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Autore: Zobeyde    03/02/2022    7 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IL LADRO DI INCANTESIMI

 



"And strange hunger haunted me,
the looming shadows danced..."


Far from Any Road , The Handsome Family
https://www.youtube.com/watch?v=nRq0jjJ2LvY&ab_channel=Horizon

 




«Hai già fatto colazione?» domandò Blake, chiudendo la porta d’ingresso.
Jim tirò su col naso e scosse la testa, rabbrividendo nei vestiti fradici. La colazione era l’ultimo dei suoi pensieri: il senso di colpa continuava a travolgerlo a ondate incessanti, mentre rivedeva davanti ai suoi occhi l’operaio che si contorceva a terra, gli sguardi spaventati dei suoi amici, l’espressione delusa di Arthur…
Per la seconda volta in vita sua aveva perduto la sua famiglia.
Gli veniva da vomitare.
La sua faccia doveva parlare da sé, perché il padrone di casa disse: «La tua stanza è al piano di sopra, terza porta a destra; troverai anche dei vestiti, cambiati e poi pensiamo a tutto il resto.»
Il ragazzo si trascinò su per le scale senza una parola, frastornato come dopo un incubo, come se la sua mente faticasse a discernere cosa fosse reale e cosa no. E il vuoto che gli lacerava il petto aveva raggiunto tali dimensioni che avrebbe potuto risucchiare ogni cosa…
Si fermò in cima al pianerottolo, travolto da un improvviso attacco di vertigini che gli tolse il fiato per alcuni istanti, inondando il suo campo visivo di puntini neri. Si sostenne al corrimano, accarezzandone il legno liscio; a poco a poco, il malessere si attenuò, anche se non passò del tutto.
Mai avrebbe pensato che la magione dei Winters potesse suscitare in lui un tale senso di sicurezza; era il luogo in cui aveva studiato ogni giorno negli ultimi sei mesi, in cui aveva provato frustrazione e fatica, ma anche infinite soddisfazioni legate alla magia. Ed era il luogo dove aveva conosciuto Alycia.
Alycia…era già andata via? Aveva una gran voglia di vederla, ma allo stesso tempo detestava che lei lo vedesse in quello stato…
Strinse con forza il corrimano.
Ho fatto la mia scelta. Da qui in poi non si torna più indietro.
Avrebbe dovuto compiere quel passo molto tempo fa, essere onesto con se stesso prima che con tutti gli altri: non avrebbe mai rinunciato alla magia e quanto successo quella mattina ne era la conferma. Il maestro glielo aveva sempre detto che per dominare i suoi poteri doveva dominare la propria Volontà e se erano sfuggiti in quel modo al suo controllo significava una sola cosa: non poteva più dividersi tra la vecchia vita e la nuova.
La stanza che Blake gli aveva assegnato era enorme, cavernosa e come il resto della casa rispecchiava la passione degli ex proprietari per i pesanti mobili di fine Ottocento, ma disponeva di un piccolo bagno personale. Sul letto faraonico erano piegati accuratamente asciugamani e vestiti nuovi di zecca: pantaloni di velluto, camicia di seta, cardigan verdone con collo sciallato e un paio di lucidi mocassini. Tutto gli calzava alla perfezione.
Mentre abbottonava i polsini della camicia, lo sguardo gli cadde sull’orologio che gli aveva regalato O’Malley per il suo compleanno e di nuovo la nausea minacciò di sopraffarlo. Lo sfilò e lo chiuse nell’ultimo cassetto del comodino.
Lasciò la stanza asciutto e vestito, ma prima di raggiungere il signor Blake al piano di sotto, indugiò sulla porta socchiusa di fronte alla sua.
Era la camera di Alycia. Lo capì subito dal morbido profumo di fiori e dalla moltitudine di piante esotiche che affollavano la scrivania di fronte alla finestra. La stanza però era vuota e immacolata, il che indicava che la ragazza avesse lasciato la magione da molte ore. Probabilmente in quel momento era ad Arcanta, dall’altra parte del mondo, già alle prese con la sua vecchia vita…
Sulla spalliera del letto era stato dimenticato un pullover bianco. Senza riflettere, Jim lo prese fra le mani e affondò il viso nella lana soffice, inalandone il profumo.
Patetico.
Le sue orecchie si scaldarono all’istante e lasciò il pullover dove lo aveva trovato.
