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Autore: Enchalott    21/01/2022    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La seconda prova
 
Rhenn mosse le redini, portando Delzhar tra le rocce. Il piumaggio era imbrattato d’argilla e l’ossidiana lucida giaceva sotto uno smorto strato di polvere.
Rivolse lo sguardo al cielo, nel quale poco prima era sfrecciata una formazione: aveva riconosciuto le insegne della prima armata e non era stato avvistato grazie all’ingenita prontezza. La sera precedente, riparato dal disprezzo dei Khai per il tempio di Valarde, aveva scorto il medesimo stormo: un colpo di fortuna, altrimenti non sarebbe sfuggito agli uomini di suo fratello.
Quei dannati non rinunciano!
Yozora si sporse dall’anfratto, sistemandosi l’abito e tormentandosi la treccia.
«Ci hanno visti?»
«No.»
«Sicuro che siano ribelli?»
«Ne dubitate?»
«Non discuto la vostra vista impareggiabile, trovo strano che con una taglia sul collo volino in pieno giorno.»
Il principe apprezzò la perspicacia.
«L’arroganza si è accresciuta, forte della certezza che mia madre è dalla loro.»
«Siete eccessivo!»
«Lo sarei se avessi ingaggiato combattimento. Appartenete al clan reale, potrebbero rapirvi con la sciocca convinzione di estorcere un accordo.»
«Dunque i Khai non sanno che i Khai non sono ricattabili? Chi si preoccuperebbe di una shitai straniera? La vostra visione è falsata dall’ostilità. È umano desiderare una vita migliore, chi lotta per la libertà non è di conseguenza un criminale.»
«Lo è nella misura in cui cerca di demolire l’equilibrio. Mardan si è retta per millenni grazie al suo sistema sociale e alla guerra, tentare di stravolgerlo con un’utopia non sortirà altro effetto che l’annientamento. Inoltre definire Khai un ribelle è la peggiore delle ingiurie.»
Il discorso non lasciava sottintesi: una volta incoronato, Rhenn avrebbe proseguito la politica del padre.
«Salki è caduta per il conflitto portato da voi, non per l’assenza di schiavi. La vostra è paura del cambiamento.»
«Si chiama legge del più forte. Quanto alla paura, se non la finite di tremare, Delzhar vi riterrà inferiore. Non guadagnerete la sua fiducia.»
«È degno di un principe khai: voi gradite quando vi tengo testa.»
«Risultate solo meno noiosa.»
«Non siete bravo a mentire.»
Rhenn si sforzò di restare impassibile: la fandonia degli hanran in volo gli era riuscita benissimo, salvo la polemica logora che ne era conseguita.
«Toglietemi una curiosità» continuò lei «Durante il saakyo ve la siete cavata perché avete richiamato Delzhar?»
«Non vi si può nascondere nulla.»
«Avete imbrogliato! Questo non è stravolgere una regola? Cambiare la tradizione?»
«È usare il cervello. Non è proibito.»
«Allora perché Mahati non l’ha fatto? Fyratesh non è addestrato a rispondergli?»
«Tutt’altro, hanno una simbiosi invidiabile. Fyratesh accorrerebbe a un rantolo esalato dall’aldilà. Mahati non ha voluto ricorrervi.»
«Perché ha rischiato la vita?»
L’Ojikumaar appoggiò la schiena alla pietra calda e le rivolse uno sguardo intenso.
«L’avversario non è mai stato il deserto bensì lui stesso. Mahati contro Mahati e, credetemi, è ancora così.»
«Non siete voi il suo rivale?»
«Non il primo in lista. Se lo fossi, non avrei la certezza assoluta del trono e, se respirassi ancora, il mio corpo porterebbe più cicatrici di quelle che conservo.»
