Appena Holmes l’ebbe chiamata Watson, invece che Lily – quasi a segnalare il suo ingresso in un’età più adulta, il non essere più mera discepola ma quasi eguale- la figlia del compianto John Watson si affrettò a raggiungere il consulente investigativo, che, mani in tasca dei vecchi jeans, camminava con aria sì pensierosa, ma con lo sguardo di chi stesse forse tramando qualcosa, o forse fosse a conoscenza di un qualche peculiare segreto. Lily, conoscendo fin troppo bene l’amico del padre, non aveva dubbio alcuno che fosse così – sempre che entrambe le sue ipotesi non fossero state veritiere, un’ipotesi da non scartare visto con chi aveva a che fare.
“Holmes, perché avete sorriso quando quel Moriarty vi ha stretto la mano?” Lily gli domandò, faticando non poco a tenere il passo; tuttavia, la curiosità e l’eccitazione le davano l’energia e la grinta per farlo, o perlomeno per provarci.
Holmes si fermò all’improvviso, e guardò con sguardo carico di dolcezza ed affetto la sua giovane assistente; per quanto fosse stata forte e solida la sua amicizia con John, quando l’amico aveva portato per la prima volta quel batuffolo biondo in visita nell’appartamento di Baker Street in Holmes era scattato qualcosa: sapeva che le sarebbe stato legato per la via, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerla e difenderla dai mali del mondo.  A lungo aveva creduto che rinnegare cosa lui e John erano stati fosse il modo corretto: questo, tuttavia, non aveva tenuto al sicuro la ragazza. Sherlock aveva così deciso di tornare ad essere davvero sé stesso, al 100%- di tenerla al proprio fianco come assistente, per insegnarle il mestiere, in un certo qual senso, ed affinare quelle doti naturali che già lei possedeva in modo che Lily stessa potesse difendersi e guardarsi le spalle, senza il bisogno di dipendere da nessun’altro.
E, col tempo, e avrebbe anche detto la verità – quella che Lupin stesso aveva intuito.
Se Lestrade aveva portato il nome del suo celeberrimo antenato, Sherlock e John non erano stati i primi, a portare quei nomi, e non sarebbero stati gli ultimi; quel nome veniva passato di generazione in generazione, insieme a quel  peculiare ed unico lavoro (consulente investigativo), l’appartamento al 22 di Baker Street e tutto il resto, tramandato non di padre in figlio, ma da mentore ad allievo. Lei era Lily Watson – ma forse, un giorno, sarebbe stata Shirley Holmes, o forse solo Holmes, o chissà, forse semplicemente sarebbe rimasta  sé stessa.
Il consulente investigativo fece schioccare la lingua contro il palato, ed alzò gli occhi al cielo, lasciando che il pallido sole londinese baciasse la pelle pallida.
Anche Moriarty era tornato; la palla era passata in mano ad un giovane, poco più di un ragazzino, e Holmes non poteva fare a meno di chiedersi come questi avrebbe gestito l’eredità, scomoda e criminale, del suo ormai defunto predecessore; semplicemente guardandolo negli occhi, aveva percepito il potenziale di quell’animo, aveva visto il degno avversario ma anche il più valido degli alleati… quale destino attendeva il giovane? Holmes non ne aveva idea, tuttavia, abbassando nuovamente gli occhi su Lily, avvertì qualcosa nel petto, caldo e piacevole: speranza.
Forse, con quei due giovani, finalmente il cerchio si sarebbe chiuso, invece di continuare all’infinito, e la storia da raccontare sarebbe stata un giorno un’altra.
Scrollò lieve le spalle, e riprese a camminare, voltandosi solo una volta indietro verso la ragazza, chiamandola nuovamente Watson, e lei, mettendo il broncio, riprese a rincorrerlo; prima o poi, Holmes le avrebbe risposto, ma qualcosa le diceva che quel giorno non fosse ancora arrivato.