Blake lo attendeva nella saletta della colazione, seduto di fronte a una tavola imbandita con biscotti, crostate e frittelle; stava appuntando qualcosa sul suo grimorio, ma quando si accorse di Jim fece sparire tutto con uno schiocco di dita. «Siediti, mangia qualcosa.»
«Non ho fame.»
«Lo so, ma hai bisogno di metterti in forze. E poi, Valdar si offenderà se non assaggi i suoi pancake.»
Jim prese posto e si sforzò di mandar giù qualche boccone; se quella sarebbe dovuta essere la sua casa per i giorni a venire, offendere l’orco non era certo una buona idea.
«Stamattina vorrei che tu mi accompagnassi in città» disse poi Blake, versandogli del succo d'arancia nel bicchiere. «C’è una persona che dovresti conoscere.»
«Uno strizza cervelli?»
«No, una parrucchiera.»
La risposta lo sorprese a tal punto che Jim restò con la forchetta sospesa ad alcuni centimetri dalla bocca. «Perché?»
«Perché è giunto il momento che ti metta al corrente degli affari che mi hanno portato a New Orleans.»
Jim era spiazzato. «Come mai lo ha deciso proprio adesso?»
«Perché le circostanze prima non lo permettevano.»
«Intende.» Jim si sentì stupido per non averci pensato subito. «Per via di Alycia?»
Blake bevve un sorso di té. «Per quanto la sua presenza fosse gradita, era anche un ostacolo: non potevo rischiare che i Decani usassero l’influenza che hanno su di lei per mettermi i bastoni tra le ruote. Meno ne sa e meglio è per tutti.»
Jim si accigliò. «Quindi Alycia aveva ragione, sta nascondendo qualcosa.»
«È una ragazza sveglia.»
«Sì che lo è» disse Jim arrabbiato, pensando all’espressione di lei mentre lo appendeva al muro. «Infatti ha già scoperto che le servo per qualcosa di illegale. Quindi, tutta questa sua montatura è stata inutile!»
«Di questo non devi preoccuparti: sa quanto basta. Non rappresenta una minaccia, per ora.»
«Una minaccia» ripeté Jim, con una smorfia. «E mi dica, di preciso, questi suoi affari quanto mi coinvolgeranno?»
«Abbastanza. Ma sei stato sufficientemente addestrato.»
Jim strinse con forza forchetta e coltello. «E quella bella storia sui vasi da riempire? Sul tramandare la conoscenza? Erano tutte balle?»
«Assolutamente no: ho tenuto fede ai miei impegni facendoti da insegnante, così mi aspetto che tu tenga fede a quelli che hai preso verso di me. Mi hai promesso fiducia e collaborazione, ricordi?»
Jim sbuffò con sufficienza. «Sì, ricordo.»
Blake guardò l’orologio. «Bene, l’auto è qui fuori che ci aspetta, partiamo subito.»
«Un momento» obiettò Jim. «Ho promesso che l’avrei aiutata, ok, ma ho il diritto di sapere qual è il mio ruolo nei suoi progetti.»
«Avrai tutte le informazioni necessarie a tempo debito» rispose Blake intascando l’orologio. «Ora gradirei che ci dessimo una mossa: il tempo stringe e trovare parcheggio in centro non sarà facile.»
 
 
La Rolls-Royce di Blake sfilò lungo le elaborate gallerie in ferro battuto del Vieux Carrè, immergendosi nel suo vivace miscuglio culturale; a quell’ora le vie del centro erano trafficate e animate di gente, ma riuscirono comunque a trovare un buco libero. Grazie a un tocco di magia, suppose Jim.
«Questa parrucchiera che vuole presentarmi» domandò il ragazzo, percorrendo insieme a Blake un tortuoso marciapiede ingombrato da banchetti di frutta e spezie. «Devo intuire che non sia una Mancante, no?»
«È la discendente diretta di Madame Paris Laveau» rispose il maestro, rivolgendo cenni di saluto ai negozianti, nessuno dei quali sembrò far caso al fatto che andava in giro con un corvo sulla spalla. «Una delle streghe più famose di New Orleans.»
«Ne ho sentito parlare» disse Jim: chiunque in città conosceva la leggendaria Regina del Vudù. «Ma cosa ha a che fare questa donna con noi?»
«Pare abbia ereditato alcuni particolari talenti da sua nonna» rispose Blake col suo solito, snervante fare misterioso. «Ed è la sola in grado di aiutarci. Oh, siamo arrivati.»