Yozora rifletté sulle occasioni trascorse in compagnia del secondogenito e intravide sfumature che le erano sfuggite o che aveva inteso in maniera arbitraria. Filtrate dal dato per scontato, dalla sicurezza emanata dal giovane demone, dall’intento di placare il proprio disagio. Nel ritratto appena dipinto, Mahati era un uomo che desiderava migliorarsi e, pur ligio al modo di pensare della sua gente, non attaccava briga solo per stabilire la natura di dominante. Comprese il motivo per cui non l’aveva costretta al rapporto carnale. L’ammirazione nei suoi riguardi incrementò.
Voglio che la seconda prova sia un passo decisivo. Voglio far parte dell’anima di mio marito, che lui lo sia della mia.
«Che mi dite del Rhenn contro Rhenn?»
«L’ho superato dopo il compimento dei cento anni.»
«Allora quale aspetto di voi è emerso quando avete incontrato la regina?»
Il principe portò le dita alla fascia, dove avvertiva la solidità del chakde.
«Nessuno. Solo gli spiacevoli ricordi di quel ragazzino. Ripartiamo. I seccatori se ne sono andati.»
 
Nonostante la fiducia nel personale sesto senso e nell’istinto selvaggio di Delzhar, l’erede al trono si voltò in più di un’occasione, ma il cielo citrino rimase sgombro.
Yozora appariva pensierosa: davanti a lui, compresa tra i finimenti di cuoio, non si aggrappava al suo braccio come quando l’aveva portata via da Seera.
«L’assenza di chiacchiericcio mi preoccupa.»
«Riflettevo a proposito dei clan.»
«Ah, dubbi… è bene che li risolviate. Mancare nei confronti di una cerchia di prestigio equivale ad accatastarsi la legna per il rogo. La legge non ammette ignoranza.»
«Lasciate gli eufemismi. Non mi perdonerei se compromettessi l’onore di Mahati.»
«Vi prendo in parola, considerando i trascorsi» sogghignò Rhenn «I clan sono nove ma quelli autorevoli si riducono a cinque, tra i quali la famiglia reale domina per forza e prestigio. Tre vantano minore influenza e quello d’oltremare è impenetrabile. Anche se negli ultimi sette secoli non è avvenuto, uno degli altri principi potrebbe sfidare me o mio padre per la corona. Non sbaglio a pensare che alcuni stiano aspettando il momento opportuno o un sovrano meno temibile di Kaniša.»
«Allora sarete tranquillo per… quanto dura la vita di un Khai?»
«Accondiscendo al complimento, ma se Rasalaje non resta incinta le sfide fioccheranno sul sottoscritto come la neve della vostra terra. Non che le paventi, però non generare è segno di inadeguatezza.»
«Sapete come la penso, certe cose si affrontano a mente serena. Avreste dovuto portare vostra moglie a Shamdar. Organizzare un’uscita romantica!»
Rhenn avvampò, sorprendendo se stesso. Era impossibile metterlo in imbarazzo, invece lei diventava sempre più abile. E senza saperlo! L’idea della fuga sdolcinata gli parve grottesca, ma la riflessione generale non era scorretta.
Fretta? Non l’ho mai pensata in questi termini.
«Ottimo punto di vista. Non vi resta che condividerlo con Ŷalda e con quelli che affilano le lame con un occhio alla clessidra. Vi lascio mandato! Volete un’assemblea allo scopo?»
«Non fate lo spiritoso solo perché non capisco!»
«Invece avete compreso alla perfezione. Lo affermo senza dileggio.»
«È pacifico che i clan stringano alleanze matrimoniali per evitare di massacrarsi a vicenda o che reclamino il trono in caso di un sovrano inidoneo. Non comprendo tuttavia perché vostro padre abbia stabilito di giocare una sola carta, possedendone due.»
«Per quanto mi sia sforzato, neppure io. Un figlio di re è sempre un figlio di re, anche se nato dall’aikaharr. Quasi tutti i miei antenati sono venuti al mondo con quel sistema e hanno retto Mardan senza controversie.»
