Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: Striginae    25/01/2022    6 recensioni
[FrUK - AU!Magical☆Strike - AU!Human]
Francis è un normalissimo dipendente a cui non piace la sua occupazione. Arthur è il suo collega, maniaco del lavoro. Tutto procede noiosamente bene alla compagnia in cui sono impiegati, fino a quando non si presenta il figlio del titolare, Alfred, animato da tanta buona volontà che però si concretizza in azioni non molto gradite ai suoi stipendiati. Così, ottenuto il magico Potere dello Sciopero in circostanze improbabili, toccherà a Francis combattere per la giustizia... e anche per amore.
[HIATUS]
Genere: Commedia, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Giappone/Kiku Honda, Inghilterra/Arthur Kirkland, Russia/Ivan Braginski
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Breach of contract


I
Il figlio del capo



Erano le sette e mezza di lunedì mattina.
Una frase breve, con meno di dieci parole, che però racchiudeva in sé tutti i mali di questo mondo. Esisteva qualcosa di peggio del lunedì? Quel giorno era odiato universalmente da tutti, sia dai grandi che dai più piccoli e per validissimi motivi: andare a scuola dopo il fine settimana era un incubo. Così come lo era tornare in ufficio.

E nonostante Francis –impiegato amministrativo alla Jones International, una delle aziende più importanti al mondo in fatto di importazioni ed esportazioni– avesse anni e anni di lunedì alle spalle, non ci aveva ancora fatto il callo a quell’infausto giorno.

Ancora mezzo addormentato e per nulla pronto ad affrontare l’ennesima giornata di lavoro, impalato davanti al distributore automatico, Francis bevve il suo espresso. Era già il terzo da quando si era svegliato e di sicuro non sarebbe stato l'ultimo.

Il francese davvero capiva perché tutti quanti odiassero i lunedì. Neppure lui li sopportava. Non che amasse particolarmente gli altri giorni, ma il lunedì era proprio un trauma, gli risucchiava via la voglia di vivere. Per essere onesti, non era solo un problema del lunedì: di settimana in settimana diventava sempre più difficile tollerare il tedio e l’assoluta mancanza di stimoli del suo lavoro.  

Francis finì la sua bevanda e fece una smorfia. Gli sembrava di aver appena ingoiato un bicchiere d’acqua sporca eppure si ostinava a bere quel dannato caffè istantaneo per qualche ragione a lui stesso ignota.

«Che schifo il lunedì.»
Risuonò una voce alle sue spalle e Francis non aveva certo bisogno di voltarsi per riconoscere Arthur Kirkland, segretario amministrativo, che alla stessa stregua di uno zombie si era trascinato fino alla macchinetta del caffè.

«Ugh e perché fra tutti dovevo incontrare proprio te di primo mattino?»
Gli disse a mo’ di saluto Arthur mentre inseriva i soldi nel distributore e con un dito guantato pigiava il tasto corrispondente alla bevanda che aveva scelto e, anche senza guardare, Francis era sicuro che si trattasse di un tè.

«Dovresti esserne contento, la mia presenza non ti basta per allietare la tua grigia giornata?»
Ribatté il francese, seguendo con lo sguardo i movimenti del collega.

Francis era da sempre convinto che se il lunedì mattina avesse avuto forma umana, avrebbe avuto l’aspetto di Arthur che nel suo gessato blu, abbinato ad una cravatta nera su una camicia e dei pantaloni del medesimo colore e con i suoi occhiali da ufficio, neri anch’essi, sembrava più un uccellaccio del malaugurio che un impiegato.

«Nulla potrebbe allietare la mia giornata, men che meno tu.»
Replicò Arthur, lapidario. All’inglese non importava proprio di risultare acido, fino alle dieci sarebbe stato intrattabile e non era una novità. Un po’ Francis lo capiva, anche lui aveva le sue giornatacce. Peccato che Arthur vivesse ogni giorno della sua vita come una “giornata no”.

«Come sei negativo, Arthur.»

Nel frattempo, la macchinetta aveva iniziato a rumoreggiare segno evidente che stava per iniziare il processo di preparazione della bevanda. Tuttavia, una scritta lampeggiò nel piccolo display del distributore e Arthur sbatté le palpebre, non volendo credere ai suoi stessi occhi.

Rifornimento bicchieri necessario.

Con la morte nel cuore, Arthur vide l’erogatore della macchinetta che lasciava ricadere inesorabilmente la sua bevanda nel piano d’appoggio, vuoto, in cui invece si sarebbe dovuto trovare il bicchierino.

