Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Euridice100    23/01/2022    3 recensioni
"Centro di gravità": centro di massa (o baricentro) di un corpo o di un sistema di corpi, cioè quel punto, appartenente o no al corpo, che ha la proprietà di muoversi come se in esso fosse concentrata la massa, e ad esso fosse applicata la risultante delle forze esterne agenti sul sistema; (fig.) il punto di equilibrio di una molteplicità di elementi ideali o pratici per il conseguimento di un determinato scopo.
"Momentaneo": che dura un solo momento o, in genere, brevissimo tempo.
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Tre personaggi.
Tre storie.
Tre centri di gravità (almeno momentanei).
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Bruno Bucciarati, Leone Abbacchio, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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T.W.: // depressione, attacchi di panico.
Ho cercato di essere quanto meno esplicita possibile, ma stavolta NON sono solo riferimenti, perciò se per voi sono argomenti trigger non proseguite la lettura.
 

 
Centro di gravità almeno momentanea
 
II – Marco
 


Quanto è orgoglioso il suo primo giorno di lavoro, Leone Abbacchio.
Stamani suo padre gli ha rinnovato i complimenti: neanche l’ultimogenito, nonostante le stranezze, ha disatteso le aspettative. Anche sua madre si è messa in piedi, anche se è in uno dei suoi periodi no. Gli ha sorriso, e quanto ne è stato felice Leone.
In questura, il mondo si divide quando passa lui. È il timore ingenerato da quel cognome, è il peso delle aspettative. Oggi, però, non se ne sente schiacciato. È arrivato fin qui, lo ha fatto solo con le sue forze – o almeno, questo si ripete quando riaffiorano i dubbi, soprattutto su questa prima sede a due passi da casa – e dimostrerà al mondo di che pasta è fatto.
Beati sogni di gloria.
Nell’arco di un’ora, Abbacchio si scontra con una realtà ben differente. Davvero si aspettava mandassero sul campo un novellino come lui? Lo hanno piazzato a riordinare faldoni con un collega poco più grande. A fine mattina gli dolgono le dita a furia di fare e disfare nodi. L’altro è silenzioso quanto lui. Non che sia un problema: non sono lì per fare pubbliche relazioni e Leone odia i convenevoli. Tuttavia, è pur sempre il primo giorno …
- Zucchero? -
Il giovane sobbalza. Le poche lettere rimbombano quasi aliene nello stanzone.
- Come, prego? -
- Zucchero? Vuoi zucchero nel caffè? -
Quando Abbacchio alza lo sguardo dall’incartamento, l’uomo ha in mano due bicchierini.
A fine turno, Leone torna a casa con un gran mal di testa.
Dopo due settimane, con un numero di telefono in più.
Dopo un mese, deve ammettere che Marco – è questo il suo nome 1 – come collega gli piace un sacco.
- Uhhh… Passioni proibite in questura? -
- Dio Santo, Ele, quanto sei cretina. -
Si sono lasciati bene, per quanto suoni un ossimoro. Tutto è filato liscio fino alla maturità. Poi è arrivato il tempo delle scelte, ed Elena che voleva convincerlo a iscriversi all’Università, a rimandare il militare e riflettere, valutare se la Polizia fosse la sua strada.
Parole che non lo hanno mai tentato, anzi: per Leone, sono state un attacco a lui, al suo sogno d’infanzia.
- Al sogno tuo o di tuo padre? -
- Per una volta mio padre non c’entra un cazzo. -
E la lontananza, gli impegni e gli ideali diversi che iniziano a mordere, i vent’anni.
Sarebbe finita anche senza questi problemi, concordano. La loro storia è stata importante, ma ha dato tutto ciò che poteva dare. Bisogna prenderne atto.
Si sono ripromessi di non perdersi di vista. Sul treno che lo riportava via da lei, Leone ha pensato che almeno alla fine si sono comportati come si deve – almeno stavolta hanno seguito alla lettera il copione obbligatorio in simili circostanze.
Non è mai stato così felice di ricredersi come quando, dopo qualche settimana, lei lo ha richiamato.
Elena, in effetti, gli manca. O forse, a mancargli è la sensazione che provava con lei. La libertà di essere totalmente Leone Abbacchio senza non dover strappare brandelli di sé per essere accettato.
