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Autore: Ciuscream    30/01/2022    8 recensioni
Il sapore che è di Oliver, sì, ma pure di sua madre e di suo padre, pure dei suoi antenati, di qualcuno di loro che ha combattuto la guerra e, in bocca, aveva il sapore sporco del sangue e della terra che si alza sotto i colpi di mortaretto, esplodendo come un cuore che ha paura di non rivedere mai più la propria casa.
{Questa storia ha vinto l’Oscar per il “Miglior primo piano” agli Oscar della Penna 2023 indetti dal Forum Ferisce più la penna}
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sale, acqua (tutto il resto)

 
 
Una goccia sboccia dal lato della sua tempia – minuscole, piccolissime, particelle di sudore che si sono riunite, si sono agglomerate, si sono fuse a formare quella. Minuscole particelle emerse dai pori della pelle di Oliver – salate, buonissime – piene di tutti i suoi segreti più nascosti e indicibili, venute a galla, sbucate all’esterno, direttamente da dentro di lui, mescolate dei suoi liquidi e dei suoi pensieri.
Pensieri che sono separati da quella goccia solo dallo spessore delle tempie, dell'osso parietale, delle meningi – barriera che non riesco a non pensare blanda di fronte alla potenza di ciò che è celato nella sua testa, affondato nel suo petto, nascosto sotto una camicia svolazzina.
Pensieri che, per me, sono puntuti, sono aguzzi, sono lama – sono freccia che scocca sempre dritta contro le mie, di tempie, a conficcarsi lì, fintamente innocua, per poi rilasciare, con indolenza, quando penso ormai di essere al sicuro, il suo veleno di tarlo.
 
È sufficiente una parola, un’allusione, una domanda, un dopo, a farmi tremare di spasmi di apprensione e desiderio per un pomeriggio intero, senza sosta, secondi che si fanno minuti, che si fanno ore lunghe e macilente, finché lui non torna – alla sera, il mattino dopo – sotto le vesti del solito miracolo. Torna e lancia, misericordioso, una freccia esattamente alla mia tempia opposta, mascherata da sorriso svagato, da occhiata morbida, da costume verde; freccia che è piena dell'antidoto alla sua stessa tossina, capace di calmare il tumulto delle mie terminazioni nervose, il rincorrersi di sogni appiccicosi ed agitati, fatti di pelle e sudore.
 
Quel sudore che adesso vedo lì, condensato in quella goccia, e mi rendo conto, con un calore umido in mezzo alle gambe, che altro non vorrei che passarci sopra la lingua, raccoglierlo con la punta, saggiarne il sapore salato con avidità.
 
Il sapore che è di Oliver, sì, ma pure di sua madre e di suo padre, pure dei suoi antenati, di qualcuno di loro che ha combattuto la guerra e, in bocca, aveva il sapore sporco del sangue e della terra che si alza sotto i colpi di mortaretto, esplodendo come un cuore che ha paura di non rivedere mai più la propria casa.
Il sapore poi di qualcun altro che, a casa, invece, aspettava e, sulla lingua, aveva il gusto sempre amaro dell'attesa. Non quella inebriante e febbricitante che separa da un evento lieto, no, ma l’attesa condita dall'angosciante e mai sopita paura della perdita, dell'ignoto, delle cose lontane.
Il sapore aspro di chi ha avuto disgusto per se stesso, per i pensieri che è riuscita a vomitargli la testa – i pensieri di chi ha più paura che il proprio amore si trastulli in mezzo alle gambe di una prostituta che dell’ipotesi che torni avvolto in una bandiera gonfia del suo corpo freddo e morto.
I pensieri di chi, per questo nauseante scenario, si è morso la lingua e ha lasciato zampillare così, anche fra le sue labbra, il sapore ferroso che ha tentato di assorbire l'amaro, ha tentato di prenderne il trono – senza successo.
 
O, magari, in quella poca acqua salata e nel passato di Oliver, non vi sono questi tipi di eroi. Magari vi sono soltanto amori tiepidi, combinati, inamidati: ci sono relazioni che si sono succedute uguali, copie di copie, doveri e oneri riciclati di madri in figli. Donne ebree e figli ebrei, educazioni piene di paletti e pensieri mai vomitati, mai avvicinatisi nemmeno al lusso di essere pensati. Desideri inascoltati e inespressi, taciuti da generazioni, raccolti sotto le tempie e lì relegati, che si sono assommati nel suo sangue, aggrumati nei suoi geni e si sono riversati in lui.
 