«Cazzo!»
Sbottò Arthur che non avrebbe mai voluto rinunciare al suo tè e Francis, che aveva assistito a sua volta alla scena e stava cercando con tutte le sue forze di rimanere impassibile, gli diede una mesta pacca sulle spalle.

«Ci vediamo dopo.»
Lo salutò Francis, sghignazzando, mentre Arthur scuoteva rabbiosamente il distributore, forse nella speranza di farsi almeno rimborsare la monetina.

E se il buongiorno si vede dal mattino, sicuramente quel lunedì non sarebbe stato poi così male... almeno per Francis, chiaro.



* * *



Francis si sbagliava.

La giornata, certo, era iniziata bene ma a partire dalle otto non aveva fatto altro che peggiorare.

Fossilizzato di fronte al computer aziendale, Francis era in ritardo su tutto e le scadenze erano pericolosamente incombenti. Intenzionato a recuperare il più in fretta possibile, aveva cominciato proprio con un intenso scambio di mail con dei clienti rimasti indietro con i pagamenti e, purtroppo per lui, ben presto quelle mail si era trasformate in chiamate e, dopo ore di discussioni e linee che cadevano misteriosamente proprio nel momento in cui si discuteva di denaro, non aveva comunque concluso nulla dato che i clienti in questione avevano deciso di annullare l’ordine. Dopodiché era stato il turno di un fornitore nel dargli rogne, per qualche presunto errore in una fattura, e lo aveva tenuto attaccato al telefono per almeno un’altra oretta abbondante. Come se ciò non bastasse, il computer aveva deciso di smettere di funzionare mentre stava finendo alcuni calcoli che aveva perso nell’esatto istante in cui il diabolico strumento tecnologico si era spento in maniera anomala, e aveva dovuto chiamare un tecnico per far sistemare quell’aggeggio malefico. Arrivato a metà mattinata Francis era al sesto caffè e a tanto così da un crollo nervoso e doveva ancora finire il calcolo mensile dell’IVA da comunicare al più presto ad Arthur che gli stava sul fiato sul collo per quella faccenda già dalla settimana precedente.

Tuttavia, quella giornata era destinata a degenerare ancora di più di quanto il francese potesse immaginare.

Cinque minuti prima della pausa pranzo, infatti, era avvenuto l’impensabile.

A sorpresa Alfred F. Jones, il figlio diciannovenne del titolare della compagnia, si era presentato trionfalmente in ufficio. Ciò significava solamente una cosa.
Guai in vista.

Francis, però, non poteva sapere della visita di Alfred dato che da ore era barricato dietro la porta del suo ufficio... alla quale stava bussando qualcuno. Ancora preso dal calcolo dell’imposta, il francese rispose un distratto: “Avanti!” a mezza voce, senza staccare gli occhi dallo schermo del pc.

La porta si aprì e Arthur si intrufolò nell’ufficio. Raggiunse la postazione del collega, dando una rapida occhiata a quello che l’altro stava combinando. Roteò gli occhi verdi nel vederlo così assorto, per una volta che quello scansafatiche francese stava lavorando quasi gli dispiaceva interromperlo.
 
«In sala conferenze, subito.»
Aveva invece proclamato l’inglese, più autoritario che mai, battendo sulla testa del collega un catalogo arrotolato.

«Eh?!»
Aveva esclamato Francis, voltandosi oltraggiato verso Arthur e, lasciando perdere l’IVA, lo guardò come se non credesse alle sue orecchie.
«Ma tra cinque minuti vado in pausa pranzo!»

Francis si imbronciò e Arthur si lasciò andare ad un sospiro.  

«Lo so, anche io avrei dovuto staccare ma il signor Jones ha indetto una riunione straordinaria e ci vuole tutti lì tra cinque minuti.»

«Il signor Jones? Il capo è qui?»
Francis aggrottò le sopracciglia, credeva che il signor Jones fosse nel suo costosissimo yacht da qualche parte nei Caraibi a godersi i suoi miliardi. Che diavolo ci faceva lì in azienda? Certo erano nella sede di Parigi, una delle più importanti in Europa, ma era comunque strano che si presentasse di persona così, senza un minimo di preavviso.

«No, non lui. Il figlio.»
Spiegò Arthur, sistemandosi gli occhiali sul naso e accigliandosi come se il solo pensiero del giovane Jones fosse una gran fastidio... come probabilmente era.

«Guarda, non lo so perché è qui e perché vuole fare questa riunione. So solo che mi ha ordinato di farlo sapere in giro. E ora in piedi, prima cominciamo e prima finiamo.»

