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Autore: giuliacaesar    18/01/2022    0 recensioni
LA STORIA E' UNO SPOILER ENORME DI ASSASSIN'S CREED: ROGUE. LEGGETE A VOSTRO RISCHIO E PERICOLO.
Le vie di Parigi sono strette per Claudette Dubois. Quasi soffocanti.
La città è troppo indaffarata per prestarle la giusta attenzione e la sua Confraternita ancora bigotta per poter sfruttare appieno il suo potenziale.
La voglia di dimostrare il suo valore e il suo coraggio superano le iniziali paure e l'amore per la sua terra, in cambio di un viaggio nelle fredde terre di un'America in crescita e in via di sviluppo.
Nelle sue peripezie incontra Shay Patric Cormac, più marinaio che Assassino, che ama attirare l'attenzione su di sé con i suoi modi di fare particolari. Entrambi sono mandati alla ricerca di un manufatto e di una scatola, senza l'una o l'altra entrambi gli oggetti risultano incomprensibili, che ora sono nelle mani dei Templari.
Riusciranno nella loro impresa? O si incaglieranno in un iceberg ancor prima di vedere la terra ferma?
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti, Shay Patrick Cormac
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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••• 

Questa storia è dedicata a Gabriella, la mia migliore amica, insieme fin da piccole. 

La dedico a te, che mi hai fatto scoprire questo mondo e che so me ne farai scoprire altri. 

La dedico a quel pranzo di luglio, quando fresca di patente ti ho trascinato al Mc Drive solo per poter guidare e poi tu di rimando mi hai raccontato per filo e per segno tutta la lore della saga di Desmond. 

Quando sono tornata a casa avevo il cervello fritto, cosa che solo tu riesci a fare con la tua parlatina inesauribile, ma da cui è difficile staccarsi per la passione che ci metti nel raccontare le cose che ti piacciono. 

Ti si illuminano gli occhi di una luce accecante. 

••• 

 

20 dicembre 1751, Parigi 

Claudette stava aspettando la suo Mentore da ormai un’ora. Di fronte al suo ufficio, in un palazzo nell’isola di Notre Dame, batteva impaziente il piede sul tappeto antico a terra sbuffando in continuazione. Mireille l’aveva convocata quel giorno per discutere di una questione importante a quanto pare, ma un tale ritardo le faceva sospettare la natura di quell’incontro. 

Le era sembrata così seria il giorno prima, quando l’aveva praticamente placcata di fronte a Notre Dame, mentre stava tornando a casa da un addestramento in uno dei rifugi sparsi per la città della Confraternita. Aveva passato tutta la giornata ad allenare le nuove reclute, ancora inesperte dei metodi degli Assassini, cercando di insegnare loro come si utilizzasse la lama celata e la sua storia dietro. Quel giorno però si era beccata due uomini più grandi di lei, che non la ascoltavano e facevano di tutto tranne che cercare di imparare qualcosa, quindi aveva dovuto passare alle maniere forti. 

Dopo la pausa, che lei stessa aveva richiesto per non ucciderli seduta stante, invece di andare da loro a comunicare l’inizio della lezione semplicemente a parole, si disse che sarebbe stato un metodo didattico appropriato calarsi dall’alto e atterrarli entrambi in un colpo solo. E magari far loro battere la testa abbastanza forte per far capire che lei non era lì per scherzare. La Confraternita francese era una delle principali in Europa, quindi avrebbe potuto avere di meglio da fare oltre a stare dietro a due bambinoni capricciosi. Il risultato ottenuto la soddisfò in quanto i due finalmente smisero di guardarle le gambe, fasciate in un paio di pantaloni, e iniziarono a guardarla in faccia per seguire la lezione. Appresero più in un’ora di tempo che in tutta la mattinata. 

Era stata una giornata pesante, l’unica cosa che voleva fare era rintanarsi a casa sua nel suo letto fino al giorno successivo senza vedere nessuno, eppure il destino aveva progetti diversi per lei. Mireille, Mentore della Confraternita, l’aveva raggiunta di fronte a Notre Dame. Silenziosa come un gatto, l’aveva acciuffata da dietro un vicolo, spaventandola a morte. Aveva sentito le sue ossa gelarsi di puro terrore, prima che il suo corpo si muovesse in automatico attivando la lama celata e quasi pugnalando nello stomaco l’altra donna. 

