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Autore: Il_Signore_Oscuro    05/02/2022    1 recensioni
"Nelle complesse fila che compongono la Trama e la storia del mondo, esiste un'unica costante che - col volgere delle epoche - si ripete, pur con esiti diversi.
L'Ikvalibriam, la battaglia dell'equilibrio, è lo scontro finale fra il Bene e il Male reincarnato. Una battaglia in cui regni, nazioni, imperi si schierani in favore dell'uno o dell'altro.
Nella notte che precede l'ultimo di questi Ikvalibriam, Kudai viene convocato dalla Sua Signora. E scoprirà di rivestire nella Trama un ruolo molto più importante di quanto non abbia mai creduto..."
Se siete alla ricerca di un'epica saga fantasy d'ampio respiro, questa è la storia che fa per voi. Epiche battaglie, personaggi complessi e ricchi di fascino, ambientazioni magiche. Se per un attimo vuoi evadere dal mondo e dalle sue brutture, dammi la mano e segui con me questo viaggio...
[Aggiornamento: ogni domenica]
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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CAPITOLO VIII


 
L’Alta Sfera rilassò le spalle, forse sollevato dalla sua resa.
«Andremo verso Occidente. Colei che vi ha preceduto ha già da tempo predisposto la strada che seguirete. Ad ovest troveremo un potente alleato: un Ombrandante, un elfo oscuro noto alla sua gente col nome di Basilisco. Sarà lui a darvi i primi rudimenti sull’utilizzo dei vostri poteri, adesso ancora sopiti.»
«Questo Basilisco, spero, potrà aiutarci a chiarire il malinteso e mostrarti che io non sono altro che un comune essere umano. Ma, prima di ogni altra cosa, dobbiamo aiutare Moris. Non ho nessuna intenzione di lasciarlo qui, solo e ferito.»
«Molto bene, mia Signora.» Cedette stavolta Kudai. «Farò sì che lo trovino e gli venga prestato soccorso.»
«E come intendi farlo?»
Kudai non si perse in spiegazioni. Si limitò ad uscire dalla spelonca e levare lo sguardo al cielo. Dopo averlo studiato un poco si rivolse nuovamente alla ragazza.
«Copritevi gli occhi, mia Signora: potreste rimanere accecata.»
Astoria replicò con un’espressione confusa, ma ubbidì.
 
Non fece in tempo a domandarsi che cosa lo shinbu avesse in mente, che un lampo luminoso rischiarò a giorno ogni anfratto della spelonca.
«Potete guardare, ora.»
La rassicurò Kudai, rientrando nelle grotta e cominciando a frugare fra i corpi.
Astoria per poco non si ritrovò con la mascella slogata: lì a pochi passi dall’ingresso della spelonca, filamenti di luce aurea risalivano dal terreno verso la volta celeste. Bianco, oro, arancio si levavano e si intrecciavano, amalgamandosi e districandosi gli uni dagli altri.
Colta da un impulso irrefrenabile, si avvicinò sino a toccare la vena di luce: fu come essere sfiorata da un soffio di vento caldo intriso di una lieve pioggerellina. Per un attimo una sensazione di benessere allontanò gli orrori di quel pomeriggio e nelle orecchie le parve di udire come un canto di donna, lontano, oltre il tempo e lo spazio.
Poco a poco, controvoglia, ritirò le dita e quella giornata tiepida le parve essere d’improvviso così fredda.
***
Kudai ripulì la daga sulle vesti del mezz’uomo. Il suo corpo era stato martoriato in modo disumano. La ragazza doveva aver liberato tutta la propria rabbia, tutte le proprie frustrazioni, sul corpo del Raggio. Non si sentì di biasimarla per questo: nel Circolo venivano impiegati numerosi anni per insegnare alle reclute a gestire le proprie emozioni, in particolare nei frangenti ricchi di tensione. Non si poteva certo pretendere che una comune villica – pur con ciò che aveva dentro – riuscisse a fare un lavoro rapido e pulito, quando ammazzava un uomo.