Il tono di Arthur non ammetteva repliche e, dopo aver spento il computer, Francis pigramente obbedì, accodandosi all’inglese e seguendolo fino alla sala conferenze nella quale era già presente qualcuno.

Infatti, sbracato su una poltroncina con ruote, all’estremità del tavolo ovale, un ragazzo dava loro le spalle. Sentendoli arrivare, lentamente il giovane ruotò la sedia di centottanta gradi. Se ne stava a gambe incrociate, con i gomiti puntellati sui braccioli e li accolse con un sorriso che andava da orecchio a orecchio. Una musichetta grandiosa nel frattempo risuonava dal cellulare del ragazzo, per accompagnare quella presentazione ad effetto che somigliava quasi al preambolo di un incontro con un boss in un videogioco. Francis era sicuro di non essere l’unico a trovare quel comportamento un po’ bislacco, per così dire. Lo sguardo avvilito di Arthur accanato a lui ne era la conferma.

«Buongiorno!»
Esclamò il giovane, battendo le mani.

Francis lo guardò bene. Era un tipo bizzarro. Biondo con un ciuffetto viola sulla frangia, occhi azzurri, occhiali, una stella sulla guancia destra –è del trucco o un tatuaggio?, si chiedeva il francese–  e un lungo cappotto nero dal colletto piumato. Non vi erano dubbi su chi potesse essere.

«Lei è... Alfred Jones?»

«In persona! Piacere di conoscervi... anche se con Arthur ho già parlato prima.»
Affermò il ragazzo e Arthur brontolò qualcosa. Poi Alfred allungò una mano verso il francese che, cordialmente, la strinse.

«Francis Bonnefoy, responsabile amministrativo.»
Si presentò il francese seguendo con lo sguardo Arthur che si accomodava al suo posto, riordinando alcuni fogli. Poi tornò a concentrarsi su Alfred che sembrava entusiasta di essere lì.

«Sono sicuro che andremo d’accordo!»
Disse Alfred e Francis annuì, quasi contagiato dalla vitalità del ragazzo.

Nel frattempo, la sala riunioni si stava cominciando a riempire e Alfred, per qualche motivo, sembrava non stare più nella pelle. Con un cenno del capo Francis si congedò, prendendo posto accanto all’inglese che lo fulminò con lo sguardo ma non disse nulla.

«Bene signori!»
Iniziò Alfred quando tutti i responsabili dei vari settori si sedettero. Il ragazzo allargò un sorriso sornione che non prometteva nulla di buono.

«Sono Alfred Jones, lieto di vedervi tutti! Ma non perdiamoci in presentazioni, nei prossimi mesi avremo modo di conoscerci come si deve, infatti, sotto mio suggerimento, mio padre ha deciso che è tempo che anch’io inizi a capire cosa significa vivere nel mondo del lavoro. E lo farò qui in azienda con voi... ciò vuol dire che il vostro capo, da oggi in poi, sarò io! Fantastico, sì?»

Nessuno nella sala fiatò, era come calato il gelo. Del tutto indifferente a quell’atmosfera, Alfred armeggiò con il computer della sala, collegato al proiettore, che subito mostrò grafici e indici vari, dall’aria vagamente minacciosa.

«Prima di venire qui ho dato un’occhiata alle prestazioni dell’azienda... vanno bene, ma se solo ci impegnassimo come si deve si potrebbe fare molto meglio. E io sono qui per spronarvi e per darvi la giusta motivazione a lavorare meglio e di più!» 

A Francis non piaceva affatto la direzione che stava prendendo il discorso. Anche Arthur doveva pensarla alla stessa maniera, dato che si era persino interrotto dal prendere appunti.

«Perciò, preparatevi!»
Affermò infine Alfred, sbattendo con forza entrambe le mani sul tavolo per rafforzare il concetto.

«Adesso che ci sono qui io, molte cose sono destinate a cambiare!»

Arthur e Francis si scambiarono un’occhiata, condividendo silenziosamente la stessa apprensione: quei cambiamenti non sarebbero stati affatto positivi.



* * *
 


«... tre ore di straordinari, ma siamo impazziti?»
Si lagnò tra sé Francis mentre usciva dall’azienda, più intorpidito che mani, e guardava l’orologio del cellulare.

