Film > The Avengers
Ricorda la storia  |       
Autore: e m m e    31/01/2022    2 recensioni
Quando scopre la possibile esistenza di un serial killer che abbandona cadaveri in giro per la sua città, Spider-Man inizia ad essere ossessionato dall’idea di trovarlo. Ha così inizio una caccia senza tregua per cui Peter non è psicologicamente pronto né tecnicamente preparato, e per la quale l’unico supporto incondizionato lo riceve dall’unica persona che è sempre stata pronta a darglielo: Deadpool.
Peccato che, per i due vigilanti, gli anni di lotta inizino a farsi pesanti, le spalle a piegarsi, le ragnatele a spezzarsi, i sentimenti a sfilacciarsi e il cuore… a non reggere.
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Deadpool, Peter Parker/Spider-Man
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Fandom: Spider-Man (Tom Holland films), Deadpool (Any verse), X-Men, MCU in generale comprese alcune serie di D+. Un gran mischione, insomma.

Titolo: Lividi sui gomiti

Personaggi: Spider-Man, Deadpool, Daredevil, Ned Leeds, Sam Wilson, Bucky Barnes, Weasel, varie altre comparse

Coppia: Spider-Man/Deadpool

Rating: Arancione tendente verso il Rosso per un bel po’ di gore, splatter e gente che muore male

Words: 50k circa

Generi: Romantico, Giallo, Mystery, Introspettivo, Avventura

Avvisi: Questa storia si ambienta parecchi anni dopo la morte di Tony Stark, ma non tiene conto né di Far From Home, né di No Way Home. In realtà è un bel mix di varie cose, dato che ci ho infilato un Deadpool nato principalmente dalla mia psiche, e sappiamo tutti che dove va Deadpool ovviamente compaiono gli X-Men. Quindi bho, forse ho dato alcune cose per scontate, ma ormai è troppo tardi. Ciao. LOL

Note: C’è una playlist per questa storia che si trova qua. Il titolo di ogni capitolo è preso da una canzone che è presente nella playlist, perché mi drogo male e non faccio altro che ascoltare questa roba da mesi. Obsessive much? Inoltre, ormai sono abbastanza convinta che quasi tutte le canzoni dei Måneskin abbiano un subtex Spideypool. Cosa vogliamo fare?

 
 
Lividi sui gomiti
 
E allora prendi la mia mano bella señorita
Disegniamo sopra il mondo con una matita
Resteremo appesi al treno solo con le dita
Pronta che non sarà facile, è tutta in salita
E allora prendi tutto quanto
Baby prepara la valigia
Metti le calze a rete e il tacco
Splendiamo in questa notte grigia

Amore accanto a te
Baby accanto a te
Io morirò da re

 
Morirò da re, Måneskin
 
  1. And when your fantasies become your legacy, promise me a place in your house of memories
Avvolto nel caldo rassicurante delle sue coperte, Peter Parker cercava con disperazione di dormire. Aveva calcolato di avere poco meno di tre ore a disposizione prima di doversi alzare e andare al lavoro, ma il sonno lo eludeva come ormai succedeva da settimane. Ned gli aveva suggerito di prendere dei sonniferi o roba del genere (le esatte parole erano state «O risolvi questo casino, oppure inizi a drogarti»), ma il metabolismo accelerato di Peter non avrebbe mai concesso la benedizione di un sonno indotto. Di risolvere “quel casino” invece… be’, Peter non sapeva bene da dove iniziare.

Si limitava ad arrovellarsi, quindi, cercando di calcolare con precisione il momento esatto in cui tutto era iniziato. Dopo giorni passati a rimuginare e a darsi dell’idiota in tutte le accezioni possibili della parola, aveva capito che la vita di Spider-Man (e conseguentemente la sua vita) aveva iniziato a scivolare lentamente nella fogna un giovedì di quasi sei mesi prima, un giovedì che avrebbe volentieri cancellato per sempre dalla memoria.

