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Autore: ellephedre    31/01/2022    3 recensioni
Mamoru le prime volte che vide Usagi, durante tutto l'arco della prima serie.
Non fu amore a prima vista.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima serie
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Le prime volte che ti vidi, eri...

  

18 - Involontariamente premurosa

    

Fu la prima volta che ti preoccupasti per me

     

Aveva un piano.

La prossima volta che fosse finito preda di uno dei suoi 'episodi', avrebbe evitato di combatterlo. Si sarebbe lasciato andare.

Ovviamente avrebbe funzionato meglio se gli fosse accaduto quando non era addormentato. Nel momento in cui si fosse accorto che stava per travolgerlo il solito mal di testa lancinante, invece di opporsi, doveva cadere nel sogno e cercare di viverlo pienamente.

Il suo obiettivo era riuscire a muoversi come diceva lui - colpendo tre volte col pugno la prima superficie disponibile - per sentire di non essere stato completamente soverchiato.

Stava per succedere qualcosa di grosso.

Sognava la principessa anche due volte a notte oramai, ma soprattutto aveva la sensazione che la verità che gli era sfuggita per anni fosse a portata di mano, ad un passo da lui. Se per agguantarla doveva fingere di essere Tuxedo Kamen, così fosse.

Era ora di farla finita, voleva riprendere in mano la propria vita.

Gli accadde un pomeriggio sul tardi, mentre andava a fare la spesa. Il dolore esplose dal centro della nuca, lasciandogli appena il tempo di boccheggiare.

Si gettò all'interno di un vicolo, ansimando.

Okay, si disse. È come un ottovolante. Afferra la maniglia e accetta che la corsa sta per cominciare. Non cercare di uscire dal veicolo...

Quando riemerse, inspirò una boccata d'aria rigenerante. Percepì l'aria nei polmoni, ma provò un vago senso di nausea nel guardarsi intorno. Il suo corpo si stava alzando senza che fosse lui a deciderlo. Era come trovarsi su una barca che non stava conducendo. Indossava uno smoking e sulla testa sentiva il peso di un cappello.

Lasciò che Tuxedo Kamen facesse come voleva all'inizio e si diresse assieme a lui verso l'uscita opposta del vicolo, sicuro della direzione che doveva prendere. Appena prima di uscire in strada provò a chiedergli un solo istante - per favore. Avrebbe svolto meglio il suo compito se si prendeva un secondo per fare una cosa.

Tuxedo Kamen smise di avanzare a un metro dallo sbocco sul marciapiede e Mamoru colpì il muro scrostato dell'edificio adiacente, tre volte. Il suono delle sue nocche contro il cemento tornò alle sue orecchie chiaro e nitido.

Soddisfatto?

Sì, era soddisfatto. E gli era parso di esserselo chiesto da solo.

Riprese la sua corsa, spuntando davanti a una signora che lanciò un urlo nel vederlo lanciarsi in strada, davanti a due auto che scansò in scioltezza. Galvanizzato, Mamoru capì di non avere paura. Era velocissimo, non c'era nulla da temere.

Dopotutto, non era il pericolo in cui si metteva quello che lo spaventava di più. Si era risvegliato e si stava muovendo, dotato dei suoi poteri, perché doveva assolutamente salvare la ragazza che lo stava inconsciamente richiamando.

Non dovette chiedersi nemmeno perché fosse necessario. 

Lei aveva quelle due lunghe code bionde, emanava il profumo della sua principessa e a volte era inerme contro il male. Per forza doveva aiutarla. Se l'avesse persa...

Che cosa sarebbe successo? Come si sarebbe sentito?

Non voleva scoprirlo. In pochissimo tempo - circa due minuti - fu sul luogo dello scontro. Aveva fatto in tempo questa volta, non sempre gli riusciva di essere presente. Al centro del cimitero in cui era giunto, una creatura enorme e mascolina, abbigliata come un lottatore di boxe, stava attaccando Sailor Moon.

