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Autore: Neamh Moonstar    21/01/2022    1 recensioni
Bene e Male non possono toccarsi, letteralmente. Se angeli e demoni provassero ad avvicinarsi gli uni a gli altri, si ferirebbero a vicenda fino a consumarsi: è un dato di fatto. Per questo i Regni del Bene e del Male - con le loro rispettive armate - vivono e lavorano a distanza di sicurezza, affidando a gli umani il compito di combattersi a vicenda in una serie infinita di battaglie.
In questo mondo nettamente diviso e basato su tali certezze - un guardiano distratto, una bestia casinara e un gruppo di umani poco convinti, scopriranno cosa significa stare giusto nel mezzo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Non era la prima volta che Belzebù scendeva l'interminabile scalinata che portava alla cosiddetta "sala del trono" - che altro non era che il piano personale del suo Signore. Il suo ruolo gli permetteva di avere le migliori chiacchierate con il Capo, per quanto brevi e non esattamente piacevoli fossero. Era al contempo un vanto e una condanna - o meglio: una condanna nella condanna. Parlare con Satana equivaleva a parlare con un re volubile, capace di passare dalla calma - nella quale ribollivano piani tremendi e metodici - all'ira bruciante. Il solo essere attorno a lui causava ai demoni un senso di oppressione, come se tutti i cerchi dell'Inferno piombassero sulle loro spalle, cercando di schiacciarli come, beh - come mosche.

Ultimamente poi c'era stata la questione dell'arma. Così il Signore del Male l'aveva definita, anche se "definire" è un parolone: aveva detto semplicemente che era abbastanza potente da ribaltare la Terra. Nessuno a parte lui sapeva cosa fosse né come funzionasse: Belzebù aveva avuto solo il compito di portare il messaggio in modo che le truppe si preparassero, e i suddetti preparativi si erano svolti in modo relativamente tranquillo per circa una settimana, per poi crollare alla notizia del Messaggero come un castello di carte in balía del vento. In meno di una mattinata avevano potuto dire addio ad un eventuale attacco a sorpresa. Ora il Paradiso li avrebbe tartassati fino all'inverosimile, e l'idea aveva portato ad un'ondata di preoccupazione ed eccitazione generale che aveva scosso l'Inferno come un terremoto.

C'era qualcosa di strano nell'aria sulfurea del Regno del Male: era la calma prima della tempesta; e Beel non sapeva se pregustarla o lasciare che marcisse abbastanza da renderlo pronto ad uno scontro diretto.

In quel momento sapeva solo di essere arrivato a destinazione: la lunga serie di scalini nerastri circondati di mattoni era finita, lasciando spazio ad un'anticamera buia.

Aprì senza fatica la grossa doppia porta di mogano. Davanti a lui si stagliò una grossa figura alata dall'altrettanto imponente ombra che, a poco a poco, andò rimpicciolendosi alla sua vista.

    «Sei in ritardo» tuonò una voce dapprima profonda e cavernosa, poi sempre più umana.

Il passaggio di tonalità causò a Belzebù un primo brivido che gli scosse l'essenza come una scrollata, per poi passare ad essere il solito senso di pressione che gli stritolava le ipotetiche interiora. Mancava l'aria là sotto, e l'effetto era percepibile anche in assenza di polmoni - o in assenza del bisogno di ossigeno. La sala era alta, circondata da rocce taglienti e rivoli di lava che spaccavano le grosse mattonelle nerastre, infilandosi tra le fughe come serpentelli fatti di fuoco infernale. Se si prestava attenzione, tutt'attorno si potevano sentire grida e strepiti provenienti da piani invisibili della realtà.

    Con un inutile schiarimento di voce, il minuto signore delle mosche rispose: «Chiedo perdono, Mio Signore. Il fatto è che abbiamo avuto delle complicazioni.»