All’epoca Spider-Man sedeva sul cornicione di un grattacielo, la notte ribolliva attorno a lui e il caldo estivo aveva recentemente assalito New York senza lasciar tregua a nessuno. Nonostante la brezza leggera, sotto il suo costume la pelle di Peter era coperta da un lieve velo di sudore che asciugava lentamente. L’eroe aveva passato buona parte delle ore precedenti a spostarsi di palazzo in palazzo, lanciandosi nel vuoto con abbandono, concentrandosi sulla familiare sensazione di strappo allo stomaco e poco altro. Quando i muscoli avevano però iniziato a tremare e la sua vista ad appannarsi, Peter aveva rallentato la corsa folle in cui si era lanciato e, senza la minima sorpresa, si era trovato seduto su quel tetto particolare, al centro esatto di Manhattan. Persino a quell’altezza il suo olfatto riusciva a percepire l’odore nauseante dei fiori che marcivano lentamente nel tepore della notte.

Avrebbe davvero voluto una birra.

Con un sospiro esausto lasciò dondolare le gambe nel vuoto come un bambino troppo cresciuto e cercò di concentrarsi sul rombare distante del traffico, che nemmeno a quell’ora accennava ad attenuarsi.

I suoi sensi di ragno si stiracchiarono. Non si trattava di un avvertimento o di un imminente pericolo in arrivo: si limitavano a ricordargli pigramente che quel posto non era tra i suoi preferiti. Stringendosi nelle spalle il giovane eroe cercò di non pensarci e puntò gli occhi sulla gigantesca figura rosso-oro che troneggiava di fronte a lui, spalmata sulla parete di uno dei grattacieli più imponenti della città. L’artista (rimasto anonimo tutti quegli anni) non aveva perso tempo a dipingere il volto di Tony Stark, ma la maschera inespressiva di Iron-man stava proprio all’altezza degli occhi di Peter. Meglio così, aveva sempre pensato lui, che continui a restare un simbolo e nient’altro.

Sospirò di nuovo, immaginando una birra ghiacciata stretta tra le dita, la bottiglia gocciolante, il sapore amaro sulla lingua. Erano trascorsi parecchi anni, eppure la sensazione di vuoto e lutto era esattamente la stessa.

«Stai diventando prevedibile, Spidey!» lo raggiunse la voce cupa e graffiante di Deadpool. Dal tono e da una lieve accelerazione del respiro, Peter fu abbastanza sicuro che Wade avesse scalato il palazzo, oppure fatto le scale quasi di corsa.

«Ti ho sentito arrivare dieci minuti fa» rispose senza alcuna sorpresa, la voce accuratamente neutrale.

Wade emise una risatina allegra. «Si chiama barare, Spidey! Troppo facile usare il ragnetto istallato nella tua bella testolina.»

Udendo i passi pesanti di Wade avvicinarglisi alle spalle, Peter sorrise sotto la maschera. Il ragnetto, come lo chiamava Wade, o meglio i suoi sensi potenziati, non l’avevano mai una volta avvertito della presenza o dell’arrivo del mercenario. Nemmeno nei primi tempi della loro conoscenza, nemmeno quando Wade sguainava le sue katane o toglieva la sicura al suo apparentemente infinito set di pistole. Nemmeno quando Peter era stato talmente sopraffatto dal dolore per la morte di Tony, dalle ondate di mancanza così intense, che i suoi sensi avevano preso a registrare come nemico anche il più innocuo dei passanti. Deadpool, per quanto assurdo, non era mai stato una minaccia per Spider-Man.

Non che Peter glielo avesse mai detto: il mercenario era già abbastanza esaltato all’idea dell’amicizia che li legava e il ragazzo preferiva non fagli venire strane idee. E non fare venire a sé stesso altre strane idee.

Pesantemente e accompagnato da un gran clangore metallico, Wade si accomodò proprio accanto a lui, tanto vicino che le loro cosce di sfioravano. Peter non ci fece caso e si concentrò sull’oro dell’elmo di Ironman, che brillò di fronte allo sfareggiare rapido di una macchina di passaggio. Per un attimo sembrò che il supereroe defunto volesse far loro un occhiolino.

Senza dire altro, Wade estrasse dal nulla un cartone di birra, se lo piazzò in grembo e ruppe la carta che teneva assieme le bottiglie bagnate di condensa.