Del resto, è stato anche grazie a lei se ha smesso di farsi la guerra da solo, se ha capito che – chiunque lo attragga, qualunque cosa gli piaccia, compreso il trucco che non è rimasto il gioco di una sera – il problema non è lui.
Leone Abbacchio sa benissimo chi è. Non è mai stato confuso.
Immagina cos’accadrebbe se queste cose si sapessero nell’ambiente che frequenta ora. Gli viene da ridere e morire assieme.
La realtà è che a Napoli non ha più nessuno. Ha perso i contatti coi vecchi amici e non ne ha altri. Ha, a voler essere generoso, conoscenti. La persona più vicina a un amico è, per l’appunto, Marco, con cui ogni tanto beve qualcosa dopo lavoro e che ora si è messo in testa di organizzare un’uscita a quattro con la sua ragazza e una sua cugina.
- Guarda che è proprio bella, ti piacerà. -
- E tu che ne sai dei miei gusti? -
- Tu sei tipo da brune. Ho indovinato, vero? -
Non hai indovinato niente.
E va bene così.
Anche perché Abbacchio non sa come la pensi su determinati argomenti l’unico collega con cui ha legato. Meglio non rischiare di rovinare tutto subito.
Ha già abbastanza problemi di suo.
Il lavoro, se n’è reso conto presto, non è come si aspettava, e non per mancanza di inseguimenti rocamboleschi o di indagini febbrili. È il sistema – è vedere i propri sforzi gettati all’aria tanto dai cittadini quanto dalle istituzioni stesse. Abbacchio ci crede, ci crede davvero, ma ha sempre più l’impressione di trovarsi nel mezzo di una guerra in cui il nemico è anche chi dovrebbe condividere la sua missione.
Una volta, s’illude di essersi sbagliato.
Cinque volte, inghiotte e va avanti.
Ma, dopo l’ennesima volta in cui ogni principio è dileggiato, il lavoro diventa sempre più faticoso.
- Bastano i soldi per avere ragione, – conviene Marco – Purtroppo è così. -
No. Non può, non deve essere così.
Ma è così.
Gli ordini dei superiori, le persone con cui interagisce, l’odore delle stanze e delle volanti… All’improvviso tutto ha l’assurdo potere di stancarlo. Esegue perché deve, perché qualcosa in lui ricorda il motivo per cui lo fa, ma quando esce di casa l’unico suo desiderio è rientrarvi, gettarsi sul letto e aspettare un riposo che non arriva.
È un ingranaggio travolto da un vortice, impegnato solo a mascherare il vuoto che lo mangia da dentro. Non sempre ci riesce, a giudicare dalle domande di Marco quando, sempre più spesso, declina gli inviti a vedere insieme la partita.
Non è buono neppure a fingere di comportarsi in maniera normale.
Il punto di rottura arriva davvero inaspettato?
Ormai, si chiede dinanzi a un’offerta indebita, che la mazzetta finisca nelle sue tasche o in quelle di un altro fa differenza? La sostanza non cambia: in fondo, continuerà a fare il suo dovere anche se stanotte si lascerà trascinare dalla corrente.
Se per una volta, una sola volta, non punterà i piedi…
Se ne pente nell’istante stesso in cui le dita si chiudono attorno alle banconote.
Da allora non conosce pace. Come può guardarsi allo specchio, indossare ancora la divisa che ha infangato? È diventato chi ha sempre odiato, chi ha sempre voluto combattere. Se ci pensa, gli si mozza il respiro. Il respiro, già – quello che gli manca sempre più spesso, anche dopo aver traslocato da quella casa finora sempre incolpata delle sue inquietudini.
Il respiro che, un pomeriggio, perde nel bel mezzo di un turno, alla vista di un uomo somigliante al suo corruttore. Non è lui, no – ma questo è un dettaglio da nulla.
Il calore che di colpo lo abbandona, il cuore che si ferma, accelera il ritmo, si blocca di nuovo, impazzisce – impazzisce, sì, come la sua mente, come lui che rivive quella scelta maledetta ancora una volta in un ciclo senza fine. Lo scopriranno, alla fine succede sempre, deve succedere perché è (era) il suo compito, perché lui è (era) uno dei buoni, cos’ha fatto, Dio Santo come gli è anche solo venuto in mente, perché…
Marco se ne accorge, ferma la volante.
- Dimmi dove abiti – no, non puoi lavorare così. Ti faccio sostituire – no, non dico la verità, tranquillo. Ci sono, sì – ci sono. -
Marco gli resta accanto finché l’onda passa.
 
