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Autore: Mnemosine__    31/01/2022    1 recensioni
"Mi - mi dispiace - io..." Peter guardò Pepper Potts stringendo ancora di più la stoffa della poltrona su cui era seduto. Pepper aveva gli occhi rossi e gonfi, le tramava il labbro inferiore, ma quando incrociò gli occhi di Peter cercò di sorridergli. "Pete." disse, alzando le mani e facendo un passo verso di lui, come a mostrargli che non ci fosse niente di cui aver paura. "Tony ti chiamava così, ti ricordi?"
Pepper si accovacciò al suo fianco, coprendogli una mano con le proprie. "Sta bene. Secondo Bruce ce la farà." Scandì lentamente.
Con delicatezza, aiutò Peter a togliere la mano dall'interno del bracciolo, spazzando via con le proprie dita i pezzetti di imbottitura incastrati tra i nano bot del costume. "Ce la farà, capito?"
Peter annuì, stringendo gli occhi.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Morgan Stark, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Famiglia'
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Di ritorni ed attacchi di pantico pt.3


Peter aprì il rubinetto e si lasciò sfuggire dalle labbra un grugnito soddisfatto quando l’acqua bollente cominciò a scorrere sulla sua pelle. Chiuse gli occhi, sentendo i muscoli riscaldarsi e ammorbidirsi.
Era stata una giornata pesante, quella, così come i tre mesi precedenti.
Aveva trascorso la mattinata a studiare nella propria camera, cercando di recuperare le materie perse durante il primo semestre anche se la scuola aveva avvertito gli studenti che avrebbero ricominciato da zero l’anno successivo, per permettere ai blippati di reinserirsi all’interno della società con tutta la calma di cui potevano avere bisogno. Come se fosse quello, ciò di cui necessitavano.
 
Il resto della giornata, invece, era uscito a pattugliare le strade di New York.
 
Da quando il dottor Banner aveva riportato tutti indietro, era scoppiato il caos. Molte famiglie che avevano perso i propri cari durante il primo schiocco avevano fatto i conti con la realtà ed erano andati avanti, avevano creato nuovi rapporti, erano nati nuovi amori. Ma, per colpa degli Avengers, come dicevano alcuni titoli di giornale, quei nuovi rapporti erano stati nuovamente rovinati: mariti resuscitati volevano tornare alla vita che avevano lasciato solo per pochi secondi ma le mogli avevano trovato qualcun altro.
Peter, che era l’Avenger più a contatto con le persone comuni e quindi la scelta migliore per occuparsi di quei problemi, passava le giornate a cercare di limitare i danni. Molte persone erano state prese dalla disperazione, dal senso di solitudine e si erano date alla criminalità mentre altre, invece, avevano incanalato la frustrazione in pesanti litigate che erano sfociate in azioni fisiche. Peter, una volta, si era occupato di un incendio causato da un uomo che voleva distruggere la casa dove suo marito era stato con un altro.
 
Poi c’era stato il problema delle case: come la sua, gli appartamenti delle persone scomparse erano stati requisiti e assegnati o venduti a chi, a causa del sovrappopolamento che Thanos aveva cercato di risolvere, prima viveva per strada.
Ma, ora, molte persone avevano trovato le loro case, i loro beni, completamente volatilizzati. E la situazione si era ribaltata.
 
Peter non aprì gli occhi, ma allungò una mano dove sapeva di aver lasciato il flacone di shampoo e si versò del sapone sulla testa, iniziando a sfregare i capelli.
 
Un’altra difficolta era stata riscontrata al lavoro, a scuola, nelle banche. Chi era tornato non aveva più i soldi per vivere, dati in eredità a chi invece era rimasto. I posti di lavoro disponibili rimanevano pochi e non era possibile reinserire i blippati nelle aziende per cui lavoravano prima del blip perché molte avevano chiuso, erano state assimilate in altre, avevano cambiato richieste.
Non era nemmeno possibile richiedere prestiti poiché, nei cinque anni trascorsi, gli scomparsi non avevano lavorato e non erano in possesso di beni da utilizzare come cauzione o interesse.
Peter aveva visto Steve Rogers e il colonnello Rhods, modelli di moralità, rilasciare interviste e comunicati stampa per cercare di indurre il governo ad aiutare i blippati. Lo stesso avevano fatto Pepper e la fondazione Pym, aprendo raccolte di beneficenza per sostenere chi ne aveva bisogno.
 
Peter chiuse l’acqua e aprì la porta della doccia, venendo investito da un’ondata di aria gelida. Velocemente si mise l’accappatoio, sfregando il cappuccio sulla testa.
 
