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Autore: pierres    07/02/2022    0 recensioni
I tradimenti e le illusioni, le rabbie, i rancori, le gioie e le ombre e l'amore che tutto vince - et nos cedamus amori.
I templi eburnei si tingono di rosso.
[drabble; flashfic; oneshot] [tutti i pairing] [dèi ed eroi]
1. Era/Zeus - le piume di pavone frusciano e bisbigliano la loro approvazione
2. Dioniso/Atena - le lascerebbe addosso l'odore del vino per eoni
3. Apollo/Cassandra - «Hai promesso, Cassandra»
4. Dioniso, Persefone - si staglia sanguigno contro un tramonto che sembra una strage
Genere: Drammatico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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3.





I capelli di Apollo sono fatti di oro fuso, metallo luminoso che scende in riccioli liquidi lungo le sue tempie e gli sfiora il collo bianco. La prima volta che Cassandra lo vede, nel tempio in suo nome, la luce del sole entra dal portone aperto e passa attraverso quei fili d'oro rendendoli bianchi, scivola come una carezza sulle sue spalle e la pelle diafana, e non c'è un solo millimetro di lui che non si bei di quei raggi come farebbe un morto di sete col nettare divino.

Inclina solo un secondo la testa, vedendola - i riccioli molleggiano lascivi alla luce dell'alba. Cassandra non ha più respiro perché l'ha perso, forse da molto prima di quando se ne accorge, f- rubato, è chiaro, forse solo incastrato in quella chioma del colore dei girasoli. Ancora prima che lui possa dire qualsiasi cosa, ancora prima che lo chieda, sa già che è pronta a promettere tutto purché non la lasci senza renderle il fiato che ha perso - purché non lasci e basta.

E anche Apollo lo sa, lo sa perché sorride solamente, ed è freddo, perfetto e razionale. Con l'odore dell'infanzia ancora tra i capelli, con le dita macchiate di pomeriggi di sole, Cassandra non sa quanto si è spinta in basso - Apollo sì, invece, e la lascia cadere.

 

 

Non c'è un secondo preciso in cui Cassandra capisce cosa ha realmente promesso - se ci fosse stato, la disperazione e l'angoscia sarebbero apparse così profonde da non poterle semplicemente sopportare.

Piano piano, invece, cresce e si rende conto che le parole hanno un sacco di significati - che ha promesso il suo amore, e adesso la notte non dorme perché sa cosa significava per lei, per quell'ingenua bambina persa tra l'oro dei capelli dell'altro, ma non per Apollo.

Ogni tanto lui passa a trovarla - quasi tutte le sere - e lei si pugnala a fondo con un coltello fatto di bugie e suppliche, scaccia qualsiasi ombra dal fondo delle proprie pupille e tutto per convincersi che l'unico amore che le chiede è la sacra devozione che gli dedica ogni minuto, ogni secondo, ogni respiro (anche quando le carezza sovrappensiero la mandibola, anche quando le bacia le palpebre chiuse, anche quando indugia con i suoi occhi gialli, da fiera, sulle ciocche scomposte di capelli che le ricadono sul collo).

Cassandra chiude gli occhi e prega, anche se non ha nessun altro dio da pregare - chiude gli occhi e finge che tutto vada bene, anche se non è così - anche se Apollo continua a guardarla come se fosse il suo regalo di compleanno e, nelle sue visioni, i fiori bianchi ricamati sul suo vestito e sulle coperte e ovunque nelle sue stanze si tingono di un rosso che non riesce a lavar via.

 

 

«Hai promesso, Cassandra»

La voce del dio è un sibilo così irato e roco che sembra provenire dall'Ade - Cassandra singhiozza, ricordando le sue risate quando la teneva in braccio da bambina, la voce calda e giovane di quando le raccontava storie di mostri e di eroi per farla addormentare, quel sogni d'oro dolce come il miele che esclamava prima di lasciarla, la sera, e sfocarsi in raggi d’oro che si confondevano con le fiamme delle candele.

