disastri, quante gaffe o quanti errori facesse Toshio, lei sarebbe comunque tornata da lui, dopo un giorno o dopo quattro mesi, non avrebbe fatto differenza. Qualcuno direbbe destino, altri direbbero amore. Il primo, però, sapeva come mettere alla prova il secondo: Hitomi arrivò alla casa e bussò alla porta, ma la voce si bloccò in gola al momento di annunciarsi. Sentì dei passi leggeri avvicinarsi all’uscio e la voce di Toshio, in lontananza, che chiedeva chi fosse: la porta si aprì e non poté credere ai sui occhi, era come se la terra fosse caduto sotto ai sui piedi.
-“Hi…Hitomi?!”
-“…Mitsuko? Che diavolo…?!”
Attraverso il corridoio vide il salotto, al centro di esso la cena preparata per due dentro ad un cesto, ma questa volta non era il suo. Lo stato di sorpresa durò pochi secondi, prima di trasformarsi in rabbia.
-“Toshio, è Hitomi.”. Quasi bisbigliava.
-“Non prendermi in giro, Hitomi è-“. Uscì dalla cucina e la vide. “-negli Stati… Hitomi? Che ci fai qui?! Aspetta, aspetta!” Lei aveva già cominciato ad andarsene con gli occhi gonfi di lacrime e la gola piena di spiacevoli parole. “Stiamo lavorando ad un caso, Hitomi! Ti prego! Devi credermi!”.
-“Certo, a cena! Addio Toshio!”. Sapeva che non sarebbe mai stato un vero addio.
-“Non hai il diritto di trattarlo così dopo tutti questi mesi!” Alzò la voce Mitsuko. Hitomi si fermò, si trattenne un per un attimo. La giovane ispettrice continuò, mentre il suo collega cercava di farle, in qualche modo,  calmare entrambe: “Sparisci senza dare spiegazioni e poi pretendi di giudicare così?! Sei ridicola!”. A Hitomi scese una lacrima silenziosa mentre dava loro le spalle. Raccolse tutte le macerie di calma che le erano rimaste e rispose, alzando la testa.
-“Non aspettavi altro che io sparissi, Mitsuko, lo so. A me sta bene, anche se ora sono qui. Buona cena.”. Si allontanò dalla casa inseguita dalle grida di Toshio che la imploravano di restare ad ascoltarlo e quelle della sua collega che lo rimproveravano, perché non c’era nessun obbligo di spiegare. In cuor suo Hitomi sapeva che non poteva fare nulla per evitare la gelosia, ma in fondo era giusto così: lo aveva lasciato, e lui poteva fare ciò che volesse e con chi desiderasse. Si chiedeva allora perché tutte quelle lacrime le sgorgassero dagli occhi a fiume, fino a bagnare le punte più estreme dei sui capelli nero corvino. Nel buio della sera, il suo volto bagnato era al sicuro da sguardi indiscreti, al contrario invece una volta entrata dall’ingresso di casa. Fece di tutto per nascondere le lacrime, ma le sue sorelle erano proprio le ultime che potessero non accorgersene. Rui, mentre preparava la cena, non fece in tempo a darle il bentornato che scorse gli occhi spaesati della sorella.
-“Hitomi, che è successo? Va tutto bene?”.
-“Va tutto come sarebbe dovuto andare. Sono io che sono una stupida!”. Entrò nella sua stanza sbattendo la porta.
-“Questo invece è molto da Hitomi”, commentò Ai. “Che avrà combinato Toshio stavolta?”
-“Non lo so, ma qualcosa mi dice che nostra sorella ce l’abbia più con se stessa che con lui. In ogni caso, avvisala che la cena è pronta, ma se non esce lasciala stare”.
-“Va bene. Le devo dire delle novità di Nagaishi?”.
-“Meglio di no, le diremo tutto con calma domani. Ora riposiamoci dal viaggio”.