«Mer… credi! Mireille, sei tu! Ma volete farmi venire un infarto? Ho capito di stare antipatica a metà degli Assassini, ma addirittura uccidermi mi sembra esagerato.» imprecò quando si rese conto di chi aveva di fronte. 

A Mireille scappò una risatina, mentre si tirava giù il cappuccio, scoprendo il volto contornato da piccole rughe di espressione intorno agli occhi, tipiche delle persone a cui piace ridere. 

«Claudette, volevo vedere se anche voi applicavate le lezioni che impartite ai vostri studenti. Cosa avete detto a suoi allievi? “Sempre in guardia e attenti ai punti ciechi”?». 

Claudette arrossì e balbettò qualche scusa, che fu stroncata di nuovo dalla sua Mentore. 

«State tranquilla, non preoccupatevi. Avrei fatto anch’io la stessa cosa con quei due. Con gli uomini è sempre così, bisogna usare il pugno di ferro» la rassicurò con un sorriso. 

La ragazza di rimando si rilassò. Mireille era la prima Mentore donna della sua Confraternita, facendo rodere il fegato a molti dei loro colleghi, quindi comprendeva la difficoltà di Claudette nel farsi rispettare, essendo l’unica Assassina di tutta Parigi, nonché della sua famiglia. Ricca famiglia nobile, i Dubois servivano la causa della Confraternita da generazioni fornendo nuove reclute. Così si ritrovò tra le file degli Assassini, seppur con la disapprovazione di suo padre, ma rendendo sua madre orgogliosa. Da quando aveva 17 anni, dopo anni di allenamenti sfiancanti e tagli sulle mani per cercare di padroneggiare la lama celata al meglio, era ufficialmente entrata a far parte della Confraternita francese, sotto la protezione di Mireille Gaultier, la sua Mentore, nonché membro del Consiglio. 

Mireille riprese il discorso sorprendendola. 

«Comunque, Claudette, sono qui per chiedervi di presentarvi domani nel mio ufficio alle 16. Devo parlarvi di una questione importante.». 

Due paia di occhi azzurro cielo si posarono su di lei severamente, non ammettendo repliche. Mireille era una persona semplice, molto alla mano, ma spesso doveva nascondere il suo lato più ilare dietro una maschera di ferro, di solito di fronte agli altri Assassini uomini, che non poche volte dimenticavano chi era a capo del Consiglio in quel momento. Con Claudette, abituata anche lei agli sguardi di sufficienza, non era mai stato necessario, però quelle rare volte in cui capitava capiva che la faccenda doveva essere molto seria. Lei annuì reggendo lo sguardo glaciale della sua Mentore. 

Subito dopo la maschera di ferro si sciolse in un sorriso materno, fiero della ragazza che aveva di fronte. Sarebbe stata di certo all’altezza della missione. Se persino Chevalier aveva richiesto personalmente la sua presenza tessendone le lodi in maniera smielata, allora voleva dire che Claudette era più che capace. Era sprecata ad addestrare zotici a Parigi, aveva abbastanza coraggio e determinazione per partire per un nuovo viaggio. 

«Benissimo! Ci vediamo domani allora, mia cara. Au revoir.». 

«Au revoir, Mentor!» salutò la ragazza osservando la donna uscire dal vicolo e dirigersi verso la tenuta della Confraternita. 

E quindi, arriviamo a una fredda giornata di fine dicembre 1751, Claudette era più di un’ora che era stravaccata su un divanetto della biblioteca in una posa che avrebbe scandalizzato sua madre se l’avesse vista. Una gamba a penzoloni su un bracciolo, l’altra distesa di fronte a sé, mentre la testa era gettata all’indietro in segno di disperazione.  L’opera di Voltaire, di cui non ricordava nemmeno il titolo, era aperta sul suo grembo in attesa di essere letta. La noia era tale che avrebbe preferito allenarsi al freddo e al gelo con gli zucconi dell’altro giorno, piuttosto che stare a congelarsi le sottane in biblioteca. Almeno tirando pugni ai suoi allievi poteva riscaldarsi un po’. 

Le scappò un verso esasperato e molto poco elegante per “una signorina del suo retaggio” (molte delle cose che faceva non erano adattate a una donna, secondo suo padre), quando la lancetta dell’orologio segnò le 17:15 e Mireille non comparve magicamente dalla porta. Alzò la testa, intenzionata a riprendere la lettura, ma le parole si aggrovigliavano tra di loro, si spargevano per la pagina, facevano di tutto per non farsi leggere. Claudette chiuse il libro con uno scatto, il rumore rimbombò per la biblioteca come lo scoppio di una bomba.  

