Serie TV > Wynonna Earp
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Autore: aurora giacomini    28/01/2022    1 recensioni
Nel buio qualcosa si muove, si nutre di oscurità e paura. Si nutre di colpe e rimpianti.
E' arrabbiata. Non ha pace.
-
La pubblicazione riprenderà quest'autunno/inverno; questo è il piano :)
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Nicole Haught, Nuovo personaggio, Waverly Earp, Wynonna Earp
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Waverly osservò Nicole aggiustare la presa sulle tre borse con l'aiuto di un ginocchio.

“Sei sicura di non volere un aiuto?” La voce era ancora roca e incerta a causa dei sentimenti che continuavano a scuoterle l'anima. Era stata un'esperienza molto forte. Non l'avrebbe mai dimenticata.

“Lascia che le mie grandi mani si rendano utili”, sorrise. “In fondo la sabbia la stai portando tu, è quella ad essere pesante. Queste sono solo un po' scomode.”

Presero di nuovo le scale mobili, questa volta per scendere.

Si fermarono a pochi metri dalle porte scorrevoli. Poggiarono gli acquisti e si misero le giacche, preparandosi al gelo esterno.

Waverly alzò lo sguardo. Da quel punto era possibile scorgere la ringhiera del terzo piano.

“Torneremo da Henry? Mi piacerebbe poter tornare e ascoltare ancora qualcosa sul suo grande amore.”

Nicole recuperò le borse e attraversò le porte scorrevoli. “Non penso ci sarà l'occasione.”

Si affrettò a raggiungerla, perché voleva chiederle cosa intendesse dire.

Prese un respiro profondo.

Finalmente posso respirare.

L'aria gelida le tagliò la voce sulla prima lettera. I polmoni le andarono in fiamme e cominciò a tossire.

“L'hai detto prima”, sospirò Nicole, aprendo il bagagliaio per infilarvici la borse, “è così che la gente si ammala. Un cambio di temperatura così drastico andrebbe gestito con cautela. Per fortuna ho trovato parcheggio proprio davanti all'entrata.” Tornò da lei e recuperò il sacco di sabbia che Waverly stringeva in pungo. “Sali in macchina, ci penso io.”

Si limitò ad annuire e fece come le era stato suggerito.


 “Che cosa intendevi dire prima?”, indagò, quando anche Nicole ebbe chiuso la portiera e si fu messa la cintura di sicurezza. “Perché non pensi che potremmo tornare da lui?”

Nicole si voltò a guardarla: “Le persone hanno il loro tempo. Quel tempo è destinato a finire.”

Waverly sentì un peso appoggiarsi al petto e le lacrime cominciavano a pizzicarle gli occhi.

“Perché dici questo? Come puoi sapere che non ci sarà abbastanza tempo?”

“Non essere triste per lui, Waverly.” Avviò il motore. “Non essere triste.”

“Come fai ad essere così insensibile?” Non era riuscita a trattenersi: la freddezza di Nicole l'aveva colpita come una sberla. “Perché fai così? Non puoi fare così!”

Nicole sospirò e spense il motore. La guardò negli occhi: “Cosa dovrei fare? Come dovrei comportarmi?” Abbassò lo sguardo. “Non puoi soffrire così per una persona che hai conosciuto appena. Non ha proprio senso...”

Si slacciò la cintura e dichiarò: “Tornerò da lui.”

Nicole l'afferrò per il polso: “Lo so che ti sei sentita parte di qualcosa, Waverly. Lo capisco. Ma né tu né io rappresentiamo qualcosa per lui. Non possiamo fare nulla, non è nostro diritto.”

Vide le sue stesse lacrime scorrere sul volto di Nicole, questo la fece vacillare ancor di più.

“Perché non gli hai detto nulla?” Si sottrasse alla presa della donna con uno strattone. “Perché non hai provato ad aiutarlo? Magari se va in ospedale potrebbero scoprire cosa c'è che non va!”

“Waverly... lei era lì. Capisci?”

“No che non capisco!”, urlò. “Chi era lì? Di cosa diamine parli?” Aprì la portiera. “Sai cosa? Non m'interessa!” E uscì.

Nicole si asciugò le lacrime, sospirò e le corse dietro.


 Afferrò Waverly appena varcate le porte scorrevoli.

“Lasciami andare!” Non si preoccupò del tono alto. Non si preoccupò dell'attenzione che stavano attirando. “Voglio andare da lui! Voglio che vada in ospedale! Lo devo aiutare!”

