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Autore: Shichan    03/02/2022    1 recensioni
A volte mette le lettere da parte. Altre accartoccia il foglio fino a sentire la carta cedere definitivamente, distrutta, perché al contrario di quanto chiunque pensi prima o poi anche quella cede alla pressione. La piega, la piega, la piega - e alla fine quella è così consumata da strapparsi.
[pre Odazai][Dark Era (anime)]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Osamu Dazai, Sakunosuke Oda
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Even if that’s your happiness,
isn’t the tomorrow that you are shouldering painful?

– Even if that’s your happiness, KK.

 

Dazai non ama parlare con le persone, anche se sembra il contrario quando sproloquia al solo scopo di infastidire Chuuya o per carpire più di quanto Mori gli dica a voce. Fa passare la sua presunta logorrea per nient’altro che l’incapacità di tacere, così può travestire la sua miglior strategia di sopravvivenza da casuale aspetto caratteriale. Può guardare Chuuya imbestialirsi, Mori intavolare una partita a scacchi nella sua testa senza pezzi bianchi e neri mentre cerca di decodificare Dazai tanto quanto lui cerca di riuscire nello stesso intento. 

Dazai è un adolescente che tutti dimenticano essere ancora minorenne - o che il suo posto non dovrebbe essere tra le mura di un edificio al cui interno c’è la mafia, ma chissà, dietro un banco di scuola. Ogni tanto Dazai scrive. Mai troppo, perché non si può concedere il lusso di lasciare pezzi di sé in bella vista per chiunque, ma ci sono giorni in cui cede alla tentazione: lettere a un destinatario che potrebbe raggiungere percorrendo tre corridoi e una rampa di scale, o che saprebbe dove trovare fuori da lì. 

Parlare con Odasaku è complicato quanto è interessante. Mori è una lotta, Chuuya è un’energia da contenere, ma Odasaku è un respiro. A volte Dazai gli cammina di fianco e mentre lo ascolta gli sembra di avere finalmente la possibilità di riempirsi i polmoni di aria. Altre Odasaku sorride a dei bambini orfani e Dazai pensa che l’acqua lo soffocherà come se stesse affondando nell’oceano.

Scrive, Dazai, lettere che somigliano più a degli appunti. Osserva Odasaku, così pieno di contraddizioni: un uomo legato alla mafia che non vuole uccidere. Un uomo generoso tanto da non poter abbandonare bambini a cui non è nemmeno imparentato, lì a vivere nella parte oscura di Yokohama. Odasaku che lo rende migliore. Odasaku che lo fa sentire fango. Odasaku, che non esiterebbe a prendere la sua mano se Dazai gliela tendesse. 

A volte mette le lettere da parte. Altre accartoccia il foglio fino a sentire la carta cedere definitivamente, distrutta, perché al contrario di quanto chiunque pensi prima o poi anche quella cede alla pressione. La piega, la piega, la piega - e alla fine quella è così consumata da strapparsi.

«Dazai?» la voce di Odasaku lo chiama da dietro la porta, dopo un paio di colpi leggeri ormai associati all’uomo, sebbene Dazai sia sicuro che l’altro non si sia accorto di aver fatto del bussare alla sua porta un gesto abitudinario e sempre uguale. 

Alza lo sguardo sull’orologio, prende mentalmente nota dell’orario. L’occhio libero dalla benda si sofferma sulle parole scritte sulla carta e decide di rimandare la sorte di una lettera tra tante a un altro momento, di scegliere di lasciarla in bilico tra la salvezza e la distruzione proprio come fa con se stesso mentre cerca il suicidio perfetto. Dazai pensa di essere un discreto cantastorie: si racconta sempre una motivazione molto valida per rimandare, rimandare, rimandare - ignora per scelta come queste ragioni spuntino fuori con più insistenza quando Odasaku gli dimostra che qualcosa di buono nel mondo, tra le persone, può essere trovato. 

Le parole in forma d’inchiostro su carta spariscono nel buio di un cassetto, almeno per il momento. Ci sono altri tipi di oscurità con cui è molto meno complicato avere a che fare, per lui, così raggiunge una porta da aprire e posa lo sguardo sull’uomo a cui avrebbe diverse cose da dire ma per cui, alcuni giorni, pensa di non avere abbastanza parole.

Odasaku lo studia per qualche secondo, quasi volesse chiedergli se va tutto bene. Forse vuole davvero, forse glielo chiederà appena saranno fuori dall’edificio. Dazai gli concede un incurvarsi di labbra misurato come lo è la distanza di una belva che non ha ancora scelto se attaccare o no. Deve ancora capire, in una misura non del tutto quantificata, l’uomo che gli sta davanti. Perché è sicuro (lo ha sentito) di come appaia agli occhi di molti, di quasi tutti: è un uomo che non lascia il segno, è uno dei tanti, uno innocuo. Più della maggior parte dei membri della Port Mafia, per cui un’arma tra le mani ha una sola funzione e non è quella di proteggere. 

Secondo lui, invece, Odasaku è un uomo complesso. Crede che anche lui stia cercando di inquadrarlo tanto quanto Dazai fa da quando si sono conosciuti, ed è abbastanza sicuro non ci stia riuscendo del tutto ma sia - paradossalmente - il più vicino di tutti a una sorta di epifania. Ci sono giorni in cui il pensiero lo fa sentire quasi leggero, o forse soltanto meno vuoto. Altri (la maggior parte) sono unghie che affondano nella sua carne e scavano, scavano, scavano

«Se stavi sbrigando qualcosa, posso aspettare.» è la frase per cui opta l’uomo davanti a lui e Dazai sbuffa divertito, perché come potrebbe fare altrimenti? La premura è una cosa strana che Odasaku gli rivolge nei momenti più inaspettati. E’ una morbidezza a tratti sgradita, per dire la verità, e quasi sempre Dazai non può che pensare distrattamente a quanto prima o poi gli si ritorcerà contro. La premura è dovuta alla gentilezza e Odasaku ne ha troppa da contenere, troppa che finisce per fuoriuscire e riversarsi su chiunque sia abbastanza vicino. 

Dazai non è sicuro Oda Sakunosuke sappia odiare qualcuno. All’inizio era convinto che una mano capace di impugnare una pistola potesse appartenere solo a due tipi d’uomo: uno disperato o uno incapace di provare empatia. Poi si è ritrovato davanti Odasaku, che di disperazione non se ne porta sulle spalle ma la bilancia con una capacità fastidiosamente acuta di prendersi a cuore i casi disperati. Forse per quello Dazai si è visto tendere la mano, offrire un supporto non richiesto durante il loro primo lavoro insieme. 

Odasaku tende la mano con immensa facilità. Ogni tanto, distrattamente, Dazai si domanda quante volte dovranno mordergliela come cani rabbiosi perché smetta di offrirla - quanto impiegherà la gentilezza a schiacciarlo come un insetto sotto una scarpa.

Si chiude la porta alle spalle e poi lo supera, sventola una mano nell’aria quasi a scacciare una seccatura. “Quasi”, certo. 

«Niente di urgente.» liquida così perché, dopotutto, si tratta soltanto di passare qualche briciola di tempo a scrivere lettere destinate a non essere mai spedite.

Sente lo sguardo di Odasaku su di sé e lo ignora perché l’uomo a cui dà le spalle, come solo chi non si deve preoccupare di una pugnalata a tradimento riesce a fare, ha visto più di quanto lui permetta al mondo di osservare. 

Dazai ha diciassette anni, scrive lettere chiuse in un cassetto a un uomo che a volte vorrebbe allontanare dall’oscurità e altre volte, invece, vorrebbe vedere soffocare nell’ombra.

   
 
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