Si fermò di fronte a un negozio su Bourbon Street con ampie vetrate, dietro cui Jim scorse signore bianche e ben vestite che spettegolavano sedute in poltrona di fronte a una fila di specchiere, mentre alcune ragazze nere acconciavano loro i capelli o limavano le unghie.
Blake si lisciò i baffi incurvandoli all’insù e bussò alla porta con la testa di corvo del bastone.
«È passato un po’ di tempo dalla mia ultima visita» spiegò, nell’attesa. «Vent’anni o giù di lì. Mi auguro che si ricordi di me.»
La porta si aprì con uno scampanellio.
«Angeline!» esclamò lo stregone, sfoggiando un sorriso da seduttore.
Sì, quella donna si ricordava eccome di lui. E lo mise subito in chiaro sbattendogli la porta in faccia.
Prontamente, Blake infilò la punta del bastone nello stipite. «Non c’è bisogno di essere così scortesi.»
Seppur non giovanissima, Angeline aveva una magnifica pelle color bronzo, i capelli raccolti in un turbante bianco e una pipa piantata in bocca. Ma il suo sguardo era così infuocato che avrebbe potuto incenerirli seduta stante.
«Hai una bella faccia tosta a ripresentarti qui!» disse, soffiando con astio un getto di fumo dalle narici. «Non sei il benvenuto.»
«Si tratta di una visita veloce, non ti ruberò molto tempo...»
«Scordatelo» ringhiò lei, cercando di sbloccare la porta. «Uccellaccio del malaugurio che non sei altro! E poi, come vedi sono oberata di lavoro!»
«Suvvia, Angie!» intervenne una cliente con la testa piena di bigodini e un minuscolo barboncino in braccio. «Lascialo entrare, sembra un signore così per bene!»
«Sì dai, fallo restare!» squittì un’altra, sbirciando Blake da sopra una rivista. «Non capita tutti i giorni di mettere gli occhi su un tale bocconcino!»
Le altre clienti sghignazzarono in approvazione. Lo stregone rispose con un’accattivante strizzatina d’occhio che fece sospirare l’intero salone. Jim credeva di conoscere le mosse giuste con le donne, ma il suo maestro era un fuoriclasse: se fosse andato lì per vendere qualunque cosa quelle signore l’avrebbero comprata a occhi chiusi.
«Bah!» fece invece Angeline, fumando incollerita. «Con te è sempre la stessa storia. Da questa parte, seguimi. E smettila di distrarre le mie ragazze!»
Fece loro strada attraverso il salone, invaso da profumi di lacche e shampoo, oltre che da un vago sentore di capelli bruciati dal ferro, e poi dietro tendaggi di velluto consumati.
Jim non era mai stato nel retrobottega di un centro estetico, ma era certo che da nessun’altra parte avrebbe trovato roba simile: dal soffitto pendevano mazzi di salvia secca, maschere tribali riempivano le pareti e sugli scaffali erano allineati cristalli e idoli di terracotta con genitali sfacciatamente grandi, ma anche uccelli e opossum impagliati e barattoli al cui interno qualcosa di non identificabile galleggiava nella salamoia. E poi c’erano le teste, inquietanti, minuscole testoline umane legate per i capelli e con le palpebre cucite…
«Sono finte, vero?» chiese.
Angeline si fermò alle sue spalle. «Finte? Sono dovuta andare fino in Ecuador per procurarmele: ormai solo gli Shuar preparano le tsantsa come si faceva una volta!»
Il ragazzo represse un conato e si allontanò immediatamente. «Ehm…e quelli che sono?»
Stava indicando delle statuette di cera maschili e femminili poste in maniera frontale su una base d’argilla. Angeline sorrise con astuzia. «Di quelli ne vendo un sacco: servono per tessere sortilegi d’amore. C’è per caso una fanciulla che vorresti legare a te per sempre, giovanotto?»
«Io? No, no…ehm, ero solo…»
Lei scoppiò a ridere e gli arruffò i capelli con un po’ troppo vigore. «Oh, ma certo che c’è!»
«Credevo ti fossi sbarazzata di questa roba» disse Blake, studiando l’ambiente con distaccato interesse.
Angeline lo fulminò con lo sguardo. «Di questi tempi bisogna pur tirare avanti: con la Crisi il salone non fa più affari come un tempo e ho delle dipendenti da pagare. Diversifico, tutto qui.»