Tony non si svegliava da tre quasi mesi.
All’inizio, Bruce aveva detto che poteva volerci qualche settimana perché Tony aprisse gli occhi, ma ormai ne erano passate dieci.
La prima sera dopo la battaglia Peter l’aveva passata insieme agli Avengers, zia May, Happy, Pepper e Morgan. Steve Rogers li aveva raggiunti insieme a Sam Wilson e gli altri membri della squadra che non erano stati blippati, come Clint Barton o Scott Lang – certo, Scott non era proprio stato blippato, ma aveva comunque passato cinque anni nel regno quantico – che erano corsi a riabbracciare le proprie famiglie.
Peter non lo avrebbe mai creduto possibile, ma si era ritrovato a trascorrere la notte di veglia per Tony dividendo cheesburgers e patatine con gli eroi più potenti della terra seduto sul pavimento, in pigiama.
Nessuno aveva voluto raggiungere il letto, quella notte, tranne Morgan che ci era stata portata di peso da Pepper, e la mattina dopo Peter era sceso insieme a Rhody e May a preparare la colazione per tutti.
Era stato proprio mentre passava il bacon al signor Barnes che gli era venuta l’idea di creare un nuovo braccio per Tony.
Ora, lui e Shuri avevano finito di ultimare il braccio meccanico da un paio di settimane: Peter aveva utilizzato come modello quello del signor Barnes e, grazie alla conoscenza di Shuri, in meno di un mese era riuscito a creare il progetto.
Re Tchalla in persona gli aveva portato il vibranio necessario, dicendo di essere ben felice di contribuire al dono per Tony Stark. Con la competenza e i mezzi di Shuri avevano impiegato solamente un paio di settimane per fabbricarlo e, a lavoro ultimato, Peter aveva chiesto consiglio a Morgan su quali colori utilizzare.
La bambina era stata entusiasta di contribuire al nuovo braccio del suo papà ed aveva scelto senza indugio i colori classici di Iron Man.
In poco tempo, grazie al dottor Banner e alla dottoressa Cho, il braccio meccanico scintillava agganciato alla spalla destra di Tony.
 
Peter si guardò allo specchio. Lui non era cambiato, a differenza della metà delle persone in quell’edificio.
Scosse la testa.
 
Il secondo giorno dopo la battaglia era stato un via vai di persone, tra fotografi e giornalisti altamente selezionati. Pepper aveva indetto una conferenza stampa d’urgenza, per spiegare agli abitanti della terra cosa fosse successo.
Peter ammirava la forza della donna che, a seguito di un grande scontro che aveva relegato Tony in sala operatoria, aveva trovato la lucidità per riuscire a tenere testa a trenta giornalisti famelici.
Così, Peter aveva assistito da dietro la porta a specchio alla sicurezza con cui Steve aveva spiegato l’accaduto, insieme a Morgan, Happy e zia May. Captain America era stato conciso ma esauriente e, dopo il panico generale, i giornalisti si erano chiusi in un religioso silenzio ed avevano ascoltato attentamente le parole di Steve Rogers.
Peter si era ritrovato a sussurrare parole gentili a Morgan, stretta alla sua gamba, quando Bruce aggiunse che le condizioni di Tony erano critiche, ma che si sarebbe rimesso in un modo o nell’altro.
Aveva sorriso quando, nel momento in cui qualcuno aveva iniziato a fare domande inopportune sulla fine di Thanos, sull’eticità di ciò che gli Avengers avevano fatto e sulle potenzialità del potere delle gemme, Bucky aveva chiuso l’intervista dicendo: “Fareste meglio a togliervi dalle palle e ringraziare di essere vivi.”
Happy era scattato a coprire le orecchie di Morgan con le mani, ma lei si era scansata dicendo che quella parola faceva parte di quelle di proprietà della sua mamma e che il soldato d’inverno gliel’aveva appena rubata.   
 
Peter uscì dal bagno e si diresse verso l’armadio, indossando il pigiama e la felpa con il logo di Spider-man che aveva comperato insieme a Morgan, un pomeriggio in cui erano usciti con Happy per andare a prendere i ghiaccioli che piacciono tanto a papà. Peter aveva scoperto che esisteva anche un gelato che portava il suo nome.
Proprio mentre tornavano verso il Complesso Stark, era stato facile chiamare così il palazzo dopo che tutti gli Avengers ci si erano trasferiti prima di tornare nelle loro case, la bambina si era sporta verso una vetrina e aveva detto a Peter che doveva assolutamente prendere quella felpa perché era fatta apposta per lui.
 
