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Autore: crazyfred    21/01/2022    4 recensioni
Ritroviamo Alex e Maya dove li avevamo lasciati, all'inizio della loro avventura come coppia, impegnati a rispettare il loro piano di scoprirsi e lavorare giorno dopo giorno a far funzionare la loro storia. Ma una storia d'amore deve fare spesso i conti con la realtà e con le persone che ci ruotano attorno.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sotto il cielo di Roma'
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Capitolo 4



Il ghiaccio era stato rotto, le presentazioni non c’era più stato bisogno di farle e la serata passò tranquilla, proprio come Maya aveva sperato.
Era andata così bene che non riusciva a smettere di parlarne neanche quando oramai sua sorella era andata via e i due si erano spostati in camera da letto, dove era opinione di Alex che avrebbero avuto di meglio di fare.
“È andata bene tutto sommato, no?!” domandò, allungandosi di fianco ad Alex, appoggiata con i gomiti sul suo torace, le gambe ciondolanti in aria. L’uomo, con Maya seminuda al suo fianco, il seno contro il suo torace, aveva altri pensieri per la testa e due settimane di certo non erano state un tempo sufficiente per averne abbastanza.
“Ancora?!” esclamò lui, scocciato e divertito allo stesso tempo, portando le mani sul volto teatralmente “Dai che è andata bene, te l’ho già detto!”
Non le avrebbe detto di cosa avevano parlato lui e Lavinia quando lei non c’era, la sorella si era limitata a dirle che era arrivata da poco e che avevano fatto giusto le presentazioni e aperto il vino per un brindisi e lui era stato al gioco: non perché volesse nasconderle alcunché, ma alla c’era nulla di cui Maya dovesse preoccuparsi. Lavinia voleva proteggere Maya tanto quanto lui e di certo Alex non glielo avrebbe impedito.
“Ti piace mia sorella?”
“Mi piaci tu” dichiarò Alex con un bacio leggero, tentandola battendo fugacemente con la lingua sul suo labbro superiore.
“Sai cosa voglio dire” insistette lei, sospirando con gli occhi al cielo.
“Su una cosa però vi somigliate tantissimo”
“Cosa?”
“Avete la stessa franchezza” le disse, provocante, facendo scivolare la mano sul suo fondoschiena “deve essere genetica”
“Non credo sia genetica” rispose ancora Maya, non lasciandosi vincere da quel tocco, le farfalle nello stomaco “… è più un meccanismo di difesa. Quando hai un padre che ti fa credere che siete ricchi e in realtà vivete in un castello di debiti impari a dire le cose come stanno”
D’improvviso si era fatta seria, ed Alex con lei.
“Non deve essere stato facile” commentò l’uomo, tirando via dal viso quella ciocca impertinente che gli nascondeva i suoi grandi occhi. Alla luce calda dell’abat-jour erano ancora più scuri, cioccolato fondente extra della migliore qualità.
“Eppure ci sono cascata anche io …”
Lui la guardava perplesso, cercando di capire cosa volesse dire.
“Lo chiamavo il metodo Parioli” spiegò Maya, sorridendo amaramente “bugie e storielle inventate per vivere al di sopra delle mie possibilità, fondamentalmente scroccando … cene, abiti, serate in discoteca, vacanze … solo che non sempre era possibile e quando dovevo pagare io erano dolori per il mio conto in banca. Ecco perché ho dovuto cambiare casa.”
Non sapeva dire perché le fosse venuto in mente di dirglielo proprio in quel momento, forse perché in vino veritas e quello che aveva scelto per la cena era davvero buono e aveva sortito il suo effetto, forse perché non voleva la pietà di Alex di fronte alla storia della sua famiglia che non era solo una storia di sfortuna ma soprattutto di responsabilità. O forse, più semplicemente, perché tra loro andava così: si fidavano e riuscivano ad aprirsi e a parlare di tutto senza sentirsi giudicati, ed era una sensazione liberatoria bellissima.
“E cosa è cambiato?”
“Tu mi hai fatto vedere che da una situazione brutta e complicata si può prendere in mano la propria vita e rimetterla in sesto”
“Io?” Maya annuì.
“Senza di te non ce l’avrei mai fatta” confessò Alex, poggiandole un bacio sulla spalla “ecco perché non mi piace quando ti sottovaluti. È qualche giorno che ci penso…”
Maya alzò un sopracciglio, il volto dubbioso e incuriosito.
"A proposito del reportage…" esordì Alessandro, risalendo il profilo della schiena della giovane con il dorso della mano, lievemente.
Un po' per i brividi che le stava provocando, un po' per l'argomento, Maya scattò "Oddio, Alex, ancora!!!"
"Fammi parlare … voglio proporti un compromesso. Prometto che se rifiuterai anche questo allora mi metto l'anima in pace” dichiarò, una mano sul cuore e l’altra in aria, mimando un giuramento “ma non prima che tu abbia sentito quello che ho da dirti"
Maya allora, prendendo un grosso respiro, si alzò per prendere dal paravento in rattan la maglia del pigiama.
“Che fai?” le domandò Alex, ridacchiando, vedendo Maya che legava i capelli in una piccola crocchia scompigliata.
“Dobbiamo parlare di lavoro, ci vuole un abbigliamento più consono” rispose, seriosa; agli occhi dell’uomo era assolutamente adorabile.
Tornando sul letto, si mise a sedere con le gambe incrociate, giocando a mantenere un atteggiamento professionale, ma Alex la attirò a sé, schiena a schiena, braccandola nel suo abbraccio.
“Allora, pensavo … gli articoli … li firmo io, ma li scriviamo insieme”
Maya ci pensò su per qualche secondo, il che per Alex era già un successo, probabilmente era un'ipotesi che non aveva considerato ed era riuscito a spiazzarla.
“Non è fattibile” decretò infine la ragazza.
“Perché no?”
“Come perché? Tu hai uno stile riconoscibilissimo, saprebbero che non è scritto di tuo pugno”
“Naah…sono anni che scrivo solo editoriali, un articolo vero e proprio è tutta un'altra cosa. E poi se lo scriviamo a quattro mani il mio stile verrebbe fuori comunque”
“Ma io non so neanche da dove si comincia”
“E io che ci sto a fare?! Non ti fidi di me?”
“Nnnnn non lo so...” rispose, sarcastica.
“Certo che sei antipatica …” sogghignando, Alex la portò sotto di sé “... non mi sembri tanto diffidente quando facciamo l'amore”
“Ma perché quello non me lo devi insegnare, lo so fare. Anzi” precisò, sensuale, buttando uno sguardo provocatorio in basso, giocando con la molla dei boxer di Alex “lo so fare bene”
L’uomo sentì immediatamente l’intimo andargli stretto.
 