***
 
Che figura di merda, si rimprovera Abbacchio stendendo il rossetto. Reagisce sempre in modo eccessivo. Un Ariete da manuale. Ma mostrare così le proprie debolezze… Come farà a guardare di nuovo in faccia Marco? E pensa davvero che non rivedrà mai più quel tipo? Beh, indovina: sono un delinquente e uno sbirro, le loro strade sono destinate a incrociarsi per forza. Ma, quando sarà, non dovrà scordare che è la parola di un criminale contro un poliziotto. A chi crederanno?
(Per quanto ancora sarai poliziotto?)
Le labbra sarebbero l’ultima cosa da truccare, ma in questo ha sempre fatto di testa sua, in spregio degli insegnamenti di Elena.
Elena, cui non risponde da due mesi. Lei lo cerca e lui non la richiama. Che stronzo.
Ma la conosce, intuirebbe subito che qualcosa non va. Non può caricarla di tutto questo.
Il rossetto gli è venuto perfetto al primo colpo. Col cazzo che lo rovinerà subito fumando.
Fa per prendere l’eyeliner quando il citofono suona. Resta per un attimo interdetto: non aspetta visite – né, malgrado si stia truccando, ha intenzione di uscire e incontrare gente. La tentazione di fingersi assente è forte, ma già prima ha ignorato per due volte il telefono. È raro che qualcuno lo cerchi con tanta insistenza, a meno che non sia successo qualcosa.
- Chi è? -
- Sono io, Marco. -
Porca puttana schifosa...
Abbacchio ha la prontezza di riflessi di strofinarsi una mano sulla bocca. Il risultato deve essere grottesco perché, dopo averlo salutato, la prima domanda del collega è: – Che hai in faccia? -
Ad Abbacchio viene in mente una sola scusa plausibile.
- È passata a salutarmi un’amica. -
Marco ridacchia.
- Un’amica che ti stampa il rossetto in bocca? -
Il nome sale alle labbra più veloce di ogni pensiero.
- Era Elena. -
- Aspetta – quell’Elena? -
Appena starà meglio, la richiamerà e le chiederà scusa.
Abbacchio annuisce appena.
- Ecco perché non rispondevi al telefono. Allora l’uscita a quattro salta? -
- Così pare. -
La casa riprecipita in un imbarazzante silenzio. Leone cerca di ricordare se abbia nascosto i trucchi. È un interrogativo serio, pari a perché Marco sia qui. Anche se in realtà può solo fingere di ignorare la risposta alla seconda domanda.
 - Fai scorta di alcool per la prossima festa? -
Lo sguardo di Abbacchio segue quello di Marco, si posa sul caos che regna ovunque. Di questi tempi, qualunque cosa lo aiuti a non pensare è benvenuta – sia una bottiglia, la palestra o il sesso.
Di tutta risposta, il giovane si tasta alla ricerca dell’accendino. Anche questo pacchetto, rammenta però, l’ha finito.
Non ha senso girarci attorno, giusto?
- Scusa per prima. -
Marco scuote il capo.
- Sono qui per questo. Non devi scusarti. Come va ora? -
- Per fortuna è successo in un momento tranquillo, – Abbacchio riflette ad alta voce – Che debole del cazzo. -
- Debole? – il più grande ripete perplesso.
- Beh, sì. Tu come definisci uno che reagisce in questo modo? -
Marco non ci pensa due volte.
- Lo definisco coglione, ma per le scemenze che spara. Stavi male, e credimi se dico che mi è spiaciuto vederti così e non poter fare nulla di concreto, ma non penso tu sia debole. Piuttosto, penso che devi riguardarti un po’, capire perché è successo…
Leone conosce la causa del suo malessere. Ma davvero – come può risolvere le cose? Denunciarsi non è un’opzione. Potrebbe prendere un volo per l’altra parte del mondo e cominciare una nuova vita sotto falso nome, ma non è cosa che si improvvisa.
- Ti è già capitato? -
- Sì. -
- Sei stato dal medico? – Abbacchio fa cenno di no – E che aspetti? -
- Sai che è complicato. Non mi fanno lavorare se scoprono che sto male. -
- Hai ragione. Ma non puoi nemmeno rovinarti così. Io ti copro, ma un altro? Prima o poi queste cose vengono fuori. -
Marco non può immaginare quanto le parole colpiscano nel segno.
In fondo, questi attacchi non sono una novità. Leone ha finto di ignorarli, li ha imputati allo stress dello studio, ai dubbi sulla sua sessualità, al distacco dall’unica persona che ne era a conoscenza. Avrebbe dovuto interrogarsi prima, lo sa. E lui per primo sa che è inutile cercare di annegare i suoi guai bevendo. Gli serve una soluzione – definitiva, provvisoria, qualsiasi soluzione – che lo aiuti a reggere ancora un po’ le macerie. Non gli serve qualcuno che ribadisca l’ovvio.