Il suo Signore si voltò verso di lui. Aveva assunto l'aspetto di un bell'uomo distinto dai lucidi capelli corvini come le grosse ali che gli spuntavano dalle scapole. Prendeva una forma diversa ogni volta, più per diletto che altro - anche perché non si sarebbe fatto problemi ad ergersi sui Suoi sottoposti in tutta la sua grottesca magnificenza. 

    «Come se non lo sapessi» disse, la voce piatta ma ugualmente profonda. «Quando mai siamo riusciti ad elaborare un attacco senza problemi?»

Era una domanda retorica alla quale Belzebù non poté che rispondere con un abbassarsi dello sguardo. Cos'avrebbe dovuto dire? La colpa sarebbe ricaduta su di lui e a quel punto avrebbe potuto solo pregare - chi non si sa - che la punizione fosse rapida.

    Alla fine, con una voce più tremante di quel che avrebbe voluto, disse: «Stiamo già provvedendo ad eliminare gli umani e gli angeli che hanno-»

Una risata forte, tuonante e rauca lo bloccò. Il suono rimbombò per la sala, rimbalzando sulle pareti, spianando le urla lontane e avvolgendo l'Inferno in un'unica, solida, ala di terrore.

    Iniziando a passeggiare con un sorrisetto sul volto liscio e scarno, Satana disse: «Credi non mi aspettassi una cosa del genere? Non affiderei agli umani neanche il più semplice dei compiti» disse, osservando il suo sottoposto con i profondi occhi scuri. «Gli do un contentino per tenerli buoni. Amo quando si sentono importanti: è più bello vederli delusi quando gli confessi che sono solo delle minuscole pedine sulla scacchiera. Pedine che io decido come usare e quando sacrificare.»

    Belzebù era rimasto tinco, gli occhi sbarrati e la bocca serrata. Si costrinse con la forza a riprendere parola, prima che il suo Signore lo costringesse a farlo. «Mi perdoni» balbettò. «Non è preoccupato per il suo piano? Insomma, l'arma e tutto il resto?»

    Il sovrano lo guardò con un'espressione indecifrabile: un misto tra il noncurante, il pacato e lo scherno. «Ciò che ho creato non si fermerà certo d'innanzi ad un gruppetto di mortali, un demone incapace e due angeli,» disse con sicurezza. «Inoltre, il mio piano sta già riuscendo. A volte, la migliore delle tattiche è la pazienza; cosa che tu e i tuoi sottoposti sembrate non avere.»

Su quello, nulla da ridire. È difficile che i demoni abbiano virtù, dato che sono ciò che sono proprio perché le avevano rinnegate tutte. Perciò, Belzebù si ritrovò per l'ennesima volta nella situazione di dover replicare ma non sapere come farlo. Se Gli avesse dato ragione sarebbe passato per lecchino, ma non poteva di certo darGli torto.

    E poi c'era un'altra cosa, quella che decise di utilizzare come leva per tirarsi fuori dall'imbarazzo: «Sta- sta già riuscendo, mio Signore?» Chiese, ripetendo le parole del Capo.

    Satana indugiò appena in un silenzio che chiaramente servì solo ad innalzare il livello di nervosismo già presente tra loro. Quando parlò, si lasciò sfuggire un leggero tono di... gioia, quella era gioia - mista ad un prematuro trionfo. «Credi che non l'abbia già sguinzagliata?» Disse. «Credi che il seme della mia vittoria non sia già lì fuori, pronto ad iniziare il suo operato? Pensi non stia già saggiando il terreno sotto le più mentite delle spoglie?»

Se c'era una cosa che accomunava Lui e Dio, era il modus operandi. Entrambi tenevano per loro le idee migliori, quelle più grandi, dicendo ai loro subordinati solo ciò che bastava a far sì che le fila venissero tirate e i loro progetti andassero a buon fine. Perciò, scoprire che Satana aveva già messo in atto il suo piano, non fece spaventare Belzebù così tanto - o meglio: sentì l'ansia iniziare a mangiarli l'essenza, il che non era mai un buon segno.