 
Dopo quanto era successo a casa dei suoi, Alex si era ben guardato dall’incontrare sua sorella. Aveva bisogno di smaltire la collera nei suoi confronti, cercando di limitare quanto più possibile le visite alla Garbatella. Ecco perché, approfittando del sabato lavorativo della sorella, dei ragazzi impegnati tra amici, ragazze e sport, aveva invitato i genitori a pranzo in centro per festeggiare il compleanno della madre, chiedendo a Claudia di poter tenere la piccola per qualche ora. Nonostante non fosse il suo turno quel weekend, Alessandro era certo che la sua ex moglie avrebbe approfittato volentieri di qualche ora libera.
Dopo il pranzo al ristorante, Alessandro invitò i genitori a prendere un caffè nel suo appartamentino, sul bel terrazzino con vista sul Vaticano.
“Io non lo so come fai a stare in un albergo con tutti gli appartamenti che ci sono a Roma!” protestò Maria.
Dietro quella frase, l’uomo leggeva due diverse interpretazioni: da un lato, il disappunto perché il figlio aveva dovuto lasciare l’appartamento di Prati a Claudia e, dall’altro, il disagio nel sapere che nella loro vecchia casa, che chiaramente suo figlio visitava abitualmente, c’era una persona che lei non conosceva.
“Mamma, innanzitutto non è un albergo ma un residence” le fece notare Alex “e poi qui sto più che bene. Ho tutto quello che mi serve, non mi devo preoccupare di pulizie e lavanderia perché pensano a tutto loro e soprattutto sono vicino ai ragazzi”
Giulia, seduta vicino a lui, si aprì ad un sorriso smagliante ascoltando le parole del padre. Lui, notandolo si curvò verso di lei con una smorfietta simpatica e, in un gesto di complicità, padre e figlia strofinarono i loro nasi l’uno contro l’altro, finché Alex non schioccò un bacio sul nasino alla francese della sua bambina. Non c’era cosa che più lo aveva impensierito nei mesi precedenti dell’idea che Giulia ed Edoardo potessero risentire negativamente della separazione, del vedersi meno di frequente che vivendo sotto lo stesso tetto. In realtà, paradossalmente, la qualità del tempo che passavano insieme era notevolmente migliorata, nonostante fosse ridotto a poche ore alla settimana.
“Ma sì Marì, guarda che c’ha ragione” intervenne Cesare “tu parli da donna, ma per noi uomini mica è facile occuparci di una casa da soli”
“Essere uomini non è una scusa Cesare, delle manine sante e benedette per fare i servizi le avete pure voi!”
“Ma che c’entra? Alessandro è un manager, c’ha un giornale da mannà avanti, deve incontrare gente importante, mica può pensare a pavimenti, piatti e panni tutto il giorno come te”
“Seh seh sempre in piedi cascate voi uomini”
“E molla ‘mpo Marì! A settant’anni stai ancora a fa’ la femminista”
“Perché c’è una data di scadenza?”
Padre e figlio si scambiarono uno sguardo complice, e di nascosto da sua moglie, con la mano, Cesare fece cenno ad Alessandro di lasciarla parlare e blaterare, che prima o poi si sarebbero scaricate le batterie anche a lei: quella era stata la sua tecnica di sopravvivenza per quasi 50 anni.
“Ma poi sta povera stellina nun ce po’ tené niente in camera sua, un giocattolino, dei disegni appesi al muro. Me pare na camera d’ospedale”
“Con il letto in memory e la vista su S. Pietro, eddaje ma’!” reclamò Alex.
Non era la prima volta che i genitori andavano a trovarlo, ma sperava che le perplessità della prima ora si fossero dissipate.
“A parte che abbiamo preso una cesta per i giocattoli e comunque neanche a casa della mamma le è permesso appendere nulla alle pareti, quindi non è una novità per lei”
Maria fece spallucce, ma non era da biasimare, Alex lo sapeva bene; con quei terremoti di Daniele e Valerio in casa e i ricordi della sua gioventù, sua madre aveva un immaginario ben diverso di infanzia: ancora si ricordava di quella volta che, a forza di giocare all’Uomo Ragno in casa, Daniele aveva staccato un’anta dell’armadio in camera da letto, oppure le orme del pallone sporco sulle pareti bianche nella casa a Testaccio che Cesare non faceva mai in tempo a coprire con la vernice.
“Fai vedere a nonna!” disse allora Alessandro, rivolgendosi a sua figlia.
La piccola prese per mano la nonna e, rientrando in casa, la portò nella cameretta che condivideva con il fratello. La stanza non era grande, c’era solo lo spazio per due letti singoli, due lampade a muro sopra ciascun letto, una piccola scrivania da un lato e un armadio non molto grande dall’altro. Tra i due lettini, un mobile comodino e una finestra con affaccio sulla piazzetta sottostante. Rispetto alla loro casa, era decisamente una soluzione di ripiego, ma ci dormivano un paio di notti ogni due settimane ed era più che sufficiente.
La bimba aprì la cesta e per mostrare i giochi che aveva comprato appositamente per quando stava con il papà, i peluche che teneva con sé per dormire e naturalmente tutto il necessario per disegnare e colorare. Li tirò fuori uno ad uno, chiamandoli per nome e aspettando che ogni volta i nonni mostrassero un minimo di apprezzamento. Alex rise, soddisfatto: era come se Giulia fosse in missione per dimostrare ai nonni che il papà se la stava cavando alla grande.
“Sei tranquilla ora?”
Maria annuì “Però lo sarei di più se ti sistemassi in una casa normale, capiscimi. C’abbiamo quella bella casa …”
“Eccallà!” esclamò Cesare, guardandola minaccioso mentre, seduto sul pavimento, la nipotina gli mostrava tutti gli accessori di Cicciobello Bua.
“Tempo al tempo mamma. Chi lo sa…tra un po’ magari ci vado davvero”
Maria gli posò un paio di colpi leggerissimi sul torace, uscendo dalla stanza della bambina accompagnata dal figlio e Alex avrebbe giurato di scorgere un sorriso soddisfatto. Più che dalla relazione del figlio, era contrariata da quella situazione poco chiara, non definitiva. Ma non era colpa di nessuno se non di Anna che aveva fatto quella scenata inutile: senza il suo intervento, Alex avrebbe dato la notizia ai genitori solo quando sarebbe stato certo e di sicuro sua madre non avrebbe fatto storie. Ora ne era sicuro: con il tempo, quell’angustia le sarebbe passata.
“Questo è Olaf di Frozen …” continuò Giulia. Come ogni Bonelli degno di quel nome, anche Cesare era tenuto completamente in pugno dalla nipotina “questa è My Little Pony Principessa e qui ci stanno tutti i disegni! Nunno apri!”
La piccola gli passò una cartellina con elastico molto voluminosa, si vedeva che la piccola amava tanto disegnare. Cesare la aprì maldestramente, facendo cadere un paio di fogli a terra. In uno aveva solo colorato dei disegni già preparati, ma nell’altro c’era un disegno a mano libera della bambina.
Nel disegno, con una grafia da adulto, elegante e un po’ rotonda, molto femminile, c’erano scritti in stampatello i nomi: Giulia, papà, Maya. L’uomo aveva sentito quel nome solo una volta, ma era sicuro che non poteva essere una coincidenza: non era di certo un nome diffuso e poi nel disegno compariva di fianco a suo figlio.
“Giulia?!”
“Sì nunno?”
“Chi è questa signorina? La tua maestra?” domandò.
“No, è Maya”
“E chi è Maya?” incalzò l’uomo.
“La mia amica grande!”
“Ed è anche una amica di papà?”
“Sì" rispose, genuina "Lei ha detto che lavora dove lavora pure papà e un giorno io ci sono andata allo studio di papà e ho fatto la nanna e poi ho fatto questo disegno con lei.”
“Sembra proprio brava questa ragazza …”
Giulia fece sì con la testa vistosamente, facendo quasi rimbalzare le lunghe trecce che le aveva fatto la madre.
“E poi … e poi abbiamo fatto anche merenda insieme e papà ci ha portato a casa”
“Ha portato a casa anche Maya?”
“Sì perché papà gli ha rotto la macchina” disse, ridendo.
Cesare non sapeva come prendere questo racconto della bambina: poteva essere una versione che le avevano dato di quello che aveva visto, o l’interpretazione innocente di una bambina di cinque anni. Oppure era la verità e non c’era di niente di più.
“E com’è Maya?”
“È bella … e papà ride sempre con lei”
Papà ride sempre con lei… quelle cinque semplici parole riecheggiarono nella testa di Cesare per tutta la giornata, fino a che non andò a dormire, ancora rimuginandoci su.
 