E questa conversazione non gli piace, non gli piace nemmeno un po’. Oggi si è messo fin troppo a nudo. Ma da una confidenza si passa a un’altra e, quando ce ne si rende conto, i segreti hanno smesso di essere tali già da un pezzo.
È meglio cambiare argomento.
- Com’è andata a lavoro? -
Marco capisce l’antifona. Non insiste.
- Dovevo darmi malato anch’io. Al rientro ho trovato un casino. -
- Perché? -
- Hanno portato a interrogare uno mischiato a Passione. Tutto nella norma, quando a un certo punto… puff! Il tizio è scomparso dalla Questura, neanche avesse i superpoteri. Si è volatilizzato, così! – l’uomo accompagna la frase a un sonoro schiocco di dita e Abbacchio aggrotta la fronte.
- I superpoteri. Ma per piacere, – sbuffa – Sarà stato immanicato con qualcuno che lo ha fatto scappare, – deglutisce per mandar via un improvviso nodo alla gola – Come si chiama questo? -
- Buccellati, Bucciarati, una cosa del genere. -
Abbacchio ci pensa su. No, il nome non gli dice niente.
- Vabbè. Allora menomale che domani facciamo notte. -
Marco s’incammina verso la porta, ma per un attimo lo guarda incerto.
- Te la senti di lavorare? -
La replica non si fa attendere.
- Certo. -
L’uomo annuisce, quasi più a se stesso che all’interlocutore, prima di augurargli la buonanotte e uscire.
Vicinanza.
È questo, Leone realizza all’improvviso, ciò che gli sta offrendo Marco. Marco non lo ha giudicato nemmeno per un istante. Gli ha dato consigli goffi, inutili, ma ora come a pomeriggio gli sta dimostrando la sua presenza.
E poi, a ruoli inversi, lui cos’avrebbe detto di tanto brillante? Un cazzo. Perché in questi casi, forse, non c’è davvero un cazzo da dire.
Marco è l’unico a preoccuparsi al punto da passare a trovarlo. È l’unico a tendergli la mano, a continuare a offrigli aiuto. E, le prime settimane, è stato lui a guidarlo nel nuovo mondo cui appartiene.
Marco avrebbe tutto il diritto di fregarsene, ma non lo fa.
Esiste una parola per riassumere tutto ciò. È amicizia.
Leone dovrebbe solo essergliene grato, non riversargli addosso l’astio che prova per se stesso. Di sicuro non può lasciarlo andare così, dopo aver troncato senza mezzi termini i discorsi pesanti senza nemmeno averlo…
- Marco? – l’interpellato si blocca e si volta – Grazie. -
È il commento più sincero che Abbacchio possa formulare.
L’uomo sorride.
- E di che? Vatti a sistemare i capelli, piuttosto. Sai quanto ci tengono a queste minchiate. -
Anche sul volto di Abbacchio compare il fantasma di un sorriso.
Quando richiude la porta, sospira.
Alla fine, aveva lasciato i trucchi in giro. Gli è andata bene. Rimette tutto a posto e si lava la faccia.
Le notti da solo sono lunghe. Ma la cosa non è sempre un male. Può raccogliere le idee in vista della telefonata che farà dopodomani dopo il turno.
In poco più di ventiquattr’ore non starà meglio, ma la chiamerà comunque. Non le racconterà i suoi guai, ma le chiederà scusa per essere una pessima persona e un amico persino peggiore.
Ventiquattr’ore e potrai mandarmi a fanculo, Ele.
 
 
INTERVENTO DURANTE FURTO, LADRO UCCIDE POLIZIOTTO
Napoli – Non si ferma la scia di sangue che macchia la città. A farne le pese stavolta…”
 
 
 
 
 
 
(In questa ff ho invecchiato di tre-quattro anni Abba&co per ritrovarmi con le tempistiche.)
 
 
N.d.A.: Ciao!
Innanzitutto, un grandissimo ringraziamento a chi ha letto, recensito e/o aggiunto a una lista quest’esperimento. Dopo mesi di blocco, è stata un’iniezione di fiducia!
L’ultimo aggiornamento slitta un pochino perché il FeBruAbba è alle porte e vorrei parteciparvi (anche se devo ancora decidere come), ma non temete, arriverà. ;) Nel frattempo, ditemi la vostra: commenti e consigli sono sempre benvenuti!
Sono su Twitter, Tumblr e Ao3, dove pubblico le traduzioni; qui, invece, la playlist BruAbba.
Grazie per aver letto e a presto, spero! ♥♥♥
Euridice100
 
 
 
P.S.: NON SI RIPUBBLICANO LE STORIE ALTRUI SENZA PERMESSO E SENZA I DOVUTI CREDIT.
   
 
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