«Rifilando ai Mancanti cianfrusaglie e spacciandole per magia.» Blake scosse la testa. «Non credo che Marie approverebbe.»
Gli occhi neri di Angeline tornarono ad accendersi di collera. «Non pronunciare il suo nome. Non ne hai il diritto dopo ciò che le hai fatto!» Puntò il dito verso una parete, dov’era affisso un dipinto circondato da candele, incensi e fiori, che Jim all’inizio non aveva notato in mezzo a tutta quella roba esposta: raffigurava una splendida donna dalla carnagione bruno rossastra, con lunghi capelli neri e occhi scurissimi, luminosi e fieri.
«Lei si è fidata di te e tu l’hai ingannata» disse Angeline fissando torva Blake. «Le hai sottratto ciò che aveva di più prezioso. Dopo tutto quello che ha fatto per questa città, per la nostra gente!»
«Tua nonna ha fatto una scelta» replicò lo stregone, ma sembrava che i suoi occhi non riuscissero a sostenere quelli ardenti di lei. «E all’epoca io avevo un compito da svolgere.»
«Eri un ladro» soffiò Angeline. «E lo sei ancora! Quanti altri maghi hai imbrogliato e derubato in questi anni? Quante altre vite hai rovinato per servire Arcanta?»
«Di che parla?» intervenne Jim, guardando incredulo il maestro.
Angeline scosse piano la testa. «Lascia che ti dia un consiglio, ragazzo: non fidarti di quest’uomo, è il Diavolo incarnato. E proprio come il Diavolo si approfitta sempre di chi è solo e disperato.»
«Angeline…» disse Blake, ma lei lo zittì con un brusco cenno della mano.
«Immagino non ti abbia parlato dei suoi trascorsi» continuò, senza smettere di guardare Jim. «Di come è riuscito a diventare l’Arcistregone dell’Ovest, no? Be’ lascia che ti racconti una storia allora:
 
Accadde una notte di moltissimi anni fa.
Marie era figlia di schiavi, e come tutti i nati schiavi aveva un solo destino da seguire: spaccarsi la schiena sotto il sole nelle piantagioni dei bianchi, fino alla vecchiaia, finché, allo stremo delle forze, non fosse crollata su quella stessa terra che aveva da sempre coltivato. Ma Marie era una donna dall’animo fiero e con un grande cuore: interveniva in difesa dei suoi compagni, si faceva carico del lavoro dei più deboli e dei malati. Non aveva mai paura di guardare in faccia l’uomo bianco e dire ciò che pensava e per questo veniva punita, frustata, lasciata a marcire per giorni in un pozzo buio senza cibo. Ma lei si rifiutava di imparare la lezione e capì che l’unico modo per far sì che i suoi padroni la ascoltassero era fare in modo che avessero paura di lei. Così iniziò a coltivare il suo potere: sapeva di averlo ereditato dai suoi antenati ma era rimasto a lungo assopito, a furia di umiliazioni e percosse. Non capiva ancora come funzionasse, sembrava agisse in maniera autonoma quando la rabbia prendeva il sopravvento: le forze della natura si scatenavano intorno a lei quando digrignava i denti e stringeva i pugni e a volte artigli invisibili colpivano i suoi aguzzini mentre la punivano.
Si sparse la voce che la schiava Marie era una strega. E il padrone decise di farla sparire.
La presero di notte, abbigliati con strane vesti bianche e i volti nascosti da cappucci a punta. La portarono sulle rive di un canale al limite della proprietà, in mezzo a un cerchio di croci infuocate. Marie era accecata dal terrore e dalla rabbia, ma quegli uomini avevano avuto l’intuizione di legarle le mani prima di costringerla a immergersi nelle acque gelide del fiume. La tennero con la testa sotto per molti secondi, finché non smise di dibattersi.
Marie era priva di sensi, in un limbo tra la vita e la morte, quando udì per la prima volta la voce di Solomon Blake: “Lasciate andare quella donna.”
Apparve dal nulla, come un miraggio: era giovane, bello e allo stesso tempo spaventoso come il Baron Samedi. I suoi occhi brillavano come se avesse l’Inferno dentro.
Con un solo gesto fece scoppiare il cuore agli uomini che avevano provato ad affogare Marie e poi la soccorse. La donna vomitò l’acqua che le invadeva i polmoni, tornò a respirare e chiese al suo salvatore in che modo sdebitarsi.