«Non ve ne ha messo a parte?»
«Se ne guarda bene. Lo stesso Mahati non ha ottenuto risposte, vi lascio immaginare la frustrazione. È stato escluso senza conoscerne le ragioni.»
Yozora si girò per osservarlo: il vento sottraeva alla coda alcune ciocche, che gli frustavano le spalle e le guance come pennellate d’argento.
«Temete di ricevere la corona a breve?»
«Non lo temo, lo spero. Le decisioni di Kaniša non sono vantaggiose per i Khai.»
«Rhenn!»
«Tranquilla, non vi strapperò alle vigorose braccia di mio fratello per assegnargli una sposa di sangue aristocratico. Mi riferivo alla politica.»
«Come!? Potreste invalidare il matrimonio?»
«Non proprio. Rivedrei gli accordi con i Salki e vi rimanderei a casa, sposata e con un figlio in grembo. Gli offrirei una donna del clan più aggressivo per placare gli animi e assicurerei la continuità grazie a quella che avete definito seconda carta. Pecco di bontà, non ordinerei mai la vostra morte per il bene del regno»
«Sbagliereste! Non me ne andrò! Non lascerò vostro fratello!»
Rhenn incassò la risposta sfidante con uno strano sollievo e al contempo un profondo fastidio percorse la medesima strada per annidarsi in quel luogo remoto. Mosse il polso, Delzhar si inclinò in una virata pericolosa, Yozora eruppe in un’esclamazione di spavento e si aggrappò ai suoi abiti.
«Non lasciate neanche me, a quanto vedo» commentò sarcastico «E dire che siamo stati acerrimi nemici fino a ieri. Siete volubile, principessa!»
Raddrizzò, certo che la manovra avesse sortito l’effetto desiderato.
«Mi… mi gira la testa…» ansimò lei, stringendogli il braccio.
«Perdonate, le correnti sull’oceano sono capricciose. Se non altro hanno contribuito a rammentarvi che, prima di appartenere a Mahati, siete mia pertinenza. Sono la guida del clan, mio padre non è in grado di adempiere al suo ruolo.»
«Significa che posso sostenermi a voi? O che mi difenderete solo se vi obbedirò?»
Rhenn arricciò le labbra in un sorriso enigmatico e la attirò a sé, lasciando che si appoggiasse alla sua spalla.
«Mille anni» bisbigliò «Alcuni di noi superano tale traguardo. Quanto vive un Salki? Meno di un secolo salvo rare eccezioni. Un nulla, un battito di ciglia al nostro sguardo. Se volessi liberarmi di voi e designare mio fratello come erede in cambio delle sue nozze, attenderei molto poco e senza sporcarmi le mani.»
Mille? Dieci secoli?! Dèi misericordiosi!
Yozora nascose il viso contro di lui, non per il malessere conseguito al brusco aggiustamento di rotta. Era una tristezza oppressiva e pesante.
«Che vi prende? Piangete per un matrimonio non ancora sperimentato?»
«Me ne andrò prima di Mahati.»
«Prendetevela con gli Immortali, loro stabiliscono i confini. Magari incapperà in un duello mortale o Fyratesh lo disarcionerà in un impeto di emancipazione. Se poi non vi desse abbastanza piacere a letto potreste gettarlo dalla torre…»
«Smettetela di scherzare! È una situazione che non ho considerato! Farò di tutto per renderlo felice e poi lo abbandonerò! Soffrirà! Non riesco a pensare a nulla di più crudele!»
Rhenn sussultò. Anche lui non aveva vagliato un dettaglio: la donna che stava inzuppando di lacrime la sua camicia parlava d’amore ogni volta che apriva bocca. Quella era una forma rispettosa per esprimerlo. Avvertì sensazioni contrastanti: il desiderio di gridarle di non offendere un guerriero con i patemi d’animo, quello di allontanarla come un morbo contagioso, quella di cingerla per arrestarne il pianto, di proteggerla. Quella impellente di prendere a pugni Mahati, perché era dannatamente favorito dalla sorte e forse non se ne rendeva conto.
