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Autore: Koa__    03/02/2022    12 recensioni
Dopo che suo padre Orvoloson e suo fratello Orfin vengono portati ad Azkaban, la giovane Merope assaggia i suoi primi scampoli di libertà che sfioriscono non appena si rende conto che la solitudine porta con sé un drammatico contraltare. Ed è allora che Merope vede nel giovane Tom Riddle, che già ha attirato la sua attenzione con la sua elegante bellezza, una via di fuga alla disperazione.
"Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2023 indetti sul forum Ferisce la penna"
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merope Gaunt, Orfin Gaunt, Orvoloson Gaunt, Tom Riddle Sr.
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Lavanda e more di gelso



 

“Lavanda blu,
lavanda verdolina
quando sarò re,
tu sarai regina”

-Filastrocca anonima-


 

 

 




 

Fu settembre a regalarle un sorriso, forse il primo, vero, di una vita altrimenti deprimente. Arrivò che già l'estate stava scemando in un turbinio di mille colori giallastri e l’aria era impregnata del profumo intenso dei fiori.  Loro se n’erano andati, portati via da un uomo elegante che parlava in un modo assai strano e a quel punto Merope, il cui animo raggrinzito dalla cattiveria di un padre e un fratello che la svilivano di continuo, era tornata alla vita. Merope Gaunt era nata triste e cresciuta come tale, e non ricordava di aver mai vissuto un giorno realmente felice. Era convinta che suo padre la disprezzasse, così come Orfin il quale, d’altro canto, si considerava così superiore a lei che a stento la notava. Neppure davano peso al suo essere una strega potente quanto loro e non avevano idea sino a che punto un suo incantesimo sarebbe stato in grado di spingersi. Spesso a Merope non servivano bacchette per far accadere cose meravigliose, per quanto ne avesse una erano più le volte in cui un suo incantesimo falliva che quelle in cui riusciva in qualcosa. Ah, Merope amava la sua bacchetta. Gliel'aveva data papà, anche se non sapeva esattamente dove l'avesse trovata. Le erano sempre piaciute, amava guardarle e sfiorarle appena con le punte delle dita, quasi col timore reverenziale che queste si rovinassero. Una volta, quando era molto piccola, aveva provato a usare quella di suo padre e lui si era così arrabbiato che l’aveva picchiata. Le aveva stretto la gola tanto forte che, di quella volta, aveva ancora addosso i segni. Qualche giorno più tardi ne aveva ricevuta una tutta sua ed era buffo perché da allora aveva capito che per far fiorire un cespuglio di rose, spesso la bacchetta non le serviva neppure. Lei era più potente di loro, si ripeteva. Era più forte di quello stupido di Orfin, che al suo contrario la sfoderava per ogni cosa. Era migliore, addirittura. Chi se ne importava di fare magie perfette. Merope, quella bacchetta non la usava poi nemmeno tanto bene, d'altronde neanche usciva mai di casa! Che gliene importava poi di quelle stupide magie…  


 

⁓⁓⁓


 

Vivevano non molto lontano da Little Hangleton, tra il villaggio e il limitare del bosco. Il cottage era diroccato: le imposte traballavano e il tetto aveva un buco. Sarebbero servite delle riparazioni, ma nessuno sembrava volersi dar da fare a riguardo. C'erano alte siepi incolte che crescevano tutt'attorno alla casa, anche di quelle nessuno se ne occupava. Nel cottage ci stavano lei e suo padre, e poi c’era anche Orfin che non le piaceva affatto. Neanche a lui, lei era mai piaciuta e a dire il vero suo fratello non si era neppure trattenuto dal farglielo sapere. Quel mattino erano a casa e poi non c’erano stati più. Li avevano portati via tutti e due, in un posto chiamato Azkaban, ma Merope non aveva realmente capito dove questo fosse. Sapeva solo che era per ciò che Orfin aveva fatto al volto del giovane Riddle, che li avevano portati via. Erano stati quegli uomini buffi con strani cappelli a cono e tuniche che arrivavano sino ai piedi, erano spuntati dal nulla e lei era corsa su per le scale e si era nascosta sotto al letto, chiudendo forte forte gli occhi finché nessuno aveva più parlato. Poi si era resa conto che erano andati via tutti. Merope non ne era mai stata realmente dispiaciuta: papà la picchiava ogni giorno, anche se lei non faceva davvero niente di male e poi era cattivo perché non ci credeva quando gli diceva che anche lei aveva una magia potente. Quando provava a farne una, non riuscendoci per la tensione che le cresceva dentro, Orvoloson rideva e poi parlava con Orfin nella lingua dei serpenti. Merope li capiva, ma quella lingua così strana non la sapeva parlare tanto bene. Anche per quello la prendevano in giro e poi ridevano. Già, papà e Orfin ridevano sempre quando parlavano male di lei. Il giorno in cui erano stati portati via, Merope aveva sorriso e poi aveva saltellato di gioia per tutta casa. Stare sola, aveva scoperto, le piaceva.


 

⁓⁓⁓


 

Aveva iniziato mettendo il naso appena fuori il cottage, spingendosi di poco oltre la porta e quindi subito rientrando di corsa, col cuore in gola. La pelle ingrigita e pallida che scottava sotto al sole di mezzogiorno e il vento tra i capelli, ad accarezzarle il volto. Poi qualche passo sul sentiero acciottolato che collegava la loro casa a una strada più grande, era là che passavano le carrozze. Aveva fatto quel tragitto ogni giorno, sino a che non si era sentita tanto coraggiosa da spingersi sino al bosco. Il sole le piaceva, amava la sensazione di tepore che le lasciava sulla pelle e adorava il vento che le scompigliava i capelli. Per Salazar, amava persino le ciocche che le cadevano sugli occhi. Merope rideva sempre quando succedeva e poi iniziava a canticchiare una canzoncina che aveva inventato lei, non aveva parole, ma solo una melodia allegra. Camminava per ore e ore a piedi scalzi, con quel vestito stinto e stracciato che si impigliava nei rovi, lei sorrideva anche quando le si strappava un manica. Non era più tempo di more, ma Merope non lo sapeva e le bastava toccare quei rovi spinosi di gelso con la bacchetta perché questi si riempissero di frutti. Era diventata brava a fare magie. In effetti, non ne aveva mai fatte di così perfette. E le more erano aspre e dolci e Merope non sapeva come un qualcosa potesse avere due sapori tanto diversi, anche quello la divertiva. Anche per quelle more, Merope rideva. Un giorno ci aveva riempito la gonna del vestito, tirata su quel tanto che le si vedevano le mutande. Se suo padre l’avesse vista, pensò sogghignando, l’avrebbe picchiata. Ma quello non succedeva da un po’: in effetti lui e Orfin non erano più tornati e Merope iniziava a pensare che non li avrebbe mai più visti. Di nuovo sentì che non le importava.


 

⁓⁓⁓



Ottobre portò in Merope Gaunt una consapevolezza strana, quasi malinconica. Il cibo iniziava a scarseggiare, non c’era più papà che andava a fare scorta in paese e nemmeno Orfin che comunque a qualcosa era sempre servito. Era sola da tanto tempo, anche se Merope non aveva contato i giorni. Aveva smesso dopo che le dita delle mani e quelle dei piedi erano finite. Aveva passato ogni giorno nel bosco, oppure a casa stesa sul letto. Aveva fame sempre più spesso, la sete la placava andando al pozzo; papà lo aveva scavato con la magia appena dietro casa. Lei calava il secchio tutte le mattine e poi tirava su la corda. L’acqua c’era sempre laggiù, ma la fame… Non era più riuscita a far crescere le more dal gelso e Merope non sapeva come fare per trovare altro cibo. Aveva ucciso un coniglio, un mattino e lo aveva cucinato con una vecchia patata. Aveva usato la magia per rubare le scorte della villa dei Riddle, una notte, ma niente sembrava bastarle mai. La solitudine, capì, iniziava a pesare e non le piaceva più così tanto. Quando c’erano papà e Orfin loro la picchiavano oppure la deridevano, ma almeno si occupavano di lei. Almeno aveva qualcuno che potesse vedersi e toccarsi, almeno non era sola. Poi, un pomeriggio il suo sguardo si posò in quello del giovane Tom Riddle e quel barlume di speranza che da tempo le si era spento, aveva ripreso a brillare. Ora sapeva come non essere più sola.


 

⁓⁓⁓

 

 

 

Tom Riddle era bello, aitante, ben vestito e sempre educato. Non con lei, a lei urlava dietro male parole e la guardava con disgusto, ma Merope non se ne accorgeva neppure. Se ne stava seduto con fare impettito su di una carrozza trainata da un paio di cavalli neri, al suo fianco la domenica c’era quella donna bionda e minuta, che lui chiamava “Mia cara”. Con lei, si dirigeva a Great Hangleton, in una di quelle chiese dove vanno i babbani ogni tanto. Papà gliene aveva parlato, ma Merope non aveva davvero capito cosa fosse una preghiera né a chi dovesse rivolgerla. Lei non aveva più chiesto. Il giovane Tom viveva su alla villa e Merope lo voleva sposare. Lo aveva sempre voluto e ogni volta che sentiva le ruote del suo traino lungo il sentiero si sbracciava alla finestra, e lo chiamava a gran voce nella speranza di attirare in quel modo la sua attenzione. Orfin la prendeva in giro per questo. E allora, alcune volte, Merope lo aveva spiato dalle finestre chiuse così da non farsi scoprire. Vedeva il modo in cui Tom lanciava sguardi in direzione di suo fratello, che se ne stava sulla soglia di casa a braccia conserte mentre lo guardava con aria di sfida. Forse anche con un po' di odio. Magari meditando una qualche punizione. Tom non riusciva a essere brutto neppure quando Orfin gli puntava addosso il suo sguardo malefico. D’altronde, il volto del giovane Riddle era bellissimo, i suoi occhi erano bellissimi e i capelli anch’essi bellissimi e così ben pettinati, che pareva che qualcuno glieli avesse incollati l’uno all’altro. Quando ci pensava, Merope rideva e li paragonava a quel cespuglio informe e sporco che suo padre Orvoloson aveva sopra la testa e si diceva che un uomo ben pettinato doveva certamente essere migliore di suo padre. Anche quella domenica, Merope lo aveva aspettato. Si era lisciata per bene il vestito stinto che indossava e aveva infilato tra i capelli dei rami di lavanda. Non era quella la stagione in cui la lavanda fioriva, ma neanche questo, Merope sapeva. E non vedeva quanto la propria pelle fosse grigia e smunta, non notava il pallore delle proprie guance scavate o l’aria sofferta che i suoi occhi trasudavano. Neppure si rendeva conto di quanto differenti fossero i suoi capelli color topo rispetto a quelli dell’elegante signorina Cecilia. Eppure, quel giorno, Merope Gaunt uscì di casa con l’aria di chi è stupenda e sa perfettamente di esserlo. Camminava a passo lento e cadenzato, tra le mani teneva una boccetta. Era un filtro d’amore. Lo aveva preparato lei stessa con cura meticolosa, seguendo alla lettera uno dei libri che suo padre teneva nella credenza, mescolando tutti gli ingredienti nel grande calderone che stava sul fuoco. Perché funzionasse, Tom avrebbe dovuto berlo e uno stratagemma, Merope lo aveva anche trovato. Avrebbe usato la bacchetta per far aizzare i cavalli, la carrozza si sarebbe rivoltata e lei avrebbe offerto qualcosa da bere al giovane Riddle dopo averlo salvato. Merope sapeva perfettamente quel che faceva, perché quel giorno la signorina Cecilia non c’era. L’aveva sentita dire che sarebbe stata per un paio di settimane a Londra, a far visita a una sua zia. E così, Merope aveva capito che quella sarebbe stata la sua occasione per tirarsi fuori da una vita terribile, vissuta accanto a un padre opprimente e malvagio, accanto a un fratello violento che non la sopportava e che la mortificava e prendeva in giro di continuo. E così, quella domenica di ottobre, Merope Gaunt estrasse la bacchetta da sotto al vestito e i cavalli s’impennarono. Lei, a passo lento e cadenzato, a piedi nudi e col vento non più caldo di ottobre, lei che aveva la lavanda nei capelli e con quel filtro d’amore stretto tra le dita, si stava prendendo in mano la propria vita. 



 

Fine






Note: Da quando scrivo, di personaggi difficili ne ho trovati, ma come questi… Non credo di esser mai stata così tanto in difficoltà con un personaggio in vita mia. Pur conoscendo la storia, ho dovuto farmi aiutare e andare a rileggere certi passaggi perché avevo seri dubbi sulla caratterizzazione dei personaggi e soprattutto sulla consequenzialità degli eventi. Sono piuttosto soddisfatta del risultato, nonostante sia un primo esperimento.
 

Devo necessariamente ringraziare due persone: Arianna per avermi dato l’idea di scrivere su Merope Gaunt e Tom Riddle, un giorno quando su Facebook avevo espresso il mio desiderio di scrivere su personaggi di Harry Potter su cui non avevo mai scritto prima. E poi Ecate, che ha letto la storia e mi ha dato qualche consiglio.
Grazie a tutte le persone che sono arrivate sino a qui!
Koa

   
 
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