Le braccia di Nicole si strinsero ancor più forte attorno alla vita di Waverly.

“Non puoi andare da lui...”

“Lascia-” La protesta fu bloccata dalla comparsa di due uomini, che corsero sulle scale mobili. Le loro divise e le loro borse, non lasciavano dubbi sul perché stessero correndo.

Waverly smise di lottare e abbandonò la schiena contro il petto di Nicole.

“Perdonami”, mormorò la donna, appoggiando il mento sulla spalla della ragazza. “Non avrei dovuto dirti nulla. Avrei dovuto lasciare che tu tornassi qui, non lo trovassi e immaginassi che ne fosse andato in pensione... o qualunque altra cosa. Non ho considerato la fragilità del tuo stato attuale. Non volevo farti soffrire.”



 

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“... Mary avanzò verso il tramonto. Avrebbe voluto voltarsi, ma riuscì a controllare le sue emozioni.” Wynonna alzò la testa e si voltò verso il divano: “Cosa ne pensi? Sii sincero.”

Galileo si stiracchiò e sbadigliò, mostrando completamente l'interno della bocca.

“Lo so”, sospirò. “Volevo ricordasse la scena di Orfeo ed Euridice... Non ci siamo, vero?”

Un altro sbadiglio.

“Già...” Anche lei si stiracchiò. Allungò la schiena e le gambe. “Pensi che fu davvero un errore? Il fatto che Orfeo si sia voltato, intendo. Mi piace pensare che sia stata una scelta, personalmente. L'amava, questo lo so, ma forse si è chiesto se fosse giusto riportarla in un mondo a cui non apparteneva più. Ha senso per te?”

Il micio si mise seduto e con la zampa posteriore si grattò dietro l'orecchio. Aveva un'espressione piuttosto concentrata e soddisfatta.

“E' esattamente quello che intendevo, Galileo!”, esclamò. “Preciso!”, sorrise. Era contenta di non essere sola, di avere qualcuno con cui parlare.

Galileo aveva passato tutta la mattina ad annusare tutti gli oggetti e le superfici che era riuscito a raggiungere. Alla fine, soddisfatto, si era messo a dormire sul divano.

“Sei un buon ascoltatore, Galileo. Dico davvero! Saper ascoltare è un'arte.” Si alzò. “Ho voglia di un bicchiere e una sigaretta.” Guardò il micio e lo rassicurò: “Non ti preoccupare, andrò a fumare fuori... come del resto ho fatto fino adesso. Tu come hai fatto a smettere?”

Galileo saltò giù dal divano e le si avvicinò.

“Capito. Hai una volontà di ferro!” Si piegò per accarezzargli la pelliccia. “Vuoi un goccio anche tu? Ho del latte di ottima qualità: è stato imbottigliato questo mese. Un'annata d'oro per il latte, questa.”


 

Galileo seguì Wynonna in cucina. Mentre lei apriva il frigo, lui saltò sul tavolo.

“Già. Be', dovremmo discutere di questo. E' che hai molti peli, capisci?” Prese un piattino e ci versò del latte. “Anche io lascio i miei capelli in giro, lo so. Ma cerco di evitare di lasciarli dove si mangia, capisci la differenza?”

Galileo annusò l'aria e si leccò i baffi. Saltò giù dal tavolo e si strusciò contro le gambe di Wynonna, emettendo un roco “meow”.

“Sapevo che eri un tipo ragionevole. Te lo si legge in faccia.” Posò il piattino a terra. “Bevi adagio che è gelido”, si raccomandò. “Farsi venire una congestione è piuttosto sgradevole, te lo posso assicurare.”

Osservò la lingua ruvida increspare la superficie del latte. Lo stava guardando, quindi vide chiaramente i peli che gli si rizzavano sulla schiena.

“Non è buono...?” Un brutto presentimento la invase. “Cosa c'è che-”

Galileo lasciò perdere il latte. Emise un suono molto basso e prolungato: una sorta di ringhio annoiato. Piegò le orecchie contro la testa e soffiò, senza mai smettere di ringhiare.

“Gal-”

La ciotola del latte fu scaraventata contro il frigo. Galileo scappò via. E a Wynonna non restò che appiattirsi contro il lavandino.

La paura si mischiò ad un feroce senso di rabbia e frustrazione.