    «La notizia renderà tutti molto gioiosi, mio Signore» disse, riferendosi ad una felicità macabra e vogliosa di guerra. «Sempre che vogliate che la cosa si sappia.»

    «Non aspetto altro, mio ronzante servitore» disse l'altro accarezzandosi la curata barba scura. «E smetti di perdere tempo con il tuo strisciante schiavetto, non ne vale la pena» concluse con quello che sembrava uno sputo. Alle volte era come se vedesse i demoni più in basso - gerarchicamente parlando - come pozze di fango da non calpestare - e chissà che così non fosse. «Vedi di preparare tutti allo scontro. E quando dico tutti, intendo tutti. Stravolgeremo questo pianeta e ne usciremo vincitori» concluse.

Con un cenno del capo, Belzebù acconsentì. Uscì fuori dalla sala cercando di non far trasparire la sua fretta, mentre nella sua mente iniziavano a formarsi gli scenari più interessanti. Ogni singolo demone sul piede di guerra - e non solo quelli appositamente addestrati per combattere, poteva significare una sola cosa. 

Erano passati seimila anni dall'esilio dei primi umani. Era un numero tondo che sapeva di anniversario, quasi come fosse qualcosa che valeva la pena festeggiare - e in realtà avrebbe avuto senso: i demoni vedevano quel giorno come una vittoria. E se c'era una cosa che il suo Signore amava, era seguire i numeri.

Far finire la Terra in mano all'Inferno sarebbe stato decisamente un bel modo per coronare quell'anno. Mangiando la metà avversaria come in una grossa partita a dama; o a scacchi, come piaceva al Diavolo.


~•°•~


    «Perché cazzo sono ancora qui?» Sibilò Crowley a voce bassa, intanto che si faceva strada sui mattoni bianchi all'esterno dell'Eden.

La verità è che lo sapeva benissimo, ma non voleva credere di essersi fatto abbindolare così facilmente.


Era successo tutto quella mattina. Anathema aveva sbattuto un grosso libro sulla scrivania, facendolo svegliare di soprassalto. Era caduto giù dal piano da lavoro cambiando forma nel mentre, così da ritrovarsi con una gamba incastrata nello sgabello, un'ala schiacciata sotto la schiena e più di una ciocca di capelli in bocca.

    «Buongiorno dormiglione. Sono due giorni che poltrisci» aveva annunciato l'umana con un sorrisetto sornione. «Torna tra noi: devo parlarti.»

    Crowley l'avrebbe volentieri strangolata in quel momento. «E c'era bisogno di dirmelo così?» Ringhiò intanto che cercava di ricomporsi. 

Dormire era uno di quei piaceri inutili, come fare respiri profondi per calmarsi o sorseggiare vino. Una volta, durante un inverno più rigido del solito, Crowley aveva passato una settimana intera sulla mensola del camino di Anathema, così da godersi il piacere e il tepore della stanzetta. Adorava farlo: lo allontanava dai problemi; e di conseguenza detestava essere svegliato - in quel modo, poi. Chiunque altro sarebbe stato come minimo morso all' istante. Sul naso. Forte.

L'umana lo aveva ignorato e si era messa a sorseggiare distrattamente una tazza di caffè - come facesse ad ingurgitare quella robaccia amarognola, il demone non lo sapeva. Aveva quel finto sguardo incurante, quello che metteva su quando voleva dirgli qualcosa che sapeva non gli sarebbe piaciuta, e tanto bastò per fargli venire voglia di strisciare sotto al letto e non farsi vedere mai più. 

    Ad un certo punto, però, la finta e stantia calma si era fatta insopportabile. Così, Crowley ruppe il ghiaccio: «Dai spara. Odio quando fai il gioco del silenzio.»

Posando la bollente e scura bevanda accanto a lei, la giovane si mise a fissarlo dritto negli occhi. Oh no, la situazione era seria. Stavano decisamente per avere una di quelle conversazioni che Crowley avrebbe pagato oro per dimenticare: andava sempre così quando la sua sottoposta si impuntava in quel modo su qualcosa.