Si sedette sul letto, guardando quella che era diventata la sua camera. Gli scaffali della libreria erano stati riempiti di tutto quello che Pepper e Tony erano riusciti a recuperare dal suo appartamento prima che il governo lo confiscasse. I modellini Lego che aveva costruito con Ned scintillavano nei ripiani più bassi, mentre libri e fotografie si alternavano in quelli più alti.
Portò lo sguardo sulle cornici che aveva messo vicino alla scrivania: una foto con May e Ben e uno dei tanti scatti che aveva fatto con il signor Stark alla fine dello stage. Appeso sul muro su cui poggiava il tavolo, invece, svettava uno dei tanti disegni di Spider-man che Morgan gli aveva portato.
Sussultò sentendo il telefono vibrare vicino ai pezzi ancora utilizzabili di un vecchio pc che aveva recuperato un paio di giorni prima dalla spazzatura. Quando era tornato nel complesso con il costume e il computer sottobraccio, Pepper gli aveva fatto presente che aveva a disposizione l’intero laboratorio di Tony, ma Peter era deciso ad utilizzare gli scarti: non era giusto buttare via tutto se qualcosa ancora funzionava.
Schiacciò medio e anulare sul palmo, attivando lo spara-ragnatele che da quando era tornato non riusciva a togliersi nemmeno per andare a dormire o entrare nella doccia, per poi stringere il telefono tra le mani.
Sorrise, accettando la videochiamata di Ned.
“Ehi.” Lo salutò quando mise a fuoco il viso del migliore amico.
“Zio, non ci crederai mai, ma ho finito la torre degli Avengers!” esclamò Ned muovendo il telefono per inquadrare un fedele modellino della Tower alto un metro e mezzo.
“Oddio!” Esclamò Peter, ammirando il risultato dell’amico.
Era stato meraviglioso, due mesi prima, rivedere Ned. Lo aveva addirittura raggiunto nel nuovo Complesso Stark insieme a MJ.
Con rammarico, Peter aveva scoperto che entrambi gli amici erano stati coinvolti nello schiocco ma, se ci pensava, era felice che non avessero vissuto cinque anni di solitudine. Sì, era un pensiero egoista, il suo, ma sapere che nessuno dei due fosse cambiato come, invece, era successo a quelli che ormai si consideravano membri della sua famiglia gli dava un senso di serenità: non era cambiato proprio tutto.
“Ringrazia la Signora Stark per avermi dato il modellino prima dell’uscita ufficiale.” Si premurò di dire Ned.
Peter si leccò le labbra, ripensando a come Pepper avesse accolto Ned e MJ con affetto, la prima volta che erano stati al nuovo Complesso.
Happy in persona era andato a prendere i suoi amici, una settimana dopo che il dottor Banner aveva dichiarato che il signor Stark non si sarebbe svegliato a breve ma, in fondo, aveva tenuto tra le mani il più grande potere dell’universo.
Finalmente, quando aveva riabbracciato gli amici, il grosso macigno che aveva abitato il suo stomaco per un’intera settimana era sparito. Certo, non aveva potuto dirgli tutta la verità – MJ non sapeva della sua identità segreta e non aveva nessuna intenzione di spaventare Ned, dicendogli che era morto su un altro pianeta – e si era visto costretto a raccontare Ned che era sparito a New York ma, perlomeno, era riuscito a passare un pomeriggio con gli amici in maniera quasi normale.
 
“Certo, ma ufficialmente è stata un’idea di Morgan.” Lo corresse Peter. “Non ho ancora capito come tu abbia fatto a farla appassionare ai lego a soli cinque anni.”
Peter sorrise, rivivendo il sorriso entusiasta della bambina quando, un paio di mesi prima, Ned aveva varcato la soglia del Complesso Stark trascinando lo scatolone dell’eli-velivolo dello SHEILD e le aveva chiesto di unirsi a loro nella costruzione del modellino.
“Semplicemente, i lego attraggono le persone intelligenti come noi.”
Peter rise, stendendosi sul materasso e cercando di non pesare sul fianco sinistro su cui, lo aveva visto già sotto la doccia, stava spuntando l’ennesimo ematoma della settimana.
“Tutto bene?” chiese Ned, notando la smorfia dell’amico.
“Sto bene.” Peter si lasciò sfuggire un gemito, inarcando la schiena per riuscire a sistemare il cuscino dietro la testa. “Entro un’ora sarà sparito.” Minimizzò.
Vide Ned tentennare e poi scuotere la testa. “Ok.” Disse dopo qualche secondo di silenzio. “Domani…”
Peter smise di ascoltare, quando i sensi di ragno si acuirono e i suoni intorno a lui divennero ovattati.
Sent’ una leggera pressione alla base del collo, chiuse gli occhi e ruotò la testa, cercando di capire a cosa fosse dovuta quella sensazione, ma in pochi secondi il Peter-prurito era già sparito.
Si guardò intorno, cercando una fonte di eventuali minacce, ma non aveva idea da dove potesse arrivare il problema. Del resto, si trovava in uno dei palazzi più sicuri del mondo, pieno di supereroi e sistemi di sicurezza all’avanguardia, difficilmente qualche malintenzionato avrebbe potuto superare anche solamente l’ingresso.
“Zio? Stai bene?” sentì la voce di Ned chiamarlo dal proprio cellulare.
“Io… si, tutto – va tutto bene. Ho solo bisogno di dormire, è stata una giornataccia.”
“Si, l’ho visto al telegiornale. È stato pazzesco, ma quel tipo era un vero rinoceronte?”

Peter strinse gli occhi e fece una smorfia, ripensando al super cattivo che aveva dovuto affrontare quel pomeriggio. Un uomo che parlava con un forte accento russo aveva cercato di incornarlo dopo aver distrutto la porta blindata di una piccola banca a Manhattan. Sì, incornarlo.
Certo, dopo l’ultimo anno un uomo mezzo-rinoceronte non era certo in grado di destabilizzarlo, aveva combattuto contro alieni, maghi e supersoldati – ci mancavano solo degli zombie – ma quel cattivo era stato una sorpresa inaspettata.
Peter lo aveva salutato facendogli gentilmente notare che quello non era il modo giusto per prelevare denaro e l’uomo gli aveva gridato contro non sapeva esattamente cosa in russo, aveva preso la rincorsa e per poco non era riuscito ad infilzarlo con il grosso corno che gli svettava sulla fronte.
“Io… non lo so. Quel coso gli usciva direttamente dalla testa.” Cercò di non ripensare alle innumerevoli volte in cui quell’essere grigiastro lo aveva lanciato contro muri e camion, mentre lui cercava di immobilizzarlo con le ragnatele per non fargli fare troppi danni alle strade della città.
Fortunatamente era riuscito a bloccarlo per farlo trasferire d’urgenza al RAFT.