«Non datevene pena. Un Khai non ama, per scacciare la malinconia gli sarà sufficiente il sorriso di un’altra femmina.»
«Siete un consolatore nato!»
Il principe sorrise e fece abbassare Delzhar, evitando nuovi scossoni.
«Shamdar!» esclamò indicando l’orizzonte.
 
Yozora si volse a rimirare le orme sulla spiaggia bianca dove l’onda baciava la roccia: sha m’dar in lingua khai.
Il faraglione a picco sul mare era incorniciato da una lingua di sabbia, sulla quale le onde impetuose, un indaco tanto prepotente da ferire gli occhi, si allungavano dopo la lunga corsa. Tra gli scogli arrotondati dai millenni l’acqua trasparente della battigia era fresca e contrastava l’implacabile supremazia del Sole Trigemino. Le folate tese sollevavano un salino intenso e profumato, che impregnava la pelle e i sensi.
«È meraviglioso!» trillò estasiata.
Rhenn seguì divertito la reazione fanciullesca. Slacciò il bagaglio e lasciò libero il vradak, poi fissò i teli in una copertura rudimentale. Accese il fuoco realizzando che quelle semplici attività alleviavano la stanchezza e la tensione.
La parte migliore viene adesso.
Yozora sedette accalorata, con mille domande sulla punta della lingua. Bevve un sorso di akacha e osservò la tenda: una sola.
«Allora non vi limitate a comandare e basta.»
«Intimare ordini senza aver esperito è un inutile berciare. Sono un guerriero di rango ma ho iniziato dal basso come tutti.»
«Questo vi fa onore, a Seera non succede.»
«È obbligatorio, avrei evitato volentieri di essere messo alla pari con il popolo.»
«Ma così avete toccato con mano il modo di vivere dei meno fortunati. Deduco che i non appartenenti ai clan siano destinati a restare indietro.»
«Chi si dimostra ardito in battaglia può aspirare a un matrimonio prestigioso, ottenere il titolo di reikan o essere adottato. Quanti vantano coraggio vengono apprezzati a prescindere dalla nascita.»
«Allora solo chi non combatte non ascende.»
«Esatto. Ma chi è in alto non è esente dal precipizio. Detto ciò, avete fame?»
«Pensate di mettervi a pescare?»
«Scherzate? Non siamo qui per svago, inoltre un mare tanto salato non ha pesci.»
Lei rimase delusa: basarsi sulle fiabe, ove il brusco protagonista si addolcisce una volta lontano dall’ambiente natio, era infantile.
«Non tenetemi sulle spine. Parlatemi dell’asheat
Rhenn trasse un involto dal bagaglio.
«Si chiama prova della perfezione, per affrontarla indosserete questa.»
Sciolse la seta avorio, una tunica leggerissima con le maniche lunghe, così sottile da risultare trasparente.
La custodia ne conteneva una identica, su cui Yozora non chiese delucidazioni. Si cambiò in un angolo appartato: le raffiche erano energiche e il nastro in vita era appena sufficiente a far sì che la veste non le venisse strappata di dosso.
Scommetto che l’ha fatto apposta!
Quando tornò alla tenda, Rhenn aveva indossato la gemella: il vento scostava le falde incrociate sul petto e le fiamme del thyr occhieggiavano come i prodromi di un incendio. Le tese la mano.
«Dimostreremo di essere perfetti con un indumento?» gli domandò perplessa.
«No. Spogliandocene.»
«Cosa!?»
«Non è strano che due coniugi si vedano nudi.»
«No… cioè sì! Dopo le nozze! In che consisterebbe la perfezione?»
«Nel vostro corpo. Un Khai non teme di mostrarlo, è legittimo che gli sposi prendano atto che la controparte non celi deformità. Lo scopo è mettere al mondo eredi forti.»