Il suo turno avrebbe dovuto terminare alle 17:00 in punto ma, a causa della riunione straordinaria e delle chiacchiere, delle discussioni e delle litigate varie da essa scaturite, non aveva potuto lasciare l’ufficio prima delle 20:00. Quel che era peggio, era che nessuno gli avrebbe pagato quelle ore in più e Francis, a torto o a ragione, si sentiva più maltrattato di uno schiavo egizio impegnato nella costruzione di una piramide. Poteva però ritenersi fortunato, non avrebbe mai voluto ritrovarsi al posto del povero Arthur che si stava trattenendo ancora a lavoro per discutere con Alfred delle nuove politiche aziendali, o qualcosa del genere.

Fiaccamente Francis raggiunse la sua auto, in un parcheggio a pochi metri dell’ufficio, cercando nella ventiquattrore le chiavi. Stava per aprire lo sportello quando notò un gatto a pelo lungo, marrone ma con un’unica striscia di pelo bianco sul collo, che se ne stava pigramente accovacciato sul tettuccio della macchina.

«Sciò, sciò.»
Cercò di farlo spostare Francis e il felino aprì gli occhi, di una strana sfumatura violetta, ma non accennò a muoversi.

Cautamente il francese avvicinò una mano all’animale, agitandola per farlo allontanare, ma il gatto non solo restò fermo ma anzi, continuò ad osservarlo con interesse.

«Oh suvvia, è stato un giorno pesante di per sé, almeno tu potresti non farmi perdere altro tempo.»
Recriminò Francis, osservando il gatto con aria seccata.

«Il capitalismo è proprio orribile, non è vero?»
Domandò allora il micio, con un improbabile accento russo, e Francis strabuzzò gli occhi.

Di scatto fece un balzo indietro, lasciandosi poi andare ad una risatina nervosa per recuperare il controllo.

«Sono stato troppo al computer e mi si sarà fritto il cervello.»
Si guardò attorno, non vi era nessun altro nel parcheggio, solo lui e il gatto. Francis stancamente si diede dello sciocco, il troppo lavoro gli aveva dato alla testa.

«Tu non parli, vero micio?»
Disse, passandosi una mano sugli occhi. Non appena a casa si sarebbe preparato una tisanina, i suoi nervi ne avevano evidentemente bisogno.

Il gatto mosse pigramente la punta della coda ma non aggiunse altro. Francis prese un sospiro di sollievo.

«Meglio che torni a casa adesso.»

Senza badare al gatto ancora sul tettuccio, Francis fece per accomodarsi sul sedile ma la bestia parlò di nuovo e questa volta era sicuro di non esserselo immaginato.

«È da un po’ che osservo quello che accade qui sulla Terra... soprattutto in questa azienda, ah-ah!»
Cominciò il gatto, allungando le zampe anteriori in avanti per stiracchiarsi.
«Oggi poi! Ho visto quello che è successo. Non trovi fastidioso stare alle dipendenze di un adolescente figlio di un riccone?»

Francis era semplicemente senza parole.

«Lui tiranneggia e si arricchisce alle spese dei suoi dipendenti che non vengono neppure pagati abbastanza. È ingiusto, non pensi anche tu?»
Domandò ancora il micio e con prudenza Francis fece cenno di sì con la testa, ancora non riuscendo a capacitarsi che un gatto davvero stesse parlando con lui.

«Non ti piacerebbe poter fare qualcosa al riguardo?»
Chiese ancora l'animale, impassibile di fronte allo sbigottimento del francese.

«Sì... certo che sì.»
Riuscì finalmente a balbettare Francis, che continuava a ripetersi nella sua testa che , stava facendo conversazione con un felino.

Francis era ogni secondo più convinto che Arthur gli avesse ficcato di nascosto qualche pasticca nel caffè e che adesso stesse avendo una sorta di trip allucinogeno. Per questo, paradossalmente tranquillizzato dalla sua nuova realizzazione, il francese decise di smetterla di farsi così tanti problemi e di assecondare quel gatto parlante. Perciò, chiese ancora:
«Ma qualcosa tipo... cosa?»

«Scioperi! Proteste! Rivolte!»
Esclamò il gatto con una certa vivacità e Francis scosse gravemente il capo.

«Perderei il posto in mezzo secondo anche se solo ci pensassi.»
Purtroppo era la dura realtà e i soldi gli servivano. Non si poteva campare di aria e Francis aveva bisogno del suo lavoro... anche se lo odiava e ne era stufo.

«È per questo che ti sto offrendo il Potere dello Sciopero
Affermò il gatto e Francis ci pensò su un attimo. Scioperare era un suo diritto e la proposta di quel gatto anticapitalista non era poi così malvagia.

«E in che cosa consisterebbe il Potere dello Sciopero

L’animale si mise seduto e, come se non stesse aspettando altro, face comparire dal nulla un... megafono rosa?

