ECCO
UNA MIA
ONE-SHOT SU BOGOBI UN PO’ TRISTE, DIREI.
PERO’
ASCOLTANDO UNA CANZONE DI SANREMO 2022 MI E’ VENUTA IN MENTE
UNA TRAMA SU
QUESTO TEMA: LA MORTE DI NAIROBI E IL DOLORE DEL SUO BOGOTA’.
SPERO
VI SIA
PIACIUTA.
PER I CURIOSI, LA CANZONE IN QUESTIONE E’ “OVUNQUE SARAI” DI IRAMA.
https://www.youtube.com/watch?v=K4cPTgkYG9c&list=RDjj5ECjSKuXY&index=2
E OVVIAMENTE NOTERETE
CHE LA ONE-SHOT PRENDE IL NOME DAL TITOLO DELLA CANZONE.
GRAZIE
A TUTTI
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È
l’alba, il sole, nella sua
regalità, si alza lento ed accoglie il nuovo giorno.
Il
mare, piatto e calmo, conduce i
Dalì nel loro viaggio finale, quello che li
condurrà alla tanto sognata libertà.
Non
tutti dormono beati, godendo di
momenti di ritrovata e meritata gioia.
Uno
di loro, però, fatica a
chiudere gli occhi e a cancellare, dai ricordi, eventi accaduti in soli
sette
giorni… sette giorni divenuti un lasso di tempo lunghissimo,
in cui si può
scoprire un amore e vederlo finire, senza neppur aver avuto modo di
pronunciare
un Ti amo.
Bogotà,
ormai noto ai compagni
nella sua reale identità di Santiago Lopez, isolatosi a
poppa della nave,
osserva il nulla attorno a sé.
Sono
più di 24 ore che si trovano
sull’imbarcazione, diretti verso la meta, nota solo al
Professore, uniti e
finalmente pronti a vivere tutti assieme.
Che
nostalgia sapere di dover
continuare una vita con i Dalì sapendo di non poterla
condividere con la sua
Nairobi.
Ha
finto di aver superato il lutto,
immergendosi totalmente nella chiusura del Piano di salvezza. Si
è mascherato
di una forza che in realtà, consapevolmente, non possiede.
“Non
credo di aver mai sofferto
così” – commenta tra se e se, aspirando
il fumo dell’ennesimo sigaro. Di quel passo
rischia di distruggersi i polmoni più di quanto non abbia
già fatto negli anni –
“Avrei dovuto salvarti! Avrei dovuto ammazzare
Gandia…avrei dovuto farlo per
evitarti quella fine… e per evitarla anche alla povera
Tokyo”
Trattiene
le lacrime, per
l’ennesima volta, evitando uno sfogo che avrebbe potuto
aiutarlo ad alleggerire
il dolore. E invece si frena… già, e lo fa per
punirsi di non essere stato in
grado di agire come andava fatto!
Farsi
del male arrivando allo
sfinimento, è la penitenza che avverte di meritare.
Sì,
sarebbe pronto a tutto, perfino
a gettarsi in mare e eliminarsi per sempre, cancellando in tal modo
anche la disperazione.
Già,
lo farebbe… al solo scopo di riabbracciare
la persona che ama.
E
quando quel pensiero sfiora la
sua mente, accecata dal dolore, accade qualcosa di incredibile.
In
uno stato di palese sconnessione
dalla realtà, Bogotà avverte una strana presenza
alle spalle.
Si
volta, con rapidità, temendo di
doversi giustificare con qualche compagno circa la sua mancanza di
sonno.
E
invece non c’è nessuno.
“Avrei
giurato di aver sentito…”
poi si zittisce. Continua a guardarsi attorno, ma è solo.
Solo esattamente come
quando si ritrova in mezzo ai Dalì.
Quegli
stessi Dalì che, come lui,
non sono stati in grado di evitare la morte di Agata Jimenez.
Quel
professore che ha pensato bene
di salvare Lisbona, prigioniera di Alicia Sierra, ignorando totalmente
le
possibilità di intervenire anche per la salvezza di Nairobi.
Quel
Palermo, quel “fratello”,
causa della liberazione di Gandia.
Quel
gruppo umano che sosteneva di
lottare in nome di Nairobi, ma che ha dimenticato, al termine di tutto,
che
quella guerra era stata vinta in suo onore.
E,
nonostante ciò, nonostante tanti
potessero essere i rancori, Bogotà li considera a tutti gli
effetti la sua
famiglia.
E
a una famiglia si perdona tutto. È
questo che continua a ripetersi da quando sono saliti a bordo della
nave.
Ad
oggi, infatti, si autocolpevolizza,
ritenendosi l’unico responsabile e, probabilmente,
è proprio questa la ragione
della sofferenza e dell’isolamento in cui si è
chiuso.
Mentre
rimugina sul passato, sente,
nuovamente, una presenza.