Senza fermarsi a pensare, Mamoru saltò giù dal muro di cinta, sgattaiolò tra le lapidi di pietra e afferrò la guerriera della luna tra le braccia un istante prima che lei venisse colpita da un guantone volante. I detriti di un'esplosione lo colpirono alle spalle, facendogli stringere più forte la ragazza.

Non si focalizzò sui ringraziamenti di lei. Che vigliaccata colpire in modo tanto violento una donna!

Atterrò sulla cima di una lapida sottile, bilanciando senza problemi il peso suo e di Sailor Moon. Osservò il suo nemico: aveva ali e piedi da aquila e indossava un ridicolo costume da boxeador, con tanto di fascia da campione alla cinta. 

«Un vero pugile non colpisce le belle fanciulle» lo schernì. «Non sai che le ragazze si cingono con dolcezza tra le braccia?»

A parlare era stato il suo lato Tuxedo Kamen, ma Mamoru non si pentì delle parole smielate. Si sentiva nobile in quei panni, un gentleman che combatteva contro una manica di bruti. Adagiò la fanciulla al suolo senza più badarle: gli toccava combattere da uomo a uomo contro il mostro.

Il bestione corse nella sua direzione e lui scelse di attaccarlo dall'alto. Balzò in aria, rimanendo sospeso come se volasse, e sfoderò il bastone. A volte, quando lo impugnava, sentiva di brandire una spada. Il boxeador lo attaccò con una scarica continua di guantoni, che lui respinse al mittente facendo roteare il suo fedele attrezzo. Sembrava un'estensione del suo corpo - parte di lui sin da che aveva indossato quel costume.

Lasciarsi andare alla personalità di Tuxedo Kamen lo faceva sentire vivo.

Non combatté a lungo da solo. Proprio mentre il nemico stava per impegnarlo in uno scontro ravvicinato, la sua attenzione fu distratta da un nuovo arrivo: una guerriera Sailor - una nuova guerriera Sailor, dal costume verde e rosa, che lo attendeva fiera dall'altra parte del campo.

Mamoru non sentì il bisogno di intervenire ad aiutarla: non seppe perché, ma anche se lei era una ragazza, gli sembrava per istinto che fosse capace di cavarsela da sola. Così fu: la pletora di fulmini che lanciò addosso al mostro spaventò persino lui.

Si ritrasse e il suo sguardo fu catturato da un luccicchio che giungeva dal suolo, nascosto tra i fili di un ciuffo d'erba.

Alle sue spalle Sailor Moon stava lanciando il suo attacco finale - un nuovo attacco da quel che udiva, ma non gliene poteva importare di meno.

Il luccicchio. Proveniva da una pietra brillante color arancio, che chiamava a sé la sua anima.

È il cristallo d'argento? Sei il cristallo d'argento?

Quando lo prese in mano, fu come essere attraversato da un lampo di luce - chiarezza assoluta.

La flebile dissociazione che aveva percepito nei panni di Tuxedo Kamen scomparve. Si ritrovò nel pieno controllo dei propri arti e della propria mente - mentre era ancora mascherato!

Non perse tempo a ragionarci, si voltò verso il generale nemico, sospeso in aria. Sapeva che quell'individuo stava cercando quello che lui aveva appena recuperato.

«Spiacente!» gli gridò beffardo dal suolo. «Il cristallo dell'arcobaleno viene via con me!»

Concluse col suo saluto d'ordinanza - Sarabada, Addio - senza neppure pensarci. Scappò via, prima che qualcuno potesse intralciarlo. 

Doveva cercare un posto tranquillo - non riusciva a crederci - doveva testare ciò che aveva appena compreso...

Corse senza fermarsi, senza fine, per essere sicuro che nessuno potesse portargli via il cristallo. Era stato l'oggetto a rivelargli il proprio nome, appena lo aveva preso in mano. Mamoru non voleva più lasciarlo andare.

Giunse sul molo di un porto e finalmente smise di correre, abbassando lo sguardo.