La notte trascorse molto velocemente per Ai, che crollò nel suo giaciglio. Anche Rui accusava la stanchezza; per Hitomi invece i minuti passavano a rilento, mentre fissava il soffitto. Per lei era cambiato tutto. Era davvero solo una cena di lavoro? Aveva senso prendersela così tanto, dopo averlo lasciato in quel modo? Si stava tormentando, ma tra quei pensieri lo scorrere della notte sembrava andare ad un ritmo un po’più sostenuto, arrivando al suono della sveglia di Rui. Ore 7:00. Hitomi, nel più classico dei tentativi disperati, mise la testa sotto al cuscino; a dire il vero anche Ai, pur avendo dormito molto di più della sorella. Il piano del giorno era quello di continuare a sistemare il locale e di farlo tornare operativo il prima possibile, e al tempo stesso di organizzare i preparativi per un colpo più imminente del previsto, di cui però una delle sorelle non sapeva ancora nulla.
Rui preparò la colazione e chiamò Hitomi per farsi aiutare, ma soprattutto per spiegarle la nuova situazione. Il signor Nagaishi, infatti, la sera precedente non aveva dato entusiasmanti aggiornamenti.
-“Hitomi, ci sono delle novità. Però abbiamo bisogno che tu sia serena al 100%, sei con noi?”
-“Lo sono sempre.”
-“Bene. Ha chiamato Sadatsugu, dobbiamo agire in fretta. La banda che sta usando il nostro nome ha messo gli occhi sul quadro chiamato “Il mare di notte”, ha mandato un biglietto da visita simile al nostro al distretto di polizia. Vogliono rubarlo stanotte.”
-“Proprio uno dei primissimi quadri di papà… Abbiamo pochissimo tempo”.
-“Già, ma abbiamo un vantaggio. Noi sappiamo di loro-”
“Ma loro non sanno di noi. Hai già pensato a qualcosa?”
-“A grandi linee, sì. Ma quello che ti dirò probabilmente non ti piacerà.”
-“Sai che per papà farei di tutto.”
-“Mi fa piacere sentirlo. Ascoltami bene: Toshio verrà sicuramente qui a cercarti e abbiamo bisogno di sapere da lui come ha intenzione di agire questo ladro o questa banda, qualunque cosa sia.”
-“Devo proprio parlarci, vero?” Sospirò Hitomi.
-“Prendila come un’occasione per capire cosa c’era dietro alla cena di ieri sera, potresti anche scoprire di esserti arrabbiata per nulla. Dagli una possibilità, poi sai com’è fatto. È molto innamorato di te”.
-“Forse hai ragione, ma non l’ho ancora perdonato, ecco.”
-“Parli di perdonare lui o perdonare te stessa per averlo lasciato?” A quelle parole si sentì colpita sul vivo e cominciò ad arrossire. Solo la sorella maggiore aveva il potere di pungerla in quel modo. Dopo qualche momento qualcuno cominciò a suonare insistentemente il campanello di casa. Rui sorrise guardando Hitomi.
-“Qualcuno si è svegliato presto solo per te, a quanto pare. Non vorrai mica deluderlo?” Fece l’occhiolino alla sorella. “Dai, vai ad aprire. Al piano pensiamo Ai ed io.”
-“E va bene… solo per papà”. Rispose in modo poco convinto.
-“Certo, per papà.” Ridacchiò Rui. Hitomi sapeva che Toshio non aveva torto, ma non avrebbe mai voluto ammetterlo. Mentre si dirigeva verso la porta di ingresso, pensò che fosse una sfacciata fortuna dover deporre la rabbia ai fini di fare un passo avanti nella ricerca del padre. Scosse la testa a quel pensiero: “Quanto sono testona, a volte…”, si disse. Non fece in tempo ad aprire totalmente la porta, che subito Toshio la precedette:
-“Lasciami spiegare, per favore. Posso entrare?” Aveva il fiatone, e il suo volto incorniciato dai capelli scuri e mossi era cupo in volto, così come lei non lo aveva mai visto.
-“No, meglio non entrare, dobbiamo sistemare alcune cose in casa e nel locale.” A quella frase, il viso del ragazzo si spense ulteriormente nella delusione. “Possiamo fare due passi qui fuori, però. Se ti va”. Gli brillarono occhi.
-“Assolutamente sì, scherzi? Cioè, insomma, voglio dire che va bene”. Era agitatissimo e Hitomi non riuscì a trattenere un piccolo sorriso nel sentire la sua risposta, sorriso che timidamente apparve anche sul volto del giovane detective. Sembrava essere lo stesso di sempre. Chissà se anche lei sarebbe tornata tale, prima o poi.
 
   
 
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