    «Mettiamola così: non mi hai detto tutto l'altro ieri, vero?» Chiese lei, braccia incrociate.

    Il rosso alzò un sopracciglio: «Dovrei?». Domanda retorica: ovviamente lui non doveva fare assolutamente niente se non voleva, tantomeno per far piacere alla sua umana. E per "sua" si intende allo stesso modo che per un oggetto di valore che sai di possedere di diritto.

    Lei scosse la testa: «No, non devi. Non senza uno scambio interessante.»

Bene, bene, bene. Le cose stavano prendendo già una piega migliore. 

    «Che cos'hai in mente?» Chiese Crowley incrociando le braccia a sua volta e fissandola come se volesse leggerle nel pensiero. In effetti non sembrava una cattiva idea: gli sarebbe bastato concentrarsi, ma non lo fece.

    «Tu non hai detto tutto a me ed io non ho detto tutto a te. Ho in mente un'idea che potrebbe far piacere ad entrambi e un'informazione. Penso che arriveremo presto ad un accordo» affermò Anathema senza cambiare d'espressione. Se non avesse avuto bisogno di sbattere gli occhi, sarebbe stato molto più suggestivo.

Su una cosa aveva ragione: lei e Crowley erano fatti per stringere patti; ormai andavano avanti solo di quelli. Stavolta però c'era una stuzzicante aria di mistero. C'erano segreti in ballo: presumibilmente oscuri, celati negli occhi e nell'espressione dell'umana, pronti ad essere svelati; il tipo di cose dentro al quale il demone amava sguazzare, sempre se non c'era troppa posta in gioco - era sempre stato il tipo che, quando le cose si facevano complicate al punto da diventare fin troppo difficili, preferiva lasciar perdere e andare ad infilarsi nella sua zona di comfort.

    Alla fine, gli occhi dorati ridotti a due fessure e la sua naturale curiosità ormai portata a galla, chiese: «Dimmi di più.»

E lei lo fece, anzi: lo fecero entrambi. Un'informazione per un'altra.

Crowley fu costretto ad iniziare e chiarire il perché delle sue risse. Raccontò del piano e di quanto poco ne sapesse. Fino a quel momento, l'arma gli era parso un semplice e fastidioso rumore sordo a gli angoli della sua mente. L'unica cosa che voleva era evitare la prima linea in caso di una guerra effettiva ma, come spesso accadeva, quel protettivo velo di menefreghismo lo aveva accecato.

    Alla notizia, Anathema aveva sbarrato gli occhi e si era rinchiusa in un altro silenzio, stavolta nervoso e carico di ansia. «Ora capisco perché avevi paura che Satana ti strangolasse» disse. «Finora voi e il Paradiso vi siete solo stuzzicati, a volte più violentemente del normale - ma nessuno di voi ha mai azzardato uno scontro serio.»

    Crowley allargò le braccia: «Che vuoi che ti dica?». Sbuffò, iniziando a fissare la nebbia fuori dalla finestra. «Odio quando mi ricordi che faccio parte del sistema» mugugnò, un po' a denti stretti. «Non so perché o perché adesso, ok? Non so nemmeno quali potrebbero essere le conseguenze per voi mortali, e dubito fortemente che all'Inferno freghi qualcosa.»

    «Beh, c'è un lato positivo in tutta questa storia» riprese l'altra non del tutto convinta e tantomeno tranquilla. «Volevi tornare dal guardiano, no? Ti darò una scusa per farlo.»


E che scusa. L'ultima parte della loro conversazione gli ronzava in testa peggio delle sfuriate di Beel. Come accidenti aveva fatto a passare dal farsi i fatti suoi a quello?

Dannata curiosità e dannati segreti. Dannazione a tutto e tutti. Ci era cascato: era una calamita per i guai e allo stesso tempo un loro grande ammiratore. Sembrava nato per certe cose.