“Ehiii!!! Sono appena tornata a casa, e sono stanchissima. Non puoi capire la tensione ogni volta che Lavinia apriva bocca … avevo sempre il terrore che si facesse uscire qualcosa su di noi. Ma per fortuna è stata brava, dai. Te che fai? Ne hai ancora per molto con i tuoi?”
Maya mandò un messaggio vocale ad Alex mentre si toglieva di dosso i vestiti e li gettava nella cesta dei panni sporchi. Una settimana dopo, approfittando del weekend di Alex con i suoi figli, era andata a trovare sua madre, estasiata di vedere le sue figlie uscire fuori dalla routine del sabato, potendo organizzare un bel pranzo della domenica tradizionale, con tovaglia ricamata e porcellane del servizio buono. Bianca, la cagnolina di Matilde, stava facendo la muta, come ogni primavera, e immancabilmente depositava i suoi peli sui vestiti degli umani. Sembrava proprio andarci pazza. A questo giro, era toccato al suo maglioncino verde petrolio.
Alex, però, non le rispondeva: o era ancora impegnato, o era già per strada. Così, mentre aspettava, si mise tranquilla sul divano a lavorare sul primo articolo; dopo aver messo insieme tutte le informazioni necessarie, ora stavano iniziando a scrivere, ma non era così facile: aveva provato a copiare lo stile di Alex o quello di altri giornalisti della rivista, ma finiva per scrivere e cancellare ogni frase almeno cinque o sei volte prima di esserne vagamente contenta, non sentendo naturale e spontaneo quello che scriveva. Avesse avuto Alex vicino si sarebbe sentita più sicura.
Tutt’a un tratto, il campanello dell’appartamento suonò. Era un doppio tono rapido, tipico di Alex. 