“Forte!” esclamò Ned, sorridente, per poi rabbuiarsi. “Però mi dispiace che abbia distrutto un intero quartiere… stanno tutti bene vero?”
“Non…” L’immagine di Ned tremolò e sullo schermo comparve la notifica di una chiamata persa da zia May.
Peter si morse un labbro, rifiutando la chiamata. May probabilmente era in cucina con Pepper, Morgan Rhody ed Happy.
Sapeva di aver mancato la cena, ma a questo punto gli altri ci dovevano essere abituati.
Ogni giorno Spider-man aiutava i bisognosi, salvava le persone e sventava rapine. E, molto spesso, i delinquenti lo tenevano impegnato fino a tardi. Ormai Peter cenava con hot dog e churros e gelati che molto spesso qualcuno gli offriva per ringraziarlo, oppure passava dal signor Dunbar a fine serata per un buon panino.
“Non ci sono feriti, ma tutti i negozi e le case… Mi incolperanno anche di questo.”
Si passò una mano tra i capelli. “Quel James Jonah Jameson mi sta dando il tormento.”

“Già, non gli stai molto simpatico.” Annuì Ned, riferendosi al gran numero di podcast che l’uomo aveva pubblicato contro Spider-man, definendolo criminale, pericolo pubblico, impostore e utilizzando tanti altri brutti aggettivi che potevano riferirsi a tutto, tranne che al buon animo di Peter.
“Ho cercato di sistemare un po’ i muri, ma non credo che basti.” Si lamentò Peter ripensando alle ultime tre ore passate a spostare macerie, incollare con le ragnatele pezzi di muro e mattoni e a cercare di riparare i mobili ancora recuperabili.
“Vedi? Fai un sacco di cose per New York, quel Jameson non capisce proprio niente.” Ned venne coperto da una nuova chiamata in entrata, questa volta da Happy.
Peter rifiutò anche quella. Per una volta stava avendo una conversazione quasi normale con il suo migliore amico come non succedeva da tempo, aveva bisogno di godersi quel momento.
“Che c’è?” chiese Ned, vedendolo tentennare sullo schermo.
“Happy e May mi stavano chiamando, aspetta che gli mando un messaggio per dirgli che sto bene.”

Disse riducendo la videochiamata ad una piccola icona a bordo dello schermo e digitando velocemente un messaggio nella chat con May.

sono di sopra
doccia fatta e già mangiato
tutto bene

“Ti chiamano spesso se siete tutti in casa? Magari è importante… e noi ci vediamo domani – posso – metto giu?” balbettò Ned, guardando intensamente la telecamera. “Non è un problema.”
“No, no. Mi sono dimenticato di avvertirli.” Lo tranquillizzò Peter, mettendo le mani avanti.
Il cellulare vibrò di nuovo, e il viso di Ned venne oscurato da tre nuovi messaggi.

tony

Peter spalancò la bocca, cercando di mettere a fuoco quelle lettere, cercando di capire se se le fosse immaginate.

peter è tony

Per un momento il cuore smise di battere. Peter cercò di prendere un respiro, tremolante, e provò a razionalizzare le parole appena lette. Tony. C’era scritto Tony.
“Peter, sei un po’ pallido.”
Oddio. Cos’era successo? Sentì un nodo alla gola, mentre un macigno si poggiava, pesante, sul suo petto, dandogli la sensazione di non riuscire ad alzarlo e abbassarlo in modo abbastanza approfondito per riuscire a respirare.
Scosse la testa, mentre il battito cardiaco aumentava pericolosamente e senza motivo, mentre l’aria che entrava nei suoi polmoni sembrava non essere mai abbastanza.
“Peter, che succede?”

TONY E’ SVEGLIO

Peter spalancò gli occhi, mentre una scarica di adrenalina gli attraversava il corpo, scacciando quella sensazione di disagio che l’aveva pervaso pochi secondi prima.
“Ned.” Balbettò “Ned ti devo – ho bisogno… ti devo richiamare.”
“Cosa è succ…?” Peter non sentì il resto, perché mise giù la videochiamata e schizzò verso la porta.
 
Troppo tardi si rese conto di averla aperta forse con troppa forza, perché sentì alle proprie spalle i cardini staccarsi e la porta cadere, probabilmente sul pavimento del corridoio.
Veloce, percorse il corridoio, il soggiorno e la cucina del grande appartamento al quarantesimo piano in cui viveva con zia may e la famiglia Stark
Quando superò l’ascensore e arrivò alle scale non ci pensò nemmeno una volta prima di lanciarsi nel vuoto verso il dodicesimo piano.

