Questa FF
fu pubblicata la prima volta in questo sito nel 2014, esattamente il 9 febbraio, poco dopo l’uscita del
film Space Pirate Capitan Harlock, ben 8 anni fa… (ammazza come vola il tempo!
O.O)
Fu poi tolta da me medesima per motivi strettamente personali.
Sia chiaro, non ho mai inteso rinnegare questa storiella a cui sono molto
legata per tanti motivi.
Devo dire però che fin da subito alcuni di voi lettori si sono dispiaciuti tanto
per questa mia scelta così drastica e ancora dopo 4 anni c’è chi ogni tanto mi
chiede perché abbia tolto la storia e come fare a rileggerla, allora ci ho
riflettuto su e ho deciso di revisionarla e ripubblicarla di nuovo, anche
perché come dicevo sono molto affezionata a questo viaggio mentale.
Quello che andrete a leggere è il frutto della mia
immensa (e forse anche un po’ malata) fantasia, e fu il risultato dei miei
rimuginamenti della visione post film. Nacque come l’idea di provare a spiegare
alcune scelte un po’ stiracchiate ma soprattutto a descrivere come sarebbe
stato vedere il Capitano innamorato. Già perché a parte quell’accenno
nell’Arcadia della mia giovinezza non è che ne sappiamo molto della sua vita
sentimentale e questa fic è anche il mio personale punto di vista sulla
faccenda “Harlock innamorato”…
Quindi bando alle ciancie ed rieeccomi qua, perché a volte ritornano!
NB non sono uno scienziato, né un fisico. Non ho
mai inteso scrivere un trattato tecnico, né supportare le mie strampalate e
fantasiose tesi espresse in questa storia, come vere o presumibili tali,
trattasi di finzione e fantasia senza nessun fondamento o coerenza scientifica,
né alcuna pretesa di esserlo. Prendete questa fic per quello che è, ovvero puro
cazzeggio! ;)
PS saranno pubblicati due capitoli alla settimana, tra venerdì e
domenica all’incirca ;)
Buona lettura e grazie a chi leggerà!
PROLOGO
Questa storia si svolge in un lontano futuro, o semplicemente
in un presente parallelo…
In questo universo, il futuro è già passato e quello che accade è in qualche
modo già accaduto…
Nulla finisce definitivamente e tutto si ritrova nell’eternità…
La
giovane biologa anglo nipponica Joy Takuro, figlia del professor Teinosuke
Takuro, noto scienziato ormai in pensione, si trovava in Patagonia, sulle Ande,
con una spedizione di ricercatori per raccogliere fossili e qualsiasi altro
materiale utile per approfondire gli studi sull’evoluzione, e soprattutto per
reperire un enzima da cui s’ipotizzava potesse essere nata la vita sulla terra
sotto forma di spore, che poi avrebbero dato vita all’intera fauna e flora
terrestre.
Alla base di questa spedizione, finanziata in segreto dal padre stesso
della ragazza, che aveva delle mire precise, c’era un progetto ben più
ambizioso di quello che era dichiarato. C’erano infatti delle ragioni occulte e
ancora inconfessabili per cui l’uomo non poteva dire nulla alla ragazza circa
le sue reali intenzioni.
Si era ripromesso di fargliene parola ma riteneva che non fosse ancora pronta
per scoprire una così sconcertante verità. Al momento si limitava ad
appoggiarla in maniera discreta e, non volendo però far passare il tutto come
una classica raccomandazione padre figlia, aveva fatto in modo e maniera che la
cospicua donazione necessaria a rendere possibile la spedizione fosse fatta in
modo anonimo da un sedicente filantropo, che preferiva rimanere sconosciuto.
Così da un mese circa, quindici persone tra ricercatori di varie branche
della biologia, sherpa e tecnici vari si erano accampati sulle Ande a
raccogliere prezioso materiale. Di giorno partivano all’alba alla ricerca, poi,
prima che il sole calasse, tornavano all’accampamento e si affrettavano a
catalogare tutto ciò che era stato trovato, mentre parte della raccolta veniva
direttamente analizzata in loco.
“Trovato nulla d’interessante oggi Joy?” chiese Steve, il giovane bio informatico.
“Tutti i giorni mi fai la solita domanda” rispose lei sorridendo, mentre scupolosamente
catalogava i campioni raccolti “E tutti i giorni, io che cosa ti rispondo?” gli
chiese alzando un attimo gli occhi dal suo vetrino.