Spidey scosse appena il capo, lo stomaco pieno di inopportuno affetto mescolato a un senso di perdita che faceva eco all’antico dolore della perdita di Ben. Wade sollevò la maschera sopra al naso, mostrando il solito sorriso irriverente che Peter si limitò a scrutare di sbieco, attraverso le lenti appannate della maschera di ragno.

L’altro si portò una bottiglia alla bocca e la stappò mordendo il tappo coi denti, come fosse la cosa più semplice e sana del mondo. Un piccolo fiume di schiuma gli bagnò le labbra ricoperte di cicatrici e un attimo dopo la bottiglia fu spinta tra le mani guantate di Peter.

Ci fu un secondo di quiete, seguito dal rumore inconfondibile di altre due bottiglie aperte con la sola forza delle mandibole di Wade e poi, di nuovo, straniante, il silenzio.

«Vuoi forse dirmi» fece Peter sentendosi leggermente a disagio, «che non hai un apribottiglie in quel tuo marsupio?»

Il sorrisetto storto di Wade non fece che aumentare, ma entrambi gli uomini mantennero gli occhi fissi sulla riproduzione gigante di Ironman. «Vuoi controllare, Pete? Non ho alcun problema a farti mettere le mani nel mio marsupio, se capisci cosa intendo.»

Peter si sfilò la maschera dalla testa, principalmente per far vedere a Wade che stava roteando gli occhi, ma il gesto fu abbastanza inutile quando la sua bocca decise di dire, con affetto mal nascosto: «So sempre cosa intendi, idiota!»

E davvero, Peter avrebbe dovuto imparare a dosare meglio le parole.

La maschera iperespressiva di Wade gli lanciò uno sguardo in tralice, ma evidentemente il suo possessore dovette giudicare la penombra abbastanza sufficiente da permettergli di imitare il gesto di Spidey e liberarsi a sua volta della maschera di Deadpool. Peter fece finta di nulla mentre il pezzo di spandex rosso e nero veniva appallottolato e messo al sicuro tra le cosce di Wade, sotto il cartone di birra mezzo distrutto. Di rado l’amico osava togliersi la maschera in pubblico, ma ormai quando erano insieme succedeva quasi sempre. Spidey immaginava che la maschera, per quanto utile, non fosse proprio il massimo per la pelle ipersensibile di Wade.

I sensi di ragno di Peter gli regalarono l’ennesimo brivido della serata, distraendolo spiacevolmente e obbligandolo a riportare l’attenzione su Tony Stark. Non succedeva spesso che il murales lo mettesse così a disagio, quindi aggrottò le sopracciglia, confuso.

«Alla tua, vecchio genio pazzoide!» esclamò Wade a quel punto. Peter sussultò per l’improvviso rumore, chiedendosi cosa mai gli stesse succedendo quella sera… notte…be’, ormai quasi l’alba, mentre con un gesto svolazzante della mano l’amico rovesciò una delle bottiglie, in un’imitazione un po’ esagerata dell’ultimo brindisi che si fa sulla tomba del caro defunto.

Peter lo squadrò con occhi spalancati, cercando di non farsi notare, seguendo le forme disastrate delle cicatrici che si fondevano con le ombre della notte, ma Wade stava fissando come ipnotizzato la piccola cascata di birra che ruscellava verso terra, in una lunga discesa che l’avrebbe portata a sfracellarsi al suolo venti o venticinque piani più in basso.

«Al signor Stark» gli fece eco il giovane dopo un attimo, facendogli segno di voler brindare con lui. Si guardarono per un attimo, occhi azzurri in occhi marroni, e poi Peter gli sorrise mentre i colli delle rispettive bottiglie si incontravano a mezz’aria.

«Ehi Pete, se sorridi così, a una ragazza potrebbero venire strane idee…»

Spider-Man aprì la bocca per rispondere a tono, quando per la terza volta i suoi sensi di ragno gli fecero sapere che in quel posto, in quell’intera situazione, c’era qualcosa che non andava. Deglutì, passandosi una mando dietro il collo. Il sudore gli aveva bagnato i capelli che gli solleticavano la fronte e le orecchie in lunghe ciocche umide. Avrebbe dovuto tagliarseli presto.