Grazie ad una ragnatela attaccata alla ringhiera riuscì ad atterrare nell’ingresso della saletta d’attesa dove zia May lo stava aspettando, camminando avanti e indietro.
“Peter, oddio!” gridò quando il nipote le atterrò non proprio silenziosamente davanti. “Sono ore che ti chiamo!”
“Ore?”
“Si, ore! Cristo, Peter. Avevi spento il telefono? E Karen? Sono tre ore che cerchiamo di rintracciarti! Ne avevamo parlato, puoi andare in giro a fare il buon amichevole Spider-man di quartiere solo se tieni Karen e il tuo cellulare sempre accesi! E invece la tua lady-costume era offline!”
Peter boccheggiò. Effettivamente, quando lo strano tizio-rinoceronte lo aveva spiaccicato non tanto elegantemente su un palazzo, Karen aveva smesso di aiutarlo. Peter non ci aveva fatto molto caso, al momento, era parecchio impegnato a non diventare frittata di ragno, ma probabilmente avrebbe dovuto riparare la tuta.
“May – non è stata colpa… Dov’è il signor Stark?”
“Oh. Giusto. Sì.” Il viso della donna si distese leggermente e la sua espressione si addolcì.
“Si è svegliato. Chiede di te.” Disse, prendendo Peter per le spalle e spingendolo dolcemente verso la stanza del signor Stark.
“Di me?” Peter ebbe un brivido.
“Conosci altri Peter Parker?” Rispose la zia, bussando alla porta ed aprendola lentamente quando la voce di Pepper la invitò ad entrare.

La prima cosa che vide furono Happy e Rhody, seduti su delle poltrone addossate alla parete, alzarsi in piedi di scatto ed andargli incontro alzando e abbassando le braccia.
“Eccoti, finalmente!” Happy gli indicò il telefono, scuotendo la testa con disapprovazione “Non lo guardi il telefono? O quella Karen nel tuo costume?”
“Cristo, ragazzino, ti chiamiamo da ore! Dove diavolo sei sparito?”
“Petey!”
Ragazzo.”

Peter raggelò sul posto. Quella era la voce di Tony Stark. La voce di Tony Stark. Tony Stark lo aveva appena chiamato.
Gli sembrò di sentire silenzio, o forse era riuscito a focalizzarsi su una sola voce all’interno di quei rimproveri.
Guardò oltre i due uomini che stavano continuando a ripetergli quanto incosciente fosse stato ad aver silenziato Karen. Vide Morgan, seduta ai piedi del letto salutarlo felice mentre teneva sulle proprie gambe uno dei tanti album da disegni che aveva fatto in quei mesi, mentre Pepper gli sorrideva dall’altro lato del letto e gli faceva segno di avvicinarsi.
Poi lo vide. Tutt’un tratto il suo campo visivo si restrinse e tutto quello che c’era nella periferia dello sguardo si appannò.
Sentì le mani della zia dargli una leggera spintarella e la ringraziò mentalmente per quel gesto. Probabilmente, bloccato com’era, non sarebbe riuscito a fare nemmeno un passo da solo.
“Pete.”
 
Tony Stark aveva gli occhi aperti e lo guardava, incredulo ed emozionato al tempo stesso. Era coperto dalle lenzuola fino ai fianchi, ed indossava una di quelle vestaglie da ospedale, così da facilitare le cure e i movimenti ai medici.
E gli sorrideva. Tony aveva uno sguardo stanco, ma gli stava sorridendo.
“Signor Stark…” disse Peter con un filo di voce.
Si era immaginato quel momento un sacco di volte. Aveva preparato un discorso, lo aveva ripetuto a Ned, a Karen ed aveva provato le espressioni facciali allo specchio.
Ora, però, non riusciva a pensare a niente, se non che il signor Stark si era svegliato. Era lì, davanti a lui, che gli sorrideva.
“Cristo, Pete.” Peter vide Tony guardarlo dalla testa ai piedi con occhi attenti, preoccupati, increduli, quasi. L’ultima volta che si erano visti, prima dello schiocco, Tony Stark lo guardava terrorizzato, impotente, mentre lui si dissolveva nel vuoto.
Invece, in quel momento, il mentore aveva gli occhi lucidi, emozionati.
Peter non sapeva come comportarsi. Cosa avrebbe dovuto fare?
“Lei sta… sei…” Fece un paio di passi in avanti, sentendo il sollievo farsi largo nel suo petto.

Una sensazione calda, di benessere, cresceva dentro di lui man mano che posava gli occhi su ogni dettaglio visibile del signor Stark.
Certo, sembrava più vecchio di come l’aveva lasciato ma, in effetti, erano passati cinque lunghi anni dall’ultima volta in cui lo aveva visto e ci aveva parlato.
Era vivo. Per tutti quei mesi, Peter aveva vissuto nella speranza che, un giorno, il signor Stark si sarebbe svegliato. Ma una volta lo aveva sentito grazie ai propri sensi ragneschi, in un consulto tra Bruce e la dottoressa Cho, che c’era l’eventualità che Tony rimanesse addormentato per sempre.
Sentì le guance umide e si rese conto di aver iniziato a piangere in silenzio, mentre memorizzava ogni dettaglio del signor Stark. I capelli si erano ingrigiti, le rughe ai lati degli occhi erano più accentuate.
Certo, lo aveva visto durante quei tre mesi, aveva preso le misure per il braccio meccanico e ogni tanto aveva passato il pomeriggio con Morgan raccontando al signor Stark la loro giornata.
Ma, prima, l’uomo era addormentato.
Ora, invece, era lì, che tendeva verso di lui la mano sana, leggermente tremolante.
Il suo pianto diventò più forte e intenso, spezzettando del tutto le sue parole. “Oh, mio Dio – Signore… io non…”
Risucchiò un respiro tremante. “Mi dispiace, mi– mi dispiace, non voglio– fare così, è imbarazzante–”
“Vieni qui, ragazzo.” disse Tony, mentre una lacrima si fece largo anche sulla sua guancia. “Vieni qui, non piangere.”
Peter finì solo per piangere di più, con un’aria terribilmente abbattuta in volto mentre barcollando gli si avvicinava. Si puntellò sulla sponda del letto e quasi collassò quando Tony lo attirò a sé con il braccio sano, per poi nascondere il volto nella sua spalla. Si sciolse in dei singhiozzi completi e Tony lo strinse, con le lacrime che gli rigavano a sua volta le guance.