Durante l’addestramento da Assassina, Mireille per insegnarle ad essere paziente era solita darle appuntamento a un orario per poi presentarsi ore dopo. Una volta l’aveva fatta attendere quattro ore fuori dai Jardin du Luxembourg sotto la pioggia a congelarsi persino l’anima. 

Così decise di alzarsi e girovagare per l’enorme biblioteca in cerca di… qualcosa, qualsiasi cosa che potesse intrattenerla un minimo. Si diresse al piano superiore che circondava il perimetro della biblioteca per andare a osservare la teca degli oggetti preziosi collezionati dalla Confraternita: lame celate di famosi Assassini, vecchi manoscritti antichi, opere d’arte e spade pregiate dietro cui sbavava anche solo posandoci sopra gli occhi castani. 

Un bigliettino posto di fronte a un paio di lame celate antichissime, di quelle che ancora avevano la lama posta sul davanti recitava: «486 a.C., Medio Oriente. Furono utilizzate da un Assassino della nostra Confraternita, allora chiamata “Gli Occulti”, per uccidere il re persiano Dario. È ignota l’identità del possessore.». Le lame erano molto più grandi di quelle che utilizzava lei, decisamente più sottili e ben nascoste tra le pieghe delle sue maniche, e riportavano una decorazione geometrica sul davanti, facendole spacciare per un bracciale di ferro. Fremeva dalla voglia di provare a vedere se il meccanismo di attivazione funzionasse ancora o se erano ancora taglienti come un tempo, nonostante le macchie di ruggine e terra che la sporcavano. 

Fu quasi beccata ad aprire la teca, quando sentì la porta sbattere. Si fiondò rischiando di cadere dalla balaustra nell’impeto di vedere se finalmente Mireille fosse arrivata e infatti, al solito, la sua pazienza era stata ripagata vedendo la donna sorriderle sornione dal piano inferiore, gli abiti gocciolanti di pioggia. 

«Vi ho fatto aspettare tanto, Claudette?» le disse dirigendosi verso il suo ufficio. 

La ragazza rispose con una risata isterica, calandosi dalla balaustra, troppo eccitata per prendere le scale. 

«Oh, non preoccupatevi sono stata qui solo un’ora e mezza! Mi avete fatto di certo attendere più, Mentore.» scherzò di rimando la ragazza, seguendo a ruota la donna all’interno del suo ufficio. Mireille non rispose subito andando ad accendere il caminetto a lato della stanza, dall’altra parte rispetto alla finestra su cui battevano ferocemente le gocce di pioggia. L’ufficio, situato nella villa di famiglia di Mireille, era sempre lo stesso da generazioni: il soffitto alto a cassettoni era decorato con il simbolo della casata nobile, tutti i mobili, come la scrivania e le sedie erano in legno chiaro riscaldando l’ambiente, mentre le grandi finestre poste sul lato sinistro della stanza erano coperte da spesse tende blu scuro. 

Mireille fece un gesto con la mano ad invitare la sua ex apprendista di fianco a lei vicino al fuoco. Anche se impercettibilmente la donna stava tremando dal freddo, che in quel periodo invadeva le strade di Parigi in una bufera di pioggia e neve. I capelli color del grano erano bagnati nonostante il caratteristico cappuccio della divisa, tutti aggrovigliati tra di loro nello chignon basso e frettoloso che si era fatta. I capelli le gocciolavano sul viso dalla carnagione molto chiara e delicata, portando le labbra sottili e rosee a fare qualche smorfia di fastidio. Tremava per il freddo nonostante l’abito invernale imbottito di lana così tanto che Claudette ebbe un improvviso moto di voler abbracciare la sua Mentore per riscaldarla. Per lei era stata una guida all’interno di quel mondo fatto solo di uomini burberi e violenti, un modello da seguire anche quando le critiche e gli insulti sembravano non finire mai. 

Lo sguardo glaciale, di un azzurro che si trova solo nel ghiaccio più freddo, era piantato sui carboni ardenti, alla ricerca di un minimo di calore. A Claudette parve di vedere un’ombra di dubbio nello sguardo di Mireille, che ancora non aveva parlato, limitandosi a guardare il fuoco. Poco dopo però le labbra, contornate da piccole rughe, si mossero iniziando a parlare. 