Stringeva tra le dita la verità.

Guardando i riflessi arancioni del cristallo si impose di rilassarsi, di lasciarsi andare... proprio come quando si era abbandonato a Tuxedo Kamen, ma questa volta accadde il contrario: si abbandonò a Mamoru, alla persona che era veramente. A chi era sempre stato.

Lo smoking svanì e si ritrovò nei propri panni, coi vestiti con cui era uscito di casa.

«Ora so chi sono» dichiarò. Lo disse ad alta voce, per udire la voce di Tuxedo Kamen, che era anche la sua.

Era Mamoru e Tuxedo Kamen.

Non si era inventato niente.

Non era pazzo.

Non aveva mai sognato, era tutto vero.

Lui... aveva dei superpoteri. Lui aveva una principessa da cercare.

Lui stringeva nella mano una delle chiavi che gli avrebbero permesso finalmente di dipanare il mistero dei sogni che lo avevano tormentato sin da ragazzino.

Si sedette al suolo, lasciò che le gambe sporgessero oltre la banchina del porto.

Si sentiva più sollevato e libero che mai. La verità era ad un passo da lui - ad un passo.

Io sono Tuxedo Kamen, si ripeté in testa.

Smise lentamente di sorridere.

Non era pazzo, dunque. Ma in fin dei conti, non era nemmeno del tutto umano. 

Rimase a fissare il cristallo per ore, poi calò il buio.

     

Il giorno dopo si trascinò all'università con due occhiaie così profonde che persino uno dei professori gli chiese se avesse chiuso occhio quella notte.

La risposta era no. Era difficile addormentarsi quando d'improvviso si metteva in discussione la propria appartenenza alla specie umana. Faceva parte di un sottogruppo di ominidi? Rappresentava una branca dell'evoluzione, o piuttosto una specie estinta proveniente da un passato lontano, di cui era uno degli ultimi superstiti?

In quel caso, non era solo quantomeno. Le guerriere Sailor erano come lui, creature straordinarie con poteri magici - persino più forti dei suoi.

Avrebbe potuto avvicinarle e chiedere loro delucidazioni, ma d'istinto gli pareva un'idea incauta. Quella tra loro con cui aveva più confidenza era Sailor Moon e lei sembrava sapere pochissimo di qualunque cosa. Lui la ricordava ancora, durante il primo combattimento, quando per difendersi si era messa a piangere a squarciagola, emettendo ultrasuoni che l'avevano salvata.

Sailor Moon era come un pulcino che si era addentrato nella tana di una volpe, vagando sperduto. Non avrebbe nemmeno dovuto combattere. Le sue compagne sembravano più esperte di lei, forse persino troppe astute. Mercury gli si era opposta una volta, pretendendo da lui delle risposte.

Ma come poteva lui darne, se aveva solo domande?

Inoltre, se si fosse consultato con loro, potevano chiedergli in cambio il pezzo di cristallo dell'arcobaleno che aveva trovato.

Semplicemente esistendo, il cristallo gli aveva comunicato di essere uno di sette, un frammento del cristallo d'argento che la sua principessa gli chiedeva di trovare disperatamente da sempre. Uno di sette, il secondo dei frammenti ad essere stato recuperato. Lui non poteva consegnarlo nelle mani di nessun altro - specie non in quelle del nemico, che avrebbe potuto sottrarlo a Sailor Moon con la facilità con cui si rubava le caramelle ad un bambino. Il nuovo generale aveva già preso possesso del primo frammento. Chissà cosa voleva farne.

Quella sera, quando tornò a casa per tentare di recuperare un po' di sonno, lo sorprese lo squillo del telefono. 

«Pronto?» rispose senza pensare.

«Mamoru-san? Ciao!»

Oh, era Hino. Rei Hino.

«Non ci sentiamo da un po'» esordì con timidezza lei.

Già, era passata almeno una settimana. O forse due? Aveva perso il conto, se n'era disinteressato. Non aveva tempo per una ragazza ora.