“Mi dispiace, Peter.” disse, cullandolo appena avanti e indietro. “Ti voglio bene, ragazzo. Non te l’ho mai detto e mi sono odiato ogni giorno per cinque anni per non averlo fatto. Tu sei… tu sei mio figlio.” Passò le dita tra i capelli di Peter, chiudendo gli occhi. “Poterti fare da mentore è stato un qualche dono del cielo, figurarsi… essere come un padre per te. Ho avuto la fortuna che May mi abbia permesso di far parte della tua vita e non– Pete, ti voglio bene, ragazzo, troppo per poter pensare a un mondo senza te. E quando mi sei sparito tra le mani… non riuscivo più a pensare. Ti voglio bene, Pete.” Tony aveva gli occhi chiusi, mentre lo stringeva a sé. La voce gli tremava, ma aveva parlato con un tono così sicuro che Peter tremò a sua volta.
Il signor Stark aveva appena detto di volergli bene. Non glielo aveva mai sentito dire, prima.
Non aveva mai sperato di sentire quelle parole uscire dalla bocca di Tony Stark, dirette proprio a lui. Certo, aveva sognato dei complimenti, ma quello… quello era troppo.
Tony non lo vedeva da cinque anni, rassegnato ad averlo perso.
E Peter si era quasi convinto che, dopo tutte le cure e la tecnologia utilizzata per salvarlo, Tony sarebbe rimasto addormentato per sempre, vivo solamente grazie alle macchine.
Ma, adesso, la prima cosa che il signor Stark voleva che sapesse era che gli voleva bene.
“Dio, mi dispiace.” pianse Peter, stringendolo più forte. “Ti voglio bene anch’io. Mi dispiace di essere salito sulla nave, mi dispiace di averle disubbidito, mi dispiace di averle – averti detto mi dispiace prima di morire.”

Tony sussultò, scuotendo la testa. “Nemmeno per idea. Non voglio mai più sentire quella parola in una frase con te. O con Maguna. O con Pepper. O con tutti. Morire è vietato. Ci siamo capiti? Vietato. Vi farò firmare un contratto, a riguardo. Friday ci sta già lavorando.”
“Oh, mio Dio.” guaì Peter, percependo la sua super-forza e cercando di stringere meno le spalle del mentore.
Tony lo allontanò un po’ da sé, per poterlo guardare negli occhi. “Dio, non ci credo che sei qui.” Portò la mano sana sui suoi capelli, scompigliandoli in modo affettuoso.
Peter scosse la testa cercando di mascherare il suo imbarazzo e si inclinò di nuovo in avanti, abbracciandolo di nuovo.
Sì, è vero. Dopo lo schiocco di Hulk Peter è Tony si erano incrociati una volta, durante la battaglia. Ma era stato un attimo, un abbraccio fugace. Magari non si erano nemmeno visti, prima che Tony usasse le gemme, e Peter quell’incontro era solo frutto della sua immaginazione.
 
A Tony tornò in mente quando tutto questo lo spaventava. Quando cercava di mettere quanta più distanza tra lui e il ragazzo, perché non poteva affezionarsi. Poi ricordò il silenzio. Il vuoto. La voce di Peter nei video, nella sua segreteria telefonica, congelata nel tempo. Perché più di quello non poteva avere.
Ora Peter era lì, in carne e ossa, tra le sue braccia. Dopo cinque anni.
 
“Facciamo un abbraccio di gruppo?” mugugnò Peter con voce flebile sul petto di Tony.
“Io ne avrei bisogno.” Annuì Tony.
Non rispose nessuno, ma Peter sentì le mani di Morgan circondargli le spalle, mentre rideva, felice, e vide Pepper abbracciarli dall’altro lato del letto, mentre dopo qualche secondo venne circondato dalle braccia di Rhody, Happy e zia May.
“Mi siete mancati.” Sospirò Tony, sotto tutti quegli abbracci “Tutti quanti.”
“Anche tu, papà.” Rispose Morgan per tutti, mentre gli altri annuivano, soddisfatti ed emozionati.
Peter, sotto due o tre persone, non sapeva stabilirne il numero con certezza, fu distratto dal senso di ragno, pochi secondi prima di sentire la porta aprirsi.
“Oh, ehm… noi – volevamo…” Sentì la voce imbarazzata del dottor Banner tentennare.
“Possiamo unirci a voi?” lo interruppe il signor Barton, ridacchiando.
“Sembra piacevole.” Asserì Thor.
“Ce n’è per tutti.” Confermò Tony ridendo, mentre Peter sentiva il suo petto alzarsi e abbassarsi in modo irregolare, venendo sbatacchiato su e giù.
“Che bello sentire la tua voce, Tony.” Disse Steve Rogers con un filo di voce, facendo un paio di passi tremolanti aiutato dal proprio bastone.
 