Stavolta
sembra davvero reale, come
se una mano si fosse appoggiata sulla sua spalla e un caldo respiro
fosse stato
emesso a pochi centimetri dal suo collo.
Poi…
ecco una voce che gli risuona
nelle orecchie.
“Cosa
cazzo…!” – esclama, piuttosto
spaventato. Con le mani nei capelli, appura di aver perso la
lucidità – “Sto
impazzendo, non c’è altra spiegazione.
Perché è impossibile, impossibile che
sia lei…” – la sua mente vola
immediatamente a Nairobi.
Se
fosse la stata la gitana…
Se
fosse proprio lei quella strana presenza.
O
forse è soltanto la prova di
quanto fosse impazzito di dolore.
Ed
è allora, solo allora, che di
fronte a sé, sotto i suoi occhi, si palesa qualcosa di
irreale, o meglio...qualcuno.
“Ciao,
amore mio” – ciò che sente e
ciò che vede ha del paranormale, tanto da costringerlo a
sedersi e darsi
pizzicotti.
“Sto
sognando! Sicuramente è così”
–
continua a ripetersi.
Il
corpo si irrigidisce; Bogotà è
paralizzato da una visione talmente bella e irrazionale, quella di una
dea
vestita di bianco, a piedi scalzi, adornata da numerosi anelli, e al
collo la
riconoscibile collana con la lente d’ingrandimento. Vedere
quel dettaglio gli
dà prova che si tratta proprio di Agata.
“Non
è possibile” – dice, per poi
balbettare parole senza senso, rivolgendosi a se stesso e alla follia
giunta
all’apice.
Come
può vederla, se è morta?!
“Sono
morto anche io? Siamo in
paradiso? Nell’aldilà? O sto impazzendo e
basta?” – domanda a se stesso,
tentando di trovare una risposta logica.
“Bogotà”
– si sente chiamare con
una dolcezza tale che l’emozione non può
più essere trattenuta – “Ricordi di
aver detto che immaginavi di vedermi arrivare vestita di bianco?!
Eccomi qui,
non è per prometterti un “Si”
sull’altare. È per lasciarti andare. Meriti un
futuro radioso”
“Co...cosa…come…!”
– Santiago è
confuso, incredulo, scioccato. Non capisce cosa sta accadendo,
però il suono di
quella voce sta penetrando in lui e sta sbloccando un nodo emotivo che
lo
domina da giorni. È Nairobi a volerlo, e continua a dirgli -
“Io sono qui, ti
basterà pensarmi e comparirò nel tuo cuore e
nella tua testa. Ma è giunto il
momento di riprendere in mano la tua vita. Basta sensi di colpa. Non
è tua
responsabilità se è accaduto quanto è
accaduto. Ora, è il momento… che tu alleggerisca
la tua anima, perché tu possa aprirti di nuovo alla
felicità!”
“Nairobi,
non puoi essere tu, non
puoi essere di fronte a me…è la mia testa, lo so,
è lei la sola responsabile di
questa allucinazione” – e finalmente, mentre
pronuncia quelle parole, senza
riuscire più a dominarsi, le lacrime gli scivolano sulle
gote, con forza e
desiderio di farsi sentire. È un fiume in piena, un
susseguirsi di singhiozzi,
di grida di liberazione, udite dal cielo luminoso, dal mare calmo, e
soprattutto dai suoi amici, svegliati di soprassalto.
“Quando
quel maledetto ti ha
uccisa, ha ucciso anche me” – sussurra con voce
ormai pacata, asciugandosi il
viso bagnato dal pianto – “Ho smesso di vivere e mi
sto consumando, mi sto
torturando sapendoti chissà dove...”
“Ma
io sono qui…con te” – la figura
di Agata Jimenez, dissoltasi in pochi istanti, lascia spazio ad un eco
che solo
Santiago può udire e che domina la sua mente.
“Mi
manchi da impazzire. Guardo
l’alba ogni mattino, immaginando come sarebbe potuto essere
farlo insieme. Ho
faticato a trovare il coraggio di starti lontano, non immagini quanto!
Poi…
quando ci siamo baciati, quando ci siamo scoperti, quando sono riuscito
a farti
innamorare, ho creduto davvero di aver trovato il mio
Paradiso” – inevitabile
che il pianto ricominciasse di fronte ad un ricordo tanto intenso.
Passano
alcuni minuti di silenzio,
durante i quali, Bogotà avverte una sensazione di calore
sulla guancia. Istintivamente
si accarezza il viso, cercando di immaginare che sia la mano di Nairobi
quella
che sta toccando.
E
così riprende e si rivolge con
parole forti alla vita – “Questa maledetta
esistenza è la solita puttana, che
dà e illude per poi sottrarti tutto…! Tu eri il
mio mondo ormai. Il mio centro
di gravità, e la beffa del destino è stata
allontanarti da me e allontanarmi da
te!”