«Che c’è?» gli domandò Wade a quel punto, infilandosi in tutta fretta la maschera. «Guai in arrivo? Cattivoni da pestare? Una nonnina che deve attraversare la strada? Uno stupratore da evirare? Trump è nei paraggi?»

Peter si alzò in piedi, subito costretto a guardare verso il basso da qualche forza a lui incomprensibile. Assieme ai mazzi di fiori mezzi morti lasciati lì in occasione dell’anniversario della morte di Tony, il vicolo olezzava di spazzatura che era ammucchiata nella zona più lontana dalla strada principale: i bidoni vomitavano sacchi neri che si erano sparsi per terra, spaccandosi e riversando il loro contenuto marcescente sulla pavimentazione lurida. Persino nel buio Peter era consapevole di quanta schifezza ci fosse laggiù.

E c’era anche qualcos’altro.

«Spider-Man» lo richiamò Wade con un tono che disse a Peter che non era la prima volta che cercava di attirare la sua attenzione. «Che succede?». La voce di Deadpool aveva perso ogni inflessione giocosa, ogni voglia di scherzo, era la voce del soldato che un tempo era stato, dell’assassino prezzolato che ancora era. Peter ne fu stranamente rassicurato.

«Non lo so» rispose, cercando di scrutare nelle tenebre. «C’è qualcosa laggiù. Non mi piace.»

«Allora andiamo a controllare.» Durante quel breve scambio anche Wade si era alzato, le birre dimenticate, la mano sull’impugnatura di una pistola. «Ti seguo, Spider-Man.»

Senza attendere oltre, con la mano destra Peter lanciò una delle sue ragnatele, mentre con la sinistra si infilava di nuovo la maschera. Wade, per parte sua, saltò giù dal parapetto quasi immediatamente e il ragazzo roteò gli occhi, annoiato, costretto a lanciare subito un'altra ragnatela e ad arrestare la sua caduta nel vuoto mentre al tempo stesso lo seguiva.

«Non mi fai mai divertire!» si lamentò Wade qualche attimo dopo, mentre metteva i piedi a terra senza danni e Spider-Man atterrava con eleganza accanto a lui.

«Sai che non mi piace quando muori.» Era a malapena un eufemismo, ma Peter non elaborò oltre. Non era il momento e decisamente non era il luogo. Il vicolo era silenzioso e deserto. Tony Stark torreggiava su di loro come un antico dio pagano intento a giudicarli e in Spidey la sensazione di disagio e disgusto non fece che aumentare.

«Uuuuuh» esclamò Deadpool pochi attimi dopo guardando fisso alla sua destra, tra le fauci oscure dei cassonetti. «Cadavere!» aggiunse dopo un secondo, muovendosi rapido verso ciò che aveva appena intravisto.

Con un senso inquietante di vuoto allo stomaco Peter lo seguì passo passo, finché il suo naso non andò a colpire con dolore sull’elsa di una delle katane che DP portava ancorate alla schiena. Il ragazzo sbatté le palpebre, confuso, e subito iniziò a girare attorno alla figura improvvisamente immobile del mercenario, finché quest’ultimo non allungò un braccio per bloccargli l’avanzata.

«Meglio di no, bimbo.»

«Cosa?»

Deadpool gli scoccò un’occhiata brevissima. «Meglio se ti tiri fuori da… questo, credimi sulla parola.»

«Wade, non fare l’idiota!» esalò Peter con la voce più profonda e rilassata che riuscì a produrre. Non funzionò molto bene, ma pur con tutta la sua forza Wade non sarebbe mai riuscito a impedire a Spider-Man di andare dove voleva andare.

Fece un balzo, superando senza problemi il braccio teso del compagno, e atterrò con schiena incurvata e ginocchia piegate proprio sul coperchio di un cassonetto, cosicché si trovò a osservare l’intera scena dall’alto.