Quando Peter si staccò dall’abbraccio, con i capelli scompigliati a causa di tutte le persone che si erano strette su di lui, non riuscì a non sorridere.
La piccola stanza dove Tony era stato ricoverato era piena di super eroi radiosi.
Certo, in quegli ultimi mesi Peter aveva passato molto tempo con loro, era un Avenger a tutti gli effetti – promozione sul campo – e quindi aveva imparato a non dare di matto ogni volta che Captain America o il re di Asgard lo chiamavano per nome – sapevano il suo nome! – per chiedergli un’opinione sulle faccende da super eroi.
Nell’ultimo periodo, però, molti di loro erano tornati a casa o si erano trasferiti al di fuori del nuovo Complesso. Re Tchalla era tornato in Wakanda insieme a Shuri, anche se lei e Peter erano rimasti in contatto grazie alla tecnologia wakandiana – o al semplice whatsapp – per un saluto o qualche consiglio sui loro progetti. Thor faceva aventi e indietro da Nuova Asgard insieme ai Guardiani della Galassia; il signor Clint aveva raggiunto la famiglia nella sua fattoria fuori città. Addirittura, il signor Barnes e Sam Wilson erano riusciti a trovare un appartamento da dividere con Captain America.
Ogni tanto, quando uno di loro era di passaggio per New York o il Complesso Stark era facile fare serata cheeseburger tutti insieme. Ma ora, ora Tony era lì, in mezzo a loro.
 
Peter notò con la coda dell’occhio il proprio mentore spalancare gli occhi, incredulo, in una muta domanda. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, mentre Peter si sistemava meglio sul bordo del materasso, cercando di mettere in fila un paio di parole che avessero un minimo senso logico.
“Cap – tu… Oddio – ma che diavolo? –“ balbettò Iron Man, guardando il vecchio uomo di fronte a lui.
Peter si morse le labbra, mentre il capitano ridacchiava.
A pensarci bene, tutti loro erano rimasti sorpresi quando, dopo aver riportato le gemme nel passato, Steve era tornato invecchiato di almeno quarant’anni e con una fede al dito.
“Ho solo… seguito il consiglio di un amico.” Rispose. “Volevo provare questo tipo di vita.” Disse indicando Pepper e Morgan con un cenno del capo.
“Rogers, è – ora se dico che sei un fossile… sei davvero Capitan Vecchiaia.” Balbettò Tony scuotendo la testa per assicurarsi di vedere davvero quello che aveva davanti come si presentava.
“Bentornato, Tony.” Steve sorrise, facendo qualche passo indietro ed appoggiandosi ad una delle poltrone.
 
Peter rimase lì, vicino al signor Stark, per tutto il tempo che Clint, Steve, Thor e Bruce passarono a chiacchierare con lui.
Scivolò oltre il letto, raggiungendo Morgan dall’altro lato, per farsi mostrare i nuovi disegni.
Guardava zia May, intenta a chiacchierare con Happy, poi Morgan, che gli sorrideva alternando lo sguardo tra lui e il suo papà, e non riusciva a non pensare quanto avesse desiderato quel momento.
Tony era lì, che ogni tanto faceva una battuta pungente sul fatto che Steve si fosse sposato e sulla vita matrimoniale, mentre teneva la mano di Pepper stretta nella sua.
Fu, proprio durante una conversazione con Thor riguardo al regime alimentare che il dio avrebbe potuto seguire, che si grattò il naso con la mano destra.
Peter sentì il sangue raggelarsi nelle vene, quando Tony fece una smorfia e guardò il braccio meccanico.
Sapeva che Tony aveva visto il braccio, era impossibile non accorgersene. E sapeva anche che, probabilmente, aveva già fatto i controlli necessari con Bruce e gli infermieri rimasti al Complesso nelle tre ore in cui lui non aveva risposto alle telefonate. Presumibilmente gli avevano già spiegato cosa fosse successo e come avevano potuto salvargli la vita.
“Visto? Risponde bene agli stimoli.” Disse il dottor Banner, forse rivolto proprio a lui.

Il braccio meccanico era stata una sua idea. Era il suo primo grande progetto. Aveva lavorato giorno e notte per renderlo il migliore possibile.
E se avesse fatto qualcosa di sbagliato? E se non gli fosse piaciuto?
Strinse forse con troppa forza la sponda del letto, perché la sentì incrinarsi sotto le sue dita.
Guardò Tony, terrorizzato, mentre fissava con attenzione il braccio rosso e oro.
Non gli piaceva. Probabilmente era stata una pessima idea.
“Pete.” lo chiamò.
Peter tremò, respirando rumorosamente con la bocca.
Sentiva il silenzio in cui era calata la stanza. Tutti lo stavano guardando, alternando lo sguardo da lui al braccio di Tony. Di sicuro, anche gli altri non sapevano esattamente che reazione aspettarsi dall’uomo di ferro.
“Non ti ho ancora detto grazie per questo.” Disse Tony, alzando la mano meccanica.
“Cosa?” soffiò piano dalle labbra. “Oh, oddio – io – lo sistemo… aspettate…” balbettò rendendosi conto di aver piegato i bordi del letto, mentre stringeva dalla parte opposta l’acciaio e cercando di far tornare la lastra alla fine del materasso diritta, ma ottenendo solamente una S malconcia. “Mi dispiace – accidenti.”