«La parola non è sufficiente?»
«Non è il punto. Mahati ha diritto di rifiutarvi, se per ipotesi non lo attraeste. In quanto shitai, non avete voce in capitolo, mentre una donna libera potrebbe a sua volta respingerlo. Non si tratta di procreare e basta, bensì di provare estremo piacere nel farlo. O soltanto quello, rimandando eventuali figli.»
Yozora ascoltò angosciata: Rhenn l’aveva messa in guardia, le asheat portavano a una conoscenza graduale e per i demoni il lato carnale era rilevante. Nulla di più lontano dallo svestirsi sotto le coltri della prima notte.
«Perché la tunica allora?»
«Mio fratello potrebbe apprezzarvi a prescindere dall’aspetto. In tal caso rimarrete vestita.»
«E io?»
«Idem, ma per un maschio khai è offensivo, soprattutto se guerriero. I segni della battaglia sono un vanto, fatelo svestire o se la prenderà a male.»
«C-ci penserò.»
«Inoltre, qualcuno che si spoglia per te è eccitante. Non fremete al pensiero?»
Lei divenne paonazza più per lo sguardo penetrante che per le parole impudiche.
«Io… no!»
«Andiamo, altezza. Mentire è squalificante.»
«Non è una bugia! Solo un disagio difficile da superare!»
L’Ojikumaar rise implacabile.
«Tranquillizzatevi, non vi toccherete salvo diverso e comune accordo. Quanto al resto, siamo qui per ovviare.»
«Non pretenderete che mi spogli in vostra presenza!?»
«Io lo farò di certo.»
«Mahati non può averlo richiesto!»
«In effetti ha borbottato qualcosa su una versione edulcorata. Mi dispiace non essere del suo stesso avviso. È ora che la piantiate con i vostri sciocchi pudori.»
«Non è divertente!»
«Mai stato tanto serio.»
«Rifiuto di sottopormi al vostro giudizio! Non ne avete diritto!»
«Preferite che inizi io?»
Yozora indietreggiò in preda al panico. Oltrepassò i teli sventolanti e il sole l’abbagliò: si schermò, scrutando i dintorni a caccia di una via di fuga.
La spiaggia era incastonata tra le rocce compatte della scogliera. Difronte, il mare in burrasca: l’unico sistema per lasciare Shamdar era volare.
Sono in trappola!
«Non è il modo di imporre a un maschio di spogliarsi» disse Rhenn graffiante «Almeno provateci, per gli dèi!»
«State lontano!»
«Lo farò se collaborerete. Cinque passi, non mi avvicinerò di più.»
«No! Rivoglio i miei vestiti!»
«Giuro che li getto tra le fiamme! Dove sono i vostri propositi? L’intento di assistere il prossimo è subordinato a una sciocchezza del genere?»
Snodò la cintura: la veste gli scivolò dalle spalle.
Yozora abbassò gli occhi, il cuore pulsò furioso nelle tempie. Iniziò a correre.
Rhenn imprecò e si lanciò al suo inseguimento, raggiungendola in poche falcate.
«Cosa credete di ottenere a parte perdere la dignità!?» sibilò afferrandola.
«Non toccatemi!»
«State ferma! Ferma! Ne avrete danno e basta!»
Lei si divincolò, tentando di schiudere la morsa che la cingeva. Prese a strattonare, sperando che il principe allentasse la presa, invece ottenne l’effetto opposto: le sue braccia muscolose la trattennero per la vita con una forza immane. Rifletté su un punto debole e fece leva tra le sue mani. Qualcosa di appuntito le trapassò la carne. Avvertì un bruciore istantaneo e folgorante.
«Siete impazzita!?»
Lui la mollò, sollevando allibito gli artigli sporchi di sangue.
Yozora lo scorse impallidire, poi la visuale si annebbiò e le forze scemarono.