«Mi devi scusare, Claudette, ma questa volta sono arrivata in ritardo non per impartirvi qualche lezione. Mi sono recata Montmatre per un incontro con degli Assassini della Confraternita italiana, stanno eseguendo delle ricerche su un nobile della città che a quanto pare è legato alla causa dei Templari in Italia. L'incontro è durato più del previsto. Conoscete gli italiani, sono dei gran chiacchieroni!». 

All’ultima frase finalmente tornò a guardare Claudette. Era più alta di lei, più allenata e flessuosa, come lo era ai suoi tempi quando era ancora attiva sul campo. I lisci capelli color biondo scuro erano lasciati sciolti sulle spalle, sfiorando di poco le scapole. Nonostante non avesse missioni da fare, era ancora vestita con la cappa viola scuro della sua famiglia, il cappuccio a punta tirato indietro. La pelle chiara e delicata delle guance era arrosata, forse per il freddo perenne che invadeva la biblioteca in quei mesi gelidi dell’anno. Infatti, le mani dalle lunghe dita affusolate della ragazza, piene di cicatrici e calli per i duri allenamenti, erano protratte verso il fuoco per ricercarne il calore. 

Gli occhi castani la osservavano in trepidante attesa e adoranti, la stessa espressione che aveva da piccola quando ancora la addestrava, sotto lo sguardo disapprovante del padre. Claude Dubois era uno dei suoi migliori Assassini, ma era ancora molto indietro su certe credenze, come quella secondo cui una donna non era adatta alla vita di violenza e sangue di un Assassino. Ogni volta arrossiva come un ragazzino quando gli rammentava brutalmente che la loro Confraternita era nata grazie ad Aya di Siwa, una donna appunto. Era con quei discorsi che ora si ritrovava di fronte la giovane forte e sicura di sé che aveva davanti. Chissà forse un giorno avrebbe ceduto a Claudette il posto di Mentore, giusto solo per fare un torto a tutti quei scimmioni che avevano sempre dubitato di loro. 

«Sul serio, Mireille, c’est bon. Avevo capito che avevate da fare.» le rispose con un sorriso la ragazza. 

Quando le era arrivata la lettera di Louis-Joseph Gaultier, Chevalier de La Vérendrye, che quasi pretendeva la presenza di Claudette nelle Colonie britanniche, perché “gli apprendisti di questo buco ghiacciato dimenticato da Dio sono così pessimi da poter fare solo da mangime agli squali” colorita con altri insulti nei confronti dei suoi studenti e tessuta di lodi per la sua adepta, si era sentita inizialmente un po’ smarrita. Prima di tutto perché il suo caro cugino, quel vecchio trombone lamentoso, molto raramente trovava qualcosa di suo gusto, quindi inizialmente aveva pensato che fosse una trappola dei Templari per eliminare la sua migliore Assassina. Il sigillo sulla lettera però era autentico e gli insulti erano così fantasiosi da poter venire da nessun altro se non dal suo lontano parente canadese. Anche se provava una scintilla di paura in fondo al suo cuore a mandare la sua giovanissima Claudette in mezzo ai ghiacci inesplorati del Nord America, sapeva che poteva essere l’occasione per la ragazza per finalmente sbocciare. 

Andare nel Nuovo Mondo a esplorare terre ignote e conoscere persone di culture diverse era un’opportunità che non poteva sottrarre alla sua pupilla. Sarebbe stato come tarparle le ali ancor prima che imparasse ad usarle. 

«Vi spiacerebbe prendere delle sedie? Dobbiamo fare una lunga discussione.» infine le disse rivolgendole un triste sorriso. Le sarebbe mancata lontana da Parigi, in mezzo alle terre selvagge e ghiacciate del Nord. 

Claudette si affrettò a portare le sedie, eccitata e agitata per quello che la sua Mentor aveva da dirle. Sentiva un brivido di ansia incastrato alla base della nuca e che scendeva lungo la spina dorsale, come se fosse stata colpita da una palla di neve. Era da molti mesi che non le veniva affidata una missione, non vedeva l’ora di entrare di nuovo in azione per il bene della Confraternita. Era così agitata da non riuscire a stare seduta composta sulla sedia, cambiando posizione in continuazione. Mireille dopo essersi seduta notò con una risatina il crescente nervosismo della sua accolita. Sembrava ieri che stava ancora imparando a usare le lame celate, rifiutandosi di piangere quando si feriva i palmi delle mani con le armi. Ed eccola lì, a fianco a lei, inconscia del nuovo viaggio che le stava davanti. 