«Ti sto disturbando?» si sentì domandare.

«No, non è questo...»

«So che sono una scocciatrice, ma mi chiedevo se ti andava di venire al cinema con me. Non te lo avrei chiesto, ma non ho nessun altro con cui andarci...»

Lui si sentì immediatamente in colpa. «Ma certo.» Cosa? No, non aveva tempo per il cinema!

«Oh, grazie! È un film per grandi, per questo non posso portarci le mie amiche. È una pellicola d'autore e ho pensato 'Mamoru non solo lo apprezzerebbe, ma sarebbe poi in grado di discuterlo e spiegarmi i passaggi.' Questo autore è ostico, ma io voglio ampliare i miei orizzonti!»

Lei aveva una voce entusiasta e molto dolce. Di dolce c'era soprattutto il suo tentativo di coinvolgerlo, di farlo sentire apprezzato, poiché teneva alla sua compagnia.

Chi altro lo aveva mai cercato con tanta insistenza? Questo strano ragazzo che forse non era nemmeno umano?

Non sentendolo rispondere, Hino tornò esitante. «Che ne dici di questo giovedì?»

Mamoru non se la sentiva di ferirla. «Giovedì va bene.»

«Che bello! Ci troviamo nel posto di sempre?»

La felicità che le aveva trasmesso lo fece sentire meglio. «Okay. Nel posto di sempre.»

«A giovedì, Mamoru-san!»

«Ciao, Rei-san.»

Riattaccò, stranito e al contempo di umore più leggero.

Passare un paio d'ore con una persona normale gli avrebbe fatto bene. Forse.

 

Il giorno successivo non si mosse di casa per tutta la mattina.

Era uno straccio. Aveva dormito sì e no altre due ore durante la notte. Stare sdraiato a letto non aveva fatto altro che intensificare il flusso dei suoi pensieri. Più pensava, più la sua testa si riempiva di domande e preoccupazioni.

Ormai sentiva di essere stato troppo ottimista all'inizio.

Era una creatura sovrannaturale. Lo era diventato, o era nato così? Aveva ereditato quelle capacità dai suoi genitori?

Loro erano davvero morti in un incidente? Era un caso che lui avesse perso la memoria dei suoi primi sei anni di vita?

Forse si era reincarnato. I sogni a cui faceva visita sapevano tanto di ricordi.

Se stava vivendo una seconda esistenza, perché la prima tornava a reclamarlo? Non poteva lasciarlo in pace, a vivere il suo futuro? Lui si era a malapena retto in piedi sulle proprie gambe da solo.

Non è vero.

O forse sì, era vero. E gli costava ammetterlo.

Comunque, andando verso l'avvenire a cui lo conduceva Tuxedo Kamen, dove sarebbe finito? Sarebbe stato coinvolto in battaglie ancora più grandi? Quanto ancora avrebbe dovuto rischiare?

Non gli dispiaceva fare l'eroe, ma se lui pensava al bene del mondo, chi avrebbe pensato a lui? 

Seduto sulla panchina del parco, era rimasto a fissare il suolo per ore, fino a che non aveva visto la sua ombra china stagliarsi sulla superficie di ghiaia. Il tempo sembrava non avere più alcun significato.

Alle sua spalle comparve una persona - la testa piccola e rotonda sormontata da due odango. L'ombra di Usagi Tsukino non si mosse per alcuni secondi, poi iniziò a dondolare da un lato all'altro, puntandolo a ripetizione col dito, come se stesse parlando con lui.

Riducendo gli occhi a due fessure, Mamoru si voltò. 

Lei sobbalzò sul posto, urlando. 

Il suono gli trapassò il cranio. «Che vuoi?» domandò cupo. Non aveva tempo per i giochi.

«Che spavento! Sempre di buon umore, eh?» Nel vederlo in viso, nello sguardo di lei comparve un lampo di confusione - poi di commiserazione.

Il mal di testa di Mamoru stava aumentando. «Cosa facevi alle mie spalle?»

