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Autore: Ladybug87    28/01/2022    4 recensioni
Questa breve storia racconta l'arrivo ad Auschwitz, più precisamente al lager di Monowitz,dei primi soldati russi, appartenenti al reggimento del generale Kurockin, verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945.
L'ispirazione è arrivata dalla lettura del primo capitolo del libro "La Tregua ", di Primo Levi, intitolato "Il Disgelo ".
Genere: Guerra, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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27 gennaio 1945



Il generale Kurockin ha mandato noi quattro, Iuri, Dimitri, Vania ed io,Aleksej, in avanscoperta nell'agglomerato di edifici che conosciamo col nome di Auschwitz, sappiamo che dovrebbe essere un campo di lavoro edificato dai tedeschi.
Sono state avvistate colonne di mezzi e di uomini in fuga.
Noi e il generale Inverno abbiamo vinto.
I miei compagni ed io non ci aspettiamo di trovare ancora qualcuno.

Seguendo la serpeggiante strada fangosa, sulla quale i nostri cavalli rischiano di scivolare ad ogni passo, oppressi tra un cielo bianco sporco e la neve di colore bianco sporco, sferzati dall'aria umida e fredda, giungiamo di fronte ad una grande cancellata, sopra la quale troneggia la scritta in tedesco " Arbeit macht man frei ", il lavoro rende liberi...
Ma ciò che si palesa di fronte ai nostri occhi parla di tante cose, tranne che di libertà.
Il nostro punto di arrivo è rialzato rispetto all'enorme agglomerato.
Siamo come sospesi.
Sospesi sopra l'orrore, la follia, la disarmante banalità del male.
Ci guardiamo.
Iuri, che è vicino a me, mi sussurra:
"C'è della gente laggiù, Aleksej..."
Tutti e quattro, all'unisono, stringiamo con più forza i mitragliatori che teniamo in mano.
Nonostante i guanti, il giaccone spesso e il colbacco che copre gran parte della mia testa, sento un grande freddo.
Sono il primo ad abbassare il mitragliatore.
I due uomini che abbiamo visto ci stanno guardando come se fossimo un'apparizione.
Ai loro piedi c'è una barella vuota, poco più in là una grande fossa piena di corpi senza vita.
Loro stessi sembrano figure eteree.
Completamente senza capelli, vestiti con delle luride tute a righe troppo larghe per i loro corpi magri come scheletri.
Nonostante la grande distanza che ci separa posso vedere i loro occhi.
Sono grandi, increduli.
Li vedo cambiare espressione proprio davanti a me: da vuoti e disperati a lucidi per l'emozione.
La grande emozione di aver capito che anche se siamo armati non siamo armati contro di loro, ma siamo lì per loro.
Ci guardano con un'espressione inintelleggibile per istanti interminabili poi corrono verso le baracche alle loro spalle.
Dopo aver dato un'ultima occhiata a quello che mi sembra un monumento alla umana crudeltà dò l'ordine, come capo squadra, di tornare al villaggio più vicino per allertare gli abitanti che quell'orrore che sorge accanto a loro è stato liberato e che avremmo piacere che qualcuno di loro andasse ad aiutare quelle povere anime senza pace a seppellire i morti e ad aiutare i sopravvissuti.
Facciamo girare i cavalli e ci incamminiamo.
Nessuno di noi parla.
Gli occhi di quei fantasmi con le tute a righe ci hanno seccato la gola.
Non riesco nemmeno ad immaginare ciò che hanno passato, ciò che hanno dovuto fare per sopravvivere, se riusciranno mai a dimenticare...
Io non potrò mai dimenticare.
Il mondo intero non dovrà farlo.
Che mai più occhi disperati attendano la morte tra cielo e neve bianco sporco.
   
 
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