«Credo voi siate stata abbastanza paziente oggi, Claudette. L'altro ieri è arrivata una lettera da un mio lontano cugino, vi ricordate di Louis-Joseph Gaultier?». 

Claudette impiegò qualche secondo per collegare il nome a un volto, aggrottando le ciglia e inclinando la testa verso destra, come un gatto curioso. Aveva già sentito quel nome, non era la prima volta che la sua Mentor ne faceva parola, ma dovette andare indietro di due anni per associare quel nome a un viso scavato e dall’aria burbera. Louis-Joseph, meglio conosciuto con il titolo di Chevalier, di certo non è un uomo che passa inosservato, non tanto per il suo aspetto quanto per le parole e gli insulti celati che si porta dietro. Di quell’uomo che aveva visto per l’ultima volta due anni prima, quando era venuto a far visita alla lontana cugina, Mireille per l’appunto, ricordava solo la perenne espressione di fastidio che portava sul viso, come se gli avessero appena sbeccato il ponte della nave. Il fatto che avesse una corrispondenza con Mireille non le sembrava strano, ma cosa c’entrava con lei? 

«Oui, me lo ricordo. È quello che si lamentava per tutto il tempo di quanto fossero rammolliti i parigini rispetto ai suoi parenti canadesi? Lo ripeteva in continuazione come un pappagallo.». 

«Sì, è lui! È cresciuto in mezzo ai ghiacci del Canada, quindi appena mette piede a Parigi riesce sempre a trovare l’ago nel pagliaio che non funziona.». 

Alzò gli occhi al cielo. Le veniva mal di testa al solo pensare alle centinaia di lamentele che si era dovuta sorbire circa la gestione della Confraternita da parte del Consiglio. Non lo faceva con cattiveria, anzi era stato uno dei pochi a sostenere la sua ascesa come Mentore, ma “proprio perché conosco di cosa sei capace che ti dico che questo posto è davvero una maison close*! Puoi fare grandi cose, Mireille, eppure hai solo intaccato la punta dell’iceberg.”. 

«Alors? Cosa diceva la lettera?». 

Mireille sorrise all’insistenza della ragazza, diventata impaziente dopo aver atteso a lungo questa conversazione. Se la conosceva bene, scommetteva che Claudette avesse passato tutta la notte a interrogarsi su cosa fosse la questione di cui dovevano parlare. 

«Alors, mia cara, sapete che lui è impegnato nelle Colonie Britanniche con la Confraternita coloniale, giusto?». 

Se possibile, gli occhi di Claudette si aprirono ancora di più. Sembrava quasi di vedere le rotelline del suo cervello in movimento che cercano di captare tutte le informazioni possibili. Anche nei suoi 23 anni, Claudette dentro sarebbe comunque rimasta la bambina curiosa ed entusiasta per le nuove avventure che era tanti anni fa. Annuì con la testa così velocemente da far volare da tutte le parti i lunghi capelli biondo scuro, protraendosi verso Mireille come se le stesse raccontando la favola della buona notte. 

«Ecco, Louis-Joseph sta... - doveva trovare un modo carino per dirle che si stava lamentando come suo solito delle nuove reclute - ...diciamo, sta riscontrando delle difficoltà all’interno della nuova Confraternita. Quindi, di comune accorto con Achille Davenport, attuale Mentore, richiede personalmente la vostra presenza e il vostro aiuto nelle Colonie.». 

Claudette ci impiegò qualche secondo a elaborare tutte quelle informazioni. Soprattutto doveva anche solo processare il fatto che Louis-Joseph Gaultier, campione numero uno di lamentele, un uomo che aveva visto criticare persino la maniera in cui erano state posizionate le pietre per strada, avesse richiesto la sua presenza in Nord America. Doveva essere una trappola dei Templari, non se lo spiegava altrimenti. 