«Volevo prenderti in giro. Non mi veniva la battuta giusta.»

Involontariamente - inaspettatamente - gli venne da sorridere. «Perché sei lenta.»

«UAAARGH! E tu sei antipatico! Basta, me ne vado!»

Quando iniziò a marciare via, lui percepì un istantaneo senso di solitudine. Meritava di non avere nessuno accanto, poiché in fondo, quando era sincero, era solo caustico e cattivo.

«Usagi» mormorò senza pensare.

Gelandosi sul posto, lei si girò. 

Era la prima volta che la chiamava per nome?

«Scusa» le disse, osservando l'altalena per bambini al centro dello spiazzo. «A volte mi viene e basta. Essere così, intendo.»

Non udì risposta e pensò che lei non l'avesse sentito. Andava bene lo stesso: lui aveva solo cercato di non spandere altra miseria intorno a sé. 

Con una sfilza di passi rapidi, Odango tornò davanti a lui. «Va' a casa.»

Eh?

Rialzò la testa e le spalle, fissandola.

«Fatti una dormita!» proseguì ad ordinare lei, irritata.

Lui non seppe come rispondere.

Ma Odango non aveva finito e agitò un dito in aria. «Riposa, mangia bene e ripigliati! Accetterò le tue scuse quando saranno sincere, ora sembri solo un cadavere che parla! AH! Mi è venuta la battuta giusta! È che prima non aveva visto la tua faccia, hai due occhiaie da panda. AH! Un altro insulto, alla fine oggi sono in gran forma!»

Attonito, lui riuscì a stento a boccheggiare.

«Torna in forma anche tu» proseguì Odango, posando imperiosa le mani sui fianchi. «Così sarà un duello ad armi pari!»

Mamoru non aveva ancora detto una parola.

Lei iniziò a vacillare. «Okay?» Indietreggiò di tre passi, come si aspettasse un suo contrattacco. «Okay?» ripeté di nuovo, da cinque metri di distanza.

«Okay» bofonchiò lui.

Lei esplose in un sorriso. «Al prossimo scontro!» urlò. Trotterellò felice lungo la stradina che conduceva fuori dal parco.

 

Riposa, mangia bene e ripigliati.

Non seppe perché quelle parole gli si fossero stampate in testa, ma spense il cervello e si diresse a casa.

Preparò una zuppa di pollo, rimanendo a fissare la fiamma che ardeva a mente sgombra, fino al completamento del piatto.

Mangiò in silenzio, concentrandosi sul sapore del cibo.

Lavò i denti, mise il pigiama. 

Si infilò a letto, adagiò la testa sul cuscino.

Il sonno lo reclamò senza sforzi.

  

18 - Involontariamente premurosa - FINE
   


   

NdA: Credevo che sarei corsa a parlare dell'episodio 28, invece mi sono focalizzata su Mamoru che scopre di essere Tuxedo Kamen nell'episodio 26 e mi è venuto da scrivere molto più di quanto avevo anticipato!

Mi fa così pena questo ragazzo! Spero di essere riuscita a farvi percepire la sua confusione e solitudine, nonché il motivo per cui Usagi lo influenza in modo positivo, anche solo con poche parole.

Gliel'ho fatta chiamare per nome!!

Ho deciso di anticipare il momento perché nell'anime originale, nell'episodio 28, lui la chiama già Usagi. Lo fa con una disinvoltura che lasciava pensare che avesse già usato il suo nome, anche se probabilmente non la chiamava Odango, per una volta, perché la situazione era lievemente 'seria' (Usagi per una volta lo stava accusando di qualcosa che non era campato per aria, quindi lui le si rivolgeva come un'adulta).

L'episodio 28 è quello dedicato alla pittrice e ci sono talmente tante opportunità di interazione tra Usagi e Mamoru che le mie dita fremono al solo pensiero! 

Fatemi sapere se vi è piaciuto questo pezzo!

   

Elle


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