Certo che voleva sapere cosa girasse nella testa di quel pazzo suicida: non aveva fatto altro che pensarci. Anathema lo aveva stuzzicato, rigirando il coltello nella piaga del: "Non riesci a togliertelo dalla testa perché sei curioso", usando la sete di conoscenza come leva per convincerlo. Menomale che la sua linguaccia biforcuta non si era fatta scappare il sogno ridondante che aveva otturato la sua testa negli ultimi due giorni, o non avrebbe mai visto la fine di quella tortura. L'immagine di quell'angelo martoriato e spaventato che gli intimava di andarsene si era ripetuta all'infinito, come un monito. Stupida testa.

Non sapeva nemmeno come iniziare la conversazione: "Ehi biondino, sono quello che voleva ucciderti e ho bisogno di parlarti" - no, non avrebbe mai funzionato.

E come avrebbe fatto a spiegare ciò che gli era stato detto? Se l'era dovuto far ripetere due volte, portando Anathema all'esasperazione come solo lui sapeva fare. Aveva sempre saputo di aver scelto l'umana più subdola del Regno, ma a tutto c'è un limite. Mai e poi mai avrebbe pensato ad un risvolto simile.

Doveva trovare le parole e doveva farlo subito. Andiamo, testaccia, pensa. Era sempre pieno di idee e adesso il suo inconscio era andato in blocco, soppresso dalla situazione ora incredibilmente più grande di ciò che aveva preferito non vedere. Doveva anche spicciarsi, dato che ormai era quasi sul bordo - ah no, era già arrivato.

E aveva già una bella punta infuocata davanti al muso.


Dietro alla breve linea di fiamme c'era lui: il suo obbiettivo - di nuovo. Sembrava terrorizzato, e si vedeva che stava usando la sua arma semplicemente per segnare la distanza che doveva esserci tra loro, piuttosto che per minacciarlo.

Ora che lo vedeva meglio, Crowley poté soffermarsi un po' di più sui particolari. Spaziando con lo sguardo dalla cima dei riccioli candidi alle punte delle ali più bianche e scombinate che avesse mai visto, si rese subito conto che qualcosa non quadrava in quel tipo. Semplicemente, gli angeli erano nati per essere innaturalmente... Magnifici: quella era la parola più giusta. Erano fatti per essere perfetti, composti, stoici e ligi al dovere come tanti soldatini messi in fila.

Ma questo? Questo somigliava più ad un ammasso di nuvole gonfie, paffute, messe l'una sopra all'altra e poi limate di qua e di là perché fossero simmetriche. Aura incredibilmente splendente a parte, il resto sembrava messo lì per sbaglio: le volute perfette di quei capelli ricadevano in modo scombinato in più punti, le stoffe candide e dorate dei suoi vestiti erano lievemente stropicciate e spiegazzate, e - appunto - quelle piume erano notevoli ma anche un disastro. Senza contare quegli ora sbarrati occhietti celesti, belli ma non particolarmente inusuali.

    «Che ci fai qui?» Chiese biondino in un sussurro. «Sbaglio o ti avevo detto di andartene?» Continuò, guardandosi ansiosamente attorno. Incredibile come la sua prima preoccupazione fosse non essere scoperto dai suoi, e non tanto la bestia che aveva davanti.

Pazzo, appunto.

    «E io sono tornato» sibilò Crowley senza smettere di fissarlo. «A proposito: tu sei quello che deve allontanare gli intrusi? Bene, perché mi sto introducendo». Prima che l'altro potesse capire cosa ciò significasse, strisciò veloce dentro al giardino. Dietro di lui arrivò uno stentato: "Aspetta, dove vai?!", seguito da un nervosissimo sbattere di ali.

Si arrampicò sull'albero della volta precedente, seguendo con la coda nell'occhio la figurina bianca sotto di sé. Era quasi divertente stressare quel poveraccio: forse non era stata poi una cattiva idea tornare lì.