Mentre rimontava a cavallo, lui disse solo: “Prenditi cura del tuo potere, fallo crescere: cerca una donna libera che si fa chiamare Mama Zouzou, vende dolciumi davanti al Cabildo, lei ti insegnerà. Diventa ciò per cui sei nata. E poi.”
Indicò in lontananza, verso la grande casa circondata da querce di Donald Sugarman Winters. “Brucia questo posto in nome del Corvo Bianco.”»
 
«Winters?» ripeté Jim, sbalordito. «Cioè Marie Laveau lavorava nella sua piantagione?»
Gli tornò in mente la storia che quel bulletto di Donnie gli aveva raccontato prima di tentare di affogarlo a sua volta, della schiava annegata nel canale: forse a lui avevano riferito una versione leggermente diversa, ma Jim e Marie Laveau avrebbero subito la stessa sorte se Solomon Blake non avesse salvato entrambi.
«I nipoti del vecchio Sugarman provvidero a ricostruire la magione agli inizi del Novecento» spiegò lo stregone. «Ma quando l’ho comprata all’asta era in bancarotta: dopo averle dato fuoco e aver liberato tutti gli schiavi, Marie maledisse la proprietà perché non vi crescesse più niente.»
«E poi?» chiese Jim. «Che ne è stato di lei?»
«Fece ciò che il tuo maestro le aveva consigliato» disse Angeline, accigliata. «Divenne allieva delle ultime regine del vudù di New Orleans, e quando morirono prese su di sé la loro eredità. Sposò un nero libero e iniziò a lavorare come parrucchiera proprio qui, a Bourbon Street. Ma nel frattempo si diede da fare per rimediare alle ingiustizie a cui assisteva ogni giorno, usando i suoi poteri. Imparò molto, scrisse molto e cercò di creare a sua volta una scuola…finché il Corvo Bianco non tornò a trovarla per pretendere il pagamento di un vecchio debito.»
Jim si volse immediatamente a guardare Blake. «Cosa le ha fatto?»
«Quello che mi era stato ordinato di fare» rispose lui, lo sguardo fisso sulle sue dita che stringevano il pomo del bastone. «Le ho sottratto il sapere magico, tutto ciò che aveva scritto e che ricordava riguardo la magia, in modo che non potesse tramandarlo ad altri. E l’ho trasmesso alla biblioteca di Arcanta.»
Angeline serrò i pugni lungo il corpo.
«Arcanta ha sempre desiderato solo una cosa: avere il pieno controllo sulla magia esistente nel mondo» spiegò. «E per ottenerlo i Decani sono disposti a tutto, anche a servirsi di uomini come il tuo maestro, esperti nell’ingannare e manipolare le persone! Con tutti i lavoretti che hai svolto per loro non mi meraviglia che tu abbia fatto carriera in fretta.»
«Lavoro da solo ormai» rispose Blake, puntando finalmente su di lei il suo sguardo luminoso. «Mi sono lasciato alle spalle la vecchia vita e sto cercando di fare ammenda. Per questo sono qui: ho un conto in sospeso con la tua famiglia e intendo ripagarlo, sempre se vorrai ascoltare la mia proposta.»
Angeline socchiuse gli occhi. «Conosci già la risposta, non voglio avere niente a che fare con i tuoi folli progetti. L’ultima bastonata che hai preso non è stata sufficiente? Quando sei stato vomitato fuori dal mio specchio moribondo..?»
«Stavolta è diverso. Non sono solo.»
Angeline misurò Jim dalla testa ai piedi. «A questo punto immagino che vorrai continuare la conversazione in privato.»
Jim temeva che sarebbe arrivato il momento in cui lo avrebbero tagliato fuori dai giochi, proprio adesso che la faccenda si stava facendo interessante.
Supplicò Blake di farlo restare, ma lui scosse la testa con fermezza. «Aspettaci qui, non ci metterò molto.»
«Se dovete parlare di me ho il diritto di assistere!» protestò lui, ma Blake e Angeline lo ignorarono deliberatamente, chiudendosi in una stanza in fondo al retrobottega con affissa la targa “Ufficio della direzione”.
Jim sapeva che sarebbe stato inutile, ma provò ugualmente ad aprire la porta, senza riuscirci. Anche appoggiarvi l’orecchio non portò a niente: dovevano aver insonorizzato la stanza.