Hanno trovato in lui, solo in lui, la loro foce, il loro destino, il loro traguardo. In lui che è ammasso di sangue e carne, muscoli che guizzano sotto il sole, ombre che si muovono al suo comando, mentre solleva la racchetta in quel rovescio che è così suo, tremendamente suo – sbagliato e suo.
 
Mentre io sono piccolo, minuscolo ed invisibile, nascosto dietro la sua bellezza sfavillante, dietro il biondo dei suoi capelli che si scioglie nell’oro, dietro la pelle rosa dell’interno del suo palmo che si fa seta.
Io, però, sono ottone, ottone e cotone – sono diverso.
Eppure, eppure… in quella goccia ritrovo le verità che ci rendono simili e, per questo e per mille altri motivi, vorrei bagnarmici le labbra, come un assetato di vita. Vorrei che quell’acqua salata mi confessasse quello che sento già di sapere, quello che ho letto in quelle poche lettere, in quel saluto sbrigativo, nel rumore dei suoi passi sulle scale, quella camminata che riesco a riconoscere soltanto dal ritmo cadenzato con cui scende i gradini.
Quel rumore che mi rende in grado di riconoscere la benedizione della sua presenza ancor prima che i miei occhi lo incrocino.
Quel rumore che è capace di far sferragliare la potenza di ogni battito che si assomma al successivo, della speranza di cogliere il cigolio della maniglia che si piega mentre supplico – ti prego, ti prego, raggiungimi – i suoi piedi di deviare la loro destinazione, di fermarsi di fronte alla mia portafinestra, di riconoscere nel sudore che mi imperla la fronte, frutto del caldo umido dell’indolenza pomeridiana, la stessa voglia di leccarlo, di bearsene, di succhiarlo via da me.
 
Saggiarlo e conoscere così ogni mio segreto, ogni Elio che ha portato questo nome nel passato – mio nonno, il nonno di mio nonno – e scoprire cosa, di questi, vi è dentro di me. Quale delle loro bellezze e delle loro brutture è rimasta incastrata nei miei cromosomi e mi ha reso chi sono – ottone e cotone – così diverso e così uguale a te, Oliver.
 
Ma quella goccia ormai ha vita propria, non è altrettanto bramosa di restare, come lo sarei io, aggrappata alla tua pelle e – ingrata – scivola, dalle tempie giù lungo lo zigomo, attraversa la pianura della tua pelle ben rasata, profumata di dopobarba e pizzicata dall’odore acre della fatica. Scivola via dai tuoi pensieri, raccoglie altre piccole gocce, si fa forte di questa unione e lascia che la gravità faccia il suo corso.
Si lancia, nel vuoto, si lancia – piena di te, del tuo passato, del tuo presente, delle premesse che scriveranno il tuo futuro – e ti abbandona. Ti abbandona per andarsi a schiantare, piccola ed inutile, contro la terra rossa del campo da tennis, con un boato di cui il mondo è ignaro – di cui sarà sempre ignaro. E nessuno verrà a sapere quanto vi fosse al suo interno, quanto sale e quanta vita – quella che mi avrebbe restituito se avessi avuto la possibilità di averla, anche solo per un attimo, sulla lingua.
 
Sarà così, tutto questo, queste sei settimane in cui ti ho visto entrare e disordinare la mia stanza e la mia esistenza: mi schianterò, inutile e inascoltato come quella goccia, e tu sparirai, con il tuo bagaglio di costumi colorati, di camicie svolazzine, e a me non resterà altro, in bocca, che il sapore di qualcosa che non ho mai assaggiato, il rimpianto del gusto più buono che avrei mai potuto conoscere – il rimpianto di te.
 
 

 
 

 
Note: Dopo giorni che non riuscivo a scrivere nulla, se non manciate di parole da cestinare, ho deciso di sclerare ebbasta, come Sfera. Lasciare che il mio cuore, anche solo per poco più di mille parole, indugiasse su questi due, che il cuore me l’hanno rubato, senza se e senza ma. Non è nemmeno una storia, è un insieme di parole un po’ a casaccio ma sono felice che esista, nella sua inconsistenza, perché mi ha ridato voglia di battere le dita sui tasti – e questo, ultimamente, è comunque un bellissimo regalo.
Grazie a chiunque, nonostante tutto, sia arrivato fin qui.
Un abbraccio
 
   
 
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