“Spero di sì, ma purtroppo ancora credo di no” le fece eco lui divertito
e poi aggiunse “A volte non hai come la sensazione che stiamo perdendo tempo?”
non che lo pensasse realmente, ma voleva attaccare bottone e quella
provocazione gli sembrò l’ideale per scuoterla. Lei, che era nuovamente immersa
nel suo lavoro, scosse la testa in senso di diniego e continuò a lavorare senza
distrarsi. Era stanca e voleva finire presto, quella conversazione seppure in
qualche modo piacevole, l’avrebbe rallentata e lei non voleva perdere tempo
inutile. Il ragazzo le stava simpatico, lo trovava anche carino, ma non
aveva la testa libera per flirtare, o cose del genere. Era troppo presa dalle
sue ricerche per dedicare le sue energie ad altro.
Steve si fermò a osservarla. I capelli scuri erano raccolti in una coda bassa e
indossava un paio di occhiali che servivano a correggere un lieve difetto di
astigmatismo che aveva e che le stancava la vista quando doveva fare lavori
tipo quello che svolgeva al momento. I suoi occhi ambrati ed intensi erano
molto espressivi, grandi, ma sempre rivolti altrove. Sembrava che per lei, lui
fosse trasparente. Quella ragazza gli piaceva parecchio, era stato così felice
di fare questa esperienza insieme a lei in quella missione, ma Joy era così
votata alla ricerca, che a volte aveva dubbi che le interessasse nient’altro
che non fosse il suo lavoro. Era una vera e propria stacanovista, sempre
gentile e sorridente, non dava però mai troppa confidenza. A dire il vero non
era neppure una musona, piuttosto era una tipa molto riservata, anche se sapeva
essere risoluta quando occorreva. Lui attribuiva questo alla sua doppia
nazionalità: madre inglese, padre giapponese, il non plus ultra della
riservatezza in fatto di etnie. Tra lei e il mondo c’era come un confine
invisibile ma invalicabile, tutti si fermavano prima di quella linea
immaginaria e a nessuno, almeno tra loro colleghi, era mai stato permesso di
passare oltre.
Si sapeva solo che la madre era morta dandola alla luce e che il padre, era
stato con lei un genitore molto esigente, seppure molto presente. Fin da
bambina l’aveva seguita e spronata allo studio, per lei aveva fortemente voluto
e programmato una carriera in campo scientifico ed era esattamente quello che
poi era accaduto. A ventiquattro anni si era laureata e da due faceva la
ricercatrice, con ottimi risultati accademici. Dalle chiacchierate frammentarie
che avevano fatto, soprattutto in aereo, dove sottrarsi alla compagnia altrui
era più difficile, aveva scoperto che non aveva grandi amicizie, né una vita
relazionale molto attiva. I suoi passatempi erano leggere e fare innesti. Il
suo pallino era riuscire a creare, tramite appunto vari innesti, modificati
geneticamente, la pianta perfetta come la chiamava lei. Una
forma di vita vegetale capace di attecchire anche nelle condizioni ambientali
più estreme e con il minimo di sostentamento organico e di ossigeno, una
pianta così forte, da vivere dove era attualmente impossibile farlo. Questo
perché nella sua natura di giovane ricercatrice, vedendo come poco si
rispettasse la natura e l’ambiente, sentiva il bisogno di creare
un qualcosa che potesse resistere all’inquinamento, o a qualche disastro
nucleare, o peggio ancora chimico, che l’uomo avrebbe potuto compiere da un
momento all’altro, visto la sconsideratezza con cui avvelenava da anni la
terra. Un tipo di vegetale che potesse in un certo senso riportare la vita, là
dove essa stesse per spegnersi, o fosse in grave pericolo, determinato da
agenti esterni non naturali.
Il ragazzo, vedendo che Joy era presa dal suo lavoro e che ormai lui era come diventato
trasparente, si rassegnò, le augurò la buona notte e si avviò verso la propria
tenda.
Poco più di un’ora dopo, anche la ragazza, una volta terminato il suo lavoro,
entrò nella sua tenda, che divideva con la collega Elise, che stava salutando
l’ologramma del fidanzato riprodotto dal suo portatile.
“Mark mi sta dicendo che c’è una forte allerta meteo” le comunicò un po’
preoccupata, non appena la vide entrare.
L’ologramma subito annuì a conferma.
“Nessuno mi ha detto niente” rispose calma Joy.
“Neanche a me, ma il capo spedizione, subito dopo cena, era agitato dato
che non funzionavano le onde radio” rispose la ragazza.
“Sì, ma la rete funziona mi pare, no?” ribatté Joy, facendo un cenno verso il
portatile di Elise.