“Le ferite guariranno presto. Adesso è giunto il
momento di accettare la
sofferenza ed imparare a superarla. Non puoi vivere in balia dei Se e
dei Ma. È
andata come doveva andare”
“E’
andata da merda!”
“Per
tutto c’è una ragione, anche
per la morte, amore mio”
“Non
accetterò mai di averti perduta”
Senza
rendersene conto, il
saldatore avverte una strana leggerezza, come se quel macigno fosse
stato
rimosso. Frutto, evidentemente, di uno sfogo che il corpo gli
richiedeva da
giorni e che lui frenava costantemente
A
seguito di quella sensazione,
Bogotà non riesce più a percepire la presenza
della sua Agata.
C’è
silenzio. Di nuovo.
Solo
il mare con il suono delle sue
pacate onde e qualche uccello in volo fanno da sottofondo ad un
ritrovato senso
di serenità.
In
un modo o in un altro, Santiago
Lopez sente di doverlo a Nairobi. Sente che è merito suo se
lo sfogo, il
pianto, le grida, gli hanno alleggerito l’anima.
“Nairobi,
le lacrime che ho versato
sanno di te, portano il tuo nome. E le verserò, ancora e
ancora per tenerti al
mio fianco. Sempre. Ovunque sarai… ovunque sarò
io…. tu sarai con me! Affronterò
il futuro sapendoti custodita qui” – pronunciando
tali parole, il saldatore si
sfiora il lato sinistro del petto, precisamente laddove batte il cuore.
L’eco
di Agata svanito in quei
minuti, si riconferma di nuovo: stavolta sottoforma di un caldo vento
che smuove
i capelli di Bogotà.
E
mentre ciò accade, il saldatore
la ascolta dire - “Bravo amore mio, reagisci
perché la vita continua. E io
ci sarò sempre! Sarò nell’aria che
respiri, sarò il tempo che passa, sarò la
tua luce, il sole e la luna, sarò in ogni tuo gesto,
sarò per te più viva che
mai. Però tu devi essere felice, e piangermi in eterno non
lo renderà possibile.
Perciò da adesso ti si aprirà la strada della
serenità”
Immerso
nelle sue sensazioni, commosso
da un’esperienza dai tratti surreali, Santiago torna con i
piedi per terra
quando riconosce delle figure avanzare, figure in carne ed ossa.
Stavolta,
però, si approccia alla
realtà con una insolita e piacevole leggerezza.
I
Dalì, preoccupati per averlo
udito gridare, sono accorsi immediatamente.
Il
primo ad avvicinarsi al
saldatore non parla, ma si limita ad abbracciarlo.
È
Rio.
Tra
loro le parole non servono. Condividono
lo stesso dolore, una perdita importante, segnata dal senso di colpa.
Questo
li caratterizzava entrambi,
fino a qualche minuto prima.
Adesso
Bogotà riesce a respirare a
pieni polmoni quella libertà meritata.
Sente
di avere Nairobi di fianco e questo
basta per andare avanti.
E
così, appoggiato ad Anibal, Santiago
gli sussurra – “Tokyo e Nairobi sono qui, e
vogliono vederci felici. Penso che
farci spalla l’un l’altro sia un buon inizio per
affrontare positivamente il
futuro” – con tenerezza paterna, Bogotà
gli dà una pacca sulla spalla.
“Ho
la sensazione che non sarà così
semplice” – commenta, amareggiato, il ragazzino.
“Le ferite
guariranno presto, ma è giunto il
momento di accettare la sofferenza ed imparare a superarla. Non puoi
vivere in
balia dei Se e dei Ma” – ripete le parole udite da
quell’eco che lo ha riportato
in se.
“Dove
trovi questa forza?” –
chiede, commosso, Cortes.
“Nella
certezza che, ovunque sarò,
lei sarà con me!” – volgendo lo sguardo
in cielo, accenna un sorriso,
finalmente sereno.
Riprendendo
tutti la loro quotidiana
permanenza a bordo della nave, si accingono a far colazione.
Ed
ecco che accade qualcosa che lascia
Bogotà senza fiato…nuovamente!
Si
accorge di avere qualcosa nella
tasca del suo maglione.
Tira
fuori da lì un oggetto che lo spiazza.
Tra
le sue mani ora si trova la
collana con la lente d’ingrandimento. La collana che Nairobi
indossava.
Una
lacrima gli riga il volto in
tale istante; è un segnale forte quello che gli ha appena
lanciato il destino.
Così
indossa quello che apparteneva
a Nairobi e forte di aver vissuto davvero una situazione dai tratti
surreali,
può ritenersi l’uomo più fortunato del
mondo.
Lei
c’è…lei è
vita…lei gli è di
fianco… e quella è la prova.