Cerca compassione nei suoi occhi e non la trova, i ceri sono quasi spenti e tutta la loro luce sembra essere catturata dai fili dei capelli di Apollo.

«Ho mantenuto la promessa, lo sapete - vi amo come il primo giorno che vi ho visto, ma non così - non così! Mio signore, vi prego…»

Qualcosa negli occhi del dio cambia, repentino - scompaiono i lampi cupi, si smorza la fiamma. Si inginocchia davanti al lato del letto dove è seduta e le afferra il volto tra le mani lunghe - a terra, ai vaghi guizzi dei ceri, c'è la tunica azzurra che le ha strappato brutalmente di dosso, la stoffa lacerata che sembra un po' gridare e un po' sanguinare.

«Cassandra...» bisbiglia, in un sospiro.

Arriva così prossimo da respirarle sulle labbra - ha il fiato gelido e inodore come il vento che spira dalle tombe. Solo un bacio, pensa lei: forse vuole solo un bacio e poi finirà tutto (Cassandra lo ama, lo ama davvero, ma non così) e ignora le visioni, ancora una volta, soltanto una, perché si fida, si fida, si fida, ma lo sputo ha un sapore talmente amaro che le viene da vomitare. Quando alza gli occhi, sconvolta, Apollo ha nello sguardo un piacere così profondo, una tale delizia che anche i suoi riccioli sembrano ondeggiare ridenti.

«Ti maledico» ringhia sul suo volto, e poi sorride - i suoi denti bianchi, al guizzare delle fiammelle, sembrano appuntiti come quelli di una belva.

Il suo urlo nero riempie la stanza, i singhiozzi la soffocano e la squassano di sobbalzi, eppure lui se ne va, disfacendosi in luce che non riscalda, orgoglioso - la lascia cadere.

Le candele si sono spente al primo soffio di vento entrato dalla finestra aperta. Se Apollo ancora fosse lì, solo i suoi occhi gialli baluginerebbero nella notte, come quelli di un gatto.

 

 

Infine, tutto il suo gridare di fiamme e di eredi e di tradimenti non ha fatto altro che far avverare ciò che più di tutti voleva sventare - adesso il fuoco è reale e scotta e divora qualsiasi cosa, anche le lacrime che non riesce più a versare (forse ne ha già  piante troppe).

Inginocchiata davanti alla statua di Atena ripete la solita preghiera in un farfuglio confuso e supplicante che sa di vesti strappate e spade lorde di sangue e gridi disperati - quando Aiace la afferra da dietro, quando la stupra sugli stessi gradini dove ha poggiato le ginocchia sanguinanti, lei non fa niente perché non riesce nemmeno più a supplicare ( e in realtà pensa ad Apollo e a quanto sarebbe stato meglio dargli quello che voleva, e quanto, nonostante tutto, non riesca a pentirsi di non averlo fatto).

Si aggrappa con le unghie al busto di marmo della dea, ogni fibra del suo essere spezzata e sanguinante alla pari della sua purezza, e quando l'altro la strattona via la statua cade a terra in un fragore di tuono - nei miliardi di schegge, le pare di scorgere una regina e una congiura e la sua stessa morte, ma poi chiude gli occhi e si rifiuta anche di pregare.

Fuori dal tempio, scorge in lontananza il santuario di Apollo - lo stesso santuario nel quale l'ha visto per la prima volta, nella quale ha perso il respiro e promesso ed è caduta giù, miseramente giù. Se lui fosse lì, Cassandra lo sa, non farebbe niente – ma non lo biasima, non può: ancora lo ama, ha giurato, e tutto è cambiato e non è cambiato niente.





































Note: qui un ringraziamento è necessario alla splendida storia di _Pulse_, Painful Triumph (Forgive Me), da sempre mia modello per ogni Apollo/Cassandra. Mi si perdoni l'aemulatio.
















 

 

  
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