Adagiandosi pigramente su un ramo, si mise a giocherellare con una mela. Mentre biondino aveva iniziato a guardarlo con quella che doveva essere un'espressione di rimprovero - peccato fosse evidentemente segnata dall'incertezza.

    «Scendi subito da lì» ordinò quest'ultimo. Con le sopracciglia aggrottate e il pugno chiuso, sembrava un bimbo al quale avevano vietato le caramelle.

    «Scusa mammina,» lo stuzzicò il demone. «Ma non credo che lo farò». Si era messo a far dondolare una mela, sperando che cadesse. Il gesto portò il suo interlocutore a mordicchiarsi nervosamente un labbro; cavolo, biondino era proprio un rotondo fascio di ansia.

    «Senti, dimmi che cosa vuoi e vattene» riprese l'angelo, puntandogli addosso quelle piccole pozze celesti cariche di nervosismo. «Non ho nessuna intenzione di rifare la cosa dell'altra volta: ha fatto malissimo.»

    «Ecco, visto? Su questo siamo d'accordo. Potremmo effettivamente avere una conversazione normale e tranquilla.»

    L'altro abbassò le spalle ma non la guardia, dato che ancora si guardava attorno come se qualcuno dovesse materializzarsi al suo fianco. «Dubito tu voglia condividere informazioni sul piano della tua fazione. Perciò non vedo di cosa dovremmo mai discutere.»

    Iniziando ad oscillare come una liana al vento, Crowley si abbassò abbastanza da potergli parlare faccia a faccia. «Credimi, ne so quanto voi. Forse ne so addirittura meno di quegli umani, ma-» e qui fece calare qualche secondo di silenzio, «Io so qualcos'altro. Qualcosa che potrebbe interessarti.»

    Nonostante avesse messo su il più persuasivo dei suoi toni, biondino non si era mosso dal suo stato di tensione e diffidenza - il che era abbastanza ovvio e naturale; sicuramente una delle sue reazioni più sensate finora. «E perché dovresti venire fin qui a spargere informazioni? Cosa sei, un disertore?»

Quella era una fantastica domanda.

    «Mettiamola così,» iniziò il demone, strisciando fino a terra e riprendendo la sua forma solita. «L'informazione in questione ti riguarda.»

    In risposta arrivò un facciotto dapprima stupito, poi sempre più confuso, e infine incredulo: «Beh, temo allora che qualcuno ti abbia detto baggianate. Questo, o sei terribile a mentire.»

    «Senti biondino; sono in territorio nemico, tu sei armato e io non sono così scemo da voler venire a perdere tempo inutilmente» rispose il rosso con tono deciso. Poi irruppe in un sorrisetto: «Sempre che tu sappia usare quell'affare» disse, indicando la spada. «Perché sai, a giudicare dall'ultima volta...»

    «Ehi!» Esclamò l'altro, offeso. Non era arrabbiato: sembrava più stizzito che altro. «Beh- magari io no...» ammise poi, «Ma gli altri sì. E nessuno mi impedisce di volare fino alla fortezza e chiedere aiuto.»

   Crowley alzò gli occhi al cielo: «Pf, accomodati, biondino. Me ne andrò, tu ti beccherai la ramanzina e io potrò tornare domani a romperti le scatole.»

    «E magari mi troverai in compagnia.»

Aspetta, che

L'angelo aveva sicuramente colto il suo veloce cambio d'espressione - dannazione

Difatti, si mise a giocherellare distrattamente con la spada, facendo spallucce: «Gabriel non sarà felice di sapere che la spia che lo ha aggredito si è infiltrata qui due volte. E sì: io mi beccherò una ramanzina, ma tu rischieresti di, beh - puoi immaginarlo». Sfoderò un sorriso così gentile da fargli venire il voltastomaco - seppur parte della sua espressione non avesse mai smesso di essere corrugata. Sembrava quasi si stesse sforzando e la cosa umiliò Crowley il quadruplo. Vedi tu che bastardo.