“Hai lasciato le chiavi a casa, eh?” dopo la cena insieme, Lavinia aveva deciso di dare le seconde chiavi a chi, secondo lei, ne aveva più bisogno. Probabilmente, aveva trovato aperto il portoncino all’ingresso e si era accorto di non avere le chiavi solo una volta arrivato al piano.
Maya aprì, senza neanche sincerarsi dallo spioncino di chi si trattasse ma presto dovette pentirsene. Un uomo sulla settantina, non molto alto, tozzo, con i capelli bianchi, vestito in maniera molto semplice, stava alla porta, atteggiamento dimesso.
“Mi scusi … lei chi è?”
“La signorina Alberici?”
“Sì …”
“Salve, sono Cesare Bonelli, il papà di Alessandro.”


 

E anche oggi ce l'ho fatta a pubblicare. Temevo a questo giro di non riuscire ad essere puntuale.
Allora, alla fine tutto bene quel che finisce bene con Lavinia, che sembra voglia provare a fidasi di Alex. Alessandro, dal canto suo, sprona sempre di più Maya ad uscire dalla sua zona di comfort lavorativa, riconoscendone le capacità. Lei è titubante, ma alla fine, complice anche il momento di intimità, cede. 
Alessandro è ancora alle prese con la sua famiglia ma forse mammina non era così ostile alla relazione con Maya, chissà...Cesare invece, quello che era sempre l'uomo di poche parole, ci spiazza tutti (me compresa) presentandosi a casa di Maya. E ora? Che succederà?
Alla prossima, 
Fred ^_^
   
 
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