“Caro, non importa, davvero. Lo cambiamo.” Cercò di tranquillizzarlo Pepper, coprendogli le mani con le proprie.
“È tipo la terza cosa che rompo in un mese – quarta, c’è la porta di sopra.” Peter fece una smorfia.
Non riusciva a capire perché ma, da quando era tornato, ogni tanto la tensione gli faceva perdere il controllo sulla propria super-forza – o sulla sua testa, come quando aveva avuto un attacco di panico quando MJ gli aveva chiesto di andare a prendere un gelato insieme – e combinava qualche guaio.  
“Bimbo-Ragno.”
Peter alzò lo sguardo di scatto, notando solo in quel momento l’espressione preoccupata sul volto di Tony.
“Ragazzo, sei fenomenale.” Disse, alzando entrambe le mani. “Ho visto i progetti, mentre il dottor Furia Verde mi faceva da infermiera assillante. È un gioiellino, dico davvero. Non avrei potuto fare di meglio.”
Garantì, cercando di sorridergli.
Peter sentì gli occhi farsi lucidi. “Davvero?”
“Davvero.” Annuì Tony. “Sono fiero di te.” Aggiunse, guardandosi le mani.
“Di voi.” Si corresse facendo cenno a Morgan di strisciare verso di lui. “Mi è stato detto che avete fatto un lavoro di squadra.”

La bambina annuì. “Io ho scelto come colorarlo.” Disse, entusiasta. “Petey ha detto che così avresti avuto un poco di noi sempre con te.”
Peter sbarrò gli occhi, scattando verso Morgan e muovendo le braccia come a fare tante X consecutive.
“Non è vero – ho…”
“Grazie.” Lo fermò Tony utilizzando il braccio di metallo per farlo tornare al suo fianco. “Grazie, ragazzi.” Disse cingendo i suoi figli con le braccia, mentre Peter continuava a balbettare parole contro Morgan e il fatto che le bambine della sua età si immaginano un sacco di cose che non sono mai successe.
“Che dite.” Peter sobbalzò, sentendo la voce di May sovrastare la sua. “Cheeseburger e patatine?”
“Mi hai letto nel pensiero.” Rispose Pepper schioccando le dita.
“Sono le dieci di sera e abbiamo tutti già cenato.” Fece notare Bruce.
“Parla per te, io ho mangiato quella gelatina stantia. Voglio del cibo vero.” Rispose Tony. “E mi dovete aggiornare su moltissime cose. Ci vorrà tutta la notte. Non voglio smettere di sentirvi parlare. Oppure parlerò io. Non lo so ancora.”
“Per noi va bene.” Asserì Rhody.
“In mezz’ora saremo qui con cibo discutibilmente sano.” Garantì May, mentre Happy chiedeva se volessero qualcos’altro.
“I ghiaccioli!”
 

 
 
 
 
Premessa: non sono per niente soddisfatta di come si è chiusa questa storia. Ci sono troppe questioni lasciate in sospeso e la cosa mi dà molto fastidio. Certo, questo è un what if e quindi era certo che qualcosa cambiasse in modo diverso rispetto al finale canon di Endgame, ma mi sento in dovere di ampliare i discorsi e gli avvenimenti di cui ho solo accennato.
MJ non sa che Peter è il nostro amichevole Spieder-man di quartiere, faccenda che mi piacerebbe ampliare. Tony Stark avrà una lunga ripresa (fisioterapia, ginnastica, magari una seduta con Sam, non si sa mai che possa servire anche a Peter) e Peter dovrà ricominciare la scuola, magari trovare un nuovo appartamento con May, iniziare ad orientarsi riguardo l’università… oltre al fatto di poter – finalmente – potersi definire un avenger e lavorare insieme agli eroi più potenti della terra.  
Diciamo, quindi, che ho una mezza idea di continuare questa storia.
Non so ancora come, se con una nuova fanfiction, se con una raccolta, se con dei missing moments… non lo so proprio vedremo.
Spero di riuscire a creare una serie che unisca questa storia e di quella natalizia (continua a bloccarsi tutto quando premo invio, non capisco davvero perché) e, quindi, ad inserirci qualcos’altro.
Ecco... quindi, magari, ogni tanto date un occhio, potrebbe apparire qualcosa ;)
 
Detto ciò, ci tenevo a farvi notare i riferimenti a Jameson, Rhino (versione di questo universo dove c’è il Peter di Tom - l'ho inventato, siccome non lo abbiamo ancora visto) e a tutte le serie che sono uscite quest’anno.
Il 2021 è stato un annaccio, ma non per il nostro MCU.
Ringrazio, come al solito, leila91, Ma_AiLing e ichigouzumaki per le recensioni
Grazie per essere arrivati fino alla fine, alla prossima 😊
   
 
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