«Per prima cosa, prendi questo.»
Ordinò l’animaletto, con tono gentile ma perentorio.

Francis osservò il megafono fluttuare davanti a sé e, non senza una buona dose di perplessità, lo afferrò.

Non accadde nulla.

«E ora?»

«E ora devi pronunciare la formula che ti consentirà di ottenere il suo magico potere.»
Spiegò il gatto come se fosse la cosa più normale del mondo e Francis trovò che quella motivazione fosse molto sensata.

«Magi-Magi-Magical Strike. Forza, ora tocca a te!»
Lo spronò l’animale. Poi, con un agile scatto, il gatto scese dalla macchina per atterrare con grazia sull’asfalto del parcheggio.

«Perché no, tanto che vuoi che accada.»
Ponderò Francis e si schiarì la gola. Strinse un po’ più saldamente il megafono e poi:

«Magi-Magi-Magical Strike!»

Questa volta, però, qualcosa accadde sul serio.

Il megafono iniziò a brillare e Francis si sentì sollevare da terra da una forza misteriosa. Ci fu un lampo di colori e il parcheggio, le macchine, la città intera sparirono intorno a lui. Il francese sentì qualcosa agitarsi nel suo petto e venne avvolto dalla luce. Poi, una nuova energia iniziò a scorrere nelle sue vene e un brivido gli serpeggiò lungo la schiena.

L’istante successivo tutto finì e Francis era di nuovo nel parcheggio insieme al micio parlante.

«Cosa...»

Ancora stordito, Francis abbassò lo sguardo su di sé e a stento riuscì a trattenere un urletto.

Del suo elegante completo blu non ne era rimasta traccia. Era infatti stato sostituito da un abitino rosa e bianco, dall’ampia gonna a ruota tenuta ferma da un fiocco stretto alla vita. Al posto dei mocassini erano apparsi degli stivali rosa con un piccolo tacchetto, perfettamente in tinta con il vestito e con i guanti. Incredulo, Francis corse ad osservarsi nello specchietto della macchina per controllare il suo riflesso e... ormai era a corto di parole per descrivere il suo sconcerto. Un collarino rosa gli fasciava il collo e i suoi capelli biondi, che prima gli ricadevano morbidamente sulle spalle, erano stati acconciati in due codine alte tenute ferme da altri due graziosi fiocchetti.

Se solo Francis fosse stato meno scombussolato avrebbe notato che, nonostante tutto, quell’insolito abbigliamento in qualche modo gli donava.

«Cosa è successo?! E perché sono vestito... così

Ormai era chiaro persino a Francis che quello che stava vivendo non era affatto un’allucinazione. Anzi, non poteva essere più reale di quant’era.

«Eh? Non va bene? Da dove vengo io non si fanno differenze di genere tra i vestiti.»
Domandò con fare innocente la voce miagolante del gatto, il quale si stava felicemente leccando una zampetta.

Il francese si passò le mani sul vestito, per poterlo sistemare più comodamente. Poi girò il capo all’indietro, per potersi esaminare meglio e, con una giravolta, piroettò su se stesso, facendo roteare le gonna.
Sì e allora? Era divertente.

«Ah? E si può sapere chi sei tu e da dove vieni?»
Si decise finalmente a chiedere Francis, piegandosi sulle ginocchia per stabilire un contatto visivo con l’animale.

«Giusto, non mi sono ancora presentato.»
Fece il gatto e Francis poteva giurare di averlo visto sorridere.

«Il mio nome è Ivan e vengo dall’Inferno!»



Note finali
... io non so davvero come spiegare tutto ciò, so solo che mi ci sono impegnata molto di più di quanto sembri. Il fatto è che Magical☆Strike è diventata la mia AU canonica preferita e non ho resistito all’idea di scriverci qualcosa. Giusto qualche precisazione, per Francis, Arthur e Alfred mi sono basata ovviamente sui ruoli e i design che Himaruya aveva assegnato loro. Per quanto riguarda Ivan, visto che non è ancora ufficialmente apparso, mi sono detta: “Be’, il vestito Magical Strike di Francia mi ricorda Madoka Magica, perciò perché non prendere ispirazione da questo? Non c'è ruolo migliore di Kyubey per Neko!Russia” ovviamente con i giusti accorgimenti e differenze del caso (?)
Detto ciò, giuro che questa storia non vuole essere una trashata (non che ci sia qualcosa di male nel trash eh, ma non è il mio obiettivo in questo caso). Ringrazio chiunque abbia letto fino a qui e, se vi va, lasciatemi un parere :)
Al prossimo capitolo <3
   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: Striginae