Poi pensò al Nuovo Mondo, alle terre inesplorate e selvagge, alle popolazioni che lo abitavano, dai perduti Maya ai famosi Pelle Rossa, di cui aveva solo le storie dei mercanti che passavano per Parigi. Si immaginava foreste e boschi a perdita d’occhio, un mare di verde sconfinato di cui non si vedeva la fine, con alberi così fitti e alti da oscurare il cielo stesso. Vedeva animali mai visti, di ogni specie diversa. Aveva sentito parlare di balene con corni lunghi quasi quanto un uomo, orche immense, capidogli grandi quanto galeoni, cervi e alci dalle corna maestose possenti come dieci uomini. Aveva letto in biblioteca centinaia di libri che parlavano masse di ghiaccio così grandi da essere vere e proprie isole, di inverni perenni dove la neve non si scioglieva nemmeno d’estate. Aveva visto immagini di distese e distese di bianco candito, quasi sentendo la neve scricchiolare sotto gli scarponi, i fiocchi impigliati nei capelli. 

Per lei tutto quello era così lontano, terre così selvagge e inesplorate da essere uscite fuori da un’opera di fantasia. Appartenevano a mondi, a tempi così lontani dalla sua mondana Parigi con le strade lastricate in pietra e i monumenti antichi e moderni a mescolarsi in una sinfonia stranamente perfetta. Camminare per le strade della sua città era come vivere in epoche diverse, si passava dal Medioevo attraversando l’isola di Notre Dame per poi vivere il Rinascimento nelle sale del Louvre e infine arrivare ai suoi tempi con Hôtel national des Invalides completato poco meno di cinquant’anni prima. Parigi era in continuo movimento, sempre con qualcosa di nuovo nelle teste dei parigini che la abitavano, era un cuore pulsante che non smetteva mai di battere. 

L'America invece era un vecchio orso in letargo, in attesa di risvegliarsi con la primavera. Non vi erano Chiese gotiche, che svettavano verso il cielo, quasi toccandolo, o edifici così massici da sembrare essere lì da secoli, invece che da pochi anni. L'America era sconosciuta con le sue centinaia di lingue e volti diversi, le mille storie e leggende da raccontare, i milioni di segreti e terre da scoprire. In America non significavano nulla i titoli nobiliari o quanto fosse prestigiosa la tua famiglia, arrivare lì voleva dire arrivare in un mondo totalmente nuovo dove poter riscrivere il proprio destino. 

Era questo quello che lei vedeva in quel momento: un foglio bianco, immacolato come la neve che raffreddava quelle terre, su cui poter scrivere di nuovo la sua storia. Non sarebbe più stata la figlia di una nobile casata francese, non avrebbe più avuto alle spalle i bisbigli contrariati della sua famiglia, non si sarebbe più sentita il topolino che viene schiacciato sotto gli scarponi degli altri. Era arrivato il momento per lei di riprendere in mano il testo su cui avevano già messo per iscritto la sua storia e stracciarlo, ridurlo in cenere per scrivere qualcos’altro. Cosa non lo sapeva, ma non vedeva l’ora di mettersi di fronte al calamaio e finalmente decidere lei la trama della sua vita. 

Con voce eccitata, ma ferma disse una sola frase: «Quando si parte?». 

Mireille sorrise alla sua accolita, conscia di essere stata una sciocca a sperare di riuscire a tenere incatenata a Parigi la sua aquila più bella. Era ora di lasciare che spiccasse il volo. 

*** 

Dall'altra parte dell’oceano, un ragazzo stava avanzando nella neve a fatica. Gli arrivava fino al ginocchio e farne solo uno sembrava farne cento, ma mai in vita sua si sarebbe stancato di quel bianco immenso e del rumore delle onde si infrangono sulla battigia, del silenzio quasi profetico che sembrava pervadere quella terra, rendendola al di fuori del tempo. Un brivido gli percorse la schiena a causa del vento forte che arrivava dal mare. Da quella altezza poteva godersi lo spettacolo del blu cobalto che ricopriva i freddi oceani del nord, puntellato da qualche macchia bianca di iceberg e piccoli ghiacciai. Respirò a pieni polmoni l’aria fredda e pungente di quelle terre immense, ormai diventate da anni la sua casa, anche se portava sempre con sé la caotica e movimentata New York a riscaldargli il cuore. 

Per un momento si chiese cosa stesse accadendo dall’altra parte di quel mare immenso. Non credeva nella fortuna, lui se la creava da solo, però per un solo istante si chiese cosa avesse per lui in serbo il destino. Di rimando una ragazza parigina era sulla prua di una nave francese, diretta verso gli stessi ghiacci scintillanti che in quel momento Shay Patrick Cormac si stava godendo.

  
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