“Sì…”.
“Beh io vado, buonanotte amore!” disse l’ologramma di Mark alla fidanzata e il
ragazzo dall’altra parte del continente si disattivò. Aveva capito che era
meglio sparire piuttosto che creare problemi con Joy che era apparsa un
po’ insofferente alla sua presenza virtuale nella tenda.
In realtà la giovane biologa era solo molto stanca. “Stai tranquilla e
dormiamo, abbiamo solo sei ore di sonno da fare e io vorrei sfruttarle tutte”
tagliò corto Joy, sollevata dalla dipartita di Mark. L’unica cosa che
desiderava era farsi un bel sonno rigeneratore.
Si misero subito a riposare, in effetti erano entrambe esauste e provate dalla
giornata appena trascorsa.
Quello che però, improvvisamente accadde di lì a poco fu terribile. Una specie
di potente tempesta di dimensioni apocalittiche si abbatté sul
campo, spazzandolo letteralmente via come fosse un mucchietto di foglie al
vento. Onde elettromagnetiche cominciarono a scagliarsi in ogni dove, creando
fortissime scosse elettrice.
Purtroppo, quello che nessuno poteva immaginare era che un
infiltrato nella spedizione, stava conducendo in segreto un esperimento di
condizionamento climatico, una diavoleria messa a punto da una società privata
di ricerche scientifiche chiamata Pianeta Gaia, che aveva come scopo quello di
assoggettare le leggi della natura al volere dell’uomo. Una volta ottenuto quel
genere di potere, avrebbero potuto ritenersi i più potenti della terra, e
quindi dominarla, soggiogarla, o fare qualsiasi altra cosa avessero voluto.
Nessuno avrebbe potuto contrastarli.
Le motivazioni che avevano spinto i finanziatori di Pianeta Gaia a far tentare quell’esperimento,
in seno a quella missione nelle Ande, erano molteplici. Principalmente perché
si trattava di un evento privato e poco pubblicizzato. In secondo
luogo, perché pensavano che qualsiasi danno collaterale fosse potuto accadere,
avrebbero avuto tutto il tempo necessario per occultare la faccenda e dare una
spiegazione scientifica valida e naturale all’accaduto.
Purtroppo i danni collaterali ci furono e furono terribili.
Un boato
disumano riecheggiò sopra le teste degli ignari ricercatori che si trovavano
nelle loro tende, svegliandoli di soprassalto. Non ebbero neanche il tempo
di domandarsi che stesse succedendo, perché nel giro di pochi secondi si
scatenò l’inferno. Un vortice di potenza inaudita travolse l’accampamento e un
marasma di forze metereologiche incontrollabili tra loro, alimentarono
un’energia pazzesca dalla forza
devastante.
Potenti scariche elettriche, inframezzate da piccole porzioni di raggi
radioattivi, formarono come un’enorme vortice in cui acqua, neve, gelo, ma
anche fuoco e una sorta di magma, cominciarono a ribollire come in una specie
di mostruoso calderone.
In questo finimondo, Joy improvvisamente si sentì bruciare sulla parte destra
del corpo, provando un dolore lancinante che le fece perdere i sensi, poi fu
sollevata di peso, come fosse un fuscello e fu risucchiata da una
fortissima corrente esterna al vortice, fu quindi scaraventata lontano, dalla
potenza furiosa della corrente d’aria generata un reattore che era stato
attivato per condurre l’esperimento. Il suo corpo finì diversi chilometri
lontano dall’accampamento, che fu letteralmente spazzato via dalla furia
incontrollata del vortice. Più che un esperimento per controllare le condizioni
metereologiche, pareva una vera e propria arma di distruzione di massa. E infatti
di quella spedizione non rimase nulla, se non, lontano da lì, il corpo
martoriato di una Joy priva di sensi, unica fortunosa superstite.
NOTE: Il titolo WONDERWALL fu da me preso in prestito da una canzone degli Oasis, il cui testo specialmente in alcuni passaggi, era stato ritenuto indicato per questa storia. Soprattutto perché la traduzione libera della parola wonderwall si potrebbe identificare con il nostro modo di dire: Ancora di salvezza e mi sembrava molto appropriato.
Disclaimer: Questa storia non è stata scritta a
scopo di lucro.
Tutti i personaggi di Capitan Harlock sono © di Leiji Matsumoto. I personaggi e
la trama inerenti al film sono © Shinji Aramaki e Harutoshi Fukui.
Invece qualsiasi altra cosa partorita dalla fantasia della sottoscritta è
proprietà intellettuale della medesima.