Lo sguardo dello shinbu si posò lentamente su di lei, imbambolata di fronte alla luce di segnalazione che Kudai aveva evocato poco prima. “È così giovane, così impreparata a ciò che la aspetta lì fuori. Mia dolce Aniku, non ho mai dubitato della tua saggezza in tutti questi anni, ma guardando il prodotto di tutti i tuoi piani, di tutte le tue macchinazioni, non posso fare a meno di chiedermi se sia stato giusto mettere il peso del mondo sulle spalle di una ragazzina.”
E col pensiero alla sua Signora, anche i suoi occhi per un attimo furono stregati dal gioco di luce del suo stesso incantesimo. Provò dapprima una dolce sensazione di nostalgia, presto sostituita da un tocco di gelo dentro il cuore.
Quel trucchetto gli era costato fin troppa dell’essenza di Aniku ancora presente dentro di lui, “sarà bene essere più parsimonioso in futuro. Non posso mai sapere quando avrò davvero  bisogno della Luce.”
«Mia Signora,» la richiamò «è tempo di andare. Le pattuglie saranno ormai in dirittura d’arrivo e non è una scelta saggia rimanere ancora qui.»
L’ipnosi svanì dal volto di Astoria e tutta la melanconia tornò a farle il volto cupo. Indirizzò un’ultima occhiata al figlio del podestà, privo di sensi. La ragazza sembrò sul punto di tornare da lui, ma infine si limitò ad uscire dalla grotta.
Nell’insenatura in cui si celava la spelonca, c’era un castrato dal bel manto color sabbia, legato ad un arbusto. Kudai non faticò a riconoscere l’animale: durante i lunghi anni di copertura, mentre mendicava per le vie di Fonderadici, aveva veduto molto spesso il giovane figlio del podestà in sella a quella bestia, mentre accompagnava il suo vecchio in una passeggiata o per qualche battuta di caccia.
«Salite in sella, mia Signora. Vi anticiperò a piedi.»
Le ingiunse, con quanta più cortesia.
«Non posso.» Replicò pronta lei, aggrottando le sopracciglia «questo è il cavallo di Moris. Sono già un’assassina, non diventerò anche una ladra.»
“Perché dev’essere sempre così testarda?! Ubbidisci e basta, dannata ragazzina.”
Kudai ebbe bisogno di alcuni istanti per mondare la voce da ogni eco di esasperazione.
«Sono dell’idea» cominciò «che il vostro compagno vi offrirebbe volentieri il suo destriero, se fosse al corrente della situazione in cui versate. Non dubito che un giorno avrete occasione di rendergli il favore.»
Astoria, poco a poco, abbassò lo sguardo e strinse i pugni sino a impallidirsi le nocche. Ma infine si avvicinò all’animale.
La bestia era diffidente e recalcitrante. Kudai non avrebbe saputo dire se per via della magia dinanzi ai suoi occhi o per l’odore del sangue che filtrava attraverso le sue narici. Tuttavia al tocco e ai sussurri di Astoria si placò, lasciandosi montare.
«Andiamo a ovest?» Chiese la ragazza, tenendo le redini.
Kudai scrutò il cielo: l’azzurro s’andava colorando dei primi rossori del tramonto.
«Non ancora, mia Signora. L’ora si fa tarda e non è buona cosa avanzare in campo aperto con l’oscurità. No, stasera troveremo rifugio nel bosco di salici. Poi, domattina ripartiremo, alle prime luci dell’alba.»
E ciò detto la precedette, sulla via che seguiva a ritroso il corso del Garona.
La ragazza si attardò, qualche istante ancora, a contemplare l’ingresso della spelonca. Gli occhi gravidi di tristezza. A Kudai sembrò di scorgere una lacrima tracciarle le guance, quando finalmente prese a seguirlo.
 
La macchia di salici li accolse con gentilezza, nelle dolci ombre delle sue chiome verde-scuro. Kudai aguzzò lo sguardo, setacciando alla luce del tramonto fra l’erba e le foglie cadute. Cercò quel sentiero che aveva finito per conoscere così bene: una viuzza sinuosa, formata dal passaggio dei cervi per quelle contrade. I loro escrementi scuri e ormai inodore giacevano ai margini della via, in attesa di essere riassorbiti dalla terra.