«Oh, e ci sarebbero un altro paio di cose,» riprese il guardiano, stavolta con un tono da maestrina. «A Gabriel piace venire a controllare qui fuori di tanto in tanto. E io ho un nome, per cui-»

    Avrebbe voluto continuare il discorso, ma il demone glielo impedì: «E quindi dici che sarebbe meglio sbrigarsi a parlare, vero? Oh, hai ragione biondino. Ah giusto: non è il nomignolo appropriato per il sacro guardiano del giardino assolutamente vuoto e inutilizzato da secoli. Sempre che tu faccia il tuo lavoro come si deve. Dov'è che eri l'ultima volta?» Chiese, facendo finta di mettersi a pensare.

Credeva di aver sferrato un bel colpo, ma si rese presto conto che l'altro continuava ad essere più infastidito che effettivamente arrabbiato. Perché sì: ormai l'obbiettivo era diventato quello di farlo infuriare senza nessun motivo. Era una questione di principio, accidenti.

    «Beh, non che mi aspettassi riconoscenza da uno come te,» sospirò l'angelo. «Ma l'altro giorno ho voluto evitare inutili spargimenti di sangue e, a giudicare dalla tua espressione, pensavo lo volessi anche tu». Scrollò le spalle, ora più rilassate, prima di continuare: «E, per quanto quello con te sia stato l'unico scontro diretto che io abbia mai avuto, pensavo che saresti stato più - ecco, violento. Credo.»

Crowley si ritrovò, suo malgrado, a spalancare la bocca. Era riuscito a sviare il discorso, a rabbonirlo e a dargli una risposta tutto allo stesso tempo. Quel tipo era decisamente assurdo. Gli faceva provare rabbia, incredulità, indignazione e stupore assieme; ed era proprio quella punta di stupore a farlo sentire come fosse- beh, come- lo mandava in confusione. Ecco.

E poi come accidenti si permetteva a credere che non fosse violento? Lui? Avrebbe potuto tranquillamente- no dai, effettivamente non era mai stato un violento. Era stato costretto ad esserlo quel paio di volte e basta. Su quello, biondino aveva ragione. 

Come avesse fatto a colpire tutti i suoi punti scoperti, quello era un mistero.

Ora basta, però. Avevano perso fin troppo tempo e le ultime parole di Anathema avevano ripreso a mangiucchiargli la mente tra l'arma, la guerra e... 

    «Va bene,» disse infine, costringendo la sua mente e la sua lingua a collaborare. «Credimi- senti, com'è che ti chiami?»

    «Aziraphale... » Rispose l'altro a stento.

    «Sì certo. Come se sapessi pronunciare una cosa del genere, angelo». No, davvero, Dio aveva finito le idee tutto d'un tratto? «In ogni caso, hai ragione. Come ho detto, in questo momento sono io contro l'intero Paradiso, giusto?»

Aziraphale parve illuminarsi un po' più del normale, probabilmente perché credeva di aver avuto la meglio, e annuì come si fa ad un'affermazione assennata.

    «Bene, perciò credimi: questo farà decisamente più male a me che a te.»

Se ne sarebbe pentito più tardi? Sì. Decisamente sì.


Prima che Aziraphale potesse dire qualcosa, Crowley lo afferrò per un polso, mandando una veloce ed immediata stilettata di dolore a entrambi. Beh, faceva dannatamente male, ma cercò di ignorare la sensazione e aprì le ali. Fece giusto in tempo a sentire la spada cadere con un tonfo nel terreno erboso quando, con una spinta, si alzò in volo senza mai lasciare la presa sull'altro. Il palmo della mano gli bruciava da morire, e presto la sensazione si fece strada in ogni angolino della sua essenza, iniziando a pizzicare, mordicchiare e rompere.

Se ne stava già pentendo. Ma ormai era tra le nuvole con un peso morto e dolorante che non faceva altro che dimenarsi alle spalle. Anathema lo avrebbe ucciso.

Sempre se non moriva prima.

   
 
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