Il veleno…
Rhenn la prese tra le braccia prima che si accasciasse a terra. Si inginocchiò sulla sabbia reggendola in grembo, la carezza dell’onda li infradiciò.
Le aprì le dita e si portò il palmo ferito alla bocca: premette a fondo provocando la fuoriuscita del sangue, ignorò i gemiti sempre più flebili, aspirò e sputò. Ripeté la procedura, finché il sapore familiare della tossina non decrebbe.
«Siete completamente fuori di testa» ansò immergendole la mano nel velo d’acqua.
«Ah, brucia da morire…»
«È il sale. Catalizza la reazione del vostro corpo.»
«Mi sento…»
«Fortunata. Non è una dose letale.»
Yozora si strinse a lui senza opporsi, come se poco prima non lo avesse respinto con tutta se stessa. Ogni dettaglio era confuso, roteava lento, lontano, indistinto. Solo il giocane che la stringeva al petto, sferzato dal vento e dal mare, era un punto fermo.
«N-non riesco a muovermi.»
«È il veleno, agisce sul sistema nervoso.»
«Io… mi dispiace…»
«Ssh.»
Le impose il silenzio. Un effetto secondario della tossina era sciogliere la lingua. I Khai lo usavano in extrema ratio, tuttavia conoscere i suoi pensieri intimi era sleale.
Perché lo penso? Sarebbe un vantaggio insperato.
«L’ho perdonato…» esalò la ragazza con voce strascicata.
«Che dite?»
«Mahati… per aver ucciso mia madre…»
Rhenn trasalì, domandandosi se stesse manifestando i sintomi di uno stato più grave di quello che aveva diagnosticato di primo acchito.
«Durante l’asheat… e ora non esistono ostacoli tra noi… eppure ho paura di quello che potrei provare, come fosse una colpa… temo me stessa, non il suo letto o…»
«Non aggiungete altro.»
«No, voglio sappiate che vale la pena rinunciare al rancore… Mahati e voi valete la pena… perdonate vostra madre, rappacificatevi con voi stesso…»
La ascoltò suo malgrado. La verità usciva dal cuore confermandone l’innata sincerità. Quelle parole gli fecero male, l’amore che emanavano lo ustionò. Era un nemico contro cui non era abituato a combattere, dotato di armi infide e sconosciute. Reagì attingendo all’odio che gli era stato insegnato e si isolò in una distanza mentale inattaccabile. Pregò Belker, ottenendo il silenzio che anelava.
La principessa tacque, il tempo a Shamdar si fermò o forse perse senso, il fragore ritmico dell’oceano era l’unico segnale che ancorava la realtà a se stessa. Tra le sue braccia il corpo fragile era freddo, scosso dai tremiti.
Dei, sto tremando anch’io!
Finalmente Yozora si mosse e inalò l’aria con minor sforzo.
Rhenn si chiese quale ramanzina intentare per intaccarne l’ostinazione e adempiere all’asheat, ma constatò che non era necessario. Le loro vesti chiare, zuppe di mare, si erano incollate alla pelle e non esisteva nulla di lasciato all’immaginazione. Però la prova non aveva comunque validità, era essenziale spogliarsi in qualità di rinuncia.
Non cederà. Non a me.
«È accaduto di nuovo» mormorò la principessa.
«Cosa?» borbottò lui stracciando un lembo di stoffa per medicarla.
«Uno di noi si è fatto male. È toccato a me, sono sollevata.»
«Dalle vostre labbra escono immani sciocchezze!»
«Le vostre sono sporche di sangue.»
«Chissà perché!» sbottò Rhenn strofinandosi la bocca.
Le macchie rimasero. Yozora inzuppò la manica nell’acqua e lo tamponò. Arrossì, pensando di aver osato troppa confidenza e lo fissò incerta.
Lo sguardo d’ametista del principe era una tormenta. Indugiò su di lei un istante. Poi si sporse in avanti e la baciò.
   
 
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