Sbuffò con frustrazione, ma poi gli venne un’idea.
Da quando Lucia lo aveva cacciato non aveva più riprovato ad attraversare gli specchi, ma prima che la porta si chiudesse era sicuro di aver intravisto un vassoio d’argento sul fondo di una credenza: sembrava talmente lucido da potercisi riflettere.
Individuò un altro specchio nel retrobottega, piccolo e rotondo, appeso proprio dietro di lui.
Staccò lo specchio dal muro e vi accostò il lato della faccia, concentrandosi sul gemello nell’ufficio. La superficie fredda si increspò, inghiottendo completamente il suo orecchio.
Era fatta. Jim riconobbe immediatamente la voce di Angeline, ovattata dalla vetrina della credenza:
«…ti stai avventurando su un sentiero pericoloso e trascinerai con te quello sfortunato ragazzino!»
Jim deglutì, facendosi attento.
«Sono molto più cauto di quanto ero in passato. E come sai, non ho alternative.»
«Me lo hai portato perché lo valutassi, no? Vuoi sapere se è pronto.»
«Lo è?»
«È difficile stabilirlo a un’analisi così superficiale, mi occorrerebbe un campione di tessuto più consistente. E poi sono anni che non faccio pratica.»
«Strappargli un capello mentre è distratto è un conto, fargli un prelievo di sangue sarebbe stato più complesso, non credi?» replicò Blake. «E poi so che di tutte le tue sorelle sei l’unica ad aver conservato un po’ del potere di tua nonna.»
Scioccato, Jim si portò una mano ai capelli, che poco prima Angeline aveva spettinato bruscamente: era stato allora che doveva avergli preso il famoso “campione”.
Quella storia non gli piaceva per niente.
Sentì la donna sospirare. «È instabile, diviso nel profondo. Ed è attratto dal potere.»
«Come tutti.»
«Sì, ma tu più di altri dovresti sapere quanto è pericoloso.»
«Non commetterò due volte lo stesso errore.»
Angeline proruppe in una risata sarcastica. «Voi uomini dite tutti così!»
«Limitati a rispondere alla domanda» disse Blake; la sua voce era distesa, ma Jim ebbe l’impressione che stesse trattenendo con fatica una forte agitazione. Era impaziente.
Un altro sospiro da parte di Angeline. «Cosa vuoi che ti dica? Sì, è pronto. Ma questo non significa che sia un bene. E comunque ti manca ancora un pezzo importante per completare il rituale.»
«Pezzo che confido tu mi aiuterai a ottenere.»
«Nessuna strega o mago vivente può aiutarti» disse Angeline, asciutta.  «L’incantesimo che cerchi è andato perduto, non ne esistono tracce. E poi, io cosa ci guadagno a darti una mano?»
«Quello che hai sempre desiderato.»
«Non sei certo il primo ad avermelo promesso. E scusa tanto, ma ho molte più ragioni di credere a lei piuttosto che a te.»
«Lei non può far nulla nelle condizioni in cui è. Io invece sì.»
Jim sentì un rumore di unghie che battono sul legno. «E che mi dici dei suoi Zeloti? Ho sentito che si sono rimessi in azione.»
«Gli Arcistregoni di Arcanta danno loro la caccia, non si azzarderebbero a uscire allo scoperto in questo momento. Angeline, so cosa Lucindra ti ha promesso ma credimi, non è la strada giusta per ottenerlo. Il Vuoto toglie molto più di quello che offre.»
«Ho già aspettato troppo a lungo, Corvo Bianco» sbottò la donna. «Se l’Eretica è davvero in grado di riportare la magia nel mondo, di ridare a me e alle mie sorelle il potere, perché dovrei accontentarmi delle tue parole? Lei almeno ha fatto qualcosa di concreto e il ragazzo che mi hai portato ne è la conferma!»
«Lasciamo Jim fuori da questa storia» replicò Blake, spazientendosi appena. «L’ultima volta mi hai chiesto una prova che non ti sto ingannando. Te l’ho portata.»
Un fruscio di stoffa fece intuire a Jim che stesse sfilando qualcosa dalla tasca.
Staccò momentaneamente l’orecchio dallo specchio e vi immerse invece gli occhi. Sbatté più volte le palpebre, ma attraverso il vetro riuscì a mettere a fuoco uno strano ufficio pieno di parrucche e poi Blake e Angeline seduti l’uno di fronte all’altra alla scrivania; la donna occupava una poltrona a orecchie di elefante e attorno allo schienale era avvolto un enorme serpente, la testa triangolare sollevata e la lingua guizzante.