All’inizio ciò che aveva davanti agli occhi non gli raggiunse il cervello. La mente di Peter registrò il tutto come fosse un puzzle, ma rifiutandosi di accettare l’intera immagine: una mano dalle unghie rotonde, dipinte di smalto azzurro sbeccato in più punti; la testa, posata su quella che un tempo era stata una pagnotta di qualche tipo e che adesso ammuffiva nel vicolo, ironico cuscino per il riposo eterno. Lo stomaco incavato, nudo; le ginocchia sbucciate e piegate in direzioni diverse; i riccioli scuri e bagnati di una seconda testa, che coprivano pudicamente il sesso esposto della ragazzina. E poi l’incavo insanguinato dei petti; il seno acerbo e dilaniato, il costato spezzato per raggiungere il cuore, le ossa sporgenti, come se qualcuno avesse scavato con rabbia, con violenza inspiegabile, dentro ai corpi giovani, così piccoli rispetto a quella discarica a cielo aperto.

Erano due bambini, a malapena dei ragazzini. Nudi, abbandonati sul pavimento lercio, gli occhi sbarrati a guardare il cielo, le guance tonde macchiate di sangue. Qualcuno aveva strappato il cuore dal loro petto e li aveva scaricati lì, come fossero rifiuti.

Spider-Man aveva visto parecchie cose brutte nei lunghi anni passati a fare il vigilante. Parecchie cose ancora più brutte nel tempo passato a lavorare a fianco degli Avengers, ma in quel momento desiderò di aver dato retta a Wade, di essersi fidato della sua voce calma, familiare.

«Pete» lo richiamò quella stessa voce proprio allora.

Lui sollevò lo sguardo, senza rendersi pienamente conto di quanto a lungo aveva tenuto gli occhi fissi su quello scempio. In compenso Wade aveva gli occhi fissi su di lui e Peter poté quasi percepire fisicamente il livello di preoccupazione che la massa rossa e nera di Deadpool stava emanando.

Si schiarì la gola, incerto rispetto a ciò che avrebbe detto. I riccioli scuri della ragazzina gli ricordarono i capelli di Morgan, la bambina sorridente che lo trattava spsso come un fratello maggiore, e per poco non vomitò. L’odore del sangue gli invase le narici e gli graffiò le pareti della gola mentre parlò, senza preoccuparsi di mascherare il tono rotto che gli uscì fuori: «Io chiamo la polizia. Tu… tu dai un’occhiata in giro.» Trova i loro cuori, Wade. Come possono essere seppelliti senza il loro cuori? Per fortuna però non dovette aggiungerlo: Wade semplicemente lo capì, oppure era sempre stata sua intenzione. In ogni caso, aveva poca importanza.

Peter rimase nel vicolo fino all’arrivo della polizia, parlò con gli agenti come raramente si permetteva di fare, a meno che non fosse in missione per gli Avengers, lasciò la sua testimonianza, li aiutò come poté mentre sopra di lui, appollaiato a una finestra, Wade osservava la scena in silenzio.

Tre ore dopo, quando il sole era ormai alto e i corpi dei bambini senza cuore erano stati infilati dentro a sacchi neri senza luce, Spider-Man si trovò in un nuovo vicolo olezzante di marciume e piscio. Lì si avvicinò lentamente a uno degli angoli che ancora conservava qualche ricordo della notte appena passata, le ombre, il buio, il silenzio. Teneva la maschera stretta tra le dita, gli occhi pieni di lacrime e non si stupì affatto quando fu costretto a piegarsi in avanti e vomitare la magra cena della sera prima.

Passarono circa quattro secondi prima che Wade gli fosse accanto per tirargli indietro i capelli sudati, per accarezzargli la schiena col palmo della mano in lenti movimenti circolari.

Né la polizia, né loro due ebbero alcuna fortuna nel recuperare i cuori strappati dal petto dei due bambini.

Mesi dopo quella notte orribile che aggiungeva altro orrore al ricordo della morte di Tony, lo schermo del cellulare stava dicendo a Peter che gli restavano ormai solo due ore di sonno, ma il ragazzo sapeva bene che ormai qualsiasi speranza di mettersi davvero a dormire era pressoché inesistente così sbloccò il salvaschermo con l’impronta digitale, inserì il codice segreto e sussurrò il proprio nome con la cadenza giusta. Era il cellulare di Spider-Man e i protocolli di sicurezza erano abbastanza elaborati.