“Perché non mi lasci in pace?! Questa è casa mia! Hai capito, stronzo? Non ho paura di te, capito?”

Il totale silenzio.

“Cosa ti ho fatto?” Le lacrime avevano cominciato a scorrere. Non si sarebbero fermate tanto presto. “Non ti ho fatto nulla! Non ho fatto nulla di male!”

Ancora silenzio.

“Che cazzo vuoi da me?”, urlò con rinnovata ira alla ciotola, che giaceva vicino al frigo. “Troverò il modo di farti sparire! E' una promessa!”

Fu un movimento troppo rapido: non riuscì ad evitare la sedia che scivolò sul pavimento fino a colpirle il ginocchio. Imprecò per il dolore, ma più che altro urlò per lo spavento.

Zoppicando corse in salotto, lì si bloccò. Un'ombra, forse una figura, sparì su per le scale ad una velocità impressionante.

Le ginocchia smisero di collaborare e tutto divenne nero.


 Fu la sensazione di essere toccata a farla riemergere dal limbo nero in cui era precipitata. Si agitò quando percepì dei suoni indistinti e lontani.

“Non mi toccare!”

Dimenò braccia e gambe. La mano destra colpì qualcosa di duro.

“Ah! Ouch!”

“Wynonna!”, esclamò Waverly, cercando di tenerla ferma. “Sono io! Va tutto bene.”

Finalmente riuscì a riaprire gli occhi.

“L'ho colpito?”

“Cosa?”, chiese Waverly, lasciandole andare i polsi.

“Hai colpito me”, la informò Nicole. “Bel destro. Ricordami di non farti incazzare.”

Wynonna spostò velocemente l'attenzione da Nicole, seduta in modo scomposto sul pavimento, a Waverly, piegata su di lei.

“E' successo anco-” Il ricordo si materializzò completamente nella sua testa. Le sfuggì un singhiozzo. “L'ho visto... questa volta credo di averlo visto... mio Dio...”


“Fumi?” Wynonna allungò il pacchetto verso Nicole. Aveva accettato di uscire con lei a prendere un po' d'aria, mentre Waverly si occupava di Galileo, del caminetto e di preparare qualcosa di caldo da bere.

“Grazie.” Nicole estrasse una sigaretta e se la mise fra le labbra. “Ho un pacchetto di sigarette in macchina...” si fermò per prendere anche l'accendino, “è lì da un paio di settimane. Il tabacco ha preso umidità. Fanno abbastanza schifo.”

“Puoi chiedermele quando vuoi, o prenderle se le trovi appoggiate da qualche parte”, le disse Wynonna, “non farti problemi.” Anche lei si accese la sigaretta.

Nicole soffiò fuori il fumo. “Sei gentile. Te la senti di dirmi cosa è successo?”

La donna sospirò sonoramente.

“Non lo so, Nicole. Non credo di essere ancora riuscita ad accettarlo, capisci? E' stato come... come uno strano e terrificante sogno. Un incubo. Prima vedo il piattino con il latte volare via, poi mi arriva una sedia addosso. Una parte di me dubita che sia successo realmente.” Prese una boccata di fumo e lo lasciò uscire lentamente dalle narici. “Scappo in salotto e...” si strinse le braccia attorno al corpo, “non lo so. Vedo una cosa nera sfrecciare su per le scale... non so neppure se fosse reale. Era strano, capisci? Era come se fossero più strati sovrapposti, uno più nero dell'altro.

Vorrei fare le valigie e andarmene, ma non ho altro posto dove andare e non posso permettermi un hotel, non per tre persone e un gatto. Non per più di quanto? Una settimana? Due? Sono nella merda.”

“Se ho capito bene, la prima volta che sei stata attaccata, attenzione, attaccata, non che ti sei sentita minacciata, è stata ieri sera, giusto? Che cosa stavi facendo?”

Wynonna sollevò le spalle. “La doccia, lo sai.”

“Eri triste, arrabbiata? Hai detto o fatto qualcosa in particolare?”

Si voltò a guardarla e prese tempo aspirando altro fumo. “E' importante?”, chiese infine.

L'altra annuì: “Direi di sì.”

“Volevo...” Si indicò il cavallo dei pantaloni. “Capito? Avevo solo bisogno di rilassarmi.”

“Ho capito.” Nicole gettò la sigaretta sulla neve. “Una variazione. Chiamiamolo cambio di energia.”

“Fantastico! Dico davvero! Ora non posso neppure più... Fantastico.” Anche lei buttò la sigaretta a terra. La pestò. “Quindi? Voglio dire... non lo so. Spiegami che sta succedendo.”

“Alcune entità, chiamiamole così, hanno bisogno di energia per manifestarsi e interagire col mondo fisico. Di solito ne utilizzano una piccola parte, è quasi involontario: la prendono dagli apparecchi elettronici, persone e animali. Quando succedono episodi come quelli a cui hai assistito tu, significa che c'è stato un picco di energia e che qualcosa ne ha approfittato; che è stato volontario: qualunque cosa fosse, voleva manifestarsi e ha aspettato l'occasione giusta.”

“Non posso andare avanti così.”

“Lo so. Ma ci sono io. Ti aiuterò, lo prometto.”

“La prossima volta potrebbe essere un coltello, lo capisci?”

“Certo”, annuì. “Vieni, andiamo a parlare dentro. Devo farti delle altre domande e vorrei che tu fossi sincera. Se c'è qualcosa che non vuoi dire davanti a Waverly, ti basta farmelo capire, okay?”

La donna si mise davanti alla porta e incrociò le braccia al petto. “A proposito di Waverly. Aveva gli occhi lucidi e gonfi. Ha pianto. Quello che non so è perché.”

Nicole sospirò. “E' stata colpa mia.” Alzò le mani e indicò la macchia che aveva sullo zigomo: il rossore stava cominciando a diventare purpureo. “Prima che tu mi faccia nero anche l'altro... lasciami spiegare.”

Socchiuse gli occhi e sibilò: “Ti ascolto.”

Le raccontò quello che era successo, tralasciando alcuni dettagli su Henry e su sua nonna, e altri che non ritenne di dover condividere.

“Non avrei dovuto dirglielo, lo so. Mi sento in colpa”, concluse.

“Non c'è altro? Non le hai fatto o detto null'altro?”

“No, non le ho fatto niente. Ho solo detto più di quanto avrei dovuto. La prossima volta rifletterò prima di parlare.” Sorrise. “Faccio un po' pena nei rapporti sociali.”

Wynonna prese un'altra sigaretta e se la mise in bocca.

“Vuoi sapere perché ha reagito così?”

“Lo vorrei sapere, sì. Così posso comprendere perché la morte di un estraneo l'abbia sconvolta tanto.” Aggiunse un “no, grazie” quando Wynonna le offrì il pacchetto.

“Il nonno.” Aspirò e soffiò fuori il fumo mentre il suo sguardo si perdeva all'orizzonte. “Era piccola, aveva cinque o sei anni. Erano giorni che veniva da me e dai nostri genitori per dirci che il nonno era strano, che c'era qualcosa che non andava.” Si voltò a guardarla e sollevò il piccolo cilindro: “Cancro ai polmoni. Non c'era nulla da fare. Aveva deciso di trascorrere i suoi ultimi giorni a casa, con la sua famiglia. Morì, ovviamente.” Sospirò. “Waverly pianse per settimane, forse mesi: si era convinta fosse colpa sua. Era convinta che fosse colpa sua se il nonno era morto, perché non era riuscita a farci capire che stava male, che doveva andare all'ospedale. Non servì a nulla spiegarle la situazione, dirle che non era stata colpa sua.” Buttò la sigaretta fumata per metà nel cortile. “E' il suo trauma. Oggi l'ha vissuto di nuovo.”

“Merda”, esalò Nicole. “Sono stata davvero... terribile. So che ognuno di noi ha una storia, dei traumi. Non ci ho pensato. Mi dispiace molto.”

“La colpa è dei nostri genitori: avrebbero dovuto parlarle come avevano fatto con me, spiegarle che il nonno era malato... che sarebbe andato via, qualunque cosa. Prepararla. Ritennero fosse troppo piccola per capire. Waverly capì, ma la cosa sbagliata, perché quella giusta non le fu mai spiegata. Non al momento giusto.” Si voltò verso la porta. “Mi dispiace averti colpita, comunque.”

“Non l'hai fatto di proposito”, le sorrise. “Andiamo dentro.” Ma, quando Wynonna afferrò la maniglia, Nicole la fermò mettendole una mano sulla spalla.

Respirò profondamente mentre emozioni, sensazioni e sentimenti non suoi la invadevano. “Grazie.”

  
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