Lo stregone stava porgendo alla maga un libro.
Jim a quel punto immerse tutta la testa, per poter ascoltare oltre che vedere: sembravano così presi dalla conversazione che difficilmente avrebbero spostato l’attenzione sulla cristalliera.
«Lo riconosci?» chiese Blake.
La bocca di Angeline fremette. «É…è il suo grimorio.»
«Con tutte le formule e i segreti della Regina del Vudù di New Orleans» confermò Blake, annuendo. «Tua nonna era una maga brillante.»
La donna prese il libro con mani tremanti.
«Come hai fatto?» disse in un soffio. «Portare via dalla Biblioteca di Arcanta un libro è impossibile!»
«Personalmente ho sempre letto quella parola come una sfida.»
«Significa che ne hai presi altri?» Angeline era incredula. «Hai portato via altri testi da Arcanta?»
«Sì e sto provvedendo a ridistribuire il sapere che ho sottratto negli anni, un poco alla volta.» Blake sospirò, accarezzando le penne di Wiglaf. «È diventato più difficile, ho scoperto di avere anche io gli Arcistregoni alle costole.
Sto agendo con più prudenza, ma pian piano restituirò a questo mondo la magia. Solo che a differenza di Lucindra non ho intenzione di sacrificare nessuno per riuscirci.»
Angeline accarezzò la copertina consumata del libro, guardandolo con lo stesso sguardo commosso di un genitore che accoglie il figlio a lungo perduto.
«Grazie.»
Blake inclinò in avanti il capo.
Angeline a quel punto si alzò dalla poltrona e Jim ebbe paura che venisse verso la credenza. Invece, aprì un armadio e ne tirò fuori qualcosa.
«Un dono per un dono. Tieni, mi auguro che tu sappia quello che fai.»
Diede a Blake quello che sembrava uno scrigno.
«Qui dentro troverai il necessario per ottenere le informazioni che cerchi» spiegò Angeline. «Mia nonna non approverebbe che te lo consegnassi: ha seminato troppo dolore tra la mia gente. Ma anche tu hai infranto una promessa restituendomi il suo grimorio, perciò…»
«Ne farò buon uso, non temere. E quanto a Marie, non offenderò più la sua memoria e ciò che ha fatto.»
«Me lo auguro per te.» Angeline recuperò l’atteggiamento sprezzante. «Perché se così non fosse, ti darò in pasto al vecchio Zombie personalmente.»
Il grosso serpente fece scattare le fauci portentose in segno di avvertimento.
Blake si alzò dalla sedia e Jim capì che la conversazione era terminata. Riemerse dallo specchio e lo posizionò in fretta sulla parete.
In quell’istante, la porta si aprì.
«Ti sei annoiato?» domandò Blake uscendo.
Jim raddrizzò la cornice dello specchio col dito. «Ho messo un po’ d’ordine in giro.»
«Che caro ragazzo» commentò Angeline. «Bene, è stata una visita piacevole: mi auguro di non rivedervi mai più da queste parti.»
«La tua ospitalità rimarrà leggendaria, Angie» replicò Blake ammiccando. «Oh, se ti capita…fa’ una visitina a Donald Winters III: lui e suo figlio stanno alzando un po’ troppo la cresta ultimamente. Hanno bisogno di una lavata di capo.»
Angeline sogghignò. «Adesso che posso tornerò sicuramente a trovarli.»
Terminati i saluti, Blake e Jim lasciarono il negozio e si ritrovarono di nuovo in strada.
«Come è andata?» domandò il ragazzo, simulando un blando interesse.
«Meglio di quanto mi aspettassi.» Blake tirò fuori dalla giacca lo scrigno di legno di Angeline: era poco più di un portagioie, intagliato con strani simboli e croci.
«Che roba è?»
«Il nostro biglietto d’accesso per l’Oltretomba» rispose Blake. «Andiamo a trovare un fantasma.»



** Piccola precisazione***
 

La storia di Marie Laveau è molto diversa da quella che ho presentato qui: in realtà non era affatto una schiava, ma una donna libera di sangue africano, europeo e indiano. La versione che ho deciso di proporre è ispirata alla sua vita, ma fortemente rimaneggiata a fini di trama.

  
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