Per nulla stupito di non trovarvi alcun messaggio, Peter evitò la pugnalata di senso di colpa che minacciò di infilarglisi tra le coste e cercò in fretta tra le immagini salvate e scaricate. Quasi immediatamente trovò la foto che voleva. Le facce sorridenti di due bambini gli accecarono lo sguardo, il buio della stanza rischiarato dallo sfondo bianco di una giornata di sole in riva al mare.

Mark e Julia Spencer vivevano in foster care quando qualcuno aveva deciso di rapirli e ucciderli. Erano fratello e sorella ed erano conosciuti nell’ambiente per essere due bambini riottosi, difficili da gestire. Dato che Mark aveva quasi quindici anni, le autorità avevano pensato a una fuga volontaria e la polizia si era impegnata poco e male nelle loro ricerche.

Mark e Julia erano due tra le varie migliaia di orfani del blip: i loro genitori erano morti quando l’autista del pullman su cui viaggiavano era svanito nell’etere e il mezzo era volato giù dal ponte di Brooklyn. A detta degli assistenti sociali i bambini non si erano mai ripresi.

«Né si riprenderanno mai più» aggiunse Peter in un bisbiglio. Nella foto Julia sorrideva: le mancava l’incisivo destro e sembrava la bambina più felice dell’universo. Mark gli teneva la mano sulla spalla, protettivo. Sorrideva anche lui.

Erano passati più di cinque mesi da quella notte nel vicolo, ma Peter non aveva scoperto quasi niente. Non importava quante volte lui e Wade fossero penetrati nel dipartimento di polizia per ripulire i computer, non importava quante mazzette Wade avesse pagato per ottenere i risultati dell’autopsia e per parlare faccia a faccia col medico legale. Non importava nemmeno quante volte Peter avesse supplicato Capitan America di intervenire. Piccoli omicidi come quelli non interessavano agli Avengers. Piccoli omicidi come quelli non interessavano alla polizia. Piccoli omicidi come quelli non interessavano a New York.

A Pepper sarebbe importato, così come sarebbe importato a zia May, ma Pepper aveva una figlia di pochi anni da crescere e una compagnia multimilionaria da mandare avanti e zia May, be’, Peter non sarebbe mai stato così crudele da parlare con lei di due bambini massacrati in un vicolo.

Poi, finalmente, recentemente, quando Peter aveva iniziato a perdere le speranze, un altro cadavere era saltato fuori.

Sospirando, il ragazzo aprì il programma di messaggistica istantanea e cercò la conversazione. Era una chat di gruppo creata da Wade che il mercenario aveva rinominato #CappuccettiRossi e che contava un entusiastico Deadpool, un rassegnato Spider-Man e un quasi sempre assente Daredevil.

I messaggi non erano molti e a Peter occorse pochissimo tempo per trovare quelli incriminati. Rilesse la breve conversazione in cui Daredevil chiedeva se fossero interessati a un criminale che lasciava le sue vittime in giro senza cuore.

Spider-Man aveva risposto di sì. Matt aveva dato loro appuntamento per le tre di notte sul tetto di Hell’s Kitchen che usavano a volte per le collaborazioni e i rari pattugliamenti che svolgevano insieme.

Seguivano una serie di messaggi minatori di Wade che all’apparenza avrebbe preferito passare la notte a dormire, ma Peter non aveva risposto. Conosceva Deadpool da così tanto ormai che sapeva perfettamente quando l’altro usava l’umorismo per evitare di mostrare i suoi veri sentimenti.

Circa il novanta per cento del tempo.

In ogni caso, quell’incontro, quel piccolo rendez-vous di supereroi, antieroi e vigilanti dal costume rosso e dai volti scuri, segnava forse con più accuratezza il momento esatto in cui tutto, per Spider-Man, era andato definitivamente in malora.

 
 
Note: il titolo della storia è tratto dall'omonima canzone dei Måneskin, Lividi sui gomiti.
Il titolo del capitolo è invece tratto da House of Memories, dei Panic at the Disco
La storia è conclusa. Non sono molto soddisfatta del capitolo finale, quindi penso che lo allungherò e dividerò in due parti, ma in totale dovrebbero esserci tra gli 11 e i 12 capitoli per un totale di 50k circa.
Aggiornamento ogni lunedì, se riesco.
 
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: e m m e