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Autore: Alarnis    28/01/2022    3 recensioni
"Quel giorno fu lei a restare ferita, solo ora se ne rendeva conto."
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA: ed eccomi con un nuovo capitolo. Un abbraccio a tutti i miei lettori, a quelli che recensiscono ma anche a quelli che leggono soltanto. Comunque, se potete datemi il vostro parere. Lo apprezzo molto ^_^ 

Ucci Ucci Ucci

 
Quel dono quanto male faceva... Svelava il futuro, ma restava inutile per ricordare il passato: nulla più di sogni confusi tipici di un bambino piccolo. Nelle orecchie il nome che Moros continuamente gli ripeteva, perché lo imparasse. “Mo-ro-s.”. “Mo-ro-s.”.
Un bambino serio che però cocciuto continuava a precisare con voce amica “Siamo cugini.” per poi mettere in chiaro “Tu però sei molto più piccolo di me!”.
Ma prima di Moros c’era comunque stato qualcosa…
Quella donna che gli dava le spalle, affaccendata in una banale quotidianità domestica, somigliava a zia Matilda, ma non era ancora lei. S’era ricordata della mancanza di un ingrediente e, con un cenno di sbadataggine alla testa aveva esclamato di non poterne fare a meno, affermando che sarebbe uscita.
“Mi assenterò per poco.” aveva detto ad alta voce, rivolta più al grosso gatto che sornione dormiva, che a lui, tra i vapori ovattati di un grande paiolo sul fuoco.
Che posto era?
Dove sono?
A chi apparteneva quella casa? aveva pensato Nicandro.
Ma soprattutto, lui là cosa ci faceva?
Dove mi trovo?
Era come se potesse percepire la scena e basta!  Vedendola da lontano.
Come se avesse i soli occhi e non le mani, composte di sola aria.
“Meglio coprirti!” aveva esclamato quella donna: assomigliava ad una semplice fantesca con una grande cuffia in testa e un grembiule chiaro annodato in vita.
Gli gettò addosso quella che sembrava una coperta. Un grosso panno, pesante come un macigno per giunta! Senza premure, come faceva Moros quando gettava i vestiti sopra una sedia vuota.
Aveva cercato di proteggersi con quelle mani d’aria, che sembravano fluttuare, ma quel grosso scampolo gli era finito addosso. E… S’era fatto improvvisamente buio: un buio pesto che aveva attutito ogni altro suono.
S’era sentito caricare un ulteriore peso addosso, ma non era riuscito a compiere alcun movimento per sgusciarvi fuori.
“Che maniere!” aveva pensato privo di voce, prima di aggredirsi con le mani la gola: privo di parole.
Aveva aperto le labbra ma dalla gola non era uscito nulla.
Prima che potesse rendersene conto, la donna era già uscita di scena.
La mia voce?
Lui non possedeva voce: una consapevolezza innata.
Sarebbe rimasto in attesa. S’accorse che non gli sarebbe pesato, come se da sempre fosse stato paziente di attendere…
Attendere che cosa?
Che qualcuno lo cercasse!
Passò il tempo, nel silenzio della stanza movimentata dallo zampettio del gatto, dal calore che spandeva dal paiolo, i cui ceppi ogni tanto crepitavano consumati dal fuoco.
Finalmente la porta s’era aperta. Questa volta insolitamente piano.
“Andiamo via!” aveva sentito bisbigliare, poi un “Cosa cerchi di preciso?”.
Nessuna risposta, se non passi sempre più vicini.
“Baltasar!” , “Pss.”, “Insomma, Baltasar, mi vuoi rispondere?”, “Andiamo via!”.
E poi quella voce….Che lo riscosse fin nell’animo.
La voce che aspettava.
La sentì dire solo “Shhhh, mia dolce Malia. Pazienza.” in un tono ironico: di quelli che sono certi di avere la vittoria in tasca.
La voce di ragazza continuò petulante, quanto quella del giovane continuò a ignorarne i commenti se non calmierandone l’ansia per quella che era senza dubbio un’intrusione nella casa della donna che lo nascondeva.
Si era reso conto fosse là per lui!
Sì! Lo era. Ne ebbe conferma immediatamente, perché come in una favola antica lo sentì curiosare, smuovendo brocche e paioli, aprendo ante che cigolarono, sussurrando tra le labbra un ilare “Ucci… Ucci… Ucci”.
Nicandro ricordò che quella voce maschile aveva riso, di una risata che sapeva conquistare e che inconsapevolmente lo lusingò rendendo il buio che lo ricopriva fastidioso, perché li teneva lontani uno dall’altro...
Eppure era come se quel buio lo proteggesse…
Ricordò di aver mugugnato, ridestandosi all’esortazione di Moros che lo chiamava.
“Nicandro?”. “Nicandro? Sveglia! Insomma!” e Moros l’aveva smosso dal pavimento, trascinato per le gambe; prendendosi un calcio che involontario gli aveva allungato nel sonno.
Lui si era aggrappato con le mani alla paglia, stringendone qualche fascetta, che usciva dall’una all’altra estremità del pugno per ribellarsi al cugino.
“Che.. be… lllaaa voocee…” aveva detto con la gola ancora impastata dal sonno.
“La mia voce?” l’aveva interrogato Moros.
“Noooo, non la tua!” ne aveva sminuito la presenza sbadigliando. Non intendeva Moros! Aveva realizzato solo in quel momento di aver sognato. Si era riscosso dal torpore del sonno e in un attimo s’era puntato sulle ginocchia per alzarsi. “Ho le mani!” aveva urlato sbigottito.
“E le gambe!” l’aveva strattonato Moros adducendo “Ma non la testa! Quella ti è volata via nel sonno!”, sbottando  “Matilda ci vuole fuori!” .
“Che qui diamo fastidio!” aveva sorriso Nicandro in quel momento sveglio da un sogno che sembrava di una vita non sua, che sapeva di magia.
Ma non era il passato a tormentarlo. Era il futuro!
In cui…
 “Ti uccido!” lo sguardo satirico di Gregorio verso Moros, posto a difesa del biondo giovane che Nicandro sapeva essere il fiero Ludovico Chiarofosco, ora ferito al fianco e sbilanciato nella postura. Il biondo che respirava faticosamente.
Il sangue colava anche lungo il braccio di Moros, per una ferita che gli segnava la spalla all’altezza della scapola.
Era evidente in quel frammento di tempo, la superiorità di stile che separava l’allenato Gregorio all’improvvisato Moros, nel corridoio delle stanze private dei signori della rocca.
Vedo anche lei.
Vide Lavinia stesa a terra, che si massaggiava la testa dolente; sfrastornata.
Si stava svolgendo uno scontro tra soldati che conosceva e altri che non aveva mai visto, dove uno spiccava per capelli rosso fiamma.
Lui voleva raggiungerli…. Doveva salvare suo cugino! Quella la sua visione. Ma quanto mancava a quel giorno?
Quando precipitosa la vide sbucare nel corridoio ebbe la certezza che fosse giunto il momento che tanto aveva tentato di allontanare.
“Mavio! Ubaldo…. A rapporto! Subito!” aveva gridato Lavinia. La dea della guerra, fatta persona. Spavalda. Risoluta. Impietosa.
L’aggressività sembrava sbranarle il cuore.
Senza mezzi termini ignorò la sua presenza, per informare i propri soldati. “Ludovico sa’ come entrare!” si rivolse a Mavio.
Poi lanciò un’occhiata anche a lui.
“Moros è tornato!” lo disse come una minaccia ai suoi uomini, ma con il dorso della mano si sfiorò la guancia nervosa “E’ qui per te!”, come lo sentisse un tradimento “Non si rassegnerà mai!”.
Fulmineo Nicandro le andò incontro per superarla ed uscire, dettandole i suoi veri sentimenti “Dov’è?”, quasi fosse già nella rocca e solo pochi istanti li separassero.
Lavinia del resto sembrava già lo stesse aspettando.
Lei lo bloccò al braccio mentre la affiancava “No! Non puoi andare da lui!”: certo che, pur dolce nell’aspetto, aveva una morsa al posto delle mani.
“Lasciami Lavinia!”  disapprovò,  confidando una verità che mai avrebbe dovuto esternare “Devo salvarlo! Morirà oggi!”. La sua voce dettava la certezza di chi sapeva di un destino di morte.
Lavinia vacillò, come in un capogiro. Cosa? Perché svelava solo ora quella confidenza? I suoi occhi sgranati parlavano per lei.
Lo girò di colpo, per guardarlo diritto, urlandogli contro “Menti!” criticò, alzandolo quasi da terra, quasi fosse stata un gigante.
Nicandro restò in silenzio.
“ Un tempo…” lo riprese lei  “Erano state le mani di Gregorio a sanguinare, ma la morte è stata quella di Guglielmo!” lo scuoté forte.
Lavinia non trovava pace di quello che aveva considerato un’ingannevole presa in giro del fato, che aveva giocato con la profondità dei suoi sentimenti per Guglielmo e per Gregorio.
E sembrò balenarle un’idea, in quella frustrazione, quasi che il pericolo fosse solo un espediente di Nicandro per incontrare Moros “Non ti troverà mai!”. Lo scrollò nuovamente, ma non lo mollò, anzi lo trascinò sì nel corridoio, ma per infilarlo nella stanza di Gregorio.
“Lasciami!” gridò Nicandro “Devo proteggerlo!”.
“Tu?” la beffarda considerazione di Lavinia che fece gli occhi sottili. Nicandro si attaccò allo stipite della porta “Non mi rinchiuderai!”  ma la furia di Lavinia lo trascinò via.
 “Me la vedrò io con Moros e il suo amico Ludovico!” disse aggressiva, quasi le fosse tornata quell’ arroganza che la contraddistingueva da bambina.
“No! Nell’armadio, nooo….” aumentò la sua ribellione Nicandro che all’intervento di Mavio vi finì proprio chiuso dentro.
Mavio girò la chiave lasciandolo in trappola.
“Sbollisci la tua boria!” lo incitò Lavinia, ricomponendosi i ciuffi sulla fronte, beccandosi in risposta tutti i calci che Nicandro sapeva tirare, ma che il legno massiccio rendeva vani.
“Cosa vuoi ottenere, Lavinia?”.
“Uno sistemato!” la sentì dire, forse lisciandosi i palmi delle mani,  mentre Mavio accennava una risata “Chiuderai anche Moros in un armadio?”.
“Taci!” mortificò il soldato: il ringhio quasi di un lupo ferito. “Non sanno che cacciarsi nei guai!” sbottò, quasi fosse sempre lei a dover rimediare.
“Nei guai ci hai cacciata tu!” le inveì contro Nicandro che aveva preso a battere anche i pugni sul legno al suono di un appellativo non proprio da lui, ma che a Lavinia non risultava poi tanto insolito “Brutta strega!”.
“Che razza di soluzione è questa?” continuò a scaldarsi Nicandro, ma Lavinia aveva già ben altri programmi e il massiccio spessore del legno ovattava il suo grido, rendendolo uno squittio.
“Griderò e scalcerò finchè non mi troverà!”  azzardò furioso. Voleva la guerra? L’avrebbe avuta!
Un sussurro all’altezza della serratura “Ti svelo un segreto… Questa volta è proprio quello che voglio anch’io!”.
   
 
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