Lo shinbu si volse verso la ragazza, che intanto risaliva per un piccolo promontorio, seguito da un ripido declivio sulla pianura.
La voce del bosco era animata dai primi canti notturni; dagli animali in attesa dell’oscurità della sera; dal gorgogliare degli affluenti del Garona nascosti fra il verde, tutto intorno a loro.
Il cammino non fu un’impresa semplice: la ragazza si voltava spaventata ad ogni frusciar di foglie, ad ogni rametto spezzato. Non sembrava versata nell’arte della cavalcatura: la bestia, alla sua guida, procedeva a passo mal cadenzato e più di una volta, forse innervosita dall’ansia della sua cavallerizza, aveva minacciato di imbizzarrirsi.
“Povero animale.”
Alla fine Kudai aveva imposto che anche lei continuasse a piedi, tenendo il castrato ben saldo per la briglia, così da preservarla da eventuali cadute. Quando infine giunsero al rifugio che Kudai aveva allestito per la notte, erano entrambi stanchi e frustrati.
 
Il piccolo campo, affacciato sulle rive del Garona, prevedeva solo l’essenziale per una sosta all’addiaccio: due giacigli giacevano all’ombra di un albero; al centro un focolare di sterpaglie e fogliame secco attendeva di essere acceso, delimitato da un cerchio di rocce coperte di muschio. Sotto alcuni cespugli, lì d’appresso, vi era poi una buca scavata di fresco nella terra. Là sotto, la sua lama e la sua vera identità erano rimaste sepolte per diciassette lunghi anni.
“È così strano tornare a rivestire i miei panni.”
Sedette compostamente, la spada infoderata poggiata di traverso sulle gambe. La ragazza, d’altra parte, si abbandonò sul giaciglio con un gemito, massaggiandosi i piedi provati da lungo cammino. Lo shinbu la studiò con una rapida occhiata: ogni scintilla di luce era scomparsa dai suoi occhi castani.
Non poté negarsi un moto di pietà per quella infelice, per quella bambina che aveva veduto crescere spensierata e serena. Adesso, le sue mani erano lorde di sangue rappreso e le labbra non accennavano alcuno di quei sorrisi, un tempo elargiti con tanta generosità.
Dandosi una schiarita alla voce, Kudai le offrì un sacchetto. Al suo interno vi erano le poche cibarie che aveva avuto tempo e modo di conservare in previsione del loro viaggio.
La ragazza, con un gesto automatico, prese una focaccina rafferma e cominciò a sbocconcellarla, lo sguardo perso da qualche altra parte.
«So cosa provate, mia Signora» esordì Kudai, mentre approntava il necessario per accendere il fuoco. «Diciassette anni fa fui costretto a lasciare tutto ciò che avevo di più caro a questo mondo: la mia Signora, il mio ruolo, il mio onore. Tutto per un bene superiore.» Un filo di fumo sgusciò dalle sterpaglie. «Un po’ come voi.»
Quelle parole, se non la rinfrancarono, servirono perlomeno a strapparla dalla sua apatia.
«Le canzoni dicono che sei uno spergiuro e un traditore.»
Kudai incassò, con un sorriso amaro, mentre i primi bagliori del fuoco gli illuminavano il viso.
«Le canzoni non mentono. Non su tutto, perlomeno.» Si morse le labbra. «È vero, la santa vocazione di un’Alta Sfera è rimanere al fianco del Gilmorgen, anche a costo della propria vita. Quella notte, però, feci una scelta differente.»
«Perché?» Chiese Astoria, in modo semplice e diretto.
«Perché, mi chiedete… ebbene, era la notte prima dell’Ikvalibriam quando Gilmorgen’Aniku mi convocò nella sua tenda. Io, com’era nei miei doveri, mi presentai e ci misi poco a capire che qualcosa la turbava. Aniku voleva che facessi qualcosa per lei, voleva che la lasciassi morire… sapeva che mai e poi mai avrei accettato, anche a costo di contravvenire a un suo ordine diretto. Ragion per cui decise di condividere alcune delle sue visioni con me.» Kudai tirò un lungo respiro, abbassando lo sguardo. «Mi mostrò un’epoca di pace e prosperità, lunga settant’anni. Come mai se ne sono viste al mondo. E, dopo di questa, un’epoca oscura in cui i regni e le nazioni sarebbero caduti l’uno dopo l’altro. Ogni culto dilaniato e infine dimenticato, sotto l’egida di un sole oscuro, mentre il Circolo, da buona fratellanza si sarebbe mutato in un’armata volta a passare a fil di spada ogni dissidente, ogni città che avesse osato opporre resistenza. Un mondo di tirannia, un mondo nelle mani del Nakhtife.»
Astoria, visibilmente a disagio, concentrò lo sguardo sulle lingue di fuoco, danzanti dinanzi a lei.
«Solo dopo quell’orribile visione capii le ragioni di Gilmorgen’Aniku. Ella non poteva permettere che una simile prospettiva diventasse realtà e io ero il suo unico strumento per impedirlo. Mi disse di aver scrutato a lungo nelle fila della Trama, scandagliando tutte le sue possibili reincarnazioni… sino a trovare Voi: l’unica reincarnazione che avrebbe potuto evitare il disastro. Ma perché voi poteste nascere come Gilmorgen e non come comune essere umano, ecco, era necessario che Aniku morisse durante l’Ikvalibriam… nel preciso istante in cui voi uscivate dal grembo di vostra madre.»
Astoria tornò a guardarlo, un lampo di comprensione nello sguardo.
«Quindi…»
«Sì, infine la abbandonai al suo destino. Prima ho parlato di una scelta, ma talvolta mi chiedo se lo sia stata davvero…» lo shinbu sentì gli occhi pizzicare. «Dopo un lungo e periglioso viaggio raggiunsi Fonderadici, sotto la falsa identità di un profugo di nome Anidai. La mia sacra missione era diventata quella di vegliare su di voi, fino a quando non fosse giunto il momento propizio. Quel che è accaduto all’interno della grotta – sapete – io l’ho veduto già molto tempo fa.»
«Ora mi è tutto più chiaro.» Mormorò Astoria, anche se la sua espressione vacua rivelava più dubbi che altro. «Quel che non mi spiego è come faccia questo Nakhtife a sapere della mia esistenza. Dai racconti, Gilmorgen e Nakhtife hanno solo una pallida consapevolezza l’uno dell’altro.»
Kudai incrociò le braccia dinanzi al petto.
«Questo, in tutta sincerità non so dirvelo.» Si strofinò per un attimo il naso. «Aniku non mi ha mostrato ogni cosa, quindi posso fare solo delle supposizioni: la vostra predecessora aveva un dono, questo ormai lo avrete intuito. Il dono del vaticinio. Ebbene, tale capacità non era direttamente collegata alla sua natura di Gilmorgen; per intenderci, avrebbe potuto scrutare nella Trama anche se fosse stata un comune essere umano. Suppongo, quindi, che qualcosa del genere possa essere capitato anche con questo Nakhtife’Hikari. Forse non può vedere ciò che sarà, ma avrà un altro tipo di dono.»
Kudai strinse la mano destra intorno all’elsa della daga, sottratta al mezz’uomo, e la offrì per il manico ad Astoria.
«Ma non ha senso ora preoccuparsi di ciò, piuttosto, prendete. Io vi difenderò con la mia stessa vita se necessario, ma è bene che abbiate sempre un’arma insieme con voi.»
La ragazza strabuzzò gli occhi, per poi contrarre il viso in una smorfia orripilata.
«Tu hai visto cosa ho fatto in quella grotta. Non voglio che ricapiti, mai più! Mai e poi mai metterò le mani su un’altra arma.»
«Invece lo farete, mia Signora.» Le ingiunse, ora che la sua pazienza era giunta al limite. «Prima che questa storia sia finita molto sangue verrà versato: innocente e non. Non crediate che il mondo là fuori sia Fonderadici, perché non lo è. Il mondo là fuori è violento e crudele, e per difendervi dovrete adoperare la violenza che lo vogliate oppure no.»
Ciò detto, le prese le mani e gliele strinse intorno all’elsa della daga.
«Viene il crepuscolo, adesso. Chiudete gli occhi e riposate. Il nostro